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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto sanitario Numero: 4127 | Data di udienza: 1 Giugno 2021

DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID 19 – Regione Campania – Imposizione dell’obbligo, per il personale scolastico, di sottoposizione a test sierologico o tampone – Ordinanza regionale contingibile e urgente – Illegittimità – Riserva di legge – Art. 33 l. n. 833/1978, art. 1 l. n. 180/1978, art. 32 Cost.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 16 Giugno 2021
Numero: 4127
Data di udienza: 1 Giugno 2021
Presidente: Abbruzzese
Estensore: Di Vita


Premassima

DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID 19 – Regione Campania – Imposizione dell’obbligo, per il personale scolastico, di sottoposizione a test sierologico o tampone – Ordinanza regionale contingibile e urgente – Illegittimità – Riserva di legge – Art. 33 l. n. 833/1978, art. 1 l. n. 180/1978, art. 32 Cost.



Massima

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 5^ – 16 giugno 2021, n. 4127

DIRITTO SANITARIO – EMERGENZA COVID 19 – Regione Campania – Imposizione dell’obbligo, per il personale scolastico, di sottoposizione a test sierologico o tampone – Ordinanza regionale contingibile e urgente – Illegititmità – Riserva di legge – Art. 33 l. n. 833/1978, art. 1 l. n. 180/1978, art. 32 Cost.

E’ illegittima la disposta obbligatorietà dello screening attuato mediante test sierologico e tampone, introdotta dalla ordinanza del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 70 dell’8.9.2020 in riferimento al personale scolastico docente e non docente; in materia di accertamenti e trattamenti sanitari (e tali sono indubbiamente i tamponi o i test sierologici, come descritti nella circolare del Ministero della Salute del 30.10.2020) non è sostenibile una imposizione con regolamentazione affidata a provvedimenti amministrativi, ostandovi la riserva di legge ai sensi dell’art. 1 della L. n. 180/1978, secondo cui “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”, dell’art. 33 della L. n. 833/1978, a tenore del quale “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”, dall’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”). Alla luce di tali previsioni, in assenza di contrarie previsioni legislative, resta in ogni caso subordinato al libero consenso dell’interessato l’accertamento sanitario tramite tampone o test sierologico.

Pres. Abbruzzese, Est. Di Vita – omissis (avv.ti Corporente e Becci) c. Regione Campania (avv.ti Bove e Consoli)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 5^ - 16 giugno 2021, n. 4127

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3307 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Marianna Corporente, Pietro Becci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto in Napoli, via T. Caravita, 10;

contro

Regione Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Almerina Bove, Massimo Consoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso l’Avvocatura Regionale, in Napoli, via S. Lucia, 81;

nei confronti

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11;

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 70 dell’8 settembre 2020 (pubblicata sul B.U.R.C. n. 173 in pari data), avente ad oggetto “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n.833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. Misure di prevenzione dei contagi in vista dell’avvio dell’anno scolastico”, nella parte in cui il Presidente della Regione Campania ha disposto l’obbligatorietà della sottoposizione a test sierologico e/o tampone per il personale scolastico, quale indefettibile misura di prevenzione sanitaria, finalizzata alla individuazione di eventuali casi di positività al virus in capo a soggetti asintomatici.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 1 giugno 2021 – svoltasi con le modalità di cui all’art. 25 del D.L. n. 137/2020 convertito dalla L. n. 176/2020, al D.L. n. 44/2021 e al D.P.C.S. del 28.12.2020 – il dott. Gianluca Di Vita e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato il 30.9.2020 e depositato in pari data, i soggetti in epigrafe, dirigenti scolastici, personale docente e collaboratori impiegati presso istituzioni scolastiche site nel territorio della Regione Campania, impugnavano l’ordinanza del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 70 dell’8.9.2020, pubblicata in pari data sul B.U.R.C. n. 173, avente ad oggetto “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n.833 in materia di igiene e sanità pubblica e dell’art. 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19. Misure di prevenzione dei contagi in vista dell’avvio dell’anno scolastico”.

In particolare, appuntavano le censure sulla previsione che, in vista dell’avvio dell’anno scolastico 2020/2021, fissato al 24.9.2020, e nel quadro dell’emergenza epidemiologica da Covid 19, imponeva al personale scolastico docente e non docente di sottoporsi al “test sierologico e/o tampone”, di esibire l’esito ai propri dirigenti scolastici (ovvero, per le scuole paritarie, al datore di lavoro) e, a questi ultimi, di raccogliere e segnalare alle AA.SS.LL. di riferimento della scuola i nominativi dei soggetti da sottoporre a screening nonché di verificare, antecedentemente all’avvio dell’anno scolastico, che tutto il personale fosse stato sottoposto al predetto monitoraggio, comminando, in caso di violazione, l’applicazione della sanzioni amministrative previste dall’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 19/2020, convertito con modificazioni dalla L. n. 35/2020, salvo che il fatto costituisse reato diverso da quello di cui all’art. 650 del codice penale.

A sostegno dell’ordinanza contingibile e urgente emessa ai sensi dell’art. 32 della L. n. 833/1978 e dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, la Regione adduceva la necessità di emanare misure precauzionali a tutela della sanità pubblica, tenuto conto del numero crescente di contagi registrati nel territorio campano, la maggior parte dei quali asintomatici o paucisintomatici, e dei gravi rischi connessi alla diffusione delle infezioni negli ambienti scolastici.

I ricorrenti affidavano il gravame ai profili di illegittimità di seguito compendiati:

1) nullità per difetto assoluto di attribuzione in relazione all’art. 117, comma 2, lett. m), q) e comma 3 della Costituzione, violazione degli artt. 3 e 32 della Costituzione: la Regione avrebbe imposto un accertamento sanitario obbligatorio invadendo una prerogativa riconosciuta al legislatore nazionale ai sensi dell’art. 32 della Costituzione ed in contrasto con l’art. 117 lett. q) della Costituzione, che attribuisce alla potestà legislativa statale esclusiva la materia della profilassi internazionale, in essa rientrando l’emergenza sanitaria pandemica, con conseguente nullità per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies della L. n. 241/1990 ovvero, in subordine, illegittimità del provvedimento;

2) violazione dell’art. 32 della L. n. 833/1978 e dell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, eccesso di potere per assenza dei presupposti di contingibilità ed urgenza: il Presidente della Regione non sarebbe competente ad adottare ordinanze contingibili e urgenti per far fronte a situazioni di pericolo in ambito sanitario che, sebbene presenti nella Regione, riguardano tutto il territorio nazionale, spettando in tal caso il relativo potere al Ministero della Sanità che, in vista dell’avvio dell’anno scolastico 2020/2021, ha previsto lo screening del personale scolastico con test sierologici esclusivamente su base volontaria (nota ministeriale prot. n. 8722 del 7.8.2020); inoltre, l’ordinanza sarebbe inficiata da carenza di istruttoria per insussistenza di un elevato grado di rischio di diffusione del virus, avendo conseguito la Regione Campania un indice di contagio (RT) di 0,80 cui corrisponde un grado “moderato”, il che renderebbe sproporzionata la misura sanitaria obbligatoria disposta;

3) violazione degli artt. 2, 3, 32, 97 della Costituzione, eccesso di potere per difetto di istruttoria: i test sierologici non sarebbero risolutivi per la diagnosi della patologia, in quanto l’eventuale assenza di anticorpi riscontrati dai predetti accertamenti non escluderebbe l’esistenza di una infezione in fase precoce; inoltre il provvedimento sarebbe inficiato da eccesso di potere per disparità di trattamento tra gli stessi operatori scolastici, in quanto individua come destinatari solo quelli che avrebbero dovuto prestare servizio entro il 24.9.2020 e non i successivi e, ancora, per violazione dei principi di proporzione e ragionevolezza giacché imporrebbe obblighi e restrizioni in misura superiore a quella strettamente necessaria per il raggiungimento degli scopi che l’amministrazione intende conseguire;

4) violazione dell’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020 convertito, con modifiche dalla L. n. 35/2020 in quanto, ai sensi della citata disposizione, la possibilità per le Regioni di introdurre misure ulteriormente restrittive in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi sul proprio territorio o in una parte di esso è prevista solo nelle more dell’adozione dei D.P.C.M. di cui all’art. 2, comma 1 del predetto decreto – legge e con efficacia limitata fino a tale momento; viceversa, i successivi D.P.C.M. del 30.4.2020 e del 7.9.2020 non avrebbero in alcun modo previsto lo screening obbligatorio a carico del personale scolastico.

Gli istanti concludevano con le richieste di accoglimento del ricorso e di conseguente declaratoria di nullità per difetto assoluto di attribuzione ovvero, in subordine, di annullamento per illegittimità del provvedimento impugnato.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri si costituiva in giudizio eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e depositando una relazione sui fatti di causa.

Resisteva in giudizio la Regione Campania che opponeva l’improcedibilità del ricorso in quanto l’efficacia della contestata misura regionale sarebbe cessata in seguito all’adozione del D.P.C.M. del 13.10.2020 recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35… recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»”.

Tanto in virtù dell’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020 (“Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”), secondo cui le Regioni possono introdurre misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte ai sensi dell’art. 1, comma 2, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario regionale o in parte di esso, nelle more dell’adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. n. 19/2020 “e con efficacia limitata fino a tale momento” (cfr. anche art. 1, comma 16, del D.L. n. 33/2020, convertito dalla L. n. 74/2020, in base al quale “…nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2 del decreto legge n. 19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2…”).

Ancora, la Regione assumeva la sopravvenuta carenza di interesse del gravame in quanto: I) la contestata misura imponeva la sottoposizione del personale scolastico a test sierologico e/o tampone in vista della ripresa dell’anno scolastico che è iniziato, per l’appunto, il 24.9.2020; pertanto la disciplina dettata dall’ordinanza risulterebbe “ampiamente superata dal naturale scorrere degli eventi, senza la necessità di alcun intervento dell’autorità giudiziaria”; II) con ordinanze n. 79/2020, n. 81/2020 e n. 89/2020 il Presidente della Regione Campania ha, rispettivamente, disposto la sospensione della c.d. “attività didattica in presenza” e confermato le misure di prevenzione disposte con altre ordinanze (n. 78 e n. 79), ma non quella in esame che, come lascia intendere la difesa regionale, dovrebbe ritenersi superata.

Con successiva memoria i ricorrenti replicavano alle eccezioni in rito.

Quanto alla dedotta inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza restrittiva regionale, conseguente alla emanazione del D.P.C.M. del 13.10.2020, evidenziavano che l’art. 2, comma 3, del D.L. n. 19/2020 fa salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base delle ordinanze emanate ai sensi del D.L. n. 6/2020, ovvero “ai sensi dell’articolo 32 della L. n. 833/1978” e, in ogni caso, l’ordinanza impugnata ha prodotto i propri effetti, tant’è che la relativa inosservanza ha dato luogo all’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di uno dei ricorrenti con invito, tra l’altro, rivolto al medesimo a “non avere contatti con gli alunni e tutto il personale scolastico in attesa del risultato del test sierologico al fine di tutelare la salute di tutta la comunità scolastica” (cfr. note dell’Istituto Comprensivo Statale “O. -OMISSIS-” del 1.10.2020 e del 28.9.2020).

Ribadivano, pertanto, la persistenza dell’interesse alla decisione del ricorso e sottolineavano che, con ordinanza n. 82 del 20.10.2020 (recante ad oggetto “Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n.833 …. Disposizioni in tema di attività didattiche- Limiti alla mobilità sul territorio regionale…”), la Regione avrebbe confermato tutte le precedenti disposizioni in materia scolastica, tra cui (implicitamente) anche quella in contestazione, con la conseguenza che i docenti inseriti nelle graduatorie provinciali per le supplenze, chiamati a prestare servizio nel corso dell’anno scolastico, sarebbero sottoposti all’obbligo di sottoporsi a test sierologico e/o tampone, come prescritto dalla gravata ordinanza regionale.

Il T.A.R. rigettava la domanda cautelare con ordinanza n. 2065 dell’11.11.2020 per carenza del periculum in mora ex art. 55 c.p.a., alla luce della sopravvenuta modalità scolastica di c.d. didattica a distanza disposta durante il periodo emergenziale.

Infine, all’udienza del 1.6.2021 svoltasi con modalità telematica secondo le sopraindicate disposizioni processuali emergenziali, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente non ha pregio l’eccezione di improcedibilità del ricorso in ragione della presunta inefficacia dell’impugnata ordinanza, da cui la difesa regionale fa discendere la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione ex art. 35, comma 1, lett. c) del c.p.a..

1.1. Il provvedimento regionale in esame è stato adottato nell’esercizio del potere attribuito alle Regioni, durante il periodo emergenziale connesso alla pandemia da Covid 19, dall’art. 3 comma 1 del D.L. n. 19 del 25.3.2020 (“Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”), convertito dalla L. n. 35 del 22.5.2020. In base a tale disposizione, le Regioni avrebbero potuto introdurre misure derogatorie rispetto a quelle di cui all’art. 1, comma 2, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario sul territorio regionale o in parte di esso, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. n. 19/2020 “e con efficacia limitata fino a tale momento” (art. 2, comma 2 citato); in altri termini, da tale disposizione si evince che i successivi D.P.C.M. (la Regione indica quello adottato il 13.10.2020) avrebbero rappresentato una condizione risolutiva di efficacia dei provvedimenti restrittivi regionali antecedentemente emanati.

Tuttavia, come evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, l’art. 2, comma 3, del D.L. n. 19/2020 fa comunque salvi gli effetti prodotti e gli atti adottati sulla base delle ordinanze regionali emanate “ai sensi dell’articolo 32 della L. n. 833/1978”, ribadendo quindi la perdurante efficacia del provvedimento di cui si controverte, adottato dal Presidente della Regione Campania nell’esercizio del potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti in materia di sanità pubblica con efficacia limitata al territorio regionale o in parte di questo.

A tale conclusione si perviene anche alla luce dell’art. 8 del D.P.C.M. del 10.4.2020 (“Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”) – anch’esso successivo al richiamato D.L. n. 19 del 25.3.2020 – secondo cui “Si continuano ad applicare le misure di contenimento più restrittive adottate dalle Regioni, anche d’intesa con il Ministro della salute, relativamente a specifiche aree del territorio regionale”. Anche tale previsione confuta l’argomentazione della difesa di parte resistente, escludendo in via generale una portata recessiva dei provvedimenti regionali adottati in subiecta materia in seguito all’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 2, comma 1, del D.L. n. 19/2020, ponendo una clausola di salvezza per il contenuto restrittivo delle ordinanze regionali che, ai sensi del citato decreto – legge, avrebbero dovuto essere in teoria disapplicate.

Ne consegue che non può ricavarsi dal delineato quadro normativo alcuna certezza in ordine alla sopravvenuta inefficacia del provvedimento impugnato.

1.2. Quanto alla mancata conferma espressa delle previsioni contenute nell’ordinanza impugnata da parte dei successivi provvedimenti regionali in materia scolastica e alla presunta inutilità di una pronuncia giurisdizionale ad anno scolastico già avviato (ed anzi, allo stato, pressoché concluso), giova evidenziare che non risulta che sia intervenuto alcun ritiro in autotutela dell’atto impugnato, per cui permane integro l’interesse di parte ricorrente, per quanto sopra detto, a conseguire un vaglio di legittimità da parte dell’adito Tribunale.

Nel periodo di vigenza l’ordinanza ha prodotto i suoi effetti, obbligando gli operatori scolastici a sottoporsi a test sierologici e/o tampone e la relativa inosservanza, da parte di uno dei ricorrenti, ha dato l’avvio ad un procedimento disciplinare (cfr. note dell’Istituto Comprensivo Statale “O. -OMISSIS-” del 1.10.2020 e del 28.9.2020); l’ordinanza n. 70/2020 ha, quindi, prodotto effetti pregiudizievoli, laddove la sua richiesta rimozione eliminerebbe in radice la contestata illegittimità della condotta che ha originato l’avvio del procedimento disciplinare, con conseguente persistenza dell’interesse alla decisione sull’esperito rimedio processuale.

1.3. Non sussistono dunque i presupposti per una declaratoria di improcedibilità ex art. 35, comma 1, lett. c) del c.p.a. la quale, come noto, deve basarsi su un certo e inequivocabile sopraggiunto difetto d’interesse, qualora il processo non possa per qualsiasi motivo produrre un risultato utile per la parte ricorrente, in quanto la decisione di annullamento del provvedimento impugnato non potrebbe più garantirle alcuna utilità, neppure meramente strumentale o morale. Sul punto, la giurisprudenza ha specificato che la dichiarazione di improcedibilità della domanda per sopravvenuta mancanza di interesse implica una situazione di fatto o di diritto nuova – non ravvisabile nel caso in esame – tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno per il ricorrente l’utilità della pronuncia del giudice (Consiglio di Stato, Sezione III, n. 6228/2020, n. 5785/2020, n. 5609/2020).

2. E’ viceversa fondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Difatti, alla predetta amministrazione non è imputabile la gravata attività provvedimentale che è unicamente riferibile alla Regione Campania.

Neppure può riconoscersi la qualità di soggetto controinteressato ex art. 41, comma 2, del c.p.a. che, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, richiede la sussistenza di due elementi, entrambi necessari: l’elemento sostanziale, derivante dall’esistenza di un interesse legittimo uguale e contrario a quello fatto valere attraverso l’azione impugnatoria, e quello formale, rappresentato dalla contemplazione nominativa del soggetto nel provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5052/2020).

Ebbene, nel caso specifico non si ravvisa il c.d. “elemento sostanziale”, per insussistenza di un interesse concreto ed attuale della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla conservazione degli effetti del provvedimento regionale.

3. Nel merito, il ricorso è fondato.

Giova, al riguardo, ricostruire sinteticamente il quadro normativo rilevante ratione temporis.

4. L’art. 1 del D.L. n. 19/2020 prevede che, allo scopo di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus Covid 19, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate una o più misure, tra quelle di cui al comma 2, per periodi predeterminati, reiterabili e rinnovabili fino al termine dello stato di emergenza, con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico, da esercitare nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente.

Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di emanare tali misure con uno o più decreti, su proposta del Ministro della Salute, sentiti il Ministro dell’Interno, il Ministro della Difesa, il Ministro dell’Economia e delle Finanze e gli altri ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una Regione o alcune specifiche Regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui interessino l’intero territorio nazionale.

5. Come anticipato, l’ordinanza impugnata è stata adottata nella vigenza dell’art. 3 del D.L. n. 19/2020, convertito dalla L. n. 35/2020 – recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid 19 che – rimodulando in parte le misure già contemplate dai precedenti provvedimenti adottati in attuazione del precedente D.L. n. 6/2020 convertito dalla L. n. 13/2020 – ha:

– inteso attrarre allo strumento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e all’esito del procedimento delineato dal comma 1 dell’art. 2, la competenza all’adozione delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid 19;

– rimesso alle Regioni esclusivamente l’adozione di eventuali misure interinali “ulteriormente restrittive” ricomprese tra quelle di cui all’art. 2, comma 1, che si rendano necessarie e siano giustificate da specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario a livello locale, su cui possono provvedere, tuttavia, soltanto in via di urgenza e nelle more dell’adozione dei nuovi D.P.C.M. in materia.

Detto articolo 3 disponeva infatti che: “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle attualmente vigenti, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale”.

6. La disposizione riconosceva dunque un’autonoma competenza ai Presidenti delle Regioni, ma solo al ricorrere di specifiche condizioni (Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 735/2020), stabilendo che detto potere interinale potesse essere esercitato solo in presenza di specifici presupposti, segnatamente:

– entro il perimetro delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica di cui all’art. 1, comma 2, del citato decreto – legge, attribuite in via ordinaria alla competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri all’esito del procedimento delineato dall’art. 2, comma 1 e, come si è visto, solo provvisoriamente assegnate alle Regioni;

– “in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”, quindi tenendo conto di circoscritti profili di criticità locali, estesi al territorio regionale o ad una parte di esso;

– “nell’ambito delle attività di loro competenza” (legislativa e regolamentare degli enti regionali) e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.

7. Tali previsioni sono state sostanzialmente confermate dal successivo D.L. n. 33 del 16.5.2020, convertito dalla L. n. 74/2020 (cfr. art. 1, comma 16, secondo cui: “In relazione all’andamento della situazione epidemiologica sul territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020, e sue eventuali modificazioni, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, la Regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie restrittive rispetto a quelle disposte ai sensi del medesimo articolo 2, ovvero, nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai citati decreti e d’intesa con il Ministro della salute, anche ampliative”).

In particolare, in tale successivo decreto risultano confermate: a) la natura interinale del potere di ordinanza regionale, da esercitarsi quindi nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri; b) la delimitazione delle misure applicabili in senso restrittivo dalle Regioni, circoscritte a quelle di cui all’art. 2 del D.L. n. 19/2020 (che, a sua volta, richiama l’art. 1 del medesimo decreto); c) la specifica considerazione, quanto ai presupposti di esercizio delle attribuzioni regionali, dell’andamento dell’epidemia sul territorio regionale o infraregionale.

Giova evidenziare che, a differenza del precedente decreto – legge, il D.L. n. 33/2020 consente alle Regioni anche l’adozione di misure di diversificazione “ampliative” (nei soli casi e nel rispetto dei criteri previsti dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri e d’intesa con il Ministro della Salute) e, per quanto rileva nel presente giudizio, non prevede un esplicito riferimento alla perimetrazione della regolamentazione regionale “nell’ambito delle attività di loro competenza” così come previsto nel D.L. n. 19/2020; tuttavia, tale espunzione non appare invero decisiva, risultando evidentemente circoscritto il potere attribuito al rispetto della competenza costituzionale accordata alle Regioni.

8. Ulteriore elemento innovativo del D.L. n. 33/2020 è poi costituito dall’attribuzione in via esclusiva al potere regolamentare del Presidente del Consiglio dei Ministri, da esercitare tramite D.P.C.M., della disciplina relativa alle attività scolastiche, didattiche e formative, alle quali è dedicata una specifica previsione.

Difatti, l’art. 1, comma 13, del D.L. n. 33/2020 dispone che “Le attività dei servizi educativi per l’infanzia di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 65, e le attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché la frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, comprese le Università e le Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica, di corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani, nonché i corsi professionali e le attività formative svolte da altri enti pubblici, anche territoriali e locali e da soggetti privati, sono svolte con modalità definite con provvedimento adottato ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020”.

In relazione all’attività scolastica e di formazione universitaria e professionale, quindi, il D.L. n. 33/2020 non prevede una potestà derogatoria – in senso restrittivo o ampliativo – delle Regioni, trattandosi di materia interamente riservata a regolamentazione tramite D.P.C.M.; tale conclusione risulta peraltro corroborata dalla considerazione che il legislatore, come si è visto, vi ha dedicato autonoma previsione (comma 13).

9. Ebbene, nella fattispecie in trattazione difettano i presupposti ai quali il legislatore nazionale ha subordinato l’esercizio del descritto potere regionale.

9.1. Quanto al primo profilo (“misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle attualmente vigenti, tra quelle di cui all’articolo 1, comma 2” di cui al D.L. n. 19/2020) mette conto evidenziare che la sottoposizione a screening obbligatorio del personale scolastico docente e non docente e, più in generale, l’imposizione di accertamenti sanitari non figurano tra le prescrizioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.L. n. 19/2020 che, secondo la richiamata disposizione, avrebbero potuto essere “aggravate” dalle Regioni; tanto, si aggiunge, coerentemente con l’afferenza della materia, per i motivi che si illustreranno in seguito, alla potestà legislativa dello Stato; si aggiunga che, dall’esame dell’atto impugnato, non emerge una diversa ricostruzione ermeneutica da parte dell’amministrazione regionale che non ha ricondotto la contestata misura ad alcuna delle fattispecie delineate dal richiamato art. 1, comma 2 (es. limitazione circolazione persone, chiusura strade, interventi su eventi e manifestazioni culturali, sportive e religiose, trasporti, sospensione dei servizi scolastici e della presenza negli uffici pubblici, regolazione di attività commerciali, imprenditoriali e professionali, etc.).

9.2. Quanto al secondo presupposto (che, per l’esercizio del potere regionale, richiede la sussistenza di “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso”), occorre registrare l’assenza di puntuali e documentati riferimenti al quadro istruttorio sotteso all’impugnata attività provvedimentale, specie tenuto conto dell’orientamento espresso in materia dal Consiglio di Stato (Sez. I, parere n. 735/2020), secondo cui tali situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel territorio regionale in una parte di esso, “in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate”.

Sul punto, il provvedimento regionale è affetto da carenza di motivazione e di istruttoria, non risultando adeguatamente esplicitati e comprovati i dati scientifici sui quali si fonda il dichiarato “sensibile incremento” sul territorio regionale “dei casi di positività al virus, per lo più connesso a soggetti asintomatici o paucisintomatici”.

9.3. Si tratta di vizi che inficiano la legittimità dell’ordinanza, nonostante l’applicazione del principio di precauzione che, in teoria, potrebbe essere invocato per la necessità di una scelta maggiormente cautelativa in grado di “prevenire e limitare eventuali focolai in ambiente scolastico, che avrebbero gravissime ripercussioni sulla salute pubblica e sulle attività formative e scolastiche” (cfr. ordinanza impugnata).

Posta la differenza concettuale che intercorre tra precauzione (limitazione di rischi ipotetici o basati su indizi) e prevenzione (limitazione di rischi oggettivi e provati), il principio di precauzione, dettato in primis dall’art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in materia ambientale, e a seguire recepito da ulteriori fonti comunitarie e dai singoli ordinamenti nazionali (artt. 3 ter e 301 del Codice dell’Ambiente) che ne hanno riconosciuto la valenza generale (richiamato nel diritto amministrativo italiano dall’art. 1 della L. n. 241/1990 per il tramite del rinvio ai principi dell’ordinamento comunitario), fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di scongiurare i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, senza dover attendere che siano pienamente dimostrate l’effettiva esistenza e la gravità di tali rischi e prima che subentrino più avanzate e risolutive tecniche di contrasto (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6655/2019).

L’attuazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5525/2014; Sez. V, n. 2495/2015).

Peraltro, la Comunicazione della Commissione Europea del 2 febbraio 2000 ha fornito indirizzi in merito alle condizioni di applicazione del principio di precauzione, individuandole nelle due seguenti: a) la sussistenza di indicazioni ricavate da una valutazione scientifica oggettiva che consentano di dedurre ragionevolmente l’esistenza di un rischio per l’ambiente o la salute umana; b) una situazione di incertezza scientifica oggettiva che riguardi l’entità o la gestione del rischio, tale per cui non possano determinarsene con esattezza la portata e gli effetti.

Nella prospettiva della Commissione Europea, l’azione precauzionale è pertanto giustificata solo quando vi sia stata l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi (rischio) sulla base di dati scientifici, seri, oggettivi e disponibili, nonché di un ragionamento rigorosamente logico e, tuttavia, permanga un’ampia incertezza scientifica sulla “portata” del suddetto rischio (par. 5.1.3).

La Commissione Europea ha poi aggiunto che “Nel caso in cui si ritenga necessario agire, le misure basate sul principio di precauzione dovrebbero essere, tra l’altro: – proporzionali rispetto al livello prescelto di protezione, – non discriminatorie nella loro applicazione, – coerenti con misure analoghe già adottate, – basate su un esame dei potenziali vantaggi e oneri dell’azione o dell’inazione (compresa, ove ciò sia possibile e adeguato, un’analisi economica costi/benefici), – soggette a revisione, alla luce dei nuovi dati scientifici, e – in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio” (par. 6).

In linea con tale indirizzo, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo il segnalato percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate, presuppone l’esistenza di un “rischio specifico” all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 6655/2019; Sez. IV, n. 1240/2018; Cons. Giust. Amm. Sicilia, n. 581/2015).

Ebbene, l’ordinanza n. 70 si discosta da tali principi; infatti non specifica quali dati statistici ed epidemiologici o evidenze scientifiche siano stati utilizzati per corroborare l’avversata scelta amministrativa; viceversa, l’unico parametro riportato in ordine alla potenziale trasmissibilità della malattia infettiva (rischio di contagio “moderato”, con RT puntuale di 0,80 di cui al Report definitivo di Monitoraggio Fase 2 – per il periodo 24-30 agosto 2020) non appare coerente con l’enunciato quadro generale di aggravamento del rischio sanitario che ha condotto alla pratica obbligatoria di screening, non prevista dalla legislazione nazionale.

9.4. Difetta anche l’ulteriore condizione di esercizio del potere delle Regioni, legislativamente perimetrato, come si è visto, “nell’ambito delle attività di loro competenza”.

Al riguardo, non può dubitarsi che l’ordinanza in esame intersechi una pluralità di materie, alcune delle quali anche di competenza concorrente regionale, come la tutela della salute e l’istruzione; nondimeno, debbono ritenersi chiaramente prevalenti i profili ascrivibili alle competenze legislative dello Stato, con specifico riferimento ai principi fondamentali in materia di tutela della salute (art. 117, comma 3, della Costituzione), ai livelli essenziali di assistenza (art. 117, comma 2, lett. ‘m’), alla profilassi internazionale (art. 117, comma 2, lett. ‘q’) e alle norme generali sull’istruzione (art. 117, comma 2, lett. ‘n’).

9.5. Quanto alla tutela della salute, la Corte Costituzionale (sentenza n. 5/2018) ha chiarito che il diritto della persona di essere curata efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica, di essere rispettata nella propria integrità fisica e psichica (Corte Costituzionale, n. 169/2017, n. 282/2002, n. 338/2003) deve essere garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese, attraverso una legislazione generale dello Stato basata sugli indirizzi condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.

Ebbene, tale principio vale non solo per le scelte dirette a limitare o a vietare determinate terapie o trattamenti sanitari, ma anche per l’imposizione di altri. Se è vero che il confine tra le terapie ammesse e terapie non ammesse, sulla base delle acquisizioni scientifiche e sperimentali, è determinazione che investe direttamente e necessariamente i principi fondamentali della materia (Corte Costituzionale, n. 169/2017), a maggior ragione, e anche per ragioni di eguaglianza, deve essere riservato allo Stato – ai sensi dell’art. 117, comma 3, Costituzione – il compito di qualificare come obbligatorio un determinato accertamento o trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili.

9.6. Nella specie, poi, la profilassi per la prevenzione della diffusione delle malattie infettive richiede necessariamente l’adozione di misure omogenee su tutto il territorio nazionale.

Pertanto, ragioni logiche, prima che giuridiche, rendono necessario un intervento del legislatore statale e le Regioni sono vincolate a rispettare ogni previsione contenuta nella normativa statale, incluse quelle che, sebbene a contenuto specifico e dettagliato, per la finalità perseguita si pongono in rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione con i principi di settore (Corte Costituzionale, n. 192/2017, n. 301/2013, n. 79/2012, n. 108/2010).

9.7. Viene poi in rilievo anche la competenza legislativa statale in materia di “profilassi internazionale” di cui all’art. 117, comma 2 lett. q), della Costituzione, nella misura in cui le norme in questione servono a garantire uniformità anche nell’attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in sede internazionale e sovranazionale connesse alla emergenza pandemica (Corte Costituzionale, n. 5/2018 in materia di vaccinazione obbligatoria).

Viceversa, la scelta regionale sulla obbligatorietà dello screening si discosta dalle indicazioni ministeriali, peraltro espressamente richiamate nel provvedimento gravato (nota del Ministero della Salute del 7 agosto 2020 prot. 8722), che fornivano indirizzi operativi per l’effettuazione su base esclusivamente volontaria dei test sierologici sul personale docente e non docente delle scuole private e pubbliche di tutto il territorio nazionale.

9.8. Ancora, se il dichiarato obiettivo è quello di garantire che la frequenza scolastica avvenga in condizioni sicure per la salute degli alunni e del personale docente e non docente, la materia potrebbe rientrare tra le “norme generali sull’istruzione” (art. 117, secondo comma, lett. ‘n’ della Costituzione), venendo ad incidere sul complessivo assetto organizzativo del sistema scolastico (Corte Costituzionale, n. 284/2016, n. 62/2013, n. 279/2012), ricadendo ancora una volta nella potestà del legislatore statale.

Peraltro si è visto che, ai sensi dell’art. 1, comma 13, del D.L. n. 33/2020, la disciplina dell’attività scolastica nel periodo emergenziale è stata attribuita in via esclusiva allo strumento del D.P.C.M. previsto dall’art. 2 del D.L. n. 19/2020, con esclusione del potere derogatorio delle Regioni, tanto meno in senso restrittivo.

Dinanzi a un intervento fondato su tali e tanti titoli di competenza legislativa dello Stato, le attribuzioni regionali recedono, dovendosi peraltro rilevare che esse continuano a trovare altri spazi non indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo all’organizzazione dei servizi sanitari e all’identificazione degli organi competenti a verificare e sanzionare eventuali violazioni.

10. Riguardo poi alla disposta obbligatorietà dello screening attuato mediante test sierologico e tampone, va evidenziato che si tratta certamente di accertamenti diagnostici; infatti, come descritto nella circolare del Ministero della Salute del 30.10.2020 (“Test di laboratorio per SARS-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”), tali strumenti sono volti, rispettivamente, a rilevare l’esposizione al virus SARS-CoV-2, evidenziando la presenza di eventuali anticorpi, pur non potendo tuttavia confermare o meno una infezione in atto (test sierologico), ovvero consentono di verificare, mediante tampone naso/oro-faringeo, la presenza di materiale genetico (Rna) del virus e quindi di diagnosticare l’infezione in atto; come riportato nella circolare, tali esami diagnostici vanno sviluppati in laboratori specializzati con operatori esperti (tampone molecolare) o, ancora, accertano la presenza del virus non tramite il suo acido nucleico ma tramite le sue proteine c.d. “antigeni” (test antigenico rapido).

11. Ebbene, in materia di accertamenti e trattamenti sanitari non è sostenibile una imposizione con regolamentazione affidata a provvedimenti amministrativi, ostandovi la riserva di legge ai sensi:

– dell’art. 1 della L. n. 180/1978, secondo cui “Gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”;

– dell’art. 33 della L. n. 833/1978, a tenore del quale “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l’articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”;

– all’art. 32 della Costituzione (“Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”).

Alla luce di tali previsioni, in assenza di contrarie previsioni legislative, resta in ogni caso subordinato al libero consenso dell’interessato l’accertamento sanitario tramite tampone o test sierologico.

12. L’ordinanza n. 70/2020 ha quindi travalicato la sfera delle competenze regionali; va anche precisato, coerentemente con il precedente evocato dai ricorrenti (T.A.R. Calabria, Catanzaro, n. 1462/2020), che non si è in presenza di un provvedimento emesso in assenza assoluta di attribuzione e, come tale, affetto da nullità ai sensi dell’art. 21 septies della L. n. 241/1990.

Infatti, l’atto emanato dal Presidente della Giunta Regionale è volto alla tutela della sanità pubblica, a cui sono finalizzati i poteri che l’art. 32, comma 3, della L. n. 833/1978 gli attribuisce. Dunque, non è predicabile la carenza in assoluto del potere esercitato, ma si versa in un’ipotesi di illegittimità per i profili già scrutinati e per non aver tenuto conto della riserva di legge che copre gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori.

13. Quanto alla riconducibilità dell’ordinanza al potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti disciplinato dall’art. 32 della L. n. 833/1978 valgano le seguenti considerazioni.

La citata disposizione prevede che “il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni” e “Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile e urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale”.

Tuttavia, in materia di gestione dell’emergenza connessa al diffondersi del Covid 19, il potere regionale delineato dall’art. 32 è stato limitato e conformato, quanto ai relativi presupposti, limiti e oggetto, dalla sopravvenuta e speciale normativa di pari rango primario contenuta nell’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020; tanto risulta espressamente confermato dall’art. 3, comma 3, del medesimo decreto, ove si chiarisce che “Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”.

Ne consegue che, anche ascrivendo il provvedimento impugnato alla previsione di cui alla L. n. 833/1978, in ogni caso la legittimità va scrutinata in relazione ai presupposti e a i limiti delineati dall’art. 3, comma 1, del D.L. n. 19/2020 che, come si è visto, non risultano rispettati.

Sotto distinto profilo, benché l’art. 32 attribuisca tale competenza (anche) al Presidente della Giunta Regionale in materia di sanità pubblica, tale disposizione deve essere coordinata con le previsioni contenute:

– nell’art. 117 del D.Lgs. n. 112/1998, secondo cui “In caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. 2. In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del comma 1”;

– nell’art. 50 del D. Lgs. n. 267/2000, a tenore del quale “… in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale…. Negli altri casi l’adozione dei provvedimenti d’urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell’emergenza e dell’eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali…In caso di emergenza che interessi il territorio di più comuni, ogni sindaco adotta le misure necessarie fino a quando non intervengano i soggetti competenti ai sensi del precedente comma”.

Come è evidente, tali norme prevedono che i poteri di ordinanza contingibile e urgente – comunale, regionale o statale – possano essere esercitati “in ragione della dimensione dell’emergenza”.

Pertanto, ove la suddetta dimensione abbia valenza infraregionale (e comunque sovracomunale), il Presidente della Regione interessata risulterà legittimato ad intervenire; laddove, viceversa, la dimensione assuma quanto meno portata ultraregionale se non addirittura nazionale (come nel caso della nota emergenza pandemica) la competenza ad adottare simili provvedimenti di urgenza non potrà che essere riservata al centro di imputazione ministeriale. Diversamente opinando, si darebbe luogo ad una inversione del meccanismo della c.d. “attrazione in sussidiarietà” che il nostro ordinamento tuttavia non ammette nei termini sopra descritti; in altri termini, la Regione eserciterebbe infatti una competenza statale per risolvere problemi regionali, laddove di solito è lo Stato centrale ad “attrarre” competenze regionali per affrontare questioni di livello nazionale (T.A.R. Lazio, Roma, n. 10047/2020).

14. In conclusione, richiamate le considerazioni svolte in rito e nel merito e ribadita l’illegittimità dell’impugnato provvedimento, il Tribunale così provvede:

– dispone l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

– accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’ordinanza del Presidente della Regione Campania n. 70/2020.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3225/2017; n. 3229/2017; Cassazione civile, Sez. V, n. 7663/2012). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

15. In applicazione del criterio della soccombenza di cui all’art. 26 c.p.a. e all’art. 91 c.p.c., la Regione Campania va condannata al pagamento delle spese di giudizio in favore dei ricorrenti nella misura indicata in dispositivo; quanto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la estraneità ai fatti di causa giustifica la compensazione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, così provvede:

– dispone l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

– accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna la Regione Campania al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente che liquida in € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.

Compensa le spese di giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 1 giugno 2021 – svoltasi con le modalità di cui all’art. 25 del D.L. n. 137/2020 convertito dalla L. n. 176/2020, al D.L. n. 44/2021 e al D.P.C.S. del 28.12.2020 – con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente

Gianluca Di Vita, Consigliere, Estensore

Maria Grazia D’Alterio, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Gianluca Di Vita

IL PRESIDENTE
Maria Abbruzzese

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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