+39-0941.327734 abbonati@ambientediritto.it
Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico Numero: 19891 | Data di udienza: 2 Luglio 2020

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Sovracanone dovuto ai consorzi dei bacini imbriferi – Natura di prestazione pecuniaria imposta dalla legge – Funzione degli impianti – Nesso oggettivo con l’utilizzazione effettiva o potenziale della risorsa idrica.


Provvedimento: SENTENZA
Sezione: Sezione Unite
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 23 Luglio 2019
Numero: 19891
Data di udienza: 2 Luglio 2020
Presidente: MAMMONE
Estensore: SAMBITO


Premassima

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Sovracanone dovuto ai consorzi dei bacini imbriferi – Natura di prestazione pecuniaria imposta dalla legge – Funzione degli impianti – Nesso oggettivo con l’utilizzazione effettiva o potenziale della risorsa idrica.



Massima

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 23/07/2019 (Ud. 02/07/2019), Sentenza n.19891

 

ACQUA – INQUINAMENTO IDRICO – Sovracanone dovuto ai consorzi dei bacini imbriferi – Natura di prestazione pecuniaria imposta dalla legge – Funzione degli impianti – Nesso oggettivo con l’utilizzazione effettiva o potenziale della risorsa idrica.

Il sovracanone dovuto ai consorzi dei bacini imbriferi ai sensi della L n. 959 del 1953, art. 1, co 8, non costituisce una controprestazione nascente dal rapporto concessorio, ma una prestazione pecuniaria imposta dalla legge, con finalità d’integrazione delle risorse degli enti territoriali interessati; esso, pur basandosi sul solo presupposto fattuale del:a titolarità della concessione di derivazione, e non già sull’uso effettivo della stessa, ed essendo, quindi, dovuto indipendentemente dall’entrata in funzione degli impianti, postula, però, un nesso oggettivo con l’utilizzazione effettiva o potenziale della risorsa idrica, e non è, pertanto, dovuto o è dovuto in misura ridotta qualora la derivazione risulti totalmente o parzialmente inutilizzabile per calamità naturali o, comunque, per cause non imputabili al concessionario. In altri termini, affermata la connessione dell’obbligo di corresponsione del sovracanone al fatto obiettivo della titolarità della concessione, e non alla messa in funzione dell’impianto di derivazione e si è, al contempo, ritenuto che la mancata effettiva fruizione della derivazione d’acqua da parte del concessionario in tanto può aver rilevanza ai fini dell’esigibilità di detto pagamento, in quanto l’impossibilità di funzionamento dell’impianto sia ascrivibile a forza maggiore o dipenda da eventi a lui non imputabili. Tale conclusione si incentra sull’innegabile “nesso oggettivo, oltre che logico, tra l’utilizzazione effettiva della risorsa idrica, o la possibilità di essa pur ove non sfruttata dal concessionario o aspirante tale, e la corresponsione del sovracanone”; sicché, a contrario, tale nesso si interrompe, e viene meno in conseguenza la ragione giustificatrice della prestazione, ove l’utilizzazione della risorsa, originaria o sopravvenuta che sia, risulti impossibile per cause non imputabili al soggetto tenuto alla prestazione stessa.

(rigetta il ricorso avverso sentenza n. 218/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, dep. 15/11/2017) Pres. MAMMONE, Rel. SAMBITO, Ric. IDROELETTRICA ARVIER S.R.L. contro CONSORZIO DEI COMUNI DELLA VALLE D’AOSTA


Allegato


Titolo Completo

CORTE DI CASSAZIONE Sez. UNITE CIVILE, 23/07/2019 (Ud. 202/07/201), Sentenza n.19891

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILE

composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

omissis

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 4172-2018 proposto da: IDROELETTRICA ARVIER S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E.Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BATTISTA CONTE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO QUAGLIOLO;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DEI COMUNI DELLA VALLE D’AOSTA RICADENTI NEL BACINO IMBRIFERO MONTANO DELLA DORA BALTEA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANNI MARIA SARACCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 218/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 15/11/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2019 dal Consigliere MARIA GIOVANNA SAMBI70;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale IMMACOLATA ZENO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, p.q.r., con riferimento al solo terzo motivo;

rigetto del primo e secondo;

uditi gli Avvocati Giovanni Battista Conte e Giorgio Papetti per delega dell’avvocato Gianni Maria Saracco.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di appello di Torino rigettava l’opposizione proposta dalla Idroelettrica Arvier S.r.l., titolare di una sub-concessione di derivazione d’acqua dal torrente Dora di Valgrisenche, avverso il decreto con cui, su istanza del Consorzio dei Comuni della Valle d’Aosta, ricadenti nel Bacino Imbrifero Montano della Dora Baltea (BIM), le era stato ingiunto il pagamento della somma di € 279.677,35, a titolo di sovracanoni.

Con sentenza del 15.11.2017, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche confermava la decisione, osservando che i sovracanoni avevano natura di prestazione patrimoniale imposta a natura tributaria, che trovavano il loro presupposto nella titolarità della concessione e non nell’uso effettivo della derivazione: essi non costituivano il corrispettivo per il prelievo di acqua, ma erano dovuti in costanza della possibilità di utilizzazione degli impianti salvo il caso in cui la derivazione fosse, in tutto o in parte, inutilizzabile per calamità naturale o comunque per causa non imputabile al concessionario.

Tale natura non poteva, in concreto, riconoscersi nel rilascio della sub-concessione in favore di tale Società CAV, perchè la stessa era a carattere precario e temporaneo, laddove l’attivazione del nuovo impianto da parte dell’appellante era tardata per il procedimento di autorizzazione, in relazione al quale non constavano né lungaggini dell’Amministrazione, né istanze presentate dalla Società in epoca anteriore al luglio del 2012, ancorché essa avesse ottenuto, ben due anni prima, il rilascio della sub-concessione.

Per la cassazione della sentenza, ha proposto r. corso la Società Idroelettrica Arvier S.r.l. con tre motivi, resistiti con controricorso dal Consorzio BIM.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.

Il Tribunale Superiore, lamenta la ricorrente, ha affermato che i sovracanoni BIM si fondano sulla concessione di derivazione idrica, omettendo erroneamente di considerare che l’impianto normativo che disciplina l’obbligo di pagamento dei sovracanoni stessi è stato rivisitato dal legislatore, che, in attuazione della direttiva 2001/77/CE, ha individuato la fonte del diritto di utilizzare il bene demaniale a scopo di produzione di energia elettrica nell’autorizzazione unica, sicchè il rilascio della sub-concessione costituisce, solo, uno dei provvedimenti propedeutici ad essa.

Correlativamente, il presupposto del debito del sovracanone va individuato nel rilascio della predetta autorizzazione unica.

2. Con il secondo motivo, deducendo la violazione dell’art. 1 della L. n. 959 del 1953, come interpretato dagli artt. 1 e 2 della L. n. 1254 del 1959 e 4 della L. n. 925 del 1980, la ricorrente evidenzia che l’attribuzione della derivazione dal medesimo corso d’acqua a terzi (la CAV), con la sub-concessione precaria rilasciata dall’autorità, ha reso impossibile l’attuazione della derivazione in suo favore, con conseguente esclusione dell’obbligo, da parte sua, d, corresponsione del sovracanone.

3. Con il terzo motivo, si denuncia: “Violazione del principio che nessuna prestazione patrimoniale dovuta per legge può venire imposta a due diversi soggetti in base al medesimo presupposto. Violazione dell’art. 111, sesto comma, della Costituzione e dell’art. 132 c.p.c. Motivazione apparente”.

4. Il primo motivo è infondato. Queste Sezioni Unite (cfr. S.U. Sent. n. 25341 del 2009; n. 11989 del 2009; n. 16602 del 2005), in consonanza coi principi affermati dalla Corte Cost. con la sentenza n. 533 del 2002, hanno, già, affermato che il sovracanone dovuto ai consorzi dei bacini imbriferi ai sensi della L n. 959 del 1953, art. 1, co 8, non costituisce una controprestazione nascente dal rapporto concessorio, ma una prestazione pecuniaria imposta dalla legge, con finalità d’integrazione delle risorse degli enti territoriali interessati; esso, pur basandosi sul solo presupposto fattuale del:a titolarità della concessione di derivazione, e non già sull’uso effettivo della stessa, ed essendo, quindi, dovuto indipendentemente dall’entrata in funzione degli impianti, postula, però, un nesso oggettivo con l’utilizzazione effettiva o potenziale della risorsa idrica, e non è, pertanto, dovuto o è dovuto in misura ridotta qualora la derivazione risulti totalmente o parzialmente inutilizzabile per calamità naturali o, comunque, per cause non imputabili al concessionario.

Nelle menzionate sentenze, si è, in altri termini, affermata la connessione dell’obbligo di corresponsione del sovracanone al fatto obiettivo della titolarità della concessione, e non alla messa in funzione dell’impianto di derivazione e si è, al contempo, ritenuto che la mancata effettiva fruizione della derivazione d’acqua da parte del concessionario in tanto può aver rilevanza ai fini dell’esigibilità di detto pagamento, in quanto l’impossibilità di funzionamento dell’impianto sia ascrivibile a forza maggiore o dipenda da eventi a lui non imputabili.

Tale conclusione si incentra sull’innegabile “nesso oggettivo, oltre che logico, tra l’utilizzazione effettiva della risorsa idrica, o la possibilità di essa pur ove non sfruttata dal concessionario o aspirante tale, e la corresponsione del sovracanone”; sicchè, a contrario, tale nesso si interrompe, e viene meno in conseguenza la ragione giustificatrice della prestazione, ove l’utilizzazione della risorsa, originaria o sopravvenuta che sia, risulti impossibile per cause non imputabili al soggetto tenuto alla prestazione stessa.

5. Siffatta ricostruzione va qui condivisa. Essa non trova smentita nell’invocata disposizione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità: tale norma, intitolata “razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative”, non si occupa, infatti, né di modificare la L. n. 959 del 1953, art. 1 co 8, né di indicare nell’autorizzazione unica il presupposto dell’obbligo di pagamento dei sovracanoni qui in oggetto, ma, proprio come indica il suo titolo, si limita ad assoggettare ad un unico procedimento, partecipato da tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione secondo le modalità stabilite dalla L 7 agosto 1990, n. 241, e destinato a culminare in un unico titolo – l’autorizzazione unica, appunto- le attività di costruzione, o gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, oltre che le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi.

6. Peraltro, come si è accennato in narrativa, il TSAP ha accertato che l’odierna ricorrente non ha allegato di aver richiesto il rilascio dell’autorizzazione unica in epoca antecedente al 5 luglio 2012, a fronte della sub-concessione ottenuta due anni prima, né ha dedotto l’esistenza di ingiustificati ritardi da parte dell’Amministrazione nella gestione delle pratiche, e così ha ascritto, in concreto, a fatto della stessa Società, i tempi del rilascio della autorizzazione stessa, e, dunque, la mancata utilizzazione della derivazione.

7. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.

La sentenza impugnata ha escluso che la sub-concessione in favore della Società CAV costituisse fatto imprevedibile ed ostativo allo sfruttamento idrico, trattandosi di una sub-concessione precaria, di cui era prevista l’immediata cessazione all’attivazione del costruendo impianto dell’odierna ricorrente.

Ora, l’assunto della Società secondo cui il rilascio di tale diversa sub-concessione avrebbe costituito un “ostacolo insormontabile” all’attuazione della derivazione in suo favore, addebitabile all’Amministrazione, non solo presuppone un apprezzamento di tale situazione in termini di factum principis, il che attinge al merito, ma muove da una ricostruzione del rapporto tra i due titoli di utilizzazione dell’acqua esattamente rovesciata rispetto a quella accertata in sede di merito.

9. Anche il terzo motivo è inammissibile.

10. E’, anzitutto, vero che il TSAP non ha esplicitamente affrontato la questione dedotta nell’ambito del quinto motivo d’appello, pur enunciata in narrativa, con cui la Società si era doluta del conseguimento da parte del BIM di una doppia prestazione patrimoniale per il medesimo titolo da parte di diversi soggetti, ed il suo conseguente ingiustificato arricchimento.

11. Tale omissione non può tuttavia esser denunciata, come è stato fatto, mediante la deduzione della violazione di legge, in quanto tale doglianza presuppone che il giudice abbia esaminato la questione e la abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, né può esser utilmente dedotta come motivazione apparente, trattandosi, piuttosto, dell’omessa valutazione di un sub-motivo d’appello, omissione che, integrando un difetto di attività del giudice, dà luogo, in tesi, alla violazione dell’art. 112 c.p.c.

12. Tale vizio, anche a volerlo ritenere proposto quale contenuto effettivo della censura, non è, però, deducibile come motivo di ricorso innanzi a queste Sezioni Unite (cfr. da ultimo SU n. 488 del 2019 e giurisprudenza richiamata), in quanto l’art. 204 del r.d. n. 1775 del 1933, recante un rinvio recettizio al codice di procedura civile del 1865, in caso di omissione di pronuncia da parte del TSAP prevede lo specifico rimedio del ricorso per rettificazione allo stesso TSAP, contemplato da detta norma per i casi previsti dall’art. 517 cod. proc. civ. 1865, n. 4 (se la sentenza «abbia pronunciato su cosa non domandata»), n. 5 («se abbia aggiudicato più di quello che era domandato»), n. 6 («se abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda») e n. 7 («se contenga disposizioni contraddittorie»). 12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano in € 3.700,00, di cui € 200,00 per spese vive, oltre accessori.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 n. 115 del 2002, dà atto dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di AmbienteDiritto.it e QuotidianoLegale.

N.B.: se non ricevi la News Letter occorre una nuova iscrizione, il sistema elimina l'e-mail non attive o non funzionanti.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!