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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 4771 | Data di udienza: 26 Settembre 2017

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Svolgimento di un’attività commerciale – Regolarità urbanistico-edilizia – Ordine di cessazione dell’attività – Applicazione della sanzione edilizia – Incompatibilità con la continuazione dell’attività.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 10 Ottobre 2017
Numero: 4771
Data di udienza: 26 Settembre 2017
Presidente: Donadono
Estensore: Esposito


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Svolgimento di un’attività commerciale – Regolarità urbanistico-edilizia – Ordine di cessazione dell’attività – Applicazione della sanzione edilizia – Incompatibilità con la continuazione dell’attività.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ – 10 ottobre 2017, n. 4745


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Svolgimento di un’attività commerciale – Regolarità urbanistico-edilizia – Ordine di cessazione dell’attività – Applicazione della sanzione edilizia – Incompatibilità con la continuazione dell’attività.

Lo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale presuppone non solo la sussistenza, ma anche la permanenza della regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati (ovvero, nella specie, delle strutture a servizio dell’attività);  nondimeno, la chiusura di un esercizio in attività non può essere considerata come una sanzione per la sopravvenuta rilevazione di abusi edilizi, i quali hanno per converso un sistema repressivo specifico che regola, per ciascuna tipologia di illecito, i presupposti, le modalità applicative, i destinatari, gli effetti ed anche, eventualmente, le possibilità di sanatoria; pertanto, l’ordine di cessazione di un’attività in corso esige che sia stata applicata una sanzione edilizia (quale ad esempio la demolizione), nella misura in cui la obbligatoria esecuzione della misura repressiva adottata risulti incompatibile con la continuazione dell’attività commerciale ed in generale con l’utilizzo delle opere abusive.


Pres. Donadono, Est. Esposito – R.A. (avv. Manfredonia) c. Comune di Pompei (avv. Cafagna)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ - 10 ottobre 2017, n. 4745

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ – 10 ottobre 2017, n. 4745

Pubblicato il 10/10/2017

N. 04745/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00246/2017 REG.RIC.

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 246 del 2017, proposto da:
Raiola Antonio, rappresentato e difeso dall’avvocato Ciro Manfredonia, con domicilio eletto presso lo studio degli avvocati Ciro Sito e Alfonso Capotorto in Napoli, Centro Direzionale Isola E2, Scala A;


contro

Comune di Pompei, in persona del legale rappresentante pro tempore Commissario Straordinario dott. Donato Cafagna, rappresentato e difeso dall’avvocato Erik Furno, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, Via Cesario Console, 3;

per l’annullamento

dell’ordinanza del Dirigente V Settore Tecnico – Servizio SUAP n. 11 prot. n. 0002846/INT del 18/1/2017, di cessazione immediata dell’attività di parcheggio esercitata alla Via Parroco Federico ed inibizione della SCIA n. 16/2017 del 18/1/2017; della nota dell’Ufficio Tecnico n. 2419 del 16/1/2017; nonché di ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e consequenziale, comunque non conosciuto, se e in quanto lesivo per le ragioni del ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore per l’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2017 il dott. Giuseppe Esposito e uditi per le parti gli avvocati Ciro Manfredonia e Maria Lucia Pisano, per delega dell’avvocato Erik Furno;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con licenza n. 27 del 7/12/2001 era assentita in favore del sig. Raiola l’apertura e gestione di una rimessa di autoveicoli all’aperto in orario diurno, sulla superficie di mq. 800 alla Via Parroco Federico, per una capienza di 18 posti auto.

Il ricorrente comunicava negli anni successivi di proseguire l’attività per l’anno in corso (cfr. docc. 4 della produzione allegata al ricorso).

In data 16/1/2017, con nota prot. n. 2449, il Comando di P.M. comunicava che era stata accertata la realizzazione di opere abusive; nella stessa data, con nota n. 2419/U il V Settore Tecnico evidenziava, altresì, che per l’attività “non risulta alcun titolo autorizzativo in corso di validità, che legittimi l’attività di parcheggio per la suddetta area” (considerato che l’originaria licenza era valida sino al 31/12/2001).

Nel provvedimento è, inoltre, rappresentato che l’attività è in parte esercitata su aree non conformi dal punto di vista urbanistico (poiché il fondo è per un terzo incluso, in parti uguali, in zona omogenea B2 ed in zona G4 – destinazione sede stradale).

Il provvedimento ha ordinato, in ragione di ciò, la cessazione immediata dell’attività di parcheggio, disponendo inoltre l’inibizione della SCIA del 18/1/2017, con cui era stato richiesto l’ampliamento dell’attività autorizzata da 18 a 60 posti auto.

2. Con ricorso notificato il 26/1/2017 e depositato in pari data, il sig. Raiola ha impugnato il suddetto provvedimento, deducendo con distinti motivi la violazione della normativa richiamata e l’eccesso di potere sotto più profili.

Il Comune si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, producendo memoria e documentazione.

L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza dell’1/3/2017 n 332, limitatamente alla chiusura dell’attività per i 18 posti auto.

Le parti hanno depositato scritti difensivi.

All’udienza pubblica del 26 settembre 2017 il ricorso è stato assegnato in decisione.

DIRITTO

1. Con l’impugnato provvedimento è stata ordinata la cessazione dell’attività, inibendo nel contempo gli effetti della nuova SCIA, per l’ampliamento dell’attività medesima.

Ciò sul presupposto dell’avvenuta realizzazione di opere abusive, nonché della mancanza di un titolo autorizzativo ed, altresì, dell’incompatibilità urbanistica di parte delle aree.

Con le censure articolate è dedotto che:

1) l’attività non è più soggetta ad autorizzazione ed è proseguita in base alle successive comunicazioni annuali, avendo il ricorrente confidato nella legittimità dell’attività esercitata e nella possibilità di ampliarla; non è stata compiuta una valutazione dei contrapposti interessi, né rilevate condizioni di criticità sotto il profilo igienico-sanitario o di incompatibilità urbanistica (essendo l’area, almeno per due terzi, compatibile con la destinazione di zona); occorreva garantire la partecipazione procedimentale ed è sproporzionata la misura della cessazione;

2) l’attività di parcheggio non contrasta con la destinazione della zona G4 a “sede stradale” (ove è consentito il transito e la sosta delle auto), peraltro inoperante per decadenza del vincolo preordinato all’espropriazione; l’area è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 9 del D.P.R. n. 380 del 2001 e, in virtù del successivo art. 23-ter, rileva unicamente il mutamento di categoria funzionale dell’immobile; non sono esplicitate le ragioni del contrasto con la zona B2, né è indicata in maniera specifica la superficie delle parti ritenute incompatibili; l’originaria licenza del 2001, come da certificazione di destinazione d’uso dell’Ufficio tecnico del 30/11/2001, riguardava l’intera area e nel frattempo non sono intervenute variazioni dello strumento urbanistico;

3) le opere abusive consistono in una roulotte su ruote, in un gazebo e in un bagno chimico, insistenti nell’area sin dal 2001 (come si evince dal grafico allegato alla domanda di autorizzazione), la cui presenza non rende illegittima l’attività di rimessa veicoli, svolta nell’area scoperta.

2. Il ricorso è parzialmente fondato, nei termini che seguono.

2.1. Innanzitutto, con riferimento alle opere abusive esistenti sul fondo, occorre chiarire che:

– nella planimetria allegata alla originaria richiesta del 2001 (doc. 3 della produzione allegata al ricorso), sono disegnati una struttura destinata a “cassa” (m. 4,56 x m. 3,40) e un vicino “W.C.”;

– con C.N.R. nr. 118/2014/Ed. del 27/3/2014, veniva accertata la natura abusiva delle opere consistenti in un corpo di fabbrica avente le dimensioni di cui sopra (m. 3,60 x m. 4,55), in una tettoia di copertura (m. 6,00 x m. 5,55), nonché in un gazebo (m. 2,96 x m. 2,94) (cfr. doc. 4 della produzione del Comune del 20/2/2017);

– con la successiva C.N.R. nr. 007/2017/ED del 12/1/2017, è stata accertata la realizzazione abusiva “di due pergolati posti sui lati sud e nord dell’area di parcheggio, composti da struttura portante in listelli di ferro ancorati tramite elettrosaldatura a preesistente ringhiera posta su muretto di recinzione, delle dimensioni in pianta di ml. 30,00 a nord e ml. 23,00 a sud per una larghezza di m. 2,50 circa. Il tutto coperto da vegetazione ivi insistente e utilizzata come ombraia per le auto in sosta” (doc. 3 della stessa produzione del Comune).

Ciò posto, non risulta che le opere oggetto dell’accertamento del 2014 abbiano formato oggetto di provvedimenti repressivi da parte del Comune, mentre dei pergolati è stata ingiunta la demolizione con l’esibita ordinanza del 9/2/2017 n. 26.

2.1.1. Tanto precisato, il Collegio intende ribadire l’indirizzo manifestato a più riprese dalla Sezione (cfr. la sentenza del 29/1/2017 n. 548 e, da ultimo, del 5/9/2017 n. 4250), secondo cui:

a) lo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale presuppone non solo la sussistenza, ma anche la permanenza della regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati (ovvero, nella specie, delle strutture a servizio dell’attività);

b) nondimeno, la chiusura di un esercizio in attività non può essere considerata come una sanzione per la sopravvenuta rilevazione di abusi edilizi, i quali hanno per converso un sistema repressivo specifico che regola, per ciascuna tipologia di illecito, i presupposti, le modalità applicative, i destinatari, gli effetti ed anche, eventualmente, le possibilità di sanatoria;

c) pertanto, l’ordine di cessazione di un’attività in corso esige che sia stata applicata una sanzione edilizia (quale ad esempio la demolizione), nella misura in cui la obbligatoria esecuzione della misura repressiva adottata risulti incompatibile con la continuazione dell’attività commerciale ed in generale con l’utilizzo delle opere abusive.

Nella fattispecie in esame – e con riferimento all’abusività delle opere, assunta quale presupposto, anche se non esclusivo, dell’ordine di cessazione –, va osservato che il provvedimento non si riferisce alle opere abusive antecedenti (neppure sanzionate, come detto), ma solamente ai pergolati oggetto del richiamato accertamento del 16/1/2017, dei quali la demolizione è stata ingiunta solo dopo, con la suddetta ordinanza del 9/2/2017 n. 26.

In ragione di ciò, alla stregua della richiamata giurisprudenza della Sezione, si palesa illegittimo il provvedimento di cessazione dell’attività che non si fondi su una precedente irrogazione della sanzione repressiva in materia edilizia (non valendo a “sanare” l’atto la successiva emanazione dell’ordine di demolizione, poiché la legittimità del provvedimento amministrativo va vagliata con riferimento ai presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione).

2.1.2. Inoltre, con la richiamata giurisprudenza della Sezione si è affermato, altresì, l’ulteriore principio secondo cui deve ritenersi consentita la prosecuzione dell’attività, in ossequio ai “criteri di ragionevolezza e proporzionalità che devono sempre improntare l’azione amministrativa” (sentenza del 5/9/2017 n. 4250, cit..), qualora la stessa possa continuare nei termini originari.

In detta sentenza (in tema di domanda di condono pendente), si è quindi statuito che “l’ordine di cessazione dell’attività deve essere limitato all’inibitoria dell’utilizzo delle opere abusive, di cui sia ordinata la demolizione, e non può estendersi di per sé all’intera attività aziendale, a meno che beninteso non risulti (dal provvedimento o dagli atti del procedimento, il che non è nella specie) che le opere abusive sono parte essenziale ed indispensabile per la conduzione dell’esercizio, che perderebbe altrimenti la possibilità stessa di operare …”.

In base allo stesso principio, oltre a quanto precisato al precedente p. 2.1.1., deve ritenersi sproporzionato l’ordine di cessazione dell’attività di parcheggio, che potrebbe continuare allo scoperto, eliminando i pergolati ombreggianti di cui è stata poi ordinata la demolizione.

2.2. Quanto detto concerne il profilo della rilevata abusività delle opere.

In ordine alla mancanza del titolo autorizzativo e al parziale contrasto con le previsioni urbanistiche della zona, è meritevole di accoglimento la censura con cui si fa valere la lesione dell’affidamento ingenerato.

In via generale, quest’ultimo non può ricevere una tutela tale da legittimare l’attività in contrasto con le disposizioni di legge o regolamentari, prevalendo l’interesse pubblico al rispetto delle norme, per il quale non può darsi eccessivo rilievo alla tutela di una situazione contra legem.

Pur tuttavia, va tutelato l’affidamento ingenerato dalla P.A., allorché siano ravvisabili specifiche e concordanti circostanze, in presenza delle quali non può giustificatamente sacrificarsi l’interesse del privato, che ha confidato senza colpa nella legittimità del suo agire.

2.2.1. Nella specie, come già ravvisato in sede cautelare, la decadenza al 31/12/2001 della licenza per l’esercizio di parcheggio non può fondare l’ordine di cessazione dell’attività.

Invero, nel considerevole lasso di tempo intercorso, il Comune di Pompei non ha mai obiettato alcunché alla prosecuzione della stessa, sulla base delle comunicazioni annuali del ricorrente, a fronte delle quali il Comune non poteva restare inerte, dovendo quanto meno significare che l’attività non poteva più ritenersi assentita, ovvero invitare alla regolarizzazione della dichiarazione di prosieguo.

2.2.2. Inoltre, con riferimento al parziale contrasto con la destinazione di zona, il ricorrente evidenzia che il certificato di destinazione urbanistica rilasciato all’epoca attestava che la particella 157 “ricade in spazi di sosta e parcheggio di urbanizzazione primaria P5” (doc. 9 della produzione allegata al ricorso).

L’indicazione attuale di un diverso regime urbanistico di parte delle aree se per un verso giustifica l’inibitoria della SCIA relativa all’ampliamento del numero di posti macchina, non può condurre alla cessazione dell’attività nel suo complesso, dovendosi anche in tal caso tenere in debito conto l’affidamento del privato (ingenerato dal lasso di tempo intercorso e dalla riconducibilità al Comune dell’originario errore di qualificazione delle aree), ed altresì il fatto che almeno per una parte del suolo interessato non emerge il motivo ostativo evidenziato dal Comune a sostegno della determinazione impugnata, per cui non si può escludere l’individuazione se del caso di soluzioni in grado di contemperare i contrapposti interessi (come, ad esempio, la concentrazione dell’attività nella parte urbanisticamente compatibile).

2.3. Per le conclusioni che precedono, è fondato il ricorso avverso il provvedimento impugnato, nella parte in cui è ordinata la cessazione dell’attività sinora esercitata.

3. Per la restante parte, concernente il diniego e la cessazione di effetti della s.c.i.a. n. 16/2017 del 18/1/2017, il ricorso va respinto perché infondato.

Quanto sopra argomentato sulla conservazione dell’attività non può valere a legittimare una nuova attività (ovvero, l’ampliamento di essa), che si voglia intraprendere utilizzando opere non conformi dal punto di vista urbanistico.

In altri termini, se la mancata adozione dei provvedimenti repressivi degli abusi edilizi preclude al momento di sanzionare con la cessazione l’attività già esercitata (e che, in ipotesi, può continuare nella restante parte), lo stesso non può dirsi per la nuova attività, che presuppone la legittimità urbanistica delle opere (come costantemente ribadito dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione; cfr., per tutte, la sentenza del 13/1/2016 n. 141: “la regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile è prescritta per ogni attività commerciale (compresa quella artigianale), stante l’interconnessione esistente tra le discipline. Cosicché l’attività del privato può essere intrapresa e continuata solo se l’immobile è regolare sotto il profilo urbanistico-edilizio, con conseguente potere-dovere della P.A. di inibire l’attività non conforme, secondo un consolidato e condiviso indirizzo giurisprudenziale (cfr., per tutte, di recente Cons. Stato – Sez. VI, 23 ottobre 2015 n. 4880)”).

Nella specie, è di ostacolo all’ampliamento dell’attività il carattere abusivo dei pergolati, considerati nella relazione allegata alla s.c.i.a. del 18/1/2017, quali “apparati vegetali” adottati per esigenze di ombreggiamento, protezione e sistemazione paesaggistica-ambientale (cfr. doc. 7 della produzione del ricorrente), la cui realizzazione è stata constatata nell’accertamento della P.M. del 16/1/2017 e che sono oggetto della ricordata ordinanza di demolizione n. 26 del 9/2/2017 (non sospesa né tanto meno annullata, avverso la quale pende ricorso R.G. n. 1613 del 2017).

4. Conclusivamente, il ricorso va dunque parzialmente accolto, conseguendone l’annullamento dell’ordinanza impugnata, limitatamente alla parte relativa alla cessazione dell’attività per 18 posti auto.

Gli onorari e le spese di giudizio vanno compensate per l’intero tra le parti, attesa la reciproca soccombenza e, in ragione dell’accoglimento parziale, ponendo a carico del Comune resistente il rimborso in favore del ricorrente del contributo unificato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ”in parte qua”, come chiarito in motivazione e, per l’effetto, annulla nei suindicati limiti l’ordinanza del Dirigente V Settore Tecnico – Servizio SUAP n. 11 prot. n. 0002846/INT del 18/1/2017.

Compensa per l’intero gli onorari e le spese di giudizio, ponendo a carico del Comune di Pompei il rimborso in favore del ricorrente del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Donadono, Presidente
Gianmario Palliggiano, Consigliere
Giuseppe Esposito, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Giuseppe Esposito
        
IL PRESIDENTE
Fabio Donadono
        
        
IL SEGRETARIO

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