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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro, Diritto processuale civile Numero: 2761 | Data di udienza: 6 Dicembre 2023

DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento disciplinare per giusta causa – Ruolo di coordinatrice – Orario giornaliero – Effettuazione prevalentemente da remoto della prestazione lavorativa – Tenuta in autonomia dei contatti – Via telematica – Luoghi diversi da quelli aziendali – Apporto di risultato – Attività non compatibili con quelle lavorative – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Mancanza della motivazione – Causa di nullità della sentenza – Radicale carenza della motivazione – Argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi – Argomentazioni logicamente inconciliabili – Argomentazioni perplesse od obiettivamente incomprensibili – Sufficienza e razionalità della motivazione – Error in procedendo. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 30 Gennaio 2024
Numero: 2761
Data di udienza: 6 Dicembre 2023
Presidente: DORONZO
Estensore: CASO


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento disciplinare per giusta causa – Ruolo di coordinatrice – Orario giornaliero – Effettuazione prevalentemente da remoto della prestazione lavorativa – Tenuta in autonomia dei contatti – Via telematica – Luoghi diversi da quelli aziendali – Apporto di risultato – Attività non compatibili con quelle lavorative – DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Mancanza della motivazione – Causa di nullità della sentenza – Radicale carenza della motivazione – Argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi – Argomentazioni logicamente inconciliabili – Argomentazioni perplesse od obiettivamente incomprensibili – Sufficienza e razionalità della motivazione – Error in procedendo. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 30 gennaio 2024 (Ud. 06/12/2023), Ordinanza n. 2761

 

 

DIRITTO DEL LAVORO – Licenziamento disciplinare per giusta causa – Ruolo di coordinatrice – Orario giornaliero – Effettuazione prevalentemente da remoto della prestazione lavorativa – Tenuta in autonomia dei contatti – Via telematica – Luoghi diversi da quelli aziendali – Apporto di risultato – Attività non compatibili con quelle lavorative.

 

È illegittimo il licenziamento disciplinare per giusta causa intimato alla coordinatrice con mansioni di supervisione e controlli dei cantieri per mancato rispetto della normativa aziendale in tema di orario giornaliero e per l’effettuazione prevalentemente da remoto della prestazione lavorativa in caso di assenza di vincolo di orario lavorativo in capo ai coordinatori, rientrando nei compiti di gestione dei cantieri anche la tenuta in autonomia dei contatti con clienti e personali ed acquisti. Peraltro si ritiene che, in ragione del particolare ruolo di coordinatrice, con non pochi compiti che prescindevano completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo, questa abbia potuto svolgere l’attività nei giorni e nelle ore che la società datrice di lavoro indica come assenza dal servizio e che abbia potuto tenere i necessari contatti per via telefonica in tutte le ore nelle quali la stessa risultava in luoghi diversi da quelli aziendali. L’addebito contestato sarebbe stato fondato solo laddove la lavoratrice avesse fatto mancare il proprio apporto di risultato ovvero laddove fosse stato possibile dimostrare che il suo tempo fosse stato dedicato ad altre attività, non compatibili con quelle lavorative, in misura tale da escludere la prestazione oraria.

 

 

DIRITTO PROCESSUALE CIVILE – Mancanza della motivazione – Causa di nullità della sentenza – Radicale carenza della motivazione – Argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi – Argomentazioni logicamente inconciliabili – Argomentazioni perplesse od obiettivamente incomprensibili – Sufficienza e razionalità della motivazione – Error in procedendo.

 

La mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie. In tal senso, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.

(conferma sentenza n. 371/2020 – CORTE D’APPELLO di BOLOGNA), Pres. Doronzo, Est. Caso, Formula Servizi Soc. Coop. (avv.ti Pignataro e Simonetti) c. Vergili Marina (avv. Pirrongelli)


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 30/01/2024 (Ud. 06/12/2023), Ordinanza n. 2761

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28892-2020 proposto da:
FORMULA SERVIZI SOC. COOP. A R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONDOTTI 91, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PIGNATARO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CAMILLO SIMONETTI;

– ricorrente –

CONTRO

VERGILI MARINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. P. DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato LUCIANA PIRRONGELLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 371/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/09/2020 R.G.N. 137/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2023 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bologna rigettava il reclamo proposto dalla Formula Servizi soc. coop. a r.l. contro la sentenza del Tribunale di Forlì n. 48/2020, che pure aveva respinto la sua opposizione all’ordinanza del medesimo Tribunale la quale, nella fase sommaria del procedimento ex lege n. 92/2012, aveva respinto il ricorso della stessa società datrice di lavoro, volto a sentir dichiarare la legittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa dalla stessa intimato a Vergili Marina, sua dipendente con mansioni di “supervisione e controlli dei cantieri nei quali la società Formula Servizi espletava servizi di pulizia e altri …”.

2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che, per il giudice dell’opposizione, tre erano le ragioni di addebito alla lavoratrice quali desumibili dalla contestazione come precisata anche in sede giudiziale, e cioè:
a) la sistematica violazione delle disposizioni aziendali in ordine all’orario di lavoro;
b) lo svolgimento in modo incompleto e discontinuo della prestazione, con tanto di disbrigo di faccende personali durante l’orario di lavoro;
c) l’abuso della fiducia del datore, approfittando la Vergili della circostanza che non vi fosse un sistema di rilevazione automatica delle presenze e ciò a considerare che le mansioni assegnate prevedevano anche l’allontanamento dall’ufficio per effettuare i sopralluoghi sui cantieri. Dopo aver dato ampiamente conto dell’unico motivo di gravame della società, relativo al fraintendimento, da parte del giudice dell’opposizione, del contenuto stesso della contestazione disciplinare, la Corte disattendeva gli argomenti della reclamante.

3. Avverso tale decisione, la Formula Servizi soc. coop. a r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

4. L’intimata ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e falsa applicazione dell’art. 11(1) Cost., art. 132 cpc e art. 118 disp. att. cpc in ordine alla mancata motivazione della omessa considerazione di controprova scritta (circa la sussistenza di normativa aziendale sugli orari giornalieri)”. Sottolinea “che la questione del rispetto della normativa aziendale, in tema di orario giornaliero, presentava un duplice aspetto: quello della esistenza di una supposta prassi derogatoria della normativa tradizionale (orari 9:00-13:00; 14:00-18:00, affermata dall’informatore sig. Conte, ma negata dall’altro informatore (signori Rinaldini, Baldassarre, Severi) e quello della riconferma esplicita dell’obbligo di rispettare un “registro uscite”, riconferma contenuta in una comunicazione-ordine di servizio del Direttore Risorse Umane, Stelio Mainetti del 3 settembre 2015 (doc. 17 fascicolo parte ricorrente), di poco precedente, dunque, i fatti di causa”. Deduce che, nonostante fosse stata sottolineata in precedenza l’importanza di detto ordine di servizio, “nessun Giudice ha mai preso la sua replica nella minima considerazione, ripetendosi sempre l’assunto iniziale della caduta in desuetudine della normativa sull’orario giornaliero, smentita, invece da quella comunicazione-ordine di servizio del 3/9/2015”.

2. Con un secondo motivo denuncia “Ancora vizio di mancanza di motivazione circa l’effettuazione prevalentemente <<da remoto>> della prestazione lavorativa”.

Secondo la ricorrente, la Corte di appello “non ha minimamente rilevato né giustificato, motivandola, la contraddizione esistente nelle affermazioni e attestazioni di circostanze diverse e tra loro incompatibili della signora Marina Vergili”. Censura, in particolare, il punto a pag. 8 dell’impugnata sentenza in cui la Corte <ha ritenuto che non si potesse contestare alla lavoratrice Vergili il mancato svolgimento, almeno in misura maggioritaria della prestazione “ben potendo la lavoratrice aver tenuto i necessari contatti per via telematica in tutte le ore nelle quali risultava in luoghi diversi da quelli aziendali”>.

Secondo la ricorrente, “Questo è un classico esempio di motivazione “apparente” perché si sostituisce ad un accertamento di fatto una mera ipotesi”.

3. Con un terzo motivo denuncia Ancora violazione del “minimo costituzionale di motivazione”, in relazione alle contestazioni di impossibilità dell’esecuzione della prestazione di coordinatore “da remoto”.

Secondo la ricorrente, a riguardo la sentenza della Corte d’appello non ha dato alcuna risposta a fondamentali questioni dalla stessa poste in sede di reclamo; e, “se nel primo grado si dice che il lavoratore operava per telefono, e nel gravame si contesta che ciò non è possibile per specifici motivi quantitativi e qualitativi, non può la sentenza di appello limitarsi a ripetere che il lavoratore … operava per telefono, e rigettare il gravame”; mancava appunto la motivazione ovvero il suo “minimo costituzionale”.

4. Tutti tali motivi, esaminabili congiuntamente per evidente connessione, sono infondati.

5. Giova premettere che, affinché sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132 c.p.c. n. 4, occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscere come giustificazione del decisum. La mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sé, restando esclusa la riconducibilità in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione medesima in raffronto con le risultanze probatorie”. In tal senso, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (così, tra le altre, Cass., sez. lav., 25.6.2020, n. 12632).

6. Ebbene, i vizi di mancanza di motivazione o di motivazione apparente, lamentati dalla ricorrente, non sono assolutamente riscontrabili nell’impugnata sentenza.

7. La ricorrente anzitutto non considera, né censura quindi in qualsiasi modo, il punto in cui, come già accennato in narrativa, la Corte di merito ha inteso l’unico motivo di gravame dell’allora reclamante nel senso di un sostenuto “fraintendimento, da parte del giudice reclamato, del contenuto stesso della contestazione”, dando conto diffusamente conto delle argomentazioni in tal senso svolte dalla reclamante (v. in extenso pagg. 3-5 della sua sentenza). La stessa Corte, inoltre, aveva riportato in nota 1 a pag. 4 dei “movimenti della Vergili non compatibili con le sedi (fisiche) di lavoro”, beninteso, secondo la contestazione disciplinare, e in nota 2 tra la pag. 4 e la pag. 5 di tutte le numerose attività secondo la società datrice di competenza della lavoratrice.

7.1. La Corte di merito, quindi, ha osservato che: “pare che se equivoco esiste, sia proprio nella lettura che la società reclamante dà alle ragioni di decisione”; ragioni che, secondo la stessa, “muovono dal presupposto che non vi fosse vincolo di orario lavorativo per lo svolgimento dei compiti assegnati” alla lavoratrice quale coordinatrice (cfr. pagg. 5-6). Nell’ambito di tale parte di motivazione, la Corte aveva, altresì, evidenziato che già: “il giudice reclamato ha ritenuto, sulla base delle prove assunte, che la lavoratrice bene potesse lavorare da remoto, senza con questo far venire meno la diligenza dovuta”.

8. Del resto, l’affermazione, attribuita dalla ricorrente alla Corte di merito ed asseritamente immotivata, che la lavoratrice avesse effettuato <prevalentemente “da remoto”> la prestazione lavorativa neanche è riscontrabile nell’impugnata sentenza.

Dopo il passo testé riportato, infatti, circa quanto ritenuto dal primo giudice in sentenza, la Corte ha piuttosto osservato che: “Lo stesso elenco di mansioni consente di evincere che alcune di esse prescindono completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo; basti pensare a quelle così sintetizzate nell’elenco offerto dalla stessa società reclamante: … “(segue un elenco di 9 attività, a sua volta estrapolato da quello completo riportato in nota 2).

9. Nota, quindi, il Collegio che già prima del singolo passo a pag. 8 dell’impugnata sentenza, specificamente censurato dalla ricorrente nel secondo motivo, la Corte territoriale, sulla scorta delle precipue attività di competenza della lavoratrice che, secondo la sua valutazione, non richiedevano la sua “presenza fisica in un determinato luogo”, aveva ritenuto che: “Non si può dunque escludere che nei giorni o nelle ore che la società datrice indica come “assenza dal servizio” la Vergili abbia invece compiuto questo tipo di attività”.

E, a sua volta, detto apprezzamento non è affatto immotivato.

In tal senso, la Corte distrettuale ha fatto soprattutto (ma non solo) riferimento alla deposizione del teste Conte Carmine, a suo tempo responsabile della produzione nella regione Lazio e supervisore dell’attività dei coordinatori, tra i quali coordinatori vi era la lavoratrice. E, in disparte la più ampia trascrizione delle dichiarazioni di questo testimone qualificato, riportata dalla Corte, il Conte aveva, tra l’altro, dichiarato che: “A volte la ricorrente lavorava da casa perché aveva la scheda sim aziendale per lavorare dove e quando ritenuto opportuno. La scheda l’avevano solo i coordinatori e l’avevo pure io. C’era una rete aziendale. Talvolta la resistente si faceva dare i fogli presenza fuori dall’orario di lavoro per poter fare il lavoro a casa se non poteva uscire ad esempio per malattia” (cfr. pag. 7 dell’impugnata sentenza).

10. Da quanto precede risulta l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso.

10.1. Secondo la ricorrente, essa, nei suoi motivi di appello (rectius, di reclamo), aveva sostenuto “che per la massima parte dei 26 incarichi previsti dal mansionario dei coordinatori, i più importanti non potevano essere in concreto, essere assolti tramite un contatto telefonico con un lavoratore impiegato nel singolo appalto, invece che di persona dal coordinatore”.

Ma la risposta meramente assertiva che la stessa assume di aver ottenuto in proposito dalla Corte di merito, la quale si sarebbe limitata a ripetere che la lavoratrice “operava per telefono”, non si riscontra affatto nella decisione di secondo grado. Come si è già visto, la Corte di merito non ha affermato che la dipendente svolgesse tutta la sua attività per via telefonica, ma ha ritenuto, in ragione del particolare ruolo di coordinatrice dalla stessa rivestito, con non pochi (come asserito dalla ricorrente, ma plurimi) compiti che, secondo il giudizio della stessa, prescindevano “completamente dalla presenza fisica in un determinato luogo”, abbia potuto svolgere dette attività (non tutte) <nei giorni e nelle ore che la società datrice di lavoro indica come “assenza dal servizio”> e che abbia potuto tenere <i necessari contatti per via telefonica in tutte le ore nelle quali la stessa risultava in luoghi diversi da quelli “aziendali”>.

11. Infine, quanto alla pretesa pretermissione della comunicazione-ordine di servizio in data 3.9.2015, non risulta affatto che la Corte abbia ripetuto “sempre l’assunto iniziale della caduta in desuetudine della normativa sull’orario giornaliero, smentita, invece” da detta comunicazione, a detta della ricorrente. Piuttosto, come si è già notato, a fronte di un unico motivo di gravame che si fondava sul sostenuto fraintendimento del contenuto della contestazione disciplinare da parte del giudice dell’opposizione, la Corte di merito ha ritenuto che piuttosto tale impostazione della censura non avesse correttamente messo a fuoco l’effettiva ratio decidendi della sentenza oggetto di reclamo.

In effetti anche il primo giudice non aveva parlato di desuetudine in generale circa l’osservanza dell’orario giornaliero di lavoro nell’impresa datrice di lavoro, bensì aveva <ritenuto che l’istruttoria orale avesse dimostrato “… l’assenza di vincolo di orario lavorativo in capo ai coordinatori come la Vergili, rientrando nei compiti di gestione dei cantieri anche la tenuta in autonomia dei contatti con clienti e personali ed acquisti”> (cfr. pag. 2 e pagg. 5-6- dell’impugnata sentenza). E la Corte di merito, nel confermare tale valutazione nei termini su precisati, ha concluso “che l’addebito contestato sarebbe stato fondato solo laddove la Vergili avesse fatto mancare il proprio apporto di risultato ovvero laddove fosse stato possibile dimostrare che il suo tempo fosse stato dedicato ad altre attività, non compatibili con quelle lavorative, in misura tale da escludere la prestazione oraria”; il che ha escluso in via di fatto.

12. La ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi e in € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 6/12/2023

 

 

 
 

 

 

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