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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Procedimento amministrativo Numero: 6077 | Data di udienza: 15 Marzo 2024

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Provvedimenti di decadenza del GSE – Natura – Non riconducibilità al paradigma dell’autotutela – Riconducibilità alla natura ripristinatoria – Conseguenze. (Massima a cura di Laura Pergolizzi)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^ Stralcio
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2024
Numero: 6077
Data di udienza: 15 Marzo 2024
Presidente: Lattanzi
Estensore: Polimeno


Premassima

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Provvedimenti di decadenza del GSE – Natura – Non riconducibilità al paradigma dell’autotutela – Riconducibilità alla natura ripristinatoria – Conseguenze. (Massima a cura di Laura Pergolizzi)



Massima

T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. 3^ Stralcio – 27 marzo 2024, n. 6077

PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Provvedimenti di decadenza del GSE – Natura – Non riconducibilità al paradigma dell’autotutela – Riconducibilità alla natura ripristinatoria – Conseguenze.

I provvedimenti di decadenza del GSE non sono riconducibili al paradigma dell’autotutela, in quanto espressione di un potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato. La decadenza non ha natura sanzionatoria, differenziandosi dalla sanzione sia sul piano dell’elemento soggettivo, non richiedendo né dolo né colpa, sia sul piano dell’effetto ablatorio, che è limitato e coincide ‘al massimo’ con l’utilità già concessa mediante il provvedimento ampliativo, ma piuttosto ripristinatoria di un assetto procedimentale alterato dalla erronea asseverazione della presenza di requisiti viceversa mancanti, con la conseguenza che non trova applicazione il termine di 18 mesi di cui all’art. 21 nonies L. 241/1990. La richiesta di restituzione dei benefici già erogati non è espressione di una distinta e automa volontà provvedimentale rispetto a quella oggetto dei provvedimenti di decadenza dai benefici concessi, bensì rappresenta un atto esecutivo, conseguente alla qualifica di indebito oggettivo assunta dalle somme erogate per effetto della determinazione di decadenza.

Pres. Lattanzi, Est. Polimeno – G. s.r.l. (avv.ti Bello, Clarizia, Di Cagno e Nitti) c. GSE – Gestore dei Servizi Energetici S.p.A. (avv.ti Romano, Satta, Pugliese e Aniballi)


Allegato


Titolo Completo

T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. 3^ Stralcio - 27 marzo 2024, n. 6077

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15906 del 2019, proposto da
Gold Energy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Paolo Bello, Angelo Clarizia, Giovanni Di Cagno e Saverio Nitti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde n. 2;

contro

Gse – Gestore dei Servizi Energetici S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Anna Romano, Filippo Arturo Satta, Antonio Pugliese e Lucia Aniballi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Filippo Satta in Roma, via Arenula, 29;

per l’annullamento:

del provvedimento del Gestore dei Servizi Energetici n. GSE/P20190066872 dell’8.10.2019 (notificato a mezzo pec in pari data), con il quale il GSE ha disposto nei confronti dell’impianto n. 13730, di proprietà della società ricorrente, la decadenza dalle tariffe incentivanti di cui al D.M. 28.7.2005, comunicando la necessità di recuperare quanto erogato alla ricorrente a titolo di incentivi non dovuti;

del provvedimento Gse prot.n. GSE/P20170034231 dell’8.5.2017, con cui il Gestore ha avviato il procedimento di decadenza e richiesto alla ricorrente di fornire ulteriori osservazioni e/o integrazioni documentali “rispetto alle risultanze emesse dalla attività di controllo”;

di ogni altro atto o provvedimento, ancorché non conosciuto, presupposto o consequenziale agli atti impugnati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Gse – Gestore dei Servizi Energetici S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 15 marzo 2024 il dott. Marcello Polimeno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Questi i fatti per cui è causa.

La ricorrente, titolare di n. 31 impianti fotovoltaici situati nel Comune di Santeramo in Colle (Ba), fra cui l’impianto n. 13730, di potenza pari a 49,98 kW oggetto del presente ricorso, ha impugnato il provvedimento del GSE con cui è stata disposta la decadenza dalle dal diritto alle tariffe incentivanti e gli atti presupposti.

In particolare, l’impianto in questione è stato realizzato dalla società Euroinfor S.r.l. (dante causa dell’odierna ricorrente e successivamente fusa per incorporazione nella Eurobox Impianti s.r.l.) sul terreno segnato in catasto al fg. 84, p.lla 704, società che aveva presentato domanda di ammissione alle tariffe incentivanti ai sensi del d.m. 28 luglio 2005 in data 16.2.2006.

In data 8 giugno 2007, la società Euroinfor ha dichiarato che i lavori erano iniziati il precedente 15 maggio.

Il 12 luglio 2007 la società Green Energy Technologies ha chiesto al GSE di poter spostare gli impianti nel Fg 84, p.lle 663-667 a causa della non idoneità del sito alla realizzazione delle opere sotto il profilo tecnico.

Quindi, in data 26 febbraio 2008 la Euroinfor ha comunicato il nuovo numero della particella presso cui è stato installato l’impianto in esame, identificata dal n. 704 del foglio 84, originatasi dal frazionamento delle particelle 663-667 del medesimo foglio.

Con successiva istanza del 7 febbraio 2009, la società Eurobox Impianti s.r.l. ha richiesto al GSE di poter trasferire alla società Gold Energy S.rl. la titolarità dell’impianto e dei relativi diritti e obblighi di cui al D.M. 28 luglio 2005 e alla Delibera AEEG n. 188/05, dichiarando all’uopo di “non aver presentato, entro la medesima scadenza di cui all’art. 7, comma 1 del D.M. 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate; non aver acquisito o di non aver chiesto di acquisire i diritti all’incentivazione da altri soggetti responsabili che siano stati ammessi ai benefici dell’incentivazione – ai sensi del DM 28 luglio 2005 e successive modiche e integrazioni – a seguito di domande di ammissione presentate nel medesimo trimestre e per impianti da costruire nel medesimo sito oggetto del presente trasferimento di titolarità”.

In data 1° luglio 2009, ha informato l’Ente Gestore che l’impianto era entrato in esercizio a far data dal 16.3.2009.

Con nota del 6.7.2009 il GSE ha ritenuto ammissibile la richiesta di voltura della titolarità dell’impianto all’odierna ricorrente, e, con ulteriore nota del 6.11.2009, ha inserito l’impianto nei meccanismi di incentivazione, riconoscendo la tariffa di 0,46 Euro/kWh e le parti hanno sottoscritto la relativa convenzione.

Successivamente, in data 8.5.2017, il GSE ha comunicato l’avvio del procedimento di decadenza del diritto per l’impianto alle tariffe agevolate, affermando che: “nell’ambito dei controlli attivati dal GSE, ai sensi dell’art. 42, D. Lgs. 28/2011 e D.M. 31.1.2014, è emerso che sono state presentate richieste di ammissione alle tariffe incentivanti ai sensi del Decreto, oltreché per l’impianto in oggetto, anche per altri 40 impianti fotovoltaici, di potenza prossima ai 50kW, istallati presso il medesimo sito (particelle contigue, poi frazionate)”.

Ha altresì rappresentato all’istante che “Tra le società Gold Energy S.r.l. e la società Eurobox Impianti S.r.l., attuali Soggetti Responsabili degli impianti indicati nella precedente tabella, sussiste un collegamento (la società Gold Energy S.r.l. controlla il 61% delle quote della società Eurobox Impianti S.r.l. Inoltre le predette società risultano collegate già dal 4 luglio 2008)”.

In tale contesto, “la dichiarazione […] resa dalla società Gold Energy S.r.l. […] è da intendersi non veritiera. Si ravvisa, inoltre, una sostanziale elusione della normativa, ed in particolare della Delibera AEEG 188/05 nella parte in cui questa prevede che il Soggetto Responsabile era tenuto a dichiarare di ‘non aver presentato […] altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate’”.

Invero, “la riconducibilità delle predette Società a un’unica proprietà unitamente all’avvenuta installazione degli impianti su particelle contigue originatesi dal frazionamento di particelle contigue, rappresentano elementi indicativi di un artato frazionamento della potenza degli impianti (che presentano tutti una potenza inferiore a 50 kW), attuato al fine di eludere la normativa di riferimento nella parte in cui prevede, per gli impianti di potenza superiore a 50 kW e inferiore a 1000 kW, la presentazione di una ‘cauzione definitiva nella misura di 1.500 euro per ogni kW di potenza nominale dell’impianto”.

Il Gestore ha invitato, quindi, l’odierna ricorrente a fornire in merito osservazioni, eventualmente corredate da documenti.

All’esito dell’istruttoria, il GSE ha ritenuto sussistenti le violazioni rilevanti di cui all’Allegato 1, lett. a) (“presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica di ammissibilità agli incentivi”), e lett. j), del D.M. 31 gennaio 2014 (i.e. “insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”) e, con provvedimento prot. n. GSE/P20190066872 del giorno 8 ottobre 2019, ha comunicato alla Società la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti.

In particolare, con il provvedimento impugnato, il GSE, ha evidenziato che le osservazioni presentate dalla società Gold Energy con nota del 7 luglio 2017 non erano utili a superare le difformità riscontrate nell’ambito dell’attività di controllo, rilevando in estrema sintesi che:

– “le particelle catastali ove sono posizionati gli impianti sono create mediante il frazionamento delle particelle originariamente individuate nei titoli abilitativi presentati al fine di assentire gli interventi di installazione degli impianti”;

– “Tra la società Gold Energy s.r.l. e la società Eurobox Impianti S.r.l., attuali Soggetti Responsabili degli impianti indicati nella precedente tabella, sussiste un collegamento (la società Gold Energy S.r.l. controlla il 61% delle quote della società Eurobox Impianti S.r.l. Inoltre le predette società risultano collegate già dal 4 luglio 2008” … “ovvero in data antecedente sia alla data di entrata in esercizio (16 marzo 2009), sia alla comunicazione di entrata in esercizio (1 luglio 2009), costituente, ai sensi dell’art. 8 del D.M. 28 luglio 2005, il completamento dell’iter afferente alla richiesta di incentivazione”;

– “I trasferimenti di titolarità a favore della società Gold Energy di n. 31 impianti, facenti parte dell’insieme dei 41 impianti fotovoltaici, di potenza prossima a 50 kW, installati presso lo stesso sito, è avvenuto a ridosso dell’entrata in esercizio degli impianti stessi e in data antecedente alla comunicazione di entrata in esercizio, costituente, ai sensi dell’art. 8 del D.M. 28 luglio 2005, il completamento dell’iter afferente alla richiesta di incentivazione”;

– “La dichiarazione di cui al punto 2 è invece da intendersi non veritiera, con ciò derivandone la violazione rilevante di cui all’Allegato 1 al D.M. 31 gennaio 2014, lett. a): “presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi”.

Il GSE ha quindi disposto “la decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti di cui al Decreto”.

Con il ricorso in esame, la Gold Energy ha chiesto l’annullamento, previa sospensione degli effetti, degli atti indicati in epigrafe ed in particolare del predetto provvedimento.

A sostegno della propria domanda ha articolato i motivi di diritto sintetizzati come segue:

– “Violazione di legge. Violazione ed omessa applicazione degli artt. 1, 2 e 21 nonies della Legge n. 241/1990. Violazione ed omessa applicazione del D.M. 73297 del 31.1.2014. Eccesso di potere, Illogicità, Irragionevolezza. Difetto di istruttoria”: il provvedimento di decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti dovrebbe essere qualificato come un provvedimento di secondo grado e sarebbe stato adottato in difetto dei presupposti prescritti dall’art. 21 nonies della legge 241/1990. In particolare, per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo non sarebbe sufficiente l’interesse pubblico alla sua caducazione, essendo altresì necessario che l’esercizio del potere in autotutela intervenga entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi, tenuto altresì conto degli interessi del destinatario; e tanto, anche nei casi – come quello in esame – in cui il provvedimento ritenuto illegittimo sia attributivo di vantaggi economici. Logico corollario della disciplina appena richiamata sarebbe rappresentato dall’esigenza di una congrua motivazione, che esternasse compiutamente il percorso “valutativo” compiuto dalla p.A. e che desse conto della sussistenza di tutti gli elementi richiesti dal legislatore ai fini del corretto esercizio del potere di autotutela. Nulla di tutto ciò sarebbe avvenuto nel caso di specie, in cui il provvedimento di secondo grado sarebbe intervenuto all’esito di un procedimento avviato a distanza di otto anni dal riconoscimento del beneficio di cui trattasi, e durato – esso stesso – due anni. Invero non risulterebbe rispettato neppure l’ulteriore termine prescritto dall’art. 10 del D.M. n. 73297 del 31.01.2014, ai fini della conclusione del procedimento di verifica ex art. 42 D.Lgs. n. 28/2011, per il quale il termine di conclusione del procedimento di controllo mediante sopralluogo non può superare il termine massimo di 180 giorni;

– “Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’Allegato 1 al D.M. 31.1.2014, lett. j). Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, commi 1, 9 e 10, D.M. 27.7.2005. Violazione e falsa applicazione art. 3, comma 1, lett c) e i) della delibera AEEG n. 188/2005. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Erronea presupposizione in fatto e in diritto. Illogicità manifesta”: il trasferimento del 61% delle quote sociali dalla Eurobox Impianti S.r.l. in favore della Società odierna ricorrente sarebbe avvenuto solo in data 30.12.2014, secondo quanto ricavabile dalla visura camerale. Posto pertanto che alla data della dichiarazione di cui trattasi non esisteva alcuna forma di controllo da parte della Eurobox Impianti S.r.l. sulla Gold Energy S.r.l., non sarebbe dato comprendere come un trasferimento di quote avvenuto a fine 2014 possa riverberare i propri effetti ed incidere su una dichiarazione resa cinque anni prima. Inoltre, contrariamente a quanto ipotizzato dal GSE, gli impianti acquistati dalla Gold Energy (solo dopo che gli stessi erano entrati in esercizio) non risulterebbero realizzati sullo stesso sito e non potrebbero essere considerati un unicum. La mera prossimità degli impianti e/o dei fondi sui quali gli stessi ricadono non implicherebbe alcunché, men che meno la sussistenza di un “impianto unico” e/o un “indebito” frazionamento. In ogni caso, l’omessa presentazione della cauzione non costituirebbe comunque motivo di decadenza dagli incentivi, posto che la prestazione della fideiussione bancaria o della polizza assicurativa per impianti di potenza superiore a 50 kW non rientrerebbe tra le condizioni per accedere alle tariffe incentivanti, giusta previsione di cui all’art. 3 della Delibera AEEG n. 188/2005, e neanche tra i “requisiti per la qualificazione dell’impianto”, giusta previsione di cui all’art. 4 D.M. 18.12.2008. Ancora, la normativa di riferimento non contemplerebbe alcun obbligo in capo al soggetto responsabile di un impianto fotovoltaico di dichiarare di non aver acquisito o richiesto di acquisire i diritti all’incentivazione da altri soggetti che sono stati ammessi ai benefici dell’incentivazione. Ad ogni modo, la dichiarazione resa dalla Gold Energy s.r.l. non potrebbe in alcun modo considerarsi mendace e/o comunque non veritiera. Ciò in quanto la ricorrente avrebbe acquistato impianti già ultimati ed entrati in esercizio alla data del trasferimento di titolarità, ed installati su siti distinti ed autonomi in quanto caratterizzati ciascuno da un proprio punto di connessione alla rete elettrica. Infine, i titoli autorizzativi degli impianti sarebbero stati conseguiti del tutto legittimamente, atteso il rilascio della DIA ad opera del Comune competente;

– “Violazione di legge. Erronea applicazione delle previsioni del D.M. 5.5.2011 n. 52804. Eccesso di potere. Carente motivazione. Erronea presupposizione in fatto ed in diritto”: il GSE, nel disporre la decadenza dagli incentivi, avrebbe applicato una disciplina sopravvenuta rispetto a quella ratione temporis applicabile al caso di specie, in quanto le disposizioni sull’artato frazionamento sarebbero state introdotte solamente a partire dal D.M. del 5 maggio 2011.

Si è costituito l’Ente Gestore contestando tutto quanto ex adverso dedotto perché infondato in fatto ed in diritto.

In sintesi, ha rilevato che l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 non risulterebbe applicabile alla presente fattispecie in quanto il procedimento di verifica e di decadenza disciplinato dall’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 non sarebbe riconducibile all’autotutela e, comunque, avrebbe natura speciale rispetto all’ipotesi disciplinata dal citato art. 21-nonies.

Si sarebbe verificato con evidenza un frazionamento delle particelle al solo scopo di eludere la normativa e poter così accedere direttamente e ad un numero superiore di incentivi mediante più domande di ammissione riconducibili a società controllate.

In ragione dei trasferimenti di titolarità, non sarebbe stata rispetta la normativa nella parte in cui prevede, per gli impianti di potenza superiore a 50 kW e inferiore a 1.000 kW, la presentazione di “una cauzione definitiva.

Tra la società Gold Energy S.r.l. e la società Eurobox Impianti S.r.l. sussisterebbe un collegamento, atteso che la società Gold Energy controllerebbe il 61 % delle quote della società Eurobox Impianti S.r.l.

Non sarebbe rilevante ai fini che occupano il fatto che non sussisterebbe un unico punto di connessione tra i diversi impianti, quanto la diversa circostanza che gli impianti si troverebbero tutti sul medesimo terreno a prescindere dai punti di connessione diversi.

Con ordinanza n. 1166 del 21 febbraio 2020 è stata respinta l’istanza di adozioni di misure cautelari, “Considerato, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, che: – il potere esercitato non appare volto al riesame della legittimità di un precedente provvedimento, bensì al controllo circa la veridicità delle dichiarazioni formulate nell’ambito di una procedura volta ad attribuire sovvenzioni pubbliche (v. da ultimo Cons. Stato sent. n. 6118/2019, 8442/2019); – il divieto di artato frazionamento costituisce principio generale ed immanente dell’ordinamento di settore rispondente alla finalità di impedire operazioni puramente elusive e indebiti effetti di sovraincentivazione (cfr. da ultimo, della Sezione, le sentenze nn. 185 e 2878 del 2019); – appaiono sussistere i presupposti per la sussistenza della fattispecie dell’artato frazionamento, in primo luogo la contiguità degli impianti e la riconducibilità ad una comune iniziativa imprenditoriale”.

In sede di appello il Consiglio di Stato con propria decisione n. 3514 del 15 giugno 2020, ha confermato il provvedimento dei giudici di prime cure rilevando che: “La potestà di cui all’art. 42 (Controlli e sanzioni in materia di incentivi) del D.Lgs. n. 28 del 2011 non ha connotazioni sanzionatorie, trattandosi, piuttosto, di un atto vincolato di decadenza accertativa dell’assodata mancanza dei requisiti oggettivi condizionanti ab origine l’ammissione all’incentivo pubblico” (Cons. Stato Sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380); Ritenuto, altresì ad una delibazione propria di questo giudizio cautelare: a) relativamente al primo motivo di appello cautelare, che, “Quanto, […], alla natura giuridica del potere esercitato, l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel qualificarlo come ispettivo, di verifica e di controllo in funzione di polizia amministrativa (un potere, dunque, sostanzialmente, di amministrazione attiva) e non già, invece, di autotutela amministrativa” (Cons. Stato Sez. IV, 21 gennaio 2019 n. 506 e 9 settembre 2019 n. 6118), cosicché, in ragione del suindicato consolidato principio, tale censura non si profila assistita di sufficiente fumus boni iuris; b) relativamente al secondo motivo di appello cautelare, che “Il termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento di verifica avrebbe carattere meramente acceleratorio e non perentorio, non essendo comunque qualificato in tal senso, senza considerare che carattere perentorio o meno del termine può essere ricavato anche dalla ratio delle disposizioni che regolano la materia” (Cons. Stato Sez. IV, 12 aprile 2019, n. 2380), cosicché, in ragione del suindicato consolidato principio, tale censura non si profila assistita di sufficiente fumus boni iuris; c) relativamente al terzo articolato motivo di appello, che “ai fini del calcolo della potenza elettrica nominale per la valutazione istruttoria delle iniziative edificatorie, i limiti di capacità di generazione e di potenza sono da intendersi riferiti alla somma delle potenze nominali dei singoli impianti di produzione facenti capo al medesimo punto di connessione alla rete elettrica, appartenenti allo stesso soggetto, ovvero a soggetti che si trovino in posizione di controllante o controllato, ovvero che siano riconducibili ad un unico centro di interesse” (Cons. Stato Sez. IV, 12 gennaio 2016 n. 65), cosicché, alla luce dei criteri enucleati al fine di verificare la sussistenza o meno di “un unico centro di interesse”, si ritiene corretta la valutazione operata dal primo Giudice e dal Gestore, rilevato che: c.1) la società appellante è titolare di una molteplicità di impianti tutti insistenti nel medesimo ambito territoriale del medesimo comune (si tratta di particelle contigue); c.2) le acquisizioni della responsabilità dei vari impianti, da parte dell’odierna appellante, sono state realizzate tutte nel medesimo lasso di tempo (periodo compreso fra il 6-7 luglio 2009) e tutte in base alla medesima circostanza (“a causa di difficoltà economiche tali da impedire la prosecuzione dell’attività”); c.3) di tutti gli impianti indicati nella tabella contenuta nel provvedimento gravato sono responsabili la società odierna appellante e un’altra società, della quale la prima controlla il 61% delle quote; d) sempre relativamente al terzo motivo di appello, che vanno condivise, sia pure ad un primo esame, le considerazioni del Giudice di prime cure circa l’esistenza di un divieto di artato frazionamento, desumibile dal dato normativo di riferimento, che prevede la “suddivisione degli impianti di produzione di energia elettrica in distinte classi, con introduzione di specifiche soglie di potenza comportanti l’assoggettamento a diversi regimi amministrativi, a cominciare dai titoli autorizzativi (in quella fattispecie, d.i.a. o autorizzazione unica)”, sicché va ravvisata la possibilità per il Gestore di rilevare se in concreto, al fine della percezione degli incentivi, sia stato posto in essere un contegno elusivo quale a es. la suddivisione di un unico impianto in impianti di potenza minore per beneficiare del più snello iter procedurale garantito dalla d.i.a.; ciò che in taluni casi potrebbe rivelarsi addirittura dirimente per l’accesso agli incentivi stessi”.

In data 8 febbraio 2024, la Gold Energy s.r.l. ha versato in atti istanza di rinvio della discussione della presente controversia, in considerazione della pendenza innanzi a questo TAR del giudizio (r.g.n.5416/2021) avente ad oggetto il provvedimento con cui il Gestore dei Servizi Energetici ha respinto le istanze di riesame presentate dalla Gold Energy s.r.l. ai sensi dell’art. 56, comma 8, del D.L. n. 76/2020, confermando i provvedimenti di decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti resi in data 09.10.2019 (per n. 30 impianti) e 4.5.2017 (per n. 1 impianto).

Con memoria versata in atti in occasione dell’udienza di merito, parte ricorrente ha evidenziato l’intervenuta modifica ad opera del legislatore dell’art. 42 del d.lgs. n. 28/2011 ad opera dell’art. 56, comma 7 DL 76/2020, che oggi prevede che: “Nel caso in cui le violazioni riscontrate nell’ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell’erogazione degli incentivi, il GSE in presenza dei presupposti di cui all’articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 dispone il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi, nonché il recupero delle somme già erogate, e trasmette all’Autorità l’esito degli accertamenti effettuati per l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 2, comma 20, lettera c), della legge 14 novembre 1995, n. 481 (comma 3). In deroga al periodo precedente, al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’energia termica e il risparmio energetico, conseguente agli interventi di efficientamento degli impianti che al momento dell’accertamento della violazione percepiscono incentivi, il GSE dispone la decurtazione dell’incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento in ragione dell’entità della violazione”. Ha quindi sostenuto che detta norma, che richiede la presenza dei presupposti ex art. 21 nonies l. 241/1990 per poter procedere alla decadenza, costituirebbe norma di interpretazione autentica, applicabile anche alla fattispecie per cui è causa.

All’udienza per lo smaltimento dell’arretrato del 15 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Preliminarmente il Collegio respinge l’istanza di rinvio del giudizio in esame in considerazione della evidente circostanza che i due procedimenti si trovano in fasi affatto diverse. Peraltro, la decisione del secondo non è in alcun modo propedeutica alla decisione del presente.

3. Nel merito il ricorso è infondato per le ragioni che si vengono ad illustrare.

4. Con il primo motivo la ricorrente assume che il provvedimento di decadenza impugnato sarebbe illegittimo “per radicale violazione dei principi che governano l’azione amministrativa e in particolare di quello di proporzionalità e di quelli concernenti i poteri di autotutela della P.A.”.

La censura non può trovare accoglimento.

Si osserva in proposito che, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del D.Lgs. n. 28 del 2011, la verifica dei requisiti di accesso ai benefici spetta al GSE il quale effettua il controllo dei dati forniti dai soggetti responsabili attraverso l’esame della documentazione trasmessa, oltre che mediante “controlli a campione sugli impianti”.

In attuazione del predetto art. 42, il DM 31 gennaio 2014, cd. Decreto controlli, ha ribadito all’art. 11 che il GSE “dispone il rigetto dell’istanza ovvero la decadenza dagli incentivi con l’integrale recupero delle somme già erogate, qualora, in esito all’attività di controllo o di verifica documentale, vengano accertate le violazioni rilevanti di cui all’allegato 1, parte integrante del presente decreto”, il quale annovera – per quanto qui rileva – alla lettera a), la presentazione di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero la mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi.

Orbene, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 18/2020, i provvedimenti di decadenza del GSE non sono riconducibili al paradigma dell’autotutela, in quanto espressione di un potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato (nello stesso senso: C. di St. n. 640/2023; n. 594/2021).

E’ stato altresì precisato che “la decadenza non si connota affatto di alcuna natura sanzionatoria, differenziandosi dalla sanzione sia sul piano dell’elemento soggettivo, non richiedendo né dolo né colpa, sia sul piano dell’effetto ablatorio, che è limitato e coincide ‘al massimo’ con l’utilità già concessa mediante il provvedimento ampliativo” (cfr. TAR Roma n. 8684/2023; 5254/2023; nello stesso senso, ex multis, Adunanza Plenaria n. 18/2020).

La decadenza non ha quindi natura sanzionatoria, ma piuttosto ripristinatoria di un assetto procedimentale alterato dalla erronea asseverazione della presenza di requisiti viceversa mancanti, con la conseguenza che non trova applicazione il termine di 18 mesi di cui all’art. 21 nonies L. 241/1990.

La richiesta di restituzione dei benefici già erogati non è espressione di una distinta e automa volontà provvedimentale rispetto a quella oggetto dei provvedimenti di decadenza dai benefici concessi, bensì rappresenta un atto esecutivo, conseguente alla qualifica di indebito oggettivo assunta dalle somme erogate per effetto della determinazione di decadenza (in tal senso, ex multis: C. di St. n. 640/2023; n. 6241/2020).

Pertanto, conformemente agli arresti giurisprudenziali citati, deve essere ritenuto – come peraltro già rilevato con l’ordinanza cautelare n. 1150 del 21 febbraio 2020 (confermata dal Consiglio di Stato n. 3469 del 12 giugno 2020) – “Quanto, […], alla natura giuridica del potere esercitato, l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel qualificarlo come ispettivo, di verifica e di controllo in funzione di polizia amministrativa (un potere, dunque, sostanzialmente, di amministrazione attiva) e non già, invece, di autotutela amministrativa” (Cons. Stato Sez. IV, 21 gennaio 2019 n. 506 e 9 settembre 2019 n. 6118). Trattasi, quindi, non di atto di annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, ma di un provvedimento di decadenza dai benefici già accordati che trova fondamento nella norma speciale di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 (nonché, per lo specifico settore degli impianti fotovoltaici, c.d. quarto conto, all’art. 21 del d.m. 5 maggio 2011), con conseguente non applicabilità del termine ragionevole invocato dalla ricorrente né degli ulteriori requisiti imposti dal menzionato art. 21-nonies.

Si ritiene appena il caso di evidenziare che, ad ogni modo, per giurisprudenza pacifica, l’accertata presenza di dichiarazioni non veritiere esclude ogni possibile compromissione dell’affidamento (ex multis: C. di St. n. 1459/2019). Né può ritenersi che l’istante possa vantare una situazione soggettiva, degna di protezione giuridica, all’ottenimento del bene della vita-incentivo pubblico, né un affidamento legittimo circa la non rimovibilità dei provvedimenti con i quali il GSE aveva originariamente riconosciuto il diritto al beneficio, in quanto difetta l’elemento soggettivo della buona fede.

Né potrebbero essere applicate, riguardo ai provvedimenti amministrativi adottati in sede di controllo, come quello impugnato, le modifiche, successivamente introdotte dall’art. 56, comma 7 DL 76/2020, all’art. 42, comma 3 DLgs. 28/2011- che hanno condizionato l’esercizio del potere di decadenza del GSE, senza alterarne l’ascrivibilità al novero dei provvedimenti di controllo e non già a quelli di autotutela decisoria, alla ricorrenza dei presupposti indicati dall’art. 21-nonies L 241/1990 – le quali non rivestono efficacia retroattiva, ma si applicano, conformemente al criterio tempus regit actum, esclusivamente a quelle declaratorie di decadenza che, a differenza di quella gravata col ricorso in esame, siano posteriori al 17/7/ 2020. Data di entrata in vigore della novella di cui al DL 76/2020, dalla quale inizia, quindi, a decorrere il termine ragionevole per disporne la decadenza. (Cfr. ex multis le sentenze n. 2526/2022, nn. 12664 e17234/2023 di questa stessa Sez. 3 TER).

Con particolare riferimento alla dedotta violazione del termine di 180 giorni previsto dall’art. 10 del d.m. 31 gennaio 2014, osserva il Collegio che, secondo orientamento giurisprudenziale granitico: “l’art. 152 , cpv., cpc dispone che “I termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”. La relativa norma, notoriamente, è assurta al rango di principio generale dell’ordinamento giuridico. Pertanto, essa non è limitata esclusivamente ai termini processuali, ma è applicabile anche fuori del codice del rito civile, in relazione a termini previsti da norme di diritto sostanziale.

Diversamente da quanto sembra ritenere il ricorrente, una anche sommaria ricognizione delle varie tipologie procedimentali induce ad escludere che il “giusto” procedimento amministrativo sia, di regola, caratterizzato dalla perentorietà del relativo termine di conclusione.

Del resto – come si desume dall’art. 2, comma 9 L. 241/1990 – la tardiva emanazione del provvedimento amministrativo, di per sé, non ne inficia la validità, semmai ” costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

Il carattere – di regola – ordinatorio dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi risulta evidente anche dai commi da 9-bis a 9-ter dello stesso art. 2, che disciplinano il c.d. potere sostitutivo in caso di inerzia da parte del titolare del procedimento nonché dai successivi commi 9-quater e 9-quinquies, nei quali appare confermata la generale validità ed efficacia dei provvedimenti rilasciati in ritardo.

Tanto meno dall’art. 42 (Controlli e sanzioni in materia di incentivi) D. Lgs. 28/2011 – che subordina l’erogazione degli incentivi previsti alle prescritte verifiche circa la documentazione relativa all’impianto, la sua configurazione impiantistica e le modalità di connessione alla rete elettrica – può ragionevolmente desumersi l’applicabilità dell’art. 20 L. 241/1990, attesa la specialità delle norme che regolano i procedimenti di controllo intestati al GSE, caratterizzati da articolate istruttorie. Nel caso in esame, l’anomalia della documentazione esibita dal Soggetto responsabile aveva imposto ulteriori accertamenti istruttori rispetto a quelli eseguiti nel corso del sopralluogo presso l’impianto. In particolare, presso l’Organismo di certificazione. Supplemento d’istruttoria legittimato dall’art. 1, comma 2, L 241/1990 e dovuto all’esigenza di assicurare la sana gestione di risorse pubbliche, prevenendo danni all’erario. Il che – diversamente da quanto ritiene il ricorrente – non consente l’uso della fictio iuris del silenzio assenso. Ne consegue naturaliter che non coglie nel segno, per la sua irrilevanza, la successiva censura in ordine alla violazione dell’art. 29, comma 2-bis, (Ambito di applicazione della legge) L. 241/1990, in collegamento con l’art. 117, comma 1, lett. m) della Costituzione, in quanto non risulterebbero garantiti i livelli essenziali delle prestazioni sociali in materia di durata massima del procedimento nonché in relazione al silenzio-assenso. Infatti, il superamento del termine previsto non determina la consumazione del potere di provvedere in modo espresso, né, quindi, consente l’applicabilità dell’art. 20 L 241/1990” (cfr. T.A.R. Lazio n. 19599/2023).

5. Con il secondo ed il terzo motivo, che per comunanza delle censure possono essere esaminati congiuntamente, in estrema sintesi viene contestata la sussistenza di alcuna forma di controllo tra gli operatori economici coinvolti e dell’artato frazionamento.

Il Consiglio di Stato ha avuto modo anche di recente di affermare in proposito che “Il divieto di artato frazionamento costituisce, quindi, un principio generale dell’ordinamento (solo esemplificato per gli impianti fotovoltaici dal suindicato art. 12 del D.M. 5.5.2011) che opera a prescindere da una espressa e puntuale previsione normativa ed è applicabile a tutti gli impianti che percepiscono incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili” (cfr. C. di St. n. 640/2023; TAR Roma n. 8684/2023).

Pertanto, la cristallizzazione normativa del divieto dell’artato frazionamento (positivizzato per il fotovoltaico a partire dal D.M. 5.5.2011) non comporta l’introduzione ex novo del divieto, ma codifica un principio generale e immanente dell’ordinamento di settore, come evidenziato da consolidata giurisprudenza, rispondente alla finalità di impedire indebiti effetti di sovraincentivazione in conseguenza di scelte dettate non già da ragioni di tipo tecnico-imprenditoriale, connesse come tali all’attività di produzione dell’energia elettrica, ma da opzioni di tipo esclusivamente amministrativo.

Ad ogni modo, come evidenziato dalla difesa dell’Ente Gestore, il divieto di artato frazionamento è contemplato, sebbene non espressamente qualificato come tale, sin dalla Delibera AEEG n. 188/05 che, in attuazione dell’art. 9 del D.M. 28 luglio 2005 (c.d. “1° Conto Energia”), prevede che, in occasione della presentazione dell’istanza di accesso alle tariffe incentivanti, il soggetto responsabile dell’impianto fotovoltaico, “per essere ammesso a beneficiare delle tariffe incentivanti previste dal decreto ministeriale 28 luglio 2005, deve dichiarare”, tra l’altro, “di non aver presentato, oltre alla presente domanda […], altre domande di ammissione alle ‘tariffe incentivanti’ previste dal DM 28 luglio 2005 relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito anche tramite società controllate o collegate” (art. 3, co. 1, lett c, della Delibera).

Nella fattispecie all’esame del Collegio, peraltro, in fase di ammissione agli incentivi, il GSE, sebbene fosse a conoscenza del frazionamento, non poteva avere contezza dell’unicità sostanziale degli impianti, in quanto ciascun procedimento di ammissione pendeva dinanzi al Gestore separatamente. L’unicità degli impianti è emersa solo “a valle” del procedimento di verifica avviato nel 2017, in esito al quale il GSE si è visto costretto ad adottare il provvedimento di decadenza in questa sede gravato.

In particolare, all’esito dell’istruttoria posta in essere dal GSE è emerso che:

– l’impianto oggetto del presente giudizio e altri 40 impianti (per cui sono state presentate altrettante richieste di ammissione agli incentivi) sono stati installati presso il medesimo sito, costituito dalle particelle contigue originariamente individuate nei titoli abilitativi;

– le particelle catastali, anch’esse contigue, ove attualmente insistono gli impianti sono state create mediante il frazionamento delle predette particelle contigue, originariamente individuate nei titoli abilitativi presentati al GSE;

– sussiste un collegamento societario tra i soggetti responsabili degli impianti, i.e. la Gold Energy e la Eurobox Impianti S.r.l.;

– il trasferimento di titolarità in favore della Gold Energy dell’impianto per cui è causa (7 febbraio 2009), nonché di altri 30 impianti, facenti parte dell’insieme dei 41 impianti fotovoltaici installati presso lo stesso sito, è avvenuto in data antecedente alla comunicazione di entrata in esercizio dell’impianto stesso (1° luglio 2009), la quale costituisce, ai sensi dell’art. 8 del D.M. 28 luglio 2005, il completamento dell’iter afferente alla richiesta di incentivazione, nonché in data anteriore al riconoscimento delle tariffe incentivanti da parte del Gestore (6 novembre 2009);

– dall’analisi delle visure camerali storiche e dell’elenco dei soci delle società interessate, è emerso che già dal 4 luglio 2008 la Eurobox Impianti S.r.l. controllava, in qualità di socio di maggioranza, il 40% delle quote della Gold Energy. Al contempo, fino al 2013 la Eurobox Impianti S.r.l. è rimasta nella proprietà di Siletti Nunzio (48%), di Di Santo Paolo (43%) e della Gold Energy (9%).

Da tutto ciò, discende la non veridicità delle dichiarazioni rese dalla Ricorrente, in qualità di cessionaria, nelle istanze di trasferimento della titolarità degli impianti, con cui la Società ha affermato: di “non aver presentato, entro la medesima scadenza di cui all’art. 7, comma 1 del D.M. 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate”, in aperto contrasto con quanto prescritto dalla delibera AEEG n. 188/05; di “non aver acquisito o di non aver chiesto di acquisire i diritti all’incentivazione da altri soggetti responsabili che siano stati ammessi ai benefici dell’incentivazione – ai sensi del D.M. 28 luglio 2005 e successive modifiche e integrazioni – a seguito di domande d’ammissione presentate nel medesimo trimestre e per impianti da costruire nel medesimo sito oggetto del presente trasferimento di titolarità”.

Deve ancora essere osservato che, ai fini della sussistenza dell’artato frazionamento di un impianto, non è necessaria la prova della violazione da parte del soggetto responsabile degli impianti del criterio di remunerazione degli investimenti e tanto meno una specifica motivazione sul punto, come pretenderebbe la ricorrente, essendo invero sufficiente che l’artato frazionamento possa ragionevolmente e non illogicamente desumersi, com’è avvenuto nel caso di specie, da fatti gravi, precisi e concordati, i quali del resto non risultano neppure smentiti dalla Gold Energy che si limita ad opporre al riguardo un mero inammissibile dissenso alla valutazione non incongrua del G.S.E. Peraltro, la circostanza dell’avvenuto rilascio delle separate e autonome autorizzazione per i singoli impianti da parte del Comune non è idonea a smentire le conclusioni raggiunte dal G.S.E., diversi essendo gli interessi tutelati da quest’ultimo rispetto a quelli tutelati dal Comune (in tal senso C. di St. n. 7709/2023).

Ad ogni modo deve essere precisato che gli aspetti autorizzativi dell’impianto per cui è causa, non rientrano tra i motivi posti a fondamento dell’impugnato provvedimento di decadenza e, pertanto, la ricorrente non aveva interesse alla censura sul punto.

6. Orbene, poiché il provvedimento di decadenza oggetto di gravame si presenta come atto plurimotivato, in particolare giustificato da due differenti circostanze, più dettagliatamente indicate nella parte in fatto, è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l’atto in sede giurisdizionale: anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza, riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, quest’ultimo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un’autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giurisdizionale (ex multis, da ultimo, C. di St. n. 640/2023; TAR Roma n. 8684/2023).

Conseguentemente la sussistenza dell’artato frazionamento rende di per sé legittimo il provvedimento di decadenza oggi gravato.

Per completezza, evidenzia comunque il Collegio che, ai sensi dell’art. 7, co. 10, del D.M. 28 luglio 2005, “La mancata costituzione della cauzione nei termini di cui al comma 9 indicati comporta l’inammissibilità della domanda di cui al comma 1”.

Al contrario di quanto asserito dalla ricorrente, quindi, l’artato frazionamento ha consentito l’elusione degli adempimenti prescritti dalla suddetta normativa a pena di inammissibilità della domanda, che risultano completamente pretermessi.

7. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza della ricorrente e si liquidano come da parte dispositiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente a pagare al GSE le spese di lite che si liquidano in euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 marzo 2024 tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dagli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a. con l’intervento dei magistrati:

Claudia Lattanzi, Presidente FF

Francesca Ferrazzoli, Primo Referendario

Marcello Polimeno, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Marcello Polimeno

IL PRESIDENTE
Claudia Lattanzi

IL SEGRETARIO

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