RISARCIMENTO DEL DANNO – Inerzia dell’amministrazione – Danno da ritardo – Pretesa risarcitoria – Applicazione dello schema generale dell’art. 2043 c.c. – Conseguenze – Applicazione del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato (Massima a cura di Laura Pergolizzi)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 23 Aprile 2024
Numero: 8095
Data di udienza: 10 Aprile 2024
Presidente: Rizzetto
Estensore: Giudice
Premassima
RISARCIMENTO DEL DANNO – Inerzia dell’amministrazione – Danno da ritardo – Pretesa risarcitoria – Applicazione dello schema generale dell’art. 2043 c.c. – Conseguenze – Applicazione del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato (Massima a cura di Laura Pergolizzi)
Massima
T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. 5^ Bis – 23 aprile 2024, n. 8095
RISARCIMENTO DEL DANNO – Inerzia dell’amministrazione – Danno da ritardo – Pretesa risarcitoria – Applicazione dello schema generale dell’art. 2043 c.c. – Conseguenze – Applicazione del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato.
La pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo refluisce nell’alveo dello schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della domanda e del principio dispositivo ex art. 2697, comma 1, c.c.
Pres. Rizzetto, Est. Giudice – OMISSIS (avv. Barcellini) c. Ministero dell’Interno (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
T.A.R. LAZIO, Roma, Sez. 5^ Bis - 23 aprile 2024, n. 8095SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale omissis del 2024, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato Luca Barcellini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Chiuduno, via C.Battisti n. 6;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’accertamento dell’illegittimità
del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di cittadinanza presentata da -OMISSIS- (-OMISSIS-), -OMISSIS- (-OMISSIS-), per -OMISSIS- (-OMISSIS-), -OMISSIS- (-OMISSIS-) e, per l’effetto, ordinare al Ministero dell’Interno di adottare una determinazione esplicita e conclusiva in ordine alle istanze in questione;
per la condanna al risarcimento del danno arrecato per la mancata o, comunque, ritardata adozione del provvedimento richiesto, da liquidarsi in via equitativa, in misura non inferiore ad euro mille per ogni ricorrente
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso il esame quattro cittadini stranieri agiscono in giudizio avverso il silenzio serbato dal Ministero dell’Interno sulle rispettive istanze di concessione della cittadinanza italiana presentate da ciascuno di essi in momenti diversi.
I ricorrenti chiedono la dichiarazione dell’illegittimità del silenzio serbato sulle rispettive istanze, del diritto ad ottenere la cittadinanza italiana, o comunque ad ottenere un provvedimento conclusivo del procedimento, nonché in ogni caso la condanna della PA al risarcimento del danno per mancata o ritardata adozione del DPR concessorio della cittadinanza da liquidarsi in via equitativa in misura non inferiore ad €. 1.000,00 per ogni ricorrente; con vittoria di spese da distrarsi a favore dell’avv. Luca Barcellini, dichiaratasi antistatario.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva in cui ha eccepito l’inammissibilità del ricorso cumulativo, anche alla luce dei precedenti in materia (TAR Lazio, sez. I ter, 17889/2022).
Alla camera di consiglio del 10 aprile 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
Preliminarmente deve essere scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo formulata da parte resistente.
L’eccezione è da ritenere fondata alla luce della giurisprudenza anche di questa Sezione, che si è già espressa in relazione all’ammissibilità di un ricorso proposto da una pluralità di soggetti avverso il silenzio serbato dall’autorità amministrativa sulle rispettive domande di cittadinanza nella recente sentenza del 6 dicembre 2023, n. 18318.
Orbene, va ribadito, anche in quest’occasione, che è inammissibile il ricorso collettivamente proposto da più ricorrenti in mancanza del presupposto dell’identicità delle situazioni sostanziali e processuali, come, appunto verificatesi nel caso in esame, in cui si agisce per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio su una pluralità di domande, presentate da soggetti differenti, che hanno richiesto la concessione del beneficio in momenti temporali diversi, senza che sia ravvisabile alcun nesso tra i diversi procedimenti pendenti, relativi a ciascuna persona.
In proposito è stato evocato l’insegnamento del Supremo Consesso della giustizia ammnistrativa, che anche da ultimo nella sentenza della Sez. III, n. 11248/2022, con riferimento ad un ricorso avverso la pronuncia di irricevibilità delle domande di cittadinanza italiana presentate da diversi ricorrenti – a ragione dell’incompletezza documentale, che aveva dato luogo ad un arresto procedimentale – ha ricordato che: “Per costante giurisprudenza di questo Consiglio, ai fini della ammissibilità del ricorso collettivo occorre che vi sia identità di situazioni sostanziali e processuali; le domande giudiziali devono essere identiche nell’oggetto, gli atti impugnati devono avere lo stesso contenuto e devono essere censurati gli stessi motivi (Cons. St., sez. VI, 18 luglio 1997, n. 1129; sez. IV, 14 ottobre 2004, n. 6671; sez. V, 24 agosto 2010, n. 5928). Al proposito giova ricordare che nel processo amministrativo la proposizione del ricorso collettivo rappresenta una deroga al principio generale secondo il quale ogni domanda, fondata su un interesse meritevole di tutela, deve essere proposta dal singolo titolare con separata azione. Pertanto, la proposizione contestuale di un’impugnativa da parte di più soggetti, sia essa rivolta contro uno stesso atto o contro più atti tra loro connessi, è soggetta al rispetto di stringenti requisiti, sia di segno negativo che di segno positivo: i primi sono rappresentati dall’assenza di una situazione di conflittualità di interessi, anche solo potenziale, per effetto della quale l’accoglimento della domanda di una parte dei ricorrenti sarebbe logicamente incompatibile con quella degli altri; i secondi consistono, invece, nell’identità delle posizioni sostanziali e processuali dei ricorrenti, essendo necessario che le domande giurisdizionali siano identiche nell’oggetto, che gli atti impugnati abbiano lo stesso contenuto e che vengano censurati per gli stessi motivi (cfr., ex multis, Cons. St., sez. IV, 29 dicembre 2011, n. 6990). Deve aggiungersi che, a differenza del processo civile, in cui il cumulo delle domande può essere giustificato tanto da una connessione oggettiva, quanto da una connessione soggettiva (cfr. art. 40 c.p.c.), in sede amministrativa assume rilevanza soltanto la prima forma di connessione, posto che la connessione soggettiva non consente l’impugnativa con un unico ricorso di provvedimenti diversi (Cons. St., sez. V, 14 dicembre 2011 n. 6537), se non quando sussiste anche un collegamento oggettivo tra di essi, con la conseguenza che nel giudizio amministrativo occorre che le domande siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista oggettivo e soggettivo, oppure semplicemente connesse dal punto di vista oggettivo. In quest’ultima evenienza tra gli atti impugnati viene identificata una connessione tale da giustificare un unico processo, costituendo essi manifestazioni provvedimentali collegate ad un unico sviluppo dello stesso episodio di concreto esercizio del potere pubblicistico, idoneo a far emergere la consistenza e la lesione di un unitario interesse soggettivo, storicamente connotato come contrapposto a quel determinato esercizio del potere: ossia – detto altrimenti – tra gli atti complessivamente impugnati sussiste una connessione procedimentale, ovvero un rapporto di presupposizione giuridica, o quantomeno di carattere logico” (in termini Cons. Stato, sez. III, n. 2024/2023; cfr., in tal senso, con riferimento alle procedure di emersione, TAR Lazio, sez. II quater, n. 1330/2014 e 10874/2013, da ultimo, TAR Lazio, sez. I ter, 17889/2022).
Nel caso in esame il ricorso è inammissibile in quanto è stato cumulativamente proposto dai quattro diversi soggetti che hanno richiesto la cittadinanza italiana in momenti diversi sulla base di diversi fatti legittimanti ciascuno di essi e in virtù di condizioni personali relative ad ognuno di essi: non è infatti sufficiente a dimostrare “quell’identicità dei presupposti fattuali che impongono alla PA di provvedere” il mero fatto di aver presentato un’istanza e di aver atteso la scadenza del termine di provvedere senza ottenere riscontro da parte della PA, dato che questa è la condizione in cui si trova qualunque straniero che abbia presentato una domanda di cittadinanza. A tale riguardo va ricordato che l’actio contra silentium non può essere ridotta “ad un mero controllo del calendario”, che comporta la dichiarazione dell’obbligo di provvedere su qualsivoglia istanza su cui la PA non si sia pronunciata nel termine previsto, in via generale ed astratta, dalla normativa che disciplina il procedimento, bensì ha ad oggetto la verifica dell’effettiva esistenza, nello specifico caso concreto, delle condizioni di fatto e di diritto che determinano l’insorgenza del dovere di provvedere della PA con riferimento ad una determinata vicenda amministrativa, che – si ribadisce- concerne la posizione giuridica di uno specifico soggetto legittimato a richiedere il rilascio di un determinato provvedimento previa dimostrazione della sussistenza dei presupposti di legge. Tale conclusione si impone, oltre che per le ragioni teoriche sopra esposte, anche per ragioni d’ordine organizzativo, dato che, altrimenti, si finirebbe per giungere al risultato assurdo di concentrare presso il TAR Lazio, con un unico ricorso, la definizione di tutte le migliaia di domande di cittadinanza pendenti presentate nelle diverse Prefetture d’Italia.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per il cumulo di domande non legate tra loro da alcuna connesssione e relativamente a tutte le azioni contra silentium con esso proposte.
Ne consegue che va disattesa anche l’istanza risarcitoria, che, per completezza, si precisa sarebbe risultata infondata in quanto comunque la richiesta risulta formulata genericamente, non avendo i ricorrenti allegato, e tantomeno comprovato, le conseguenze dannose subite, né la sussistenza degli altri elementi che integrano la responsabilità della p.a., in violazione del principio di specificità dei motivi di cui all’articolo 40, comma 1, lett. d), e comma 2 cod. proc. amm.; secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo refluisce nell’alveo dello schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della domanda e del principio dispositivo ex art. 2697, comma 1, c.c. sicché vanno ritenute generiche le doglianze con cui si reclama il risarcimento del danno.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.
Condanna i ricorrenti a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di lite liquidate in complessive €. 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre agli accessori di legge ove dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 aprile 2024 con l’intervento dei magistrati:
Floriana Rizzetto, Presidente
Gianluca Verico, Referendario
Antonietta Giudice, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Antonietta Giudice
IL PRESIDENTE
Floriana Rizzetto
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.