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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto del lavoro Numero: 3264 | Data di udienza: 15 Novembre 2023

DIRITTO DEL LAVORO – Art. 18 legge n. 300/1970 – Reintegrazione – Mancata ripresa del servizio entro 30 giorni – Mancato esercizio del diritto di opzione – Formale invito del datore di lavoro – Termine per la ripresa del servizio – Effetto della risoluzione – Trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito – Interesse del lavoratore illegittimamente licenziato – Retribuzione – Obbligo del datore di lavoro – Sentenza che ordina la reintegrazione – Ottemperanza all’ordine giudiziario. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)


Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: LAVORO
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 5 Febbraio 2024
Numero: 3264
Data di udienza: 15 Novembre 2023
Presidente: ESPOSITO
Estensore: MICHELINI


Premassima

DIRITTO DEL LAVORO – Art. 18 legge n. 300/1970 – Reintegrazione – Mancata ripresa del servizio entro 30 giorni – Mancato esercizio del diritto di opzione – Formale invito del datore di lavoro – Termine per la ripresa del servizio – Effetto della risoluzione – Trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito – Interesse del lavoratore illegittimamente licenziato – Retribuzione – Obbligo del datore di lavoro – Sentenza che ordina la reintegrazione – Ottemperanza all’ordine giudiziario. (Segnalazione e massime a cura di Alessia Riommi)



Massima

 

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 5 febbraio 2024 (Ud. 15/11/2023), Ordinanza n. 3264

 

DIRITTO DEL LAVORO – Art. 18 legge n. 300/1970 – Reintegrazione – Mancata ripresa del servizio entro 30 giorni – Mancato esercizio del diritto di opzione – Formale invito del datore di lavoro – Termine per la ripresa del servizio – Effetto della risoluzione – Trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito – Interesse del lavoratore illegittimamente licenziato – Retribuzione – Obbligo del datore di lavoro – Sentenza che ordina la reintegrazione – Ottemperanza all’ordine giudiziario.

L’art. 18 legge n. 300/1970 prevedendo che, nell’ipotesi in cui non sia stato esercitato tempestivamente il diritto di opzione ovvero il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dal ricevimento del formale invito del datore di lavoro, il rapporto si intende risolto di diritto, non impone al datore di lavoro di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio, ma si limita a stabilire che la produzione dell’effetto della risoluzione di diritto del rapporto è fissata al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito ove il lavoratore, come nel caso di specie, non abbia esercitato il diritto di opzione; ciò significa che il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, ma, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, rimanendo sino a tale termine dovuta la retribuzione. Invero, il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio è stabilito nell’interesse del lavoratore illegittimamente licenziato, al quale la legge concede un congruo spatium deliberandi per consentirgli di adottare con la necessaria ponderazione le proprie determinazioni, con la conseguenza che l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere, pur in mancanza della prestazione lavorativa, la retribuzione per il periodo compreso fra la data della sentenza che ordina la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e quella dell’effettiva ottemperanza all’ordine giudiziario viene meno non già il giorno del ricevimento dell’invito da parte del lavoratore, bensì allo scadere del trentesimo giorno successivo, solo in quest’ultima data verificandosi l’effetto (risoluzione del rapporto di lavoro) previsto dalla legge per il caso che il lavoratore non aderisca all’invito.

(Conferma sentenza n. 474/2019 – CORTE D’APPELLO di BOLOGNA), Pres. Esposito, Est. Michelini, Ric. Rispoli  (avv.ti Romano e Bergonzini) c. Spaggiari Espurghi Srl (avv. Innaro)


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. LAVORO CIVILE, 05/02/2024 (Ud. 15/11/2023), Ordinanza n. 3264

SENTENZA

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36856-2019 proposto da:
RISPOLI G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA ROMANO, ELISA NICOLETTA BERGONZINI;

– ricorrente –

CONTRO

SPAGGIARI ESPURGHI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRA INNARO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 31/05/2019 R.G.N. 703/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

RILEVATO CHE

1. la Corte d’Appello di Bologna ha respinto l’appello proposto da G. Rispoli avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che aveva revocato il decreto n. 521/15 del medesimo Tribunale recante ingiunzione all’ex-datrice di lavoro s.r.l. Spiaggiari Espurghi di pagare la somma di € 116.305,75 a titolo di risarcimento del danno da licenziamento intimato in data 1.8.2007 e dichiarato illegittimo con precedente sentenza n. 154 del 20.5.2014;

2. per quanto qui rileva, la Corte distrettuale, richiamati i fatti, i conteggi e i pagamenti in corso di causa a base della sentenza di primo grado, ha confermato la statuizione di condanna della società al pagamento della residua somma lorda di € 9.052,79, oltre accessori;

3. per la cassazione della sentenza d’appello propone ricorso il lavoratore con un unico motivo, cui resiste la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

CONSIDERATO CHE

1. parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione dell’art. 18 legge n. 300/1970, per avere la Corte territoriale ritenuto risolto il rapporto di lavoro per la mancata ripresa del servizio del lavoratore entro i 30 giorni dall’invito datoriale, affermando la nullità di detto invito contenente un termine inferiore a quello legale (30 giorni) per la ripresa del servizio;

2. il motivo non è fondato;

3. la questione rimasta controversa in questa sede riguarda gli effetti giuridici della missiva del datore di lavoro, datata 2.10.2014, pervenuta all’indirizzo del lavoratore in data 8.10.2014, contenente invito al lavoratore a riprendere immediatamente servizio, presentandosi nei locali della società in Correggio alle ore 8.30 del giorno 10.10.2014 in ottemperanza della citata sentenza n.154/14 del Tribunale di Reggio Emilia, con avviso che in caso di mancata presentazione nella data indicata senza giustificato motivo “il rapporto di lavoro si intenderà automaticamente risolto”;

4. la norma di cui all’art. 18, comma 5, legge n. 300/1970 nel testo applicabile ratione temporis al caso in esame, stabiliva: ” (parte mancante) “

5. ad avviso del ricorrente, la norma andrebbe interpretata nel senso che, poiché nella missiva datoriale era indicato un termine inferiore a 30 giorni, l’invito sarebbe integralmente nullo e spetterebbe il pagamento delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno da licenziamento dichiarato illegittimo sino alla richiesta in monitorio (20.11.2015);

6. tale interpretazione non è condivisibile, come già rilevato in entrambi i gradi di merito, che hanno limitato il dovere datoriale di risarcimento del danno da licenziamento dichiarato illegittimo mediante il pagamento della retribuzione globale di fatto sino al 7.11.2014, ossia 30 giorni dopo il pervenimento all’indirizzo del destinatario dell’invito a riprendere servizio;

7. nella sentenza gravata si è osservato che la norma in questione, prevedendo che, nell’ipotesi in cui non sia stato esercitato tempestivamente il diritto di opzione ovvero il lavoratore non abbia ripreso servizio entro 30 giorni dal ricevimento del formale invito del datore di lavoro, il rapporto si intende risolto di diritto, non impone al datore di lavoro di fissare al lavoratore il termine di 30 giorni dal ricevimento dell’invito per la ripresa del servizio, ma si limita a stabilire che la produzione dell’effetto della risoluzione di diritto del rapporto è fissata al trentesimo giorno successivo al ricevimento dell’invito ove il lavoratore, come nel caso di specie, non abbia esercitato il diritto di opzione; ciò significa che il datore di lavoro può indicare per la ripresa del servizio anche una data anteriore allo scadere dei 30 giorni, ma, in tal caso, il rapporto di lavoro sarà risolto di diritto solo allo scadere del trentesimo giorno dal ricevimento di detto invito, rimanendo sino a tale termine dovuta la retribuzione;

8. nella fattispecie concreta non risulta alcuna risposta del lavoratore all’invito a riprendere servizio, né per esercitare l’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra, né per giustificare una eventuale ricezione tardiva o un rientro posticipato rispetto alla data fissata da parte datoriale, anche per eventualmente utilizzare appieno lo spatium deliberandi consentito dalla legge;

9. in tale contesto, l’interpretazione della Corte di merito è coerente con l’assenza di qualsiasi previsione espressa di nullità del termine inferiore a 30 giorni per riprendere servizio eventualmente fissato dal datore di lavoro e sul collegamento di tale termine esclusivamente all’effetto di risoluzione del rapporto di lavoro (in assenza di esercizio dell’opzione sostitutiva della reintegra o di ripresa del servizio); la ragione di tale interpretazione sistematica va rinvenuta nell’esigenza di evitare situazioni di prolungata incertezza o di cd. stallo, e anche (quanto all’interpretazione del contenuto della missiva datoriale) nel principio di conservazione del contratto (e quindi degli atti unilaterali recettizi) di cui all’art. 1367 c.c.;

10. la suddetta interpretazione è altresì corroborata dal risalente, ma non superato, precedente di legittimità citato nella sentenza gravata, secondo cui il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro a riprendere servizio è stabilito nell’interesse del lavoratore illegittimamente licenziato, al quale la legge concede un congruo spatium deliberandi per consentirgli di adottare con la necessaria ponderazione le proprie determinazioni, con la conseguenza che l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere, pur in mancanza della prestazione lavorativa, la retribuzione per il periodo compreso fra la data della sentenza che ordina la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro e quella dell’effettiva ottemperanza all’ordine giudiziario viene meno non già il giorno del ricevimento dell’invito da parte del lavoratore, bensì allo scadere del trentesimo giorno successivo, solo in quest’ultima data verificandosi l’effetto (risoluzione del rapporto di lavoro) previsto dalla legge per il caso che il lavoratore non aderisca all’invito (Cass. n. 6494/1991), tenuto conto che la comunicazione del datore di lavoro al lavoratore deve integrare un invito concreto e specifico a rientrare in azienda nel luogo e nelle mansioni originarie, senza però richiedere forme solenni (cfr. Cass. n. 26519/2013);

11. il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con regolazione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, secondo il regime della soccombenza;

12. parte ricorrente è, inoltre, tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 4.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale del 15/11/2023

 

 

 
 

 

 

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