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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 5575 | Data di udienza: 22 Maggio 2018

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Annullamento d’ufficio – Art. 21 nonies, c. 1 l. n. 241/1990 – Termine di 18 mesi – Applicabilità alla DIA – Atti adottati anteriormente alla novella ci cui alla l. n. 124/2015 – Decorrenza del termine – Operatività del “termine ragionevole” – Sforamento – Motivazione rafforzata – Contrasto tra planimetrie/grafici e relazioni descrittive di un piano o di un titolo edilizio – Preminenza – Individuazione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 24 Settembre 2018
Numero: 5575
Data di udienza: 22 Maggio 2018
Presidente: Pennetti
Estensore: Dell'Olio


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Annullamento d’ufficio – Art. 21 nonies, c. 1 l. n. 241/1990 – Termine di 18 mesi – Applicabilità alla DIA – Atti adottati anteriormente alla novella ci cui alla l. n. 124/2015 – Decorrenza del termine – Operatività del “termine ragionevole” – Sforamento – Motivazione rafforzata – Contrasto tra planimetrie/grafici e relazioni descrittive di un piano o di un titolo edilizio – Preminenza – Individuazione.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 2^ – 24 settembre 2018, n. 5575


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Annullamento d’ufficio – Art. 21 nonies, c. 1 l. n. 241/1990 – Termine di 18 mesi – Applicabilità alla DIA – Atti adottati anteriormente alla novella ci cui alla l. n. 124/2015 – Decorrenza del termine – Operatività del “termine ragionevole” – Sforamento – Motivazione rafforzata.

Il termine ridotto di 18 mesi, previsto dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 per l’annullamento d’ufficio, si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA; rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28 agosto 2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V, 19 gennaio 2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 agosto 2016 n. 3762). Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Contrasto tra planimetrie/grafici e relazioni descrittive di un piano o di un titolo edilizio – Preminenza – Individuazione.

Nel caso di contrasto tra planimetrie/grafici e relazioni descrittive di un piano o di un titolo edilizio, deve essere accordata preminenza ai primi, dal momento che la volontà precettiva dell’amministrazione deve intendersi racchiusa nella planimetria o nel grafico, che fissano le caratteristiche tecniche dell’intervento pianificatorio o edilizio progettato, mentre la relazione descrittiva riveste solo funzione illustrativa ed integrativa dell’opera da realizzare, perché possa essere correttamente eseguita (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 4 maggio 1994 n. 4280; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 1966 n. 563 e 26 maggio 1962 n. 460).

Pres. Pennetti, Est. Dell’Olio – F. s.r.l. (avv. Ceceri) c. Comune di Arzano (avv. Furno)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 2^ – 24 settembre 2018, n. 5575

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 2^ – 24 settembre 2018, n. 5575

Pubblicato il 24/09/2018

N. 05575/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03112/2017 REG.RIC
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3112 del 2017, proposto da
FAMILY S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Ceceri, presso il cui studio in Napoli alla Riviera di Chiaia n. 207 è elettivamente domiciliata;

contro

COMUNE DI ARZANO, rappresentato e difeso dall’Avv. Erik Furno, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli alla Via Cesario Console n. 3;

nei confronti

DAGI IMMOBILIARE S.a.s., non costituita in giudizio;

per l’annullamento

a) della disposizione dirigenziale del Comune di Arzano prot. n. 16082 del 16 giugno 2017, con la quale è stato determinato l’annullamento in autotutela degli effetti della DIA presentata dalla DAGI Immobiliare S.a.s. il 19 dicembre 2002, con conseguente caducazione del certificato di agibilità n. 3/2004, in relazione ad un immobile ubicato in Arzano alla Via Benedetto Croce n. 38;

b) della disposizione dirigenziale del Comune di Arzano prot. n. 16669 del 23 giugno 2017, con la quale, attesa la mancanza di conformità urbanistico-edilizia del suddetto immobile, è stata annullata in autotutela l’autorizzazione alberghiera n. 1/2004 rilasciata alla DAGI Immobiliare S.a.s.;

c) della nota dirigenziale del Comune di Arzano prot. n. 16605 del 22 giugno 2017, recante l’archiviazione dell’istanza di accesso agli atti;

d) della nota della Commissione Straordinaria del Comune di Arzano prot. n. 10828 del 25 maggio 2015;

e) della diffida della Polizia Municipale prot. n. 3211 del 10 luglio 2017, finalizzata ad ottenere la liberazione dell’immobile;

f) di tutti gli atti presupposti ai predetti atti ovvero in essi menzionati.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 maggio 2018 il dott. Carlo Dell’Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società ricorrente espone di occupare un immobile ad uso alberghiero ubicato in Arzano alla Via Benedetto Croce n. 38, che le è stato concesso in comodato d’uso dalla proprietaria DAGI Immobiliare S.a.s., insieme alle relative licenze ed autorizzazioni, per finalità di accoglienza di migranti richiedenti asilo.

In data 19 dicembre 2002, a fronte della sua originaria destinazione residenziale, la DAGI Immobiliare presentava presso il Comune di Arzano una DIA avente ad oggetto opere di risistemazione interna ed esterna dell’immobile, che ne comportavano la trasformazione in complesso alberghiero.

Seguivano il rilascio, ad opera dell’amministrazione comunale, del certificato di agibilità n. 3/2004, nel quale si dava atto della mutata destinazione d’uso da struttura residenziale in struttura ricettiva, e dell’autorizzazione alberghiera n. 1/2004.

1.1 Con disposizione dirigenziale prot. n. 16082 del 16 giugno 2017, il Comune di Arzano si è determinato ad annullare in autotutela gli effetti della suddetta DIA, statuendo la conseguente caducazione del certificato di agibilità n. 3/2004.

Con successiva disposizione dirigenziale prot. n. 16669 del 23 giugno 2017, il medesimo ente, attesa la mancanza di conformità urbanistico-edilizia dell’immobile, ha annullato in autotutela anche l’autorizzazione alberghiera n. 1/2004.

La ricorrente impugna entrambe le citate disposizioni dirigenziali e gli altri atti confluiti nella serie procedimentale, meglio specificati in epigrafe, ritenendo illegittimo l’intervento in autotutela posto in essere dall’amministrazione comunale.

Il Comune di Arzano eccepisce nei suoi scritti difensivi l’infondatezza del ricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria di replica a sostegno delle sue ragioni.

L’istanza cautelare è stata accolta con ordinanza n. 1275 del 13 settembre 2017.

L’intimata DAGI Immobiliare non si è costituita.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 22 maggio 2018.

2. Si rileva, in via preliminare, che gli unici provvedimenti passibili di cognizione sono le disposizioni dirigenziali prot. n. 16082 del 16 giugno 2017 e prot. n. 16669 del 23 giugno 2017, dal momento che sui rimanenti atti gravati, ossia sulla nota dirigenziale prot. n. 16605 del 22 giugno 2017, sulla nota della Commissione Straordinaria prot. n. 10828 del 25 maggio 2015 e sulla diffida della Polizia Municipale prot. n. 3211 del 10 luglio 2017, non può intervenire alcuna pronuncia di merito, essendo le relative impugnative improcedibili o inammissibili per le ragioni che si andranno di seguito ad esporre con riguardo ad ogni singola determinazione: i) nota dirigenziale prot. n. 16605 del 22 giugno 2017: improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, non residuando in capo alla ricorrente alcuna utilità a contestare l’avversato diniego di accesso agli atti a seguito dell’annullamento dei gravati provvedimenti di autotutela disposto nel prosieguo della trattazione; ii) nota della Commissione Straordinaria prot. n. 10828 del 25 maggio 2015: inammissibilità per genericità, non essendo state mosse specifiche censure avverso tale atto; iii) diffida della Polizia Municipale prot. n. 3211 del 10 luglio 2017: inammissibilità per carenza di legittimazione attiva, essendo esclusiva destinataria di tale atto la DAGI Immobiliare. Ad ogni modo, l’impugnativa è inammissibile anche per carenza di interesse, dal momento che la diffida non ha valore immediatamente lesivo, trattandosi soltanto di un invito a provvedere con modalità prefissate (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 3 dicembre 2015 n. 5480; TAR Lazio Roma, Sez. III, 9 maggio 2016 n. 5365).

3. Perimetrato l’ambito del giudizio alle sole disposizioni dirigenziali indicate al paragrafo precedente, il Collegio può passare allo scrutinio del merito della causa, principiando dall’esame delle doglianze rivolte avverso il provvedimento di autotutela prot. n. 16082/2017.

3.1 Prima, però, di procedere all’analisi delle contestazioni attoree, giova ripercorrere i punti salienti del corredo motivazionale posto dall’amministrazione alla base della decisione di annullare gli effetti della DIA del 19 dicembre 2002.

In sintesi, le ragioni dell’autoannullamento possono essere così riassunte:

a) la DIA è stata assentita sulla scorta della seguente falsa rappresentazione dei fatti: a1) vi è incongruenza tra parte analitica e parte grafica della documentazione progettuale. Infatti, mentre nella prima si fa riferimento ad un immobile ad uso residenziale e alla circostanza che le opere non avrebbero comportato alcuna modifica di destinazione d’uso, nella seconda si descrive invece un fabbricato avente una chiara destinazione alberghiera; a2) analoga incongruenza si coglie con riguardo ai dati volumetrici. Difatti, mentre nella parte analitica si rappresenta che gli interventi non avrebbero determinato alterazioni della volumetria già assentita con la precedente concessione edilizia in sanatoria n. 1/2002, nella parte grafica “viene aumentata la volumetria interna dell’edificio cambiando conseguentemente il prospetto esterno poiché l’altezza interna del piano terra varia (da) 3.30 a mt 4,50”;

b) la DIA non costituisce il titolo edilizio adatto per autorizzare cambi di destinazioni d’uso tra categorie funzionalmente autonome o aumenti volumetrici dell’edificato esistente;

c) non risultano calcolati né corrisposti gli oneri concessori indispensabili per consentire il mutamento funzionale in struttura alberghiera;

d) sussiste l’interesse pubblico all’annullamento in quanto la DIA implica “un aggravio del carico urbanistico ed una totale mancata previsione degli standard a tutela della vivibilità dei cittadini”.

4. Ebbene, con una pregnante censura, la ricorrente stigmatizza la tardività del provvedimento di autotutela, intervenuto a distanza di 15 anni dal perfezionamento della DIA e, quindi, oltre il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015, e comunque ben dopo il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, in violazione della tempistica fissata dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.

La censura, così come formulata, non convince.

L’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 così recita (per la parte di odierno interesse): “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (periodo introdotto dalla legge n. 124/2015, ndr.), inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.

Orbene, è sicuramente vero, in virtù di ormai consolidati orientamenti, che il termine ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (come quello di specie), il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28 agosto 2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 luglio 2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V, 19 gennaio 2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31 agosto 2016 n. 3762).

E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento di autotutela in questione è intervenuto abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al termine ordinario di prescrizione.

Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.

Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio in materia di autotutela in ambito edilizio (sentenza n. 8 del 17 ottobre 2017), perfettamente estensibile al caso di specie, il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto. Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale” (nello stesso senso cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3462/2017 cit.).

In definitiva, proprio facendo tesoro del superiore insegnamento, si deve concludere che la violazione della tempistica di intervento prevista dalla disposizione legislativa in commento non costituisce di per sé causa di illegittimità del provvedimento di annullamento in autotutela.

5. Con altra censura, meglio sviluppata nei successivi scritti difensivi, la società ricorrente denuncia la carenza di istruttoria in cui sarebbe incorsa l’amministrazione nel qualificare la DIA come atto fondato su una falsa rappresentazione dei fatti, giacché, a suo dire, in entrambi i casi rilevati (cambio di destinazione d’uso e maggiore volumetria) non si tratterebbe di una falsa rappresentazione ma, al più, di un contrasto tra parte analitica e parte grafica del titolo edilizio. Ad ogni modo, secondo la sua prospettazione, nemmeno sarebbe individuabile un contrasto, e ciò per le due seguenti ragioni: 1) quanto alla destinazione d’uso alberghiera, essa era chiaramente evincibile, nonostante qualche imprecisione della relazione descrittiva, dagli elaborati grafici, tanto vero che l’amministrazione comunale non ha mai messo in discussione, nel rilascio dei successivi provvedimenti attinenti all’immobile, quali il certificato di agibilità e l’autorizzazione alberghiera, che i lavori assentiti con la DIA fossero finalizzati alla creazione di una struttura ricettiva; 2) quanto ai dati volumetrici, gli elaborati grafici danno conto che è stata rispettata l’altezza interna originaria del piano terra pari a 3,30 metri, mentre l’altezza di 4,50 metri individuata dal Comune è quella relativa all’estradosso del piano terra stesso.

La doglianza, come complessivamente dedotta, è fondata e merita accoglimento.

Il Collegio condivide i rilievi attorei sulla insussistenza in concreto di una falsa rappresentazione dei fatti, ritenendo al riguardo dirimenti le seguenti osservazioni: i) l’incongruenza tra parte analitica e parte grafica della DIA – giustificabile sulla scorta della considerazione che nel 2002, prima dell’introduzione dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/2001 ad opera del decreto legge n. 133/2014 (convertito nella legge n. 164/2014), non era stato ancora legislativamente sancito che la categoria funzionale turistico-ricettiva fosse distinta da quella residenziale e non costituisse una sua specificazione – era agevolmente superabile dando prevalenza agli elaborati grafici, i quali senza alcun dubbio rappresentavano una struttura alberghiera (e ciò per stessa ammissione dell’amministrazione comunale). Invero, è principio inveterato che nel caso di contrasto tra planimetrie/grafici e relazioni descrittive di un piano o di un titolo edilizio, deve essere accordata preminenza ai primi, dal momento che la volontà precettiva dell’amministrazione deve intendersi racchiusa nella planimetria o nel grafico, che fissano le caratteristiche tecniche dell’intervento pianificatorio o edilizio progettato, mentre la relazione descrittiva riveste solo funzione illustrativa ed integrativa dell’opera da realizzare, perché possa essere correttamente eseguita (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 4 maggio 1994 n. 4280; Consiglio di Stato, Sez. V, 2 aprile 1966 n. 563 e 26 maggio 1962 n. 460). Ne discende che l’incongruenza era solo apparente e che la DIA in questione non poteva non configurarsi come finalizzata ad assentire, attraverso le opere di risistemazione previste, il cambio di destinazione d’uso da edificio residenziale in struttura ricettiva. D’altronde, lo stesso comportamento successivo dell’amministrazione comunale conferma l’irrilevanza del contrasto tra parte grafica e parte descrittiva e la circostanza, pacifica anche per l’autorità pubblica, che la DIA ricomprendesse la trasformazione del fabbricato in albergo: è a tal riguardo significativo il rilascio, nel corso del 2004, del certificato di agibilità per edificio “con destinazione d’uso ricettivo-alberghiera” e della stessa autorizzazione alberghiera; ii) come irrefutabilmente emerge dalla semplice visione degli elaborati grafici acclusi alla DIA e come è suffragato dalla perizia tecnica di parte depositata in atti, rimasta nello specifico incontestata, l’altezza interna del piano terra si attesta a 3,30 metri, mentre è pari a 4,55 metri (e non a 4,50, come rilevato dal Comune) l’altezza dell’estradosso del medesimo piano terra, con il che resta sconfessato per tabulas il riscontrato aumento volumetrico; iii) nell’inconcessa ipotesi di insuperabilità dell’incongruenza tra parte analitica e parte grafica della DIA, in ogni caso si tratterebbe di contrasto tra elaborati costitutivi di un titolo edilizio, con conseguente incertezza/contraddittorietà della portata abilitativa di quest’ultimo, contrasto giammai equiparabile alla falsa rappresentazione dei fatti, che presuppone piuttosto la coerenza intrinseca degli elaborati progettuali e la loro non conformità alla situazione reale esistente.

In definitiva, è destinato a perdere consistenza, sotto ogni punto di vista, l’assunto dell’amministrazione che la DIA in questione travisasse fraudolentemente la realtà dei fatti.

6. Sono fondate anche le censure con cui parte ricorrente stigmatizza l’omessa esternazione, in motivazione, del particolare interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione degli effetti della DIA e dell’avvenuta ponderazione dei contrapposti interessi privati, consolidatisi in virtù dell’affidamento maturato per effetto del lungo decorso del tempo.

6.1 Invero, nel provvedimento di autotutela in esame non si rinviene alcun accenno, sotto forma di motivazione rafforzata (cfr. superiore paragrafo 4), alla persistente concretezza ed attualità dell’interesse pubblico all’eliminazione del titolo edilizio in parola, a fronte dell’avvenuto sforamento del termine ragionevole di intervento. Tale motivazione, in particolare, avrebbe dovuto dare conto di imprescindibili esigenze di ripristino della legalità violata anche in relazione alle trasformazioni territoriali intervenute nel frattempo e all’effettiva conformazione urbanistica dei luoghi, non rivelandosi sufficiente il richiamo, effettuato nello specifico, all’astratta necessità di evitare l’aggravio del carico urbanistico e di ovviare alla mancata previsione degli standard a tutela della vivibilità cittadina.

6.2 Del pari, il provvedimento in parola è sfornito della pur minima valutazione comparativa degli interessi privati sacrificati, sia della ditta proprietaria sia di quella comodataria. Più in dettaglio, si osserva che la tardività dell’intervento correttivo avrebbe imposto, in ragione del consistente affidamento maturato dai privati sulla legittimità della DIA, una motivazione particolarmente stringente circa l’apprezzamento degli interessi di costoro, valutati in rapporto alla pregnanza dell’interesse pubblico alla rimozione ufficiosa del titolo edilizio.

6.3 Per completezza, è appena il caso di rimarcare che, non risultando la DIA fondata su una falsa rappresentazione della realtà, l’affidamento dei privati non poteva essere trascurato a priori nel bilanciamento dei contrapposti interessi, essendo frutto di una condotta non colpevole dei singoli interessati (cfr. A.P., n. 8/2017 cit.).

7. Né appaiono persuasive le eccezioni formulate dalla difesa comunale, essenzialmente appuntate sul rilievo che la destinazione residenziale del fabbricato non sarebbe mai mutata e non sarebbe mai stato chiesto un cambio della stessa, nonché sulla tesi che l’annullamento in autotutela, proprio perché incidente su un titolo edilizio del 2002, sarebbe “sorretto da ampia e dettagliata motivazione, che dà conto non solo dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento di secondo grado, ma presenta anche una attenta comparazione tra gli interessi in gioco”.

Infatti, quanto al primo profilo, risulta sconfessato in fatto l’assunto che la DIA del 2002 non coprisse anche una trasformazione funzionale dell’edificio in struttura alberghiera.

Quanto al secondo, il Collegio si è già diffusamente soffermato sulla carenza motivazionale in ordine all’apprezzamento dell’interesse pubblico concreto ed attuale in contrapposizione agli interessi privati consolidatisi per effetto del lungo lasso di tempo intercorso.

8. In definitiva, emergono palesi i vizi di carenza di istruttoria e di difetto di motivazione in cui è incorso il gravato provvedimento di annullamento in autotutela della DIA del 2002, il quale merita di essere rimosso dal mondo giuridico.

Analoga sorte tocca al parimenti impugnato provvedimento di annullamento in autotutela dell’autorizzazione alberghiera n. 1/2004, il quale, traendo giustificazione dalla mancanza di conformità urbanistico-edilizia dell’immobile, è evidentemente viziato da invalidità derivata.

Rivivono, pertanto, la DIA del 2002, il certificato di agibilità n. 3/2004 e l’autorizzazione alberghiera n. 1/2004.

9. In conclusione, ribadite le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra precisati, mediante l’annullamento delle disposizioni dirigenziali prot. n. 16082 del 16 giugno 2017 e prot. n. 16669 del 23 giugno 2017.

Restano assorbite le rimanenti censure meno invasive quivi non esaminate.

9.1 Le spese processuali devono essere addebitate alla soccombente amministrazione comunale, nella misura liquidata in dispositivo.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti precisati in motivazione e, per l’effetto, annulla le gravate disposizioni dirigenziali prot. n. 16082 del 16 giugno 2017 e prot. n. 16669 del 23 giugno 2017.

Condanna il Comune di Arzano a rifondere in favore della società ricorrente le spese processuali, che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA, CPA ed importo del contributo unificato come per legge, disponendosi l’attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario con eccezione dell’importo del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Pennetti, Presidente
Carlo Dell’Olio, Consigliere, Estensore
Germana Lo Sapio, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Carlo Dell’Olio
        
IL PRESIDENTE
Giancarlo Pennetti
        
        
IL SEGRETARIO

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