DANNO AMBIENTALE – Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale – Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Articoli 191 e 193 TFUE – Direttiva 2004/35/CE – Applicabilità ratione materiae – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Inquinamento dell’aria causato dall’incenerimento illegale di rifiuti – Inquinamento illecito – Principio del «chi inquina paga» – RIFIUTI – Normativa nazionale che stabilisce la responsabilità solidale del proprietario del fondo sul quale l’inquinamento è stato generato e della persona che causa l’inquinamento.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 13 Luglio 2017
Numero: C-129/16
Data di udienza:
Presidente: Ilešič
Estensore: Toader
Premassima
DANNO AMBIENTALE – Responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale – Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Articoli 191 e 193 TFUE – Direttiva 2004/35/CE – Applicabilità ratione materiae – INQUINAMENTO ATMOSFERICO – ARIA – Inquinamento dell’aria causato dall’incenerimento illegale di rifiuti – Inquinamento illecito – Principio del «chi inquina paga» – RIFIUTI – Normativa nazionale che stabilisce la responsabilità solidale del proprietario del fondo sul quale l’inquinamento è stato generato e della persona che causa l’inquinamento.
Massima
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI GIUSTIZIA UE Sez.2^ 13/07/2017 Sentenza C-129/16SENTENZA
CORTE DI GIUSTIZIA UE Sez.2^ 13/07/2017 Sentenza C-129/16
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
13 luglio 2017
«Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Articoli 191 e 193 TFUE – Direttiva 2004/35/CE – Applicabilità ratione materiae – Inquinamento dell’aria causato dall’incenerimento illegale di rifiuti – Principio del «chi inquina paga» – Normativa nazionale che stabilisce la responsabilità solidale del proprietario del fondo sul quale l’inquinamento è stato generato e della persona che causa l’inquinamento»
Nella causa C-129/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Szolnoki Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szolnok, Ungheria), con decisione del 18 febbraio 2016, pervenuta in cancelleria il 1° marzo 2016, nel procedimento
Túrkevei Tejtermelő Kft.
contro
Országos Környezetvédelmi és Természetvédelmi Főfelügyelőség,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Prechal, A. Rosas, C. Toader (relatore) e E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per l’Országos Környezetvédelmi és Természetvédelmi Főfelügyelőség, da Z. Szurovecz e L. Búsi, in qualità di agenti;
– per il governo ungherese, da M. Z. Fehér, G. Koós e A. M. Pálfy, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da E. White e A. Tokár, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 febbraio 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 191 e 193 TFUE e della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (GU 2004, L 143, pag. 56).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Túrkevei Tejtermelő Kft. (in prosieguo: la «TTK») e l’Országos Környezetvédelmi és Természetvédelmi Főfelügyelőség (ispettorato nazionale per la tutela dell’ambiente e della natura, Ungheria; in prosieguo: l’«ispettorato») vertente su un’ammenda inflitta alla TTK a seguito dell’incenerimento illegale di rifiuti avvenuto su un terreno di proprietà della stessa e che ha causato un inquinamento dell’aria.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
3 La direttiva 2004/35 è stata adottata sul fondamento dell’articolo 175 CE, paragrafo 1, divenuto l’articolo 192, paragrafo 1, TFUE, il quale prevede le procedure di adozione da parte dell’Unione europea delle normative intese a realizzare gli obiettivi in materia di ambiente di cui all’articolo 191, paragrafo 1, TFUE.
4 I considerando 1, 2, 4, 13, 18, 20 e 24 della direttiva 2004/35 sono formulati nel seguente modo:
«(1) Nella Comunità esistono attualmente molti siti contaminati, che comportano rischi significativi per la salute, e negli ultimi decenni vi è stata una forte accelerazione della perdita di biodiversità. Il non intervento potrebbe provocare in futuro ulteriori contaminazioni dei siti e una perdita di biodiversità ancora maggiore. La prevenzione e la riparazione, nella misura del possibile, del danno ambientale contribuisce a realizzare gli obiettivi ed i principi della politica ambientale comunitaria, stabiliti nel trattato. Occorre tener conto delle circostanze locali allorché si decide come riparare il danno.
(2) La prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio “chi inquina paga”, quale stabilito nel trattato e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe essere quindi che l’operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale.
(…)
(4) Il danno ambientale include altresì il danno causato da elementi aerodispersi nella misura in cui possono causare danni all’acqua, al terreno o alle specie e agli habitat naturali protetti.
(…)
(13) A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest’ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e quantificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l’inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi a atti o omissioni di taluni singoli soggetti.
(…)
(18) Secondo il principio “chi inquina paga”, l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l’autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far si che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.
(…)
(20) Non si dovrebbe chiedere ad un operatore di sostenere i costi di misure di prevenzione o riparazione adottate conformemente alla presente direttiva in situazioni in cui il danno in questione o la minaccia imminente di esso derivano da eventi indipendenti dalla volontà dell’operatore. Gli Stati membri possono consentire che gli operatori, di cui non è accertato il dolo o la colpa, non debbano sostenere il costo di misure di riparazione in situazioni in cui il danno in questione deriva da emissioni o eventi espressamente autorizzati o la cui natura dannosa non era nota al momento del loro verificarsi.
(…)
(24) È necessario assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate. Si dovrebbero conferire alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l’entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere.
(…)»
5 La direttiva 2004/35, in base al suo articolo 1, istituisce un quadro per la responsabilità ambientale basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale.
6 L’articolo 2 di tale direttiva reca le seguenti definizioni:
«Ai fini della presente direttiva valgono le seguenti definizioni:
1. “danno ambientale”:
a) danno alle specie e agli habitat naturali protetti, vale a dire qualsiasi danno che produca significativi effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat. L’entità di tali effetti è da valutare in riferimento alle condizioni originarie, tenendo conto dei criteri enunciati nell’allegato I.
(…)
b) danno alle acque, vale a dire qualsiasi danno che incida in modo significativamente negativo sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo e/o sul potenziale ecologico delle acque interessate, quali definiti nella direttiva 2000/60/CE, a eccezione degli effetti negativi cui si applica l’articolo 4, paragrafo 7 di tale direttiva;
c) danno al terreno, vale a dire qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo di effetti negativi sulla salute umana a seguito dell’introduzione diretta o indiretta nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nel suolo;
(…)
6. “operatore”: qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l’attività medesima;
7. “attività professionale”: qualsiasi attività svolta nel corso di un’attività economica, commerciale o imprenditoriale, indipendentemente dal fatto che abbia carattere pubblico o privato o che persegua o meno fini di lucro;
(…)
10. “misure di prevenzione”: le misure prese per reagire a un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente di danno ambientale, al fine di impedire o minimizzare tale danno;
11. “misure di riparazione”: qualsiasi azione o combinazione di azioni, tra cui misure di attenuazione o provvisorie dirette a riparare, risanare o sostituire risorse naturali e/o servizi naturali danneggiati, oppure a fornire un’alternativa equivalente a tali risorse o servizi, come previsto nell’allegato II;
(…)».
7 L’articolo 3 della direttiva in parola, intitolato «Ambito di applicazione», al paragrafo 1 così dispone:
«La presente direttiva si applica:
a) al danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività;
b) al danno alle specie e agli habitat naturali protetti causato da una delle attività professionali non elencata nell’allegato III e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno a seguito di una di dette attività, in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore».
8 Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, della medesima direttiva, quest’ultima «si applica al danno ambientale o alla minaccia imminente di tale danno causati da inquinamento di carattere diffuso unicamente quando sia possibile accertare un nesso causale tra il danno e le attività di singoli operatori».
9 L’articolo 5 della direttiva 2004/35, intitolato «Azione di prevenzione», è redatto nei seguenti termini:
«1. Quando un danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia imminente che si verifichi, l’operatore adotta, senza indugio, le misure di prevenzione necessarie.
(…)
3. L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di:
(…)
b) chiedere all’operatore di prendere le misure di prevenzione necessarie;
(…)
d) adottare essa stessa le misure di prevenzione necessarie.
4. L’autorità competente richiede che l’operatore adotti le misure di prevenzione. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 3, lettere b) o c), se non può essere individuato, o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente direttiva, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure».
10 L’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Azione di riparazione», prevede quanto segue:
«1. Quando si è verificato un danno ambientale, l’operatore comunica senza indugio all’autorità competente tutti gli aspetti pertinenti della situazione e adotta:
a) tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi e
b) le necessarie misure di riparazione (…)
2. L’autorità competente, in qualsiasi momento, ha facoltà di:
a) chiedere all’operatore di fornire informazioni supplementari su qualsiasi danno verificatosi;
b) adottare, chiedere all’operatore di adottare o dare istruzioni all’operatore circa tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, gli inquinanti in questione e/o qualsiasi altro fattore di danno, allo scopo di limitare o prevenire ulteriori danni ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi;
c) chiedere all’operatore di prendere le misure di riparazione necessarie;
(…)
e) adottare essa stessa le misure di riparazione necessarie.
3. L’autorità competente richiede che l’operatore adotti le misure di riparazione. Se l’operatore non si conforma agli obblighi previsti al paragrafo 1 o al paragrafo 2, lettere b), c) o d), se non può essere individuato o se non è tenuto a sostenere i costi a norma della presente direttiva, l’autorità competente ha facoltà di adottare essa stessa tali misure, qualora non le rimangano altri mezzi».
11 L’articolo 8, paragrafi 1 e 3, di tale direttiva così dispone:
«1. L’operatore sostiene i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione adottate in conformità della presente direttiva.
(…)
3. Non sono a carico dell’operatore i costi delle azioni di prevenzione o di riparazione adottate conformemente alla presente direttiva se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno:
a) è stato causato da un terzo, e si è verificato nonostante l’esistenza di opportune misure di sicurezza, o
b) è conseguenza dell’osservanza di un ordine o istruzione obbligatori impartiti da una autorità pubblica, diversa da un ordine o istruzione impartiti in seguito a un’emissione o a un incidente causati dalle attività dell’operatore.
In tali casi gli Stati membri adottano le misure appropriate per consentire all’operatore di recuperare i costi sostenuti».
12 L’articolo 11, paragrafi 2 e 3, della stessa direttiva così recita:
«2. Spetta all’autorità competente individuare l’operatore che ha causato il danno o la minaccia imminente di danno, valutare la gravità del danno e determinare le misure di riparazione da prendere a norma dell’allegato II. (…).
3. Gli Stati membri provvedono affinché l’autorità competente possa delegare o chiedere a terzi di attuare le misure di prevenzione o di riparazione necessarie».
13 L’articolo 16 della direttiva 2004/35, intitolato «Relazione con il diritto nazionale», enuncia, al suo paragrafo 1, che tale direttiva «non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti da [detta] direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili».
14 L’allegato III di detta direttiva elenca dodici attività considerate, dal legislatore dell’Unione, pericolose ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di quest’ultima. Tali attività riguardano in particolare operazioni di gestione dei rifiuti soggette ad autorizzazione o registrazione conformemente agli atti dell’Unione in materia.
Diritto ungherese
La legge sulla protezione ambientale
15 Le disposizioni di tale legge sono state adattate per recepire nell’ordinamento giuridico ungherese la direttiva 2004/35.
16 L’articolo 4 della környezet védelmének általános szabályairól szóló 1995 évi LIII Törvény (legge n. LIII del 1995 recante norme generali in materia di protezione ambientale; in prosieguo: la «legge sulla protezione ambientale») comprende le seguenti definizioni:
«1. “compartimento ambientale”: la terra, l’aria, l’acqua, la fauna e la flora, l’ambiente costruito dall’Uomo (artificiale), e le loro componenti;
(…)
10. “messa in pericolo dell’ambiente”: la minaccia diretta del verificarsi di un danno ambientale;
(…)
12. “degradazione dell’ambiente”: un’azione o un’omissione che causa un danno ambientale;
13. “danno ambientale”: una modifica negativa rilevante e misurabile dell’ambiente o di un compartimento ambientale, o un deterioramento rilevante e misurabile di un servizio connesso a un compartimento ambientale, che si può verificare direttamente o indirettamente;
(…)».
17 L’articolo 101, paragrafo 1, di detta legge recita:
«Sull’utilizzatore dell’ambiente incombe la responsabilità giuridica di diritto penale, civile e amministrativo, secondo le modalità definite dalla presente legge e da altre norme, per gli effetti sull’ambiente derivanti dalla sua attività (…)».
18 Ai sensi dell’articolo 102, paragrafo 1, di detta legge, la responsabilità di un danno o di un rischio ambientale ricade, salvo prova contraria, in solido su coloro che, dopo che si sia verificato detto danno o rischio, figurino quali attuali proprietario e possessore (utilizzatore) del fondo in cui ha avuto luogo la condotta dannosa o all’origine del rischio per l’ambiente. In forza del paragrafo 2 della disposizione succitata, il proprietario è esentato dalla responsabilità in solido qualora identifichi l’utilizzatore effettivo del fondo e dimostri in modo inequivocabile l’assenza di responsabilità propria.
19 L’articolo 106 della medesima legge dispone quanto segue:
«1) Chiunque violi direttamente o indirettamente una disposizione finalizzata alla tutela ambientale contenuta in un regolamento, in una decisione amministrativa o in un atto giuridico comunitario direttamente applicabile, o oltrepassi i limiti stabiliti al riguardo è sanzionato con un’ammenda proporzionata alla gravità della condotta lesiva, e in particolare all’estensione, [alla] durata o [al] carattere recidivo dell’inquinamento ambientale o del rischio per l’ambiente di cui è causa.
2) L’ammenda in materia ambientale dev’essere pagata in aggiunta al tributo per l’utilizzo delle risorse ambientali e all’onere dovuto per l’impatto ambientale.
(…)».
Il decreto governativo relativo alla protezione della qualità dell’aria
20 L’articolo 2, punto 29, del Levegő védelméről szóló 306/2010 (XII23) Korm rendelet [decreto governativo 306/2010 (XII23) sulla protezione della qualità dell’aria] qualifica come «esigenza in materia di protezione della qualità dell’aria» qualsiasi disposizione o divieto, stabiliti con una normativa o con una decisione dell’autorità, che miri a prevenire o a ridurre gli effetti nocivi per la qualità dell’aria.
21 Conformemente all’articolo 27, paragrafo 2, di detto decreto, è vietato l’incenerimento di rifiuti all’aperto o presso impianti non conformi alla normativa che stabilisce le condizioni di incenerimento dei rifiuti, eccezion fatta per l’incenerimento di rifiuti cartacei di origine domestica e di rifiuti di legno non trattato, ritenuti non pericolosi, che avviene presso impianti domestici. Si considera incenerimento di rifiuti all’aperto la combustione dei medesimi per qualsiasi causa, tranne quelle naturali.
22 Ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 1, del suddetto decreto, l’autorità di protezione ambientale infligge un’ammenda alla persona fisica o giuridica o all’ente privo di personalità giuridica che abbia violato le prescrizioni in materia di qualità dell’aria, intimando allo stesso tempo la cessazione dell’attività illecita o dell’omissione, salvo disposizione contraria.
23 Dal paragrafo 3 dello stesso articolo risulta che nell’infliggere l’ammenda l’autorità di protezione ambientale tiene conto, in primo luogo, delle circostanze dell’inadempimento, in secondo luogo della gravità dell’inadempimento degli obblighi, e in terzo luogo della durata o del carattere recidivo dell’inadempimento degli obblighi.
24 L’allegato 9, punto 20, dello stesso decreto prevede la soglia delle ammende per «non aver impedito l’autocombustione o l’incendio di depositi di rifiuti, di materiali o scarti, o per non aver posto in essere quanto necessario a far cessare la combustione (per quantità superiori a 10 m3)».
Causa principale e questioni pregiudiziali
25 Il 2 luglio 2014, l’autorità di protezione ambientale di primo grado competente è stata informata del fatto che su un terreno appartenente alla TTK, situato in Túrkeve (Ungheria) erano stati inceneriti rifiuti.
26 In base al verbale redatto in occasione dell’ispezione condotta da detta autorità, tra i 30 m3 e i 40 m³ di rifiuti, in particolare metallici, erano stati inceneriti in ciascuno dei tre sili di stoccaggio, e tre camion, presenti sul sito, erano pronti per trasportare rifiuti metallici residui dell’incenerimento.
27 La TTK ha dichiarato a detta autorità di aver concesso tale terreno in locazione a una persona fisica il 15 marzo 2014. È tuttavia risultato che quest’ultima era deceduta il 1° aprile 2014.
28 L’autorità di protezione ambientale di primo grado ha deciso di infliggere alla TTK, in qualità di proprietaria del terreno, un’ammenda dell’importo di 500 000 HUF (circa EUR 1 630) per inosservanza delle disposizioni del decreto governativo n. 306/2010.
29 La TTK ha contestato tale ammenda dinanzi alla stessa autorità, la quale ha respinto il suo reclamo. Detto rigetto è stato confermato dall’autorità ispettiva.
30 Nella decisione amministrativa di rigetto l’autorità ispettiva ha considerato che l’incenerimento di rifiuti all’aperto aveva generato un rischio ambientale. Orbene, secondo la legge sulla protezione ambientale, sono responsabili in solido coloro che, al momento dei fatti, risultino proprietari e possessori dell’immobile interessato, salvo il caso in cui il proprietario dimostri in modo inequivocabile di non essere responsabile del rischio ambientale. Dato che il locatario del terreno era deceduto, l’autorità di protezione ambientale avrebbe correttamente considerato che la TTK doveva essere ritenuta responsabile.
31 La TTK ha proposto un ricorso contro la decisione dell’autorità ispettiva dinanzi al giudice del rinvio, il Szolnoki Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szolnok).
32 Secondo il giudice del rinvio, l’ammenda per inquinamento atmosferico, data la sua finalità sanzionatoria, non rientra tra le «misure di riparazione» definite all’articolo 2, paragrafo 11, della direttiva 2004/35. Tale giudice rileva tuttavia che l’articolo 16 di tale direttiva prevede, conformemente all’articolo 193 TFUE, la facoltà per gli Stati membri di adottare misure più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.
33 Riferendosi al punto 54 della sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a. (C–534/13, EU:C:2015:140), il giudice del rinvio ricorda che il regime di responsabilità ambientale istituito dalla direttiva 2004/35, richiede, per la propria efficacia, che l’autorità competente accerti un nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili e il danno ambientale concreto e quantificabile al fine dell’imposizione a tale operatore o a tali operatori di misure di riparazione, a prescindere dal tipo di inquinamento di cui trattasi. Orbene, nel caso di specie, l’autorità non avrebbe stabilito un nesso causale tra l’attività della TTK e il danno ambientale. Pertanto, secondo tale giudice, non vi è alcuna base legale per infliggere la sanzione amministrativa al proprietario del terreno.
34 Alla luce di quanto sopra, lo Szolnoki Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság (Tribunale amministrativo e del lavoro di Szolnok) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 191 TFUE e le disposizioni della direttiva [2004/35] ostino a una normativa nazionale che consenta all’autorità amministrativa di protezione ambientale, spingendosi ben oltre il principio «chi inquina paga», di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al proprietario, senza la necessità di accertare previamente, nel merito, la sussistenza di un nesso causale tra la condotta di questo soggetto (utilizzatore) e l’evento di contaminazione.
2) In caso di risposta negativa alla prima questione e qualora, visto l’inquinamento atmosferico, non sia richiesta la riparazione del danno ambientale, se possa giustificarsi l’imposizione di un’ammenda per la tutela della qualità dell’aria, invocando le disposizioni più severe degli Stati membri consentite ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2004/35/CE e dell’articolo 193 TFUE, o se nemmeno tali disposizioni possano determinare l’imposizione di un’ammenda di natura meramente sanzionatoria al proprietario che non è responsabile dell’inquinamento».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima questione
35 Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le disposizioni della direttiva 2004/35, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE, debbano essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale, quale quella controversa nel procedimento principale, la quale identifica, come responsabili in solido, non solo gli utilizzatori dei fondi in cui ha avuto origine un inquinamento illecito, ma anche un’altra categoria di persone, ossia i proprietari dei fondi, senza necessità di dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta di detti proprietari e l’inquinamento constatato.
Sull’applicabilità dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE
36 In via preliminare, occorre ricordare che l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE afferma che la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela e si basa, segnatamente, sul principio «chi inquina paga». Tale disposizione si limita pertanto a definire gli obiettivi generali dell’Unione in materia ambientale, mentre l’articolo 192 TFUE affida al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea, che deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, il compito di decidere le azioni da intraprendere per raggiungere detti obiettivi (sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 39 e giurisprudenza citata).
37 Di conseguenza, dal momento che l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE, che contiene il principio «chi inquina paga», è rivolto all’azione dell’Unione, detta disposizione non può essere invocata in quanto tale dai privati al fine di escludere l’applicazione di una normativa nazionale, quale quella oggetto della causa principale, emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non sia applicabile nessuna normativa dell’Unione adottata in base all’articolo 192 TFUE, che disciplini specificamente l’ipotesi di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 2010, ERG e a., C-379/08 e C–380/08, EU:C:2010:127, punto 39, e del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C-534/13, EU:C:2015:140, punto 40 e giurisprudenza citata).
38 Ne consegue che il principio «chi inquina paga» enunciato all’articolo 191, paragrafo 2, TFUE può essere invocato dalla TTK soltanto se la situazione di cui trattasi nel procedimento principale sia specificamente contemplata da una disposizione dell’Unione adottata sul fondamento dell’articolo 192 TFUE.
Sull’applicabilità della direttiva 2004/35
39 A prescindere dalla questione, non sollevata con il presente rinvio pregiudiziale, se una normativa dell’Unione diversa dalla direttiva 2004/35, quale la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3), si applichi a una fattispecie come quella di cui al procedimento principale, occorre esaminare l’applicabilità della direttiva 2004/35, tenuto conto della circostanza che dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che il procedimento principale riguarda un caso di inquinamento dell’aria.
40 L’articolo 2, punto 1, di detta direttiva definisce il «danno ambientale» come danno alle specie e agli habitat naturali protetti o come danno alle acque o al terreno.
41 Ne risulta che l’inquinamento dell’aria non costituisce di per sé un danno ambientale contemplato dalla direttiva 2004/35.
42 Tuttavia, il considerando 4 di tale direttiva precisa che il danno ambientale include altresì il danno causato da elementi aerodispersi nella misura in cui possono causare danni all’acqua, al terreno o alle specie e agli habitat naturali protetti.
43 In forza dell’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, questa può pronunciarsi unicamente sull’interpretazione o sulla validità di un testo normativo dell’Unione sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale. Ne consegue che non spetta alla Corte, nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo citato, ma al giudice nazionale l’applicazione ad atti o fatti di carattere nazionale delle norme del diritto dell’Unione di cui la Corte abbia fornito l’interpretazione (sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a., C–379/08 e C–380/08, EU:C:2010:127, punto 35 e giurisprudenza citata).
44 Spetta quindi al giudice del rinvio verificare, in base ai fatti che esso solo è in grado di valutare, se nel procedimento principale l’inquinamento dell’aria abbia potuto causare danni siffatti o la minaccia imminente di tali danni, di modo che sia giustificata l’adozione delle misure di prevenzione e di riparazione ai sensi della direttiva 2004/35.
45 Qualora tale giudice concluda che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, esso dovrà considerare che l’inquinamento ivi controverso non rientra nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, ma che tale situazione è disciplinata dall’ordinamento nazionale, nel rispetto delle norme dei Trattati UE e FUE e fatti salvi altri atti di diritto derivato (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 46 e giurisprudenza citata).
46 Al contrario, qualora il giudice del rinvio ritenga che l’inquinamento dell’aria controverso nel procedimento principale abbia anche causato danni o la minaccia imminente di danni all’acqua, al terreno o alle specie e agli habitat naturali protetti, tale inquinamento dell’aria rientrerebbe nel campo di applicazione della direttiva 2004/35.
Sui presupposti della responsabilità ambientale
47 Si deve ricordare che, ai sensi del suo articolo 1, la direttiva 2004/35 istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio «chi inquina paga», per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale. Nell’ambito del regime di responsabilità ambientale previsto da tale direttiva, basato su un alto livello di protezione dell’ambiente e sul principio «chi inquina paga», gli operatori sono assoggettati a obblighi sia di prevenzione sia di riparazione (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a., C–379/08 e C–380/08, EU:C:2010:127, punti 75 e 76).
48 Come risulta dall’articolo 4, paragrafo 5, e dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2004/35, letti in combinato disposto con il considerando 13 di quest’ultima, il regime di responsabilità ambientale previsto da tale direttiva richiede che sia accertato dall’autorità competente un nesso causale tra l’azione di uno o più operatori individuabili e il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno (sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 54 e giurisprudenza citata).
49 Nell’interpretare l’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), di tale direttiva, la Corte ha considerato che l’obbligo dell’autorità competente di accertare un nesso causale si applica nell’ambito del regime di responsabilità ambientale oggettiva degli operatori (sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 55 e giurisprudenza citata).
50 Come emerge dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2004/35, detto obbligo sussiste anche nell’ambito del regime della responsabilità soggettiva derivante dal comportamento doloso o colposo dell’operatore di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva nel caso di attività professionali diverse da quelle di cui all’allegato III di detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 56 e giurisprudenza citata).
51 La particolare importanza del requisito di causalità tra l’attività dell’operatore e il danno ambientale ai fini dell’applicazione del principio «chi inquina paga» e, di conseguenza, del regime di responsabilità istituito dalla direttiva 2004/35, emerge altresì dalle disposizioni di quest’ultima riguardanti le conseguenze da trarre dalla circostanza che l’operatore non abbia contribuito all’inquinamento o al rischio di inquinamento (sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C–534/13, EU:C:2015:140, punto 57).
52 A tale proposito, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/35, in combinato disposto con il considerando 20 della stessa, l’operatore non è tenuto a sostenere i costi quando è in grado di dimostrare che i danni in questione sono opera di un terzo e si sono verificati nonostante l’esistenza di idonee misure di sicurezza, o sono conseguenza di un ordine o di un’istruzione impartiti da un’autorità pubblica (v., in tal senso, sentenza del 4 marzo 2015, Fipa Group e a., C – 534/13, EU:C:2015:140, punto 58 e giurisprudenza citata).
53 Dall’insieme di tali elementi risulta che il regime di responsabilità istituito dalla direttiva 2004/35 si fonda sul principio di precauzione e sul principio «chi inquina paga». A questo fine, tale direttiva impone agli operatori obblighi sia di prevenzione sia di riparazione (v., in particolare, sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a., C–379/08 e C-380/08, EU:C:2010:127, punto 75).
54 Nel caso di specie è assodato che la TTK è stata considerata responsabile non in qualità di utilizzatrice, bensì in quella di proprietaria del bene immobile sul quale l’inquinamento ha avuto origine. Sembra inoltre, circostanza la cui verifica spetta al giudice del rinvio, che l’autorità competente abbia inflitto un’ammenda alla TTK senza obbligarla ad adottare altresì misure di prevenzione o di riparazione.
55 Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta pertanto che le disposizioni della normativa ungherese applicate alla TTK non rientrano tra quelle che attuano il regime di responsabilità istituito dalla direttiva 2004/35.
56 Si deve comunque ricordare che l’articolo 16 della direttiva 2004/35 prevede la facoltà per gli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l’individuazione di altri soggetti responsabili.
57 L’articolo 102, paragrafo 1, della legge sulla protezione ambientale prevede che, salvo prova contraria, la responsabilità ricada in solido tanto sul proprietario quanto sull’utilizzatore dell’immobile «in cui ha avuto luogo la condotta dannosa per l’ambiente o recante minaccia rischio per l’ambiente», e che la responsabilità del proprietario sia esclusa soltanto se indichi l’utilizzatore effettivo dell’immobile e dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non aver causato egli stesso il danno; tale previsione rafforza quindi il regime di responsabilità previsto dalla direttiva 2004/35.
58 Poiché tale normativa nazionale, senza compromettere il principio della responsabilità ricadente in primo luogo sull’utilizzatore, ha la finalità di evitare una carenza di diligenza da parte del proprietario e di incoraggiare lo stesso ad adottare misure e a sviluppare pratiche idonee a minimizzare i rischi di danni ambientali, essa contribuisce a prevenire il danno ambientale e conseguentemente alla realizzazione degli obiettivi della direttiva 2004/35.
59 Infatti, tale normativa nazionale comporta che i proprietari di beni immobili nello Stato membro interessato, per evitare di essere ritenuti solidalmente responsabili, debbano sorvegliare il comportamento degli utilizzatori dei loro beni e segnalarli all’autorità competente in caso di danno ambientale o minaccia di tale danno.
60 Poiché una normativa siffatta rafforza il meccanismo previsto dalla direttiva 2004/35 identificando una categoria di persone che possono essere ritenute responsabili in solido con gli utilizzatori, essa trova fondamento nell’articolo 16 della direttiva 2004/35, il quale, letto congiuntamente all’articolo 193 TFUE autorizza misure di protezione rafforzate, purché compatibili con i Trattati UE e TFUE e notificate alla Commissione europea.
61 Per quanto riguarda l’esigenza di compatibilità con i Trattati, dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta a ciascuno Stato membro determinare siffatte misure di protezione rafforzata, che devono, da un lato, tendere alla realizzazione dello scopo della direttiva 2004/35 quale definito dal suo articolo 1, ossia prevenire e riparare i danni ambientali, e, dall’altro, rispettare il diritto dell’Unione, segnatamente i principi generali del medesimo, tra cui figura il principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a., C-379/08 e C-380/08, EU:C:2010:127, punto 79).
62 Si deve infine ricordare che, in caso d’inadempimento dell’obbligo di notificazione di cui all’articolo 193 TFUE, tale omissione non comporta, di per sé, l’illegittimità delle misure di protezione rafforzate (sentenza del 21 luglio 2011, Azienda Agro-Zootecnica Franchini e Eolica di Altamura, C–2/10, EU:C:2011:502, punto 53 e giurisprudenza citata).
63 Si deve pertanto rispondere alla prima questione pregiudiziale che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, le disposizioni della direttiva 2004/35, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione.
Sulla seconda questione
64 Con la sua seconda questione il giudice del rinvio intende accertare, in sostanza, se l’articolo 16 della direttiva 2004/35 e l’articolo 193 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, secondo cui i proprietari dei fondi sui quali sia stato generato un inquinamento illecito sono non solo tenuti a rispondere in solido con gli utilizzatori di tali fondi di tale danno ambientale, ma può anche essere inflitta loro un’ammenda da parte dell’autorità amministrativa nazionale competente.
65 Al riguardo, si deve rilevare che, quando uno Stato membro, conformemente all’articolo 16 di detta direttiva e all’articolo 193 TFUE, e nel rispetto di tutte le altre disposizioni pertinenti e dei principi generali di diritto dell’Unione, identifica detti proprietari dei fondi come responsabili in solido, può prevedere sanzioni che contribuiscano all’efficacia di tale regime di protezione rafforzata.
66 Un’ammenda amministrativa inflitta al proprietario di un fondo a causa di un inquinamento illecito da lui non impedito e di cui non indica l’autore, può quindi rientrare nel regime di responsabilità facente capo al combinato disposto dell’articolo 16 della direttiva 2004/35 e dell’articolo 193 TFUE, purché la normativa che prevede un’ammenda simile, in conformità al principio di proporzionalità, sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata perseguito dalla normativa che istituisce la responsabilità solidale, e le modalità di determinazione dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo (v., per analogia, sentenza del 9 giugno 2016, Nutrivet, C–69/15, EU:C:2016:425, punto 51 e giurisprudenza citata).
67 Nel caso di specie, spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale controversa nel procedimento principale, in particolare l’articolo 34, paragrafo 1, del decreto governativo n. 306/2010, soddisfi tali presupposti.
68 Pertanto, occorre rispondere alla seconda questione che l’articolo 16 della direttiva 2004/35 e l’articolo 193 TFUE devono essere interpretati nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, ai sensi della quale non solo i proprietari di fondi sui quali è stato generato un inquinamento illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di tale danno ambientale, ma nei loro confronti può anche essere inflitta un’ammenda dall’autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione dell’ammontare dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Sulle spese
69 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
1) Le disposizioni della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione.
2) L’articolo 16 della direttiva 2004/35 e l’articolo 193 TFUE devono essere interpretati nel senso che, sempre che la controversia di cui al procedimento principale rientri nel campo di applicazione della direttiva 2004/35, essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, ai sensi della quale non solo i proprietari di fondi sui quali è stato generato un inquinamento illecito rispondono in solido, con gli utilizzatori di tali fondi, di tale danno ambientale, ma nei loro confronti può anche essere inflitta un’ammenda dall’autorità nazionale competente, purché una normativa siffatta sia idonea a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo di protezione rafforzata e le modalità di determinazione dell’ammenda non eccedano la misura necessaria per raggiungere tale obiettivo, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
Firme