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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblico impiego Numero: 32904 | Data di udienza: 3 Ottobre 2023

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – Danno comunitario – Diritto soggettivo al risarcimento in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo – Stabilizzazione – Assunzione del lavoratore a tempo indeterminato – Rapporto causale diretto con l’abuso – Assunzione agevolata dall’abuso – Artt. 28 L. n.183/2010 e 32, D.Lgs. n. 81/2015. (Segnalazione e massima a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 27 Novembre 2023
Numero: 32904
Data di udienza: 3 Ottobre 2023
Presidente: TRIA
Estensore: ZULIANI


Premassima

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – Danno comunitario – Diritto soggettivo al risarcimento in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo – Stabilizzazione – Assunzione del lavoratore a tempo indeterminato – Rapporto causale diretto con l’abuso – Assunzione agevolata dall’abuso – Artt. 28 L. n.183/2010 e 32, D.Lgs. n. 81/2015. (Segnalazione e massima a cura di Alessia Riommi)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 27 novembre 2023 (Ud. 03/10/2023), Ordinanza n. 32904

 

PUBBLICO IMPIEGO – Rapporto di lavoro a tempo determinato – Illegittimità del termine – Abusiva reiterazione di contratti a tempo determinato – Danno comunitario – Diritto soggettivo al risarcimento in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo – Stabilizzazione – Assunzione del lavoratore a tempo indeterminato – Rapporto causale diretto con l’abuso – Assunzione agevolata dall’abuso – Artt. 28 L. n.183/2010 e 32, D.Lgs. n. 81/2015.

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine cui sia succeduta l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento del “danno comunitario”, che prescinde dalla prova di un effettivo pregiudizio economico, salvo che sia stato successivamente “stabilizzato”, ovverosia sia stato assunto a tempo indeterminato dalla medesima pubblica amministrazione e in rapporto causale diretto con il precedente abuso dei contratti a termine, non essendo a tal fine sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dall’abuso. Tuttavia, in caso di abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine cui sia succeduta l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento del “danno comunitario” che prescinde dalla prova di un effettivo pregiudizio economico, salvo che sia stato successivamente “stabilizzato”, ovverosia sia stato assunto a tempo indeterminato dalla medesima pubblica amministrazione e in rapporto causale diretto con il precedente abuso dei contratti a termine, non essendo a tal fine sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dall’abuso.

(accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Ancona sentenza n. 536/2017 – CORTE DI APPELLO DI ANCONA) Pres. TRIA, Est. ZULIANI, A.S.U.R. Marche (avv. Omissis) c. Romagnoli (avv.ti Nazzareno Ciucciomei e Federica Pelosi)


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 27/11/2023 (Ud. 03/10/2023), Ordinanza n. 32904

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9576/2018 R.G. proposto da

– ricorrente –

CONTRO

S. ROMAGNOLI, domiciliata in Roma presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indicato indirizzo PEC dell’avv. Nazzareno Ciucciomei, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. Federica Pelosi

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 536/2017, depositata il 4.1.2018 della Corte d’Appello di Ancona;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.10.2023 dal Consigliere Andrea Zuliani.

FATTI DI CAUSA

L’attuale controricorrente convenne in giudizio la datrice di lavoro A.S.U.R. Marche chiedendone la condanna al pagamento di differenze retributive e al risarcimento dei danni, previo accertamento della natura effettiva di lavoro subordinato delle prestazioni rese in esecuzione di una serie consecutiva di contratti d’opera e di collaborazione coordinata continuativa stipulati con l’Azienda prima della sopravvenuta assunzione a tempo indeterminato con profilo di collaboratore amministrativo professionale categoria D.

Instauratosi il contraddittorio, la domanda venne respinta dal Tribunale di Ancona, in funzione di giudice del lavoro, che ritenne prescritto il diritto al pagamento delle differenze retributive e conseguentemente carente l’interesse ad agire per il mero accertamento della natura subordinata del rapporto antecedente all’assunzione, negando altresì la sussistenza di un danno risarcibile.

La sentenza di primo grado venne impugnata dalla lavoratrice davanti alla Corte d’Appello di Ancona, la quale, in parziale accoglimento dell’appello, accertò l’abusivo ricorso a contratti di lavoro subordinato a termine e condannò l’A.S.U.R. Marche al risarcimento del danno, liquidato in misura pari a sette mensilità della retribuzione globale di fatto, «avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604», come prescrive l’art. 32, comma 5, legge n. 183 del 2010.

Contro la sentenza della Corte d’Appello l’Azienda ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. La lavoratrice si è difesa con controricorso. La ricorrente ha depositato altresì, con nuovo difensore subentrato al precedente, memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia «violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, della legge 183/2010, in relazione all’art. 1, comma 565, della legge n. 296/2006, recepita dalla Regione Marche con D.G.R.M. 1021 del 24.9.2007 … (360, comma 1, n. 3, c.p.c.)». La ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere liquidato il c.d. «danno comunitario», che prescinde dall’onere della prova in concreto di un pregiudizio economico, nonostante l’intervenuta stabilizzazione del rapporto, che avrebbe dovuto essere riconosciuta essa stessa come un adeguato e satisfattivo rimedio alla illegittima precarizzazione (la quale deriva dall’accertamento della natura subordinata anche dei precedenti rapporti, accertamento in fatto «il cui sindacato è … precluso nel presente giudizio di legittimità», come espressamente riconosciuto dalla stessa parte ricorrente a pag. 11 del ricorso per cassazione).

2. Con il secondo motivo l’A.S.U.R. Marche denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (360, comma 1, n. 5, c.p.c.)». Anche questo motivo si concentra sulla intervenuta stabilizzazione del rapporto di lavoro, dolendosi la parte ricorrente che la sentenza impugnata non l’abbia presa in alcun modo in considerazione nel motivare sulla sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento della «indennità omnicomprensiva di cui all’art. 32, comma 5, della legge n. 183/2010».

3. Il ricorso – i cui due motivi possono essere trattati congiuntamente, in ragione della stretta connessione – è fondato.

3.1. La Corte d’Appello di Ancona ha deciso la causa facendo applicazione del consolidato principio di diritto secondo cui, in materia di pubblico impiego, l’impossibilità di convertire i rapporti a termine abusivi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato (art. 36, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001) e la necessità di garantire tuttavia al lavoratore un’effettiva tutela risarcitoria (come imposto dalla normativa eurounitaria) si contemperano nel riconoscimento in favore del lavoratore di un diritto soggettivo al risarcimento, in misura forfettizzata tra un minimo e un massimo (ex art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, poi sostituito dall’art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2015), senza necessità di provare l’effettiva esistenza del danno (e ferma invece la possibilità di provare in concreto l’esistenza di un danno ulteriore; v., per tutte, Cass. S.U. n. 5072 del 2016).

3.2. Tuttavia, nella sentenza impugnata si fa riferimento in più punti all’intervenuta stabilizzazione del rapporto, che risulta allegata concordemente da entrambe le parti (v. la narrazione dello svolgimento del processo alle pagg. 3, 4 e 5). A tale circostanza la sentenza non fa poi alcun cenno nella motivazione relativa alla sussistenza dei presupposti per la condanna dell’Azienda al risarcimento del «danno comunitario». Occorre allora ricordare l’altrettanto consolidato e condivisibile orientamento secondo cui l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato «rappresenta una misura ben più satisfattiva di quella per equivalente» ed è quindi idonea a cancellare tutte le conseguenze dell’abuso, senza necessità di ristoro pecuniario del «danno comunitario» (Cass. n. 22552/2016 e altre coeve e successive; principio inizialmente affermato con specifico riferimento alla stabilizzazione del personale docente della scuola, ma poi esteso anche ad altre categorie del pubblico impiego: v. Cass. n. 16336/2017).

Ne consegue che la Corte d’Appello ha errato applicando il principio di diritto che prevede la risarcibilità in re ipsa del «danno comunitario», senza considerare in alcun modo la giurisprudenza che esclude tale risarcibilità nel caso in cui l’illegittima precarizzazione sia sfociata nella stabilizzazione del rapporto.

3.3. Siffatta giurisprudenza ha peraltro precisato che l’immissione in ruolo, per avere tale efficacia sanante, oltre a provenire dal medesimo ente che ha commesso l’abuso (Cass. n. 7982/2018), deve avvenire in rapporto di diretta derivazione causale con l’illegittima successione dei contratti a termine (Cass. n. 15353/2020; conf. Cass. n. 14815/2021, alla quale si rinvia per una più completa disamina dei precedenti conformi).

La Corte d’Appello avrebbe pertanto dovuto prendere in esame la «stabilizzazione» cui hanno fatto riferimento entrambe le parti (che, invece, ha totalmente ignorato) e verificare se si tratti proprio di una consolidazione del rapporto di lavoro avvenuta in ragione della precedente precarietà oppure di una assunzione soltanto agevolata dal precedente rapporto precario, aspetto irrinunciabile e decisivo per stabilire se la lavoratrice abbia o meno diritto al risarcimento del «danno comunitario», nonostante la successiva instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la medesima amministrazione pubblica che aveva abusato dei contratti a termine (in questo caso, più precisamente, di contratti apparentemente di lavoro autonomo o parasubordinato, ma dei quali il giudice del merito ha accertato la reale natura di rapporti di lavoro subordinato).

3.4. Occorre pertanto cassare la sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d’Appello di Ancona, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del presente grado di legittimità, attenendosi al seguente, già consolidato, principio di diritto: «in materia di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di abusivo ricorso ai contratti di lavoro a termine cui sia succeduta l’assunzione del lavoratore a tempo indeterminato, il lavoratore ha diritto al risarcimento del “danno comunitario”, che prescinde dalla prova di un effettivo pregiudizio economico, salvo che sia stato successivamente “stabilizzato”, ovverosia sia stato assunto a tempo indeterminato dalla medesima pubblica amministrazione e in rapporto causale diretto con il precedente abuso dei contratti a termine, non essendo a tal fine sufficiente che l’assunzione sia stata semplicemente agevolata dall’abuso».

4. Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, non sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 3.10.2023.

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