TUTELA DEI CONSUMATORI – Credito al consumo – Controllo del carattere abusivo delle clausole – Mancata comparizione del consumatore – Portata dei poteri d’ufficio del giudice – Rinvio pregiudiziale – Art.7, par.1 Direttiva 93/13/CEE.
Provvedimento: SENTENZA
Sezione: 6^
Regione:
Città:
Data di pubblicazione: 4 Giugno 2020
Numero: C‑495/19
Data di udienza:
Presidente: Safjan
Estensore: Toader
Premassima
TUTELA DEI CONSUMATORI – Credito al consumo – Controllo del carattere abusivo delle clausole – Mancata comparizione del consumatore – Portata dei poteri d’ufficio del giudice – Rinvio pregiudiziale – Art.7, par.1 Direttiva 93/13/CEE.
Massima
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez.6^, 4 giugno 2020 Sentenza n. C‑495/19
TUTELA DEI CONSUMATORI – Credito al consumo – Controllo del carattere abusivo delle clausole – Mancata comparizione del consumatore – Portata dei poteri d’ufficio del giudice – Rinvio pregiudiziale – Art.7, par.1 Direttiva 93/13/CEE.
L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale la quale impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva stessa e che statuisca in contumacia per mancata comparizione del consumatore all’udienza cui era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la propria domanda, qualora detto giudice nutra dubbi in merito al carattere abusivo di tali clausole, ai sensi della citata direttiva.
Pres. Safjan, Rel. Toader, Ric. Kancelaria Medius SA contro RN
Allegato
Titolo Completo
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez.6^, 4 giugno 2020 Sentenza n. C‑495/19SENTENZA
CORTE DI GIUSTIZIA UE, Sez.6^, 4 giugno 2020 Sentenza n. C‑495/19
SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
4 giugno 2020
«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Articolo 7, paragrafo 1 – Credito al consumo – Controllo del carattere abusivo delle clausole – Mancata comparizione del consumatore – Portata dei poteri d’ufficio del giudice»
Nella causa C‑495/19,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Okręgowy w Poznaniu (Tribunale regionale di Poznań, Polonia), con decisione del 14 maggio 2019, pervenuta in cancelleria il 26 giugno 2019, nel procedimento
Kancelaria Medius SA
contro
RN,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da M. Safjan, presidente di sezione, C. Toader (relatrice) e N. Jääskinen, giudici,
avvocato generale: G. Pitruzzella
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– per la Kancelaria Medius SA, da D. Woźniak, adwokat;
– per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
– per il governo ungherese, da M.Z. Fehér e R. Kissné Berta, in qualità di agenti;
– per la Commissione europea, da N. Ruiz García e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Kancelaria Medius SA a RN, in merito a una somma asseritamente dovuta da quest’ultimo nell’ambito di un contratto di credito al consumo.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 93/13 prevede quanto segue:
«La presente direttiva è volta a ravvicinare le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore».
4 L’articolo 2, lettere b) e c), della direttiva in parola definisce i termini «consumatore» e «professionista» come segue:
«b) “consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale;
c) “professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».
5 L’articolo 3, paragrafo1, della medesima direttiva così dispone:
«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».
6 L’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
7 Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13:
«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
Diritto polacco
8 L’articolo 339 del Kodeks postępowania cywilnego (codice di procedura civile) così recita:
«1. Se il convenuto non compare all’udienza o se, nonostante la comparizione, non vi partecipi, il tribunale pronuncia una sentenza contumaciale.
2. In tal caso, le dichiarazioni del ricorrente relative alle circostanze di fatto esposte nell’atto introduttivo o nelle memorie notificate al convenuto prima dell’udienza si presumono rispondenti al vero, salvo che esse sollevino dubbi legittimi o siano state invocate allo scopo di eludere la legge».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
9 La Kancelaria Medius, società avente sede a Cracovia (Polonia) e che offre servizi di recupero crediti, ha proposto un ricorso avverso RN dinanzi al Sąd Rejonowy w Trzciance (Tribunale circondariale di Trzcianka, Polonia) per il pagamento di 1 231 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 272), maggiorati degli interessi, sulla base di un presunto contratto di credito al consumo stipulato da RN con la Kreditech Polska Spółka z ograniczoną odpowiedzialnością (società a responsabilità limitata), un istituto bancario con sede a Varsavia (Polonia), predecessore legale della Kancelaria Medius.
10 A sostegno del proprio ricorso quest’ultima ha prodotto copia di un contratto quadro privo della firma di RN, nonché taluni documenti attestanti la stipulazione del contratto di cessione del credito con il suo predecessore legale.
11 Il Sąd Rejonowy w Trzciance (Tribunale circondariale di Trzcianka) ha ritenuto che i documenti e le prove prodotti dalla Kancelaria Medius non dimostrassero l’esistenza del credito in questione. Nonostante la mancata comparizione di RN, detto tribunale si è pronunciato in contumacia e ha respinto il ricorso.
12 La Kancelaria Medius ha interposto appello avverso la sentenza del Sąd Rejonowy w Trzciance (Tribunale circondariale di Trzcianka), dinanzi al Sąd Okręgowy w Poznaniu (Tribunale regionale di Poznań, Polonia), giudice del rinvio, sostenendo che, ai sensi dell’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile, detto tribunale avrebbe dovuto basarsi esclusivamente sui documenti da essa prodotti.
13 Il giudice del rinvio, investito dell’appello di cui trattasi, per un verso rileva che, secondo il diritto polacco, le norme procedurali in materia di sentenza contumaciale sono applicabili anche alle cause intentate dai professionisti contro i consumatori.
14 Per altro verso esso espone che, nella specie, sussistevano i presupposti per una sentenza contumaciale, ai sensi dell’articolo 339 del codice di procedura civile, atteso che il convenuto non aveva espletato alcuna attività difensiva dopo che gli era stato regolarmente notificato il ricorso, e precisa inoltre che, ai sensi dell’articolo 139 di tale codice, si considera effettuata una cosiddetta notificazione «sostitutiva» quando la parte non ha ritirato il plico notificatole dal tribunale, pur essendo stata messa in condizione di farlo.
15 Ciò premesso, tale giudice dubita che una disposizione nazionale come l’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile sia conforme al livello di tutela dei consumatori imposto dalla direttiva 93/13, segnatamente per quanto riguarda l’obbligo del giudice di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle clausole di un contratto concluso con un consumatore.
16 Il tenore letterale dell’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile imporrebbe, infatti, al giudice di pronunciare nei confronti di un consumatore una sentenza contumaciale, il cui fondamento fattuale consista unicamente nelle affermazioni del ricorrente, nella fattispecie un professionista, che si presumerebbero essere rispondenti al vero, salvo che sollevino «dubbi legittimi» o che il tribunale ritenga che tali affermazioni «siano state invocate allo scopo di eludere la legge». Orbene, ne risulterebbe che quanto più laconiche sono le informazioni fornite dal professionista, tanto minore sarebbe la probabilità che il tribunale nutra «dubbi legittimi».
17 Il giudice del rinvio si richiama alla giurisprudenza della Corte, in particolare alle sentenze del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska (C‑176/17, EU:C:2018:711, punti 40 e 57) nonché del 3 aprile 2019, Aqua Med (C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 47), secondo cui le disposizioni del diritto nazionale devono rispettare il principio di equivalenza e il diritto del consumatore a un ricorso effettivo, come sancito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Se il principio di equivalenza risultasse rispettato dalle disposizioni dell’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile, applicabile a tutti i procedimenti nazionali in materia civile, il giudice del rinvio si interroga in ordine al requisito attinente al diritto a un ricorso effettivo, nel caso in cui il giudice nazionale non abbia la possibilità di esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali.
18 Ciò si verificherebbe nel caso di specie con riferimento alla sentenza di primo grado, la quale, ai sensi dell’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile, avrebbe dovuto accogliere le conclusioni della ricorrente, senza che il giudice potesse verificare l’esistenza e il contenuto del contratto.
19 In tali circostanze, il Sąd Okręgowy w Poznaniu (Tribunale regionale di Poznań) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che esso osta a disposizioni procedurali in forza delle quali il giudice può emettere una sentenza contumaciale basandosi unicamente sulle dichiarazioni fornite dall’attore nell’atto introduttivo, le quali, nel caso di mancata comparizione del convenuto-consumatore, che sia stato debitamente informato della data dell’udienza, e di mancato espletamento da parte sua dell’attività difensiva, devono essere riconosciute dal giudice come corrispondenti al vero».
Sulla questione pregiudiziale
20 In limine, per quanto riguarda la ricevibilità della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, occorre rilevare che dalle osservazioni scritte del governo polacco emerge che, ad avviso di quest’ultimo, contrariamente all’interpretazione del giudice del rinvio, la prova dell’esistenza di un credito non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e che tale giudice, adito in appello, dovrebbe pronunciarsi senza essere tenuto ad applicare le disposizioni relative alle sentenze contumaciali, di modo che l’esito del procedimento principale non dipende dalla risposta alla questione sollevata e che quest’ultima è pertanto irrilevante.
21 A tal riguardo si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della cooperazione tra quest’ultima e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto19 e giurisprudenza ivi citata).
22 Ne consegue che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione poste dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che egli definisce sotto la propria responsabilità, e di cui non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto, da parte della Corte, di statuire su una questione proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza del 19 settembre 2019, Lovasné Tóth, C‑34/18, EU:C:2019:764, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
23 Orbene, nel caso di specie, dal fascicolo di causa presentato alla Corte non si evince manifestamente che la presente situazione corrisponda a una di queste ipotesi. In particolare, dall’ordinanza di rinvio emerge che il giudice d’appello è tenuto a valutare se il tribunale di primo grado abbia commesso un errore di diritto nel respingere il ricorso del professionista con la motivazione che i documenti a sua disposizione non gli consentivano di accertare se il credito fosse basato su clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13.
24 Peraltro, a norma dell’articolo 1, paragrafo 1, e dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, quest’ultima si applica alle clausole dei contratti stipulati tra un professionista e un consumatore che non sono state oggetto di negoziato individuale (sentenza del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
25 Poiché, come risulta dalle informazioni fornite dal giudice del rinvio, la controversia di cui al procedimento principale è sorta tra un professionista e un consumatore in merito ad una pretesa attinente ad un credito derivante da un contratto di credito al consumo redatto in termini standardizzati, una siffatta controversia è quindi idonea a rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13.
26 Di conseguenza, la presente domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
27 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale che impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva e che si pronunci in contumacia, in assenza di comparizione di tale consumatore all’udienza alla quale era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la sua domanda, qualora tale giudice nutra dubbi sul carattere abusivo di tali clausole, ai sensi della medesima direttiva, e imponga al giudice stesso di statuire sulla base delle affermazioni del professionista, affermazioni che egli è tenuto a considerare come rispondenti al vero.
28 Si deve anzitutto rammentare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, per «consumatore» ai sensi della direttiva stessa deve intendersi come «qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale». La nozione di «professionista» è definita, al punto c) del medesimo articolo, come riferita a «qualsiasi persona fisica o giuridica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce nel quadro della sua attività professionale, sia essa pubblica o privata».
29 Inoltre, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 stabilisce che gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori.
30 Nella sua costante giurisprudenza, la Corte ha sottolineato la natura e l’importanza dell’interesse pubblico costituito dalla tutela dei consumatori, che si trovano in una posizione di inferiorità nei confronti dei professionisti per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che li induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (v., in tal senso, sentenze del 3 aprile 2019, Aqua Med, C‑266/18, EU:C:2019:282, punti 27 e 43, e dell’11 marzo 2020, Lintner, C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 23).
31 In tal senso, la Corte ha precisato che la tutela che la direttiva 93/13 conferisce ai consumatori si estende ai casi in cui il consumatore che abbia stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dall’invocare, da un lato, il fatto che tale contratto rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva e, dall’altro, la natura abusiva della clausola in questione perché ignora i suoi diritti o perché viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe (sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, C‑147/16, EU:C:2018:320, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
32 Se è vero che la Corte ha così già inquadrato, in più occasioni e tenendo conto dei requisiti di cui all’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il modo in cui il giudice nazionale deve assicurare la tutela dei diritti che i consumatori traggono dalla direttiva in parola, resta nondimeno il fatto che, in linea di principio, il diritto dell’Unione non armonizza le procedure applicabili all’esame del carattere asseritamente abusivo di una clausola contrattuale, e che queste ultime sono soggette, pertanto, all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, a condizione, tuttavia, che esse non siano meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e prevedano una tutela giurisdizionale effettiva, quale prevista dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali (v. sentenze del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 35, e del 3 aprile 2019, Aqua Med, C‑266/18, EU:C:2019:282, punto 47).
33 Per quanto attiene al principio di equivalenza, si deve rilevare che la Corte non dispone di alcun elemento tale da far sorgere dubbi quanto alla conformità a detto principio della normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale.
34 Con riferimento alla tutela giurisdizionale effettiva, occorre ricordare che ciascun caso in cui si ponga la questione se una norma procedurale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali. Tuttavia, le caratteristiche specifiche dei procedimenti non possono costituire un elemento atto a pregiudicare la tutela giuridica di cui devono godere i consumatori in forza delle disposizioni della direttiva 93/13 (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová, C‑377/14, EU:C:2016:283, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
35 A tal proposito la Corte ha dichiarato che, in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito (sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska, C‑176/17, EU:C:2018:711, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).
36 Invero, per garantire la tutela voluta da detta direttiva, la Corte ha sottolineato, in una causa riguardante anch’essa un procedimento contumaciale, che la situazione di disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, C‑147/16, EU:C:2018:320, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
37 Quindi, in primo luogo e per giurisprudenza costante, il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 e, in tal modo, ad ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista (sentenza dell’11 marzo 2020, Lintner, C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
38 In secondo luogo, in assenza di tali elementi di diritto e di fatto, il giudice nazionale, investito di una controversia tra un professionista e un consumatore, deve avere la possibilità di adottare d’ufficio i mezzi istruttori necessari al fine di accertare se una clausola inserita nel contratto oggetto della controversia rientri nell’ambito di applicazione della direttiva stessa (v., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2020, Lintner, C‑511/17, EU:C:2020:188, punti 36 e 37, e giurisprudenza ivi citata).
39 Nel caso di specie, dagli elementi del fascicolo sottoposto alla Corte emerge che, nel procedimento contumaciale di cui trattasi nel procedimento principale, il giudice adito dalla ricorrente, in mancanza di comparizione del convenuto, è tenuto a pronunciarsi sulla base delle allegazioni fattuali dedotte dalla ricorrente, che si presumono essere rispondenti al vero, salvo che esse sollevino dubbi legittimi o siano state invocate allo scopo di eludere la legge.
40 In proposito, dalla giurisprudenza citata ai punti da 36 a 38 della presente sentenza emerge che, anche in caso di mancata comparizione del consumatore, il giudice investito di una controversia vertente su un contratto di credito al consumo dev’essere in grado di adottare i mezzi istruttori necessari per verificare il carattere potenzialmente abusivo delle clausole rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, per garantire al consumatore la tutela dei diritti che gli sono conferiti dalla direttiva stessa.
41 È vero che la Corte ha precisato che il principio dispositivo, invocato anche dal governo ungherese nelle sue osservazioni scritte, nonché il principio del divieto di pronunciarsi ultra petita, rischierebbero di essere violati se i giudici nazionali fossero tenuti, in forza della direttiva 93/13, a ignorare o eccedere i limiti dell’oggetto della controversia fissati dalle conclusioni e dai motivi delle parti (v., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2020, Lintner, C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 31).
42 Tuttavia, nel caso di specie, non si tratta di esaminare clausole contrattuali diverse da quelle su cui il professionista, che ha promosso il procedimento giudiziario, ha fondato la sua pretesa e che costituiscono pertanto l’oggetto della controversia.
43 Il giudice del rinvio dichiara infatti di disporre non del contratto che costituisce il fondamento del credito controverso e che è stato sottoscritto da entrambe le parti del contratto, bensì solo di una copia di un contratto quadro che non reca la firma del convenuto.
44 Orbene, deve rilevarsi che, sebbene la direttiva 93/13, in forza del suo articolo 3, paragrafo 1, si applichi alle clausole che non sono state oggetto di negoziato individuale, il che include segnatamente i contratti standard, non si può ritenere che un giudice «disponga degli elementi di fatto e di diritto» ai sensi della citata giurisprudenza per il solo motivo che egli dispone di una copia di un contratto quadro utilizzato dal professionista stesso, senza che detto giudice abbia in suo possesso lo strumento che attesta il contratto stipulato tra le parti della controversia dinanzi ad esso pendente (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 64).
45 Pertanto, i principi dispositivo e del divieto di pronunciarsi ultra petita non ostano a che un giudice nazionale chieda al ricorrente di produrre il contenuto del documento o dei documenti su cui si fonda la sua domanda, poiché una siffatta richiesta tende soltanto ad assicurare il quadro probatorio del processo (sentenza del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 68).
46 Ne consegue che non può essere garantita una tutela giurisdizionale effettiva ove il giudice nazionale, investito da un professionista di una controversia che lo oppone a un consumatore e che rientra nell’ambito d’applicazione della direttiva 93/13, non abbia la possibilità, nonostante la mancata comparizione del consumatore, di verificare le clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la sua domanda, qualora sussistano dubbi sul carattere abusivo di tali clausole. Nel caso in cui tale giudice sia obbligato, in forza di una disposizione nazionale, a considerare veritiere le affermazioni fattuali del professionista, l’intervento positivo di tale giudice, richiesto dalla direttiva 93/13 per i contratti che rientrano nel suo ambito di applicazione, risulterebbe vanificato.
47 Orbene, nell’applicare il diritto interno i giudici nazionali sono tenuti a interpretarlo quanto più possibile alla luce del testo e della finalità della direttiva 93/13, così da conseguire il risultato perseguito da quest’ultima (sentenza del 17 maggio 2018, Karel de Grote – Hogeschool Katholieke Hogeschool Antwerpen, C‑147/16, EU:C:2018:320, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).
48 Di conseguenza, qualora il giudice del rinvio constati che una disposizione nazionale, quale l’articolo 339, paragrafo 2, del codice di procedura civile, impedisce al giudice che si pronunci in contumacia sul ricorso di un professionista di adottare i mezzi istruttori che gli consentono di procedere d’ufficio al controllo di clausole rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva e che sono oggetto della controversia, egli è tenuto a verificare se si possa ipotizzare un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, facendo ricorso ad eccezioni quali i «dubbi legittimi» o l’«elusione della legge» ai sensi dell’articolo 339, paragrafo 2, interpretazione che consenta al giudice che si pronunci in contumacia di adottare i necessari mezzi istruttori.
49 A tale riguardo occorre ricordare che spetta ai giudici nazionali, tenendo conto di tutte le norme del diritto nazionale e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, decidere se e in quale misura una disposizione nazionale, come l’articolo 339 del codice di procedura civile, possa essere interpretata conformemente alla direttiva 93/13, senza procedere ad un’interpretazione contra legem di tale disposizione nazionale (v., per analogia, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).
50 La Corte ha peraltro stabilito che l’esigenza di un’interpretazione conforme include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).
51 I giudici nazionali, ove non possano interpretare e applicare la normativa nazionale in modo conforme alle disposizioni della direttiva 93/13, hanno l’obbligo di esaminare d’ufficio se le clausole convenute tra le parti abbiano natura abusiva e, a tal fine, di adottare le misure istruttorie necessarie, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione o giurisprudenza nazionali che ostino a tale esame (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18, EU:C:2019:930, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
52 Risulta da quanto precede che l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale che impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva stessa e che statuisca in contumacia per mancata comparizione del consumatore all’udienza cui era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la propria domanda, qualora detto giudice nutra dubbi in merito al carattere abusivo di tali clausole, ai sensi della citata direttiva.
Sulle spese
53 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:
L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, dev’essere interpretato nel senso che esso osta all’interpretazione di una disposizione nazionale la quale impedisca a un giudice, che sia investito di un ricorso proposto da un professionista nei confronti di un consumatore e rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva stessa e che statuisca in contumacia per mancata comparizione del consumatore all’udienza cui era stato convocato, di adottare i mezzi istruttori necessari per valutare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contrattuali sulle quali il professionista ha fondato la propria domanda, qualora detto giudice nutra dubbi in merito al carattere abusivo di tali clausole, ai sensi della citata direttiva.
Firme