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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1675 | Data di udienza: 26 Giugno 2014

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Condotta materiale – Lottizzazione materiale – Singole opere facenti parte della lottizzazione – Rilascio della concessione edilizia ex ante – Rilievo sanante – Esclusione – Verifica nel complesso dell’attività edilizia realizzata – Modifica della destinazione d’uso dei manufatti realizzati – Necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione – Complessiva trasformazione edilizia – Modifica di destinazione d’uso da alberghiera a residenziale – Ipotesi – Alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standards urbanistici.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 23 Settembre 2014
Numero: 1675
Data di udienza: 26 Giugno 2014
Presidente: Esposito
Estensore: Fedullo


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Condotta materiale – Lottizzazione materiale – Singole opere facenti parte della lottizzazione – Rilascio della concessione edilizia ex ante – Rilievo sanante – Esclusione – Verifica nel complesso dell’attività edilizia realizzata – Modifica della destinazione d’uso dei manufatti realizzati – Necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione – Complessiva trasformazione edilizia – Modifica di destinazione d’uso da alberghiera a residenziale – Ipotesi – Alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standards urbanistici.



Massima

 

TAR CAMPANIA,  Salerno, Sez. 2^ – 23 settembre 2014, n.  1675


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Condotta materiale – Lottizzazione materiale – Singole opere facenti parte della lottizzazione – Rilascio della concessione edilizia ex ante – Rilievo sanante – Esclusione.

La condotta materiale sottesa alla integrazione della fattispecie illecita di lottizzazione abusiva riposa nella erezione di opere (c.d. lottizzazione materiale) ovvero nella intrapresa di iniziative giuridiche (c.d. lottizzazione negoziale) che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni urbanistiche; nell’ipotesi di lottizzazione c.d. “materiale”, la fattispecie integra qualcosa di diverso, seppur collegato, rispetto alle singole opere realizzate, costituendo un quid pluris (anche, ovviamente, in termini di maggiore gravità). Alcun rilievo sanante sull’abuso in questione può quindi rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia, sia ex ante, in presenza di concessioni edilizie già rilasciate, sia successivamente, in presenza di concessioni rilasciate in via di sanatoria. Ciò in quanto, ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia (cfr C.d.S. sez. V 26.03.1996 n. 301).


Pres. Esposito, Est. Fedullo – Fallimento C. (avv. Fortunato) c. Comune di Cava de’ Tirreni (avv. Guarino)

 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva materiale – Verifica nel complesso dell’attività edilizia realizzata.

Al fine di valutare un’ipotesi di lottizzazione abusiva c.d. materiale, appare necessaria una visione d’insieme dei lavori, ossia una verifica nel suo complesso dell’attività edilizia realizzata, atteso che potrebbero anche ricorrere modifiche rispetto all’attività assentita idonee a conferire un diverso assetto al territorio comunale oggetto di trasformazione.


Pres. Esposito, Est. Fedullo – Fallimento C. (avv. Fortunato) c. Comune di Cava de’ Tirreni (avv. Guarino)

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Modifica della destinazione d’uso dei manufatti realizzati – Necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’amministrazione – Complessiva trasformazione edilizia.

La verifica dell’attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati, ciò perché è proprio la formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards. Il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia” dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera “funzionale” alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibile con le esigenze di finanza pubblica. Ciò che rileva è il concetto di “trasformazione urbanistica ed edilizia” e non quello di “opera comportante trasformazione urbanistica ed edilizia”. Ne discende che il mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può altresì comportare nuovi interventi di urbanizzazione e che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire.


Pres. Esposito, Est. Fedullo – Fallimento C. (avv. Fortunato) c. Comune di Cava de’ Tirreni (avv. Guarino)

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Modifica di destinazione d’uso da alberghiera a residenziale – Ipotesi.

In materia edilizia, il reato di lottizzazione abusiva mediante modifica della destinazione d’uso da alberghiera a residenziale è configurabile, nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale consenta l’utilizzo della zona ai fini residenziali, in due casi: a) quando il complesso alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni derogatorie non estensibili ad immobili residenziali; b) quando la destinazione d’uso residenziale comporti un incremento degli standards richiesti per l’edificazione alberghiera e tali standards aggiuntivi non risultino reperibili ovvero reperiti in concreto” (Cassazione penale , sez. III, 07 marzo 2008 , n. 24096).


Pres. Esposito, Est. Fedullo – Fallimento C. (avv. Fortunato) c. Comune di Cava de’ Tirreni (avv. Guarino)

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Lottizzazione abusiva – Cambio di destinazione d’uso  – Alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standards urbanistici.

Il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona – vuoi perché la nuova destinazione non rientra tra quelle contemplate dallo strumento urbanistico vigente per la zona in questione, vuoi perché, pur rientrando tra quelle astrattamente ammissibili, il cambio di destinazione d’uso sia avvenuto in dispregio dei parametri di zona, intesi ad assicurare l’”assorbimento” del nuovo carico urbanistico da esso indotto mediante la previsione di adeguati standards ed interventi di urbanizzazione – producendo effetti squilibranti sull’assetto urbanistico esistente, in termini di alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standards urbanistici, tale da imporre l’intervento riparatore a posteriori della Pubblica Amministrazione, con i conseguenti oneri a carico della finanza pubblica.

Pres. Esposito, Est. Fedullo – Fallimento C. (avv. Fortunato) c. Comune di Cava de’ Tirreni (avv. Guarino)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ - 23 settembre 2014, n. 1675

SENTENZA


TAR CAMPANIA,  Salerno, Sez. 2^ – 23 settembre 2014, n.  1675

N. 01675/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02224/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2224 del 2013, proposto da:
Fallimento “Co.Fi.M.A. n. 22/88”, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto in Salerno, via SS. Martiri Salernitani n. 31;

contro

Comune di Cava de’ Tirreni, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Mario Guarino, con domicilio eletto in Salerno, via Renato De Martino n. 10;

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 61685 del 27.9.2013, con la quale il Dirigente del Settore 5 – Area Governo del Territorio – del Comune di Cava de’ Tirreni ha contestato una presunta lottizzazione abusiva nell’ambito di un complesso produttivo denominato “ex Ceramica C.A.V.A.”, di tutti gli atti connessi e presupposti

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cava de’ Tirreni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 giugno 2014 il dott. Ezio Fedullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Premette la parte ricorrente che l’ipotesi lottizzatoria contestata con l’ordinanza impugnata è stata già espressamente esclusa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, che ha ritenuto infondata la notizia di reato e chiesto ed ottenuto l’archiviazione del relativo procedimento penale, attivato su impulso dello stesso Comune di Cava de’ Tirreni.

Essa allega altresì, in punto di fatto, che la società CO.FI.MA. acquistò dalla società Califano & Panico s.r.l., in data 31.3.1982, un complesso produttivo (di circa mq. 17.000) sito al corso Mazzini n. 227 del Comune di Cava de’ Tirreni, e che lo stato attuale dei luoghi è identico a quello esistente all’epoca dell’acquisto, non avendovi la società predetta apportato alcuna modifica e/o trasformazione né alcun frazionamento e/o trasferimento.

Evidenzia quindi che, sopravvenuto il fallimento della società CO.FI.MA., la curatela fallimentare, effettuate le dovute preliminari verifiche, ha attivato il procedimento finalizzato alla vendita all’incanto della suddetta consistenza immobiliare, che è stata acquistata dal Comune di Cava de’ Tirreni al fine di realizzarvi un’opera pubblica (ospedale), ovvero dal soggetto maggiormente qualificato a verificare la relativa legittimità: indice di per sé sufficiente della inconfigurabilità di alcuna ipotesi lottizzatoria.

Adduce quindi la parte ricorrente che, svanita la possibilità di realizzare la suddetta opera, il Comune, al fine di sottrarsi agli obblighi derivanti dall’atto di acquisto ed allo scopo di conservare gratuitamente la suddetta consistenza immobiliare, ha contestato l’ipotesi lottizzatoria de qua, notificando alla curatela fallimentare l’ordinanza n. 129/2012 (di sospensione dei lavori ed acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile comunale) nonché un atto di citazione in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità del decreto di trasferimento: ciò che denota la finalità sviata perseguita dall’Amministrazione comunale con l’atto impugnato.

Annullata dal T.A.R., con sentenza n. 292 del 31.1.2013, la suddetta ordinanza, perché non preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento, è intervenuta, previa instaurazione del contraddittorio procedimentale, l’ordinanza impugnata con il ricorso in esame.

Mediante quest’ultima l’Amministrazione comunale, rilevato che sull’immobile di cui si tratta, “con plurimi frazionamenti immobiliari e cambi di destinazione d’uso, mai conformi alla strumentazione urbanistica vigente, è stata avviata attività lottizzatoria sanzionabile ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001”, che “tale attività è stata posta in essere fin dal primo frazionamento e vendita (a favore della soc. CO.FI.MA.) per poi proseguire con l’attività edilizia illecita dal 1982 al 1985 (puntualmente indicata nelle istanze di condono l. 47/85 e nelle ordinanze), con quella posta in essere tra il 1985 e il 1994 (puntualmente indicata nelle istanze di condono l. 724/1994 e nelle ordinanze) e quella realizzata tra il 1994 ed il 2004 (indicata nelle istanze di condono l. 326/03 e nelle ordinanze) nonché con le vendite alla società Immobiliare Beatrice ed alla società La Madegra” e che “tale attività illecita ha creato un rilevante fabbisogno di standard e parcheggi che non risulta soddisfatto e condiziona la potestà pianificatoria oltre ad essere fonte di disordine urbanistico”, ha ordinato, ex art. 30, comma 7, d.P.R. n. 380/2001, di sospendere le attività di lottizzazione abusiva in corso sull’immobile dell’ex Ceramica C.A.V.A., preannunciando, trascorsi novanta giorni, l’acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile comunale.

Mediante le censure formulate in ricorso, la parte ricorrente allega in primo luogo l’erroneità e la carenza di presupposti della contestata ipotesi lottizzatoria, incentrata sull’esecuzione di “plurimi frazionamenti immobiliari e cambi di destinazione d’uso, mai conformi alla strumentazione urbanistica vigente”, essendo stato accertato in sede penale, per contro, che “i frazionamenti e i mutamenti di destinazione d’uso non hanno comportato alcuna trasformazione urbanistica in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici (…) atteso che i lotti frazionati venivano destinati ad attività industriali, terziarie, di artigianato, commerciali come previsto per la zona D4 del PTC”.

Viene inoltre dedotto che parte dell’opificio, realizzato in virtù della licenza edilizia n. 569/1967 su una superficie complessiva di mq. 30.000, è stato trasferito, per una superficie di mq. 17.000, alla società CO.FI.MA. in data 31.3.1982, senza essere interessato a partire da quella data da alcuna modifica: ebbene, poiché l’unica contestazione concernente l’area acquistata attiene al suddetto atto di trasferimento, deve affermarsi l’inapplicabilità alla fattispecie della norma sanzionatoria di cui all’art. 18 l. n. 47/1985, avente carattere non retroattivo, dal momento che la sanzione amministrativa dell’acquisizione al patrimonio comunale è stata introdotta solo dalla l. n. 47/1985 ed ai sensi dell’art. 30 d.P.R. n. 380/2001 “le disposizioni di cui sopra si applicano agli atti stipulati ed ai frazionamenti presentati…dopo il 17 marzo 1985” (data di entrata in vigore della l. n. 47/1985).

Viene quindi dedotto che i presunti plurimi frazionamenti e cambi di destinazione d’uso, menzionati dall’ordinanza impugnata, non hanno riguardato l’immobile Co.Fi.M.A., essendo contestato, relativamente all’area acquistata da quest’ultima, il solo atto di trasferimento del 1982, siccome non preceduto dal frazionamento dell’immobile preesistente.

Ebbene, osserva la parte ricorrente che il mancato frazionamento non può essere assunto a presupposto della fattispecie lottizzatoria, essendosi il trasferimento risolto nella mera suddivisione del compendio originario, senza opere né cambio di destinazione d’uso, ed avendo i due opifici scaturiti dalla divisione mantenuto la rispettiva configurazione edilizia.

Inoltre, le aree pertinenziali risultano sufficienti per lo svolgimento dell’attività produttiva, nel rispetto dei parametri di zona, con la conseguenza che non è contestabile alcun incremento del carico urbanistico né contrasto con la disciplina di zona: invero, poiché l’art. 5, comma 1, d.m. n 1444/1968 prevede il dimensionamento degli standards con riferimento al lotto, e sia la destinazione dell’immobile che il lotto sono rimasti invariati, un eventuale incremento del carico urbanistico non solo non vi è stato, ma sarebbe stato addirittura impossibile.

Quanto poi all’area di proprietà della dante causa della Co.Fi.M.A., interessata da piccoli interventi conformi alla disciplina di zona, viene dedotto che la stessa è rimasta nella proprietà della Califano & Panico s.r.l. ovvero della Immobiliare Beatrice s.r.l., costituenti un unico centro di imputazione giuridica in quanto il legale rappresentante di entrambe le società è lo stesso e le quote sono detenute da componenti del medesimo nucleo familiare: inoltre, gli immobili ivi insistenti sono stati sempre destinati ad attività conformi alla disciplina urbanistica la quale, a decorrere dal 1988, è mutata da industriale-artigianale ad industriale-artigianale-commerciale, espressamente consentendo anche il frazionamento degli opifici esistenti, ciò che rende inconfigurabile qualsiasi compromissione del potere pianificatorio della P.A. e qualsiasi aggravio del carico urbanistico pregresso.

Viene inoltre dedotto che, poiché l’eventuale attività lottizzatoria avrebbe riguardato l’area rimasta di proprietà della dante causa della ricorrente, la quale ha una superficie assolutamente inferiore a quella acquistata dalla Co.Fi.M.A., gli abusi contestati non possono aver attratto alla lottizzazione contestata anche la maggiore consistenza, estranea a qualsiasi trasformazione.

Fondato su un erroneo presupposto, assume la parte ricorrente, è anche l’assunto secondo cui i frazionamenti ed i cambi di destinazione d’uso avrebbero generato un fabbisogno di standard e parcheggi non soddisfatto, essendo stato calcolato non solo in relazione ai nuovi insediamenti che hanno registrato una modifica della destinazione d’uso, ma anche all’ulteriore consistenza, in cui rientra la proprietà Co.Fi.M.A., non utilizzata a fini commerciali, cui continua ad applicarsi la dotazione di cui all’art. 5, comma 1, d.m. n. 1444/1968: ebbene, la porzione immobiliare utilizzata per scopi commerciali, ed in minima parte per residenza ed attività artigianale, impegna una superficie complessiva di mq. 3.295, che necessita di una superficie a standards pari a soli mq. 2.470, di gran lunga inferiore alla superficie all’uopo disponibile ed in uso, pari a mq. 3.884.

In ogni caso, anche a voler accedere alla tesi della P.A. (secondo cui il fabbisogno di standards ammonterebbe a mq. 15.500), ove si consideri che la porzione di immobile attualmente destinata ad attività commerciale, residenziale ed artigianale sviluppa una volumetria di mc. 21.000 circa, sarebbero necessari, ai sensi della legge Tognoli, ulteriori mq. 2.100 di parcheggi pertinenziali, i quali si ricavano in parte dall’esubero delle attuali aree a standards, mentre i restanti mq. 686 potrebbero essere individuati nell’ambito dei mq. 5.400 di superficie non interessata da alcuna attività.

Viene inoltre evidenziato in ricorso che l’Amministrazione ha calcolato il fabbisogno di standards sommando la superficie destinata a standards ai sensi del d.m. n. 1444/1968 a quella destinata a parcheggio secondo i parametri della legge Tognoli, laddove l’art. 3.3 del P.R.T.C. si limita a richiedere un “parcheggio minimo nel lotto” di mq 40 per 100 mq. di superficie utile.

Viene altresì dedotto che non vi è alcuna esigenza di rispettare gli obblighi della legge Tognoli, trattandosi di un opificio esistente, realizzato prima della sua entrata in vigore.

Viene quindi dedotto che i parametri di zona e la dotazione di standard risultano pienamente rispettati, con la conseguenza che non è configurabile alcuna violazione del potere pianificatorio, anche relativamente agli interventi estranei all’area ex Co.Fi.M.A., non essendovi stati frazionamenti preordinati a vendite, fatta eccezione per quella intervenuta a favore della società La Madegra (concernente soli mq.120, pari all’1% dell’opificio interessato), e non essendo stati realizzati interventi in violazione delle norme urbanistiche in tema di dotazione di standard, né incrementati i volumi o le superfici, né eseguite opere che abbiano richiesto l’incremento delle opere di urbanizzazione, ricadendo l’opificio in un’area assolutamente urbana e dotata di tutte le opere di urbanizzazione occorrenti.

Viene poi allegata la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/1990, non avendo il Comune indicato le ragioni della inaccoglibilità delle osservazioni presentata dalla parte ricorrente.

Infine, viene dedotto che il Comune intimato, approvando sull’area de qua il progetto definitivo per partecipare all’avviso pubblico per la realizzazione dei centri di raccolta dei rifiuti, ha dato per presupposta la legittimità delle consistenze immobiliari esistenti sull’area de qua.

Il difensore del Comune di Cava de’ Tirreni si oppone all’accoglimento del ricorso, evidenziando che l’ordinanza di vendita e la relativa perizia di stima, concernenti l’area ex Co.Fi.M.A., davano atto delle seguenti difformità urbanistico-edilizie: ampliamento di superficie utile coperta, pari a complessivi mq. 3.800, costituita da due corpi di fabbrica aggiunti al plesso originariamente assentito; frazionamento urbanistico dell’immobile originario in assenza di titolo abilitativo.

Allega altresì che il Comune ha depositato presso la Procura della Repubblica una memoria (prot. n. 49953 del 26.7.2013) e successivamente un’istanza di riapertura dell’indagine penale (prot. n. 61686 del 27.9.2013) conclusasi con l’archiviazione.

Eccepisce altresì la carenza in capo alla parte ricorrente di un interesse giuridicamente tutelabile al ricorso, atteso che il fallimento non è più proprietario dell’immobile oggetto del provvedimento impugnato e l’eventuale pronuncia di annullamento del T.A.R. non può fare stato nel giudizio civile instaurato dal Comune con l’actio nullitatis proposta nei confronti del decreto giudiziale di trasferimento dell’area ex Co.Fi.M.A.: il fallimento medesimo, inoltre, non è indicato quale soggetto esecutore e non figura tra i destinatari della confisca né tra gli attuali proprietari delle consistenze immobiliari interessate.

Il difensore comunale evidenzia inoltre gli errori e le superficialità che connoterebbero la relazione di c.t.u. acquisita in sede penale e posta a fondamento del provvedimento di archiviazione:

in particolare, il frazionamento del lotto ex Ceramica C.A.V.A. e le altre difformità indicate dal perito della curatela non sono mai stati sanati né potevano esserlo, come evidenziato dal Dirigente del Settore Urbanistica con la relazione prot. n. 2029 dell’8.1.2014.

Il ricorso, aggiunge la difesa comunale, omette poi di considerare che l’accertamento propedeutico alla contestazione di lottizzazione non può essere effettuato con riferimento al singolo lotto, ma all’intero compendio immobiliare oggetto di esame, integrando quella lottizzatoria una fattispecie a formazione progressiva, iniziata con l’atto di vendita del 1982 e successivamente consolidatasi con le altre condotte lottizzatorie funzionalmente collegate, volte allo smembramento ed alla polverizzazione del lotto originario in assenza di pianificazione urbanistica attuativa: invero, dal 1981 si contano 18 operazioni catastali (tra frazionamenti, fusioni, denunce e variazioni) che hanno generato complessivamente n. 79 subalterni sulle due particelle principali (n. 41 sulla p.lla 2451 e n. 38 sulla p.lla 1908), che negli anni successivi sono stati ulteriormente frazionati e fusi tra di loro, con la conseguenza che allo stato l’originario complesso industriale della ex Ceramica C.A.V.A. s.p.a. risulta costituito da 24 unità immobiliari catastali, totalmente autonome e con destinazione d’uso non omogenea.

In presenza di tale situazione, conclude il difensore del Comune, non è possibile sostenere che il comparto non necessita di adeguamento di standard, essendo ubicato in zona già completamente urbanizzata, dal momento che la fattispecie lottizzatoria ricorre anche in caso di zona parzialmente urbanizzata, nella quale si configuri l’esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione: essa è infatti esclusa solo qualora esista una situazione di completa e razionale edificazione della zona, tale da rendere del tutto superfluo un piano attuativo.

Infine, viene dedotto che la possibilità di realizzare il plesso ospedaliero non è venuta meno, essendo stata recepita la relativa proposta comunale nell’ambito del P.T.C.P..

Con ulteriore memoria del 26.5.2014, il difensore del Comune, oltre ad evidenziare che, a seguito dell’istanza di riapertura delle indagini dallo stesso presentata (prot. n. 61686 del 27.9.2013), la Procura della Repubblica ha provveduto alla instaurazione di un nuovo procedimento penale (R.G.N.R. n. 2736/2014) e che il Tribunale Civile di Salerno, nell’ambito del procedimento n. 7606/2012, in data 20.5.2014 ha emesso un’ordinanza istruttoria con la quale ha disposto l’espletamento di una C.T.U., ha chiesto al Tribunale di valutare l’opportunità di disporre la sospensione del giudizio in attesa del pronunciamento di primo grado del Tribunale Civile e di quello Penale.

Il ricorso quindi, all’esito dell’udienza di discussione, è stato trattenuto dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

La controversia introdotta con il ricorso in esame ha ad oggetto l’ordinanza con la quale il Comune di Cava de’ Tirreni ha contestato la realizzazione di una lottizzazione abusiva, ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001, interessante le consistenze immobiliari già costituenti il complesso industriale per la produzione di ceramica denominato C.A.V.A., ubicato tra corso Mazzini, via XXV Luglio e via G. Palumbo, ricadente nell’attuale zona D4 del P.R.T.C. A.S.I. e realizzato in forza della licenza edilizia n. 569/1967.

Invero, l’Amministrazione comunale di Cava de’ Tirreni, in persona del Dirigente del Settore V – Area Governo del Territorio, arch. Luigi Collazzo, rilevato che, sul complesso immobiliare dell’ex Ceramica C.A.V.A., sito in via Mazzini n. 227, “con plurimi frazionamenti immobiliari e cambi di destinazione d’uso, mai conformi alla strumentazione urbanistica vigente, è stata avviata attività lottizzatoria sanzionabile ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001”, che “tale attività è stata posta in essere fin dal primo frazionamento e vendita (a favore della soc. Co.Fi.M.A..) per poi proseguire con l’attività edilizia illecita dal 1982 al 1985 (puntualmente indicata nelle istanze di condono l. 47/85 e nelle ordinanze), con quella posta in essere tra il 1985 e il 1994 (puntualmente indicata nelle istanze di condono l. 724/1994 e nelle ordinanze) e quella realizzata tra il 1994 ed il 2004 (indicata nelle istanze di condono l. 326/03 e nelle ordinanze) nonché con le vendite alla società Immobiliare Beatrice ed alla società La Madegra” e che “tale attività illecita ha creato un rilevante fabbisogno di standard e parcheggi che non risulta soddisfatto e condiziona la potestà pianificatoria oltre ad essere fonte di disordine urbanistico”, richiamati altresì gli antefatti procedimentali, ha ordinato, ex art. 30, comma 7, d.P.R. n. 380/2001, di sospendere le attività di lottizzazione abusiva in corso sull’immobile ex Ceramica C.A.V.A., preannunciando, trascorsi novanta giorni, l’acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile comunale.

Di assoluto rilievo, ai fini della percezione dei fatti posti a fondamento dell’azione repressiva e sanzionatoria comunale così come della valutazione giuridica fattane dall’Amministrazione, è altresì la nota del medesimo organo (prot. n. 201300061685 del 27.9.2013) recante le controdeduzioni alle osservazioni formulate dalle parti interessate nell’ambito del contraddittorio procedimentale, richiamata ob relationem dal provvedimento impugnato.

Essa richiama in primo luogo, a sua volta, la nota prot. n. 49953 del 26.7.2013, inviata all’A.G. (dopo aver appreso della disposta archiviazione del procedimento penale scaturito dalla comunicazione di notizia di reato prot. n. 54823 del 19.9.2012, inviata dallo stesso Comune di Cava de’ Tirreni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, ed acquisito i relativi atti), con la quale si formulano i seguenti rilievi al provvedimento di archiviazione ed alla relazione di c.t.u., da cui l’archiviazione è derivata:

– con riguardo all’assunto del c.t.u. secondo cui il frazionamento e vendita di porzione del complesso immobiliare alla Co.Fi.M.A.. s.p.a. era conforme alla disciplina urbanistica dell’epoca, viene osservato che il Piano A.S.I. approvato con D.P.C.M. del 6.7.1966 non contemplava il frazionamento degli opifici esistenti ed imponeva un rapporto di copertura della superficie fondiaria non superiore al 50%, mentre il rapporto di copertura dello stabilimento ex Co.Fi.M.A.. è del 57,83% (pari al rapporto tra mq. 9.900 di superficie coperta e mq. 17.120 di superficie catastale complessiva), senza considerare che vi erano opere abusive (i mq. 3.600 in ampliamento accertati con la c.t.u. del Tribunale fallimentare) che non potevano essere sanate ed impedivano ulteriormente la sanatoria del frazionamento;

– con riguardo al punto del provvedimento di archiviazione in cui si afferma che per le trasformazioni edilizie avvenute, che hanno dato origine a frazionamenti plurimi e cambi di destinazione d’uso, la società Califano & Panico s.r.l. conseguì le concessioni in sanatoria, viene osservato che le n. 27 domande di condono presentate ai sensi delle ll. nn. 47/1985, 724/1994 e 326/2003 sono state tutte oggetto di diniego e le sole due concessioni rilasciate (n. 3895/2008 e n. 5060/2011) sono state successivamente annullate;

– con riguardo al punto del provvedimento di archiviazione in cui si afferma che i frazionamenti avvenuti rispettano la destinazione urbanistica dell’area in oggetto e sono conformi alle norme urbanistiche, si osserva che le opere in contestazione risalgono tutte ad epoca anteriore al 31.3.2003 (le date di esecuzione si desumono dalle domande di sanatoria presentate ai sensi delle leggi n. 47/1985, 724/1994 e 326/2003), mentre le norme sui cd. condomini industriali sono entrate in vigore solo nel 2004 (delibera di C.C. n. 65 del 30.11.2004), pertanto le stesse non possono considerarsi sananti rispetto al reato di lottizzazione abusiva né possono essere invocate per attestare la conformità degli abusi realizzati.

In ogni caso, anche a volerle considerare applicabili agli abusi contestati, le opere abusivamente realizzate sono in contrasto con il P.R.T.C. dell’A.S.I., le cui norme richiedono la verifica dell’indice di fabbricabilità fondiaria If < 3,5 mc/mq, del rapporto di copertura Ic < 0,4 mq/mq (per il solo insediamento Califano/Immobiliare Beatrice il mancato rispetto dell’indice di copertura comporta un’eccedenza di circa mq. 3.400 di superficie coperta, se si estende tale calcolo anche all’insediamento ex Co.Fi.M.A., si ha una eccedenza di superficie coperta di circa mq. 4.700), dell’indice di utilizzazione fondiaria Uf < 2 mc/mq, della distanza dai confini ml. 5,00 oltre al parcheggio minimo del lotto mq. 40 per ogni mq. 100 di superficie utile, e limitano le unità derivate (per destinazioni terziarie) ad immobili di superficie minima di mq. 400.

Tale normativa non è verificata per l’insediamento dell’ex Ceramica C.A.V.A. in quanto:

1) l’indice di copertura dell’intero insediamento è superiore a 0,4 mq/mq e si attesta a circa 0,61 mq/mq, anche a causa degli ampliamenti abusivi realizzati sulle aree libere: ciò comporta la violazione dell’art. 4.4 del P.R.T.C. A.S.I.;

2) non è verificata la distanza di ml. 5 dai confini del lotto: ciò comporta la violazione dell’art. 4 4 del P.R.T.C. A.S.I.;

3) sono state ricavate plurime unità immobiliari inferiori ai mq. 400 e ben 4 unità residenziali: ciò comporta la violazione dell’art. 4.4 del P.R.T.C. A.S.I.;

4) le singole unità immobiliari frazionate non hanno una dotazione minima di parcheggi pari a mq. 40 ogni 100 mq di superficie dell’opificio esistente: ciò comporta la violazione dell’art. 4.4 del P.R.T.C. A.S.I.;

5) sono state introdotte destinazioni d’uso (residenziale) incompatibili con il piano A.S.I. e sono state attribuite destinazioni “miste” in contrasto con le norme consortili, che ammettono solo destinazione commerciale-terziaria oppure industriale-artigianale;

6) l’insediamento di più attività è avvenuta senza la preventiva richiesta di frazionamento e di insediamento presso il Consorzio A.S.I.: ciò comporta la violazione dell’art. 4.6 del P.R.T.C. A.S.I.;

7) non risultano rispettati i parametri essenziali affinché si potesse avviare la riconversione del preesistente immobile industriale in struttura terziaria: la sola violazione dell’indice di copertura preclude ab origine la possibilità di convertire l’immobile industriale in terziario e ciò perché, avendo edificato sull’area ben il 65,76% dell’intera superficie catastale, non sono disponibili spazi esterni per gli standards e parcheggi;

– con riguardo al punto del provvedimento di archiviazione in cui si afferma che nell’area in oggetto la destinazione urbanistica è rimasta piccola industria, artigianato, commercio, attività terziaria e sono stati rispettati i parametri relativi alle superfici e alle dotazioni di parcheggi, si osserva che il fabbisogno di standards è di circa mq. 8.568,4 (dato dalla somma delle componenti commerciale, artigianale e residenziale) e non è soddisfatto dalle superfici scoperte esistenti, pari a circa mq. 4.534, di cui solo una porzione di mq. 2.500 è a servizio delle superfici commerciali/terziarie esistenti; a tali dati devono aggiungersi le superfici a parcheggi pertinenziali, sia per il commerciale-direzionale (ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.m. n. 1444/1968) sia per il residenziale (ai sensi dell’art. 41 sexies l. n. 1150/1942), che richiedono una dotazione di almeno mq. 4.000 (art. 41 sexies l. n. 1150/1942), che lievita a circa mq. 7.000, tenendo conto delle medie strutture di vendita (tutte le unità commerciali superiori a mq. 250), che ai sensi del vigente Piano delle Attività Commerciali devono avere una dotazione di parcheggi di almeno 1 mq/mq di vendita. La superficie complessiva di aree a standards e parcheggi pertinenziali ammonta quindi ad oltre mq. 15.500. Inoltre, non tutte le aree esterne sono destinate o utilizzabili a parcheggi.

– quanto al punto del provvedimento di archiviazione in cui si evidenzia che le residenze non hanno determinato un nuovo insediamento abitativo, in quanto le stesse erano originariamente tali e non hanno costituito oggetto di successive vendite, e dunque non hanno determinato alcuna trasformazione urbanistica, viene replicato che sono state presentate istanze di condono per n. 3 immobili residenziali (con ampliamenti e cambi di destinazione d’uso) per una superficie complessiva di mq. 640,74: con la realizzazione di tali superfici residenziali andava soddisfatto un fabbisogno di standards pubblici non inferiore a mq. 691 e di parcheggi pertinenziali privati per circa mq. 200; inoltre le superfici originarie, di minore estensione, erano di alloggio del custode, ovvero a servizio dello stabilimento industriale, mentre oggi sono civili abitazioni di cui è possibile disporre per libera vendita; la circostanza poi che detti immobili sono nella disponibilità della famiglia Califano non preclude la possibilità che, in qualsiasi momento, gli stessi siano venduti a terzi, essendo venuto meno qualsiasi vincolo con l’originaria destinazione industriale.

– il nuovo organismo edilizio, conseguente ai frazionamenti realizzati, è costituito da una pluralità di unità che hanno comportato la “polverizzazione” della consistenza immobiliare originaria per dimensioni (inferiori alla superficie minima di mq. 400) e destinazioni (miste) non conformi alle norme consortili, per le quali sono state effettuare ben 18 operazioni catastali che hanno generato complessivamente n. 79 subalterni (unità immobiliari catastali), che negli anni sono stati frazionati e fusi tra loro, per cui allo stato il complesso industriale ex Ceramica C.A.V.A. s.p.a. risulta costituito da 24 unità immobiliari (19 senza la consistenza industriale della ex Co.Fi.M.A.), in contrasto con i dati del C.T.P., che individua 9 unità immobiliari e genericamente altre porzioni immobiliari.

Le istanze di condono interessano infatti il 100% della superficie di proprietà delle società Califano/Immobiliare Beatrice e, se fosse completato il disegno lottizzatorio complessivo, così come emerge dalle pratiche di condono, verrebbero legittimate ulteriori superfici commerciali (7 unità per una superficie complessiva di mq. 7.234).

– le domande di condono per porzioni immobiliari già interessate da precedenti istanze sono funzionali ad aggiornare il mutato stato dei luoghi generato dai nuovi abusi perpetrati successivamente alle istanze originarie. Inoltre, a compensazione delle istanze gravanti sulla medesima porzione immobiliare vi sono altre istanze che prevedono la creazione di più unità immobiliari con una singola istanza (prot. n. 12069 dell’1.4.1986), compensando di fatto l’entità dei frazionamenti;

– si è creato un rilevante fabbisogno di standards e parcheggi che condiziona la potestà pianificatoria ed è fonte di disordine urbanistico: gli standards occorrenti, ai sensi dell’art. 3.3 del P.R.T.C. approvato con delibera di G.R. n. 10075 del 30.12.1991, che richiama l’art. 5, comma 2, d.m. n. 1444/1968, ammontano per il solo insediamento delle soc. Califano /Imm. Beatrice a circa mq. 7.859,2: a tale componente va aggiunta quella residenziale ed artigianale, per un totale complessivo di 8.568,4, oltre a quelle dei parcheggi pertinenziali che sono stimabili in circa mq. 7.000, per un totale generale di mq. 15.500, a fronte del quale sono rimaste nella disponibilità delle società Califano /Imm. Beatrice circa mq. 4.534 di aree esterne, di cui solo mq. 2.500 è a servizio delle superfici commerciali/terziarie esistenti;

– la vendita alla società La Madegra è avvenuta senza alcuna area a parcheggio pertinenziale;

– i frazionamenti multipli ed i cambi di destinazione d’uso attuati, non conformi alle norme consortili, hanno creato la necessità di nuovi interventi di urbanizzazione;

– il P.R.T.C. approvato con delibera di G.R. n. 10075 del 30.12.1991 prevedeva (art. 3.3. delle n.t.a.) la conversione d’uso degli stabilimenti industriali esistenti di piccola e media dimensione (fino a 150 addetti), ma nel rispetto di tutti i parametri ed indici fissati per le nuove realizzazioni, salvo facoltà di deroga ai sensi dell’art. 3 l. n. 1357/1955, con particolare riguardo alle superfici minime da destinare a parcheggio privato: “per ogni 100 mq. di superficie lorda di pavimento di edifici commerciali e/o destinati ad attività terziarie dovrà aversi una superficie di parcheggio pari almeno a 40 mq mentre una analoga superficie andrà garantita per verde attrezzato”: il suddetto Piano sarà recepito dal Comune di Cava de’ Tirreni solo con delibera di C.C. n. 81 del 27.9.1999 ed il P.R.G . diverrà vigente solo a seguito della verifica di conformità al Piano Urbanistico Territoriale (l.r. n. 35/1987) effettuata con D.P.G.R.C. n. 4523 del 13.4.2000;

– solo con la variante al P.R.T.C. approvata con delibera del C.G. dell’A.S.I. n. 13 del 9.6.2002, recepita dal Comune di Cava de’ Tirreni con deliberazione di C.C. n. 65 del 30.11.2004 e pertanto vigente solo da tale data per il medesimo Comune, è stata introdotta la disciplina degli insediamenti plurimi e per il frazionamento di un opificio in più unità autonome;

– delle vendite effettuate, quella a favore della società Immobiliare Beatrice s.p.a. denota maggiormente l’attività lottizzatoria intrapresa, in quanto essa non svolge “attività produttiva” localizzabile in zona A.S.I. ma prevalentemente attività di gestione e trasformazione immobiliare, venendosi a concretizzare quell’”inammissibile intermediazione di natura immobiliare” che la relazione prot. n. 3555 del 17.6.2002, di accompagnamento alla variante A.S.I. sugli insediamenti plurimi del 2004, indica quale condotta da scongiurare sia per gli edifici plurimi che per i frazionamenti di opifici esistenti.

Deve altresì sottolinearsi che in data 13.1.2014 è stata depositata dal Comune intimato la relazione integrativa del Dirigente dell’Area V – Governo del Territorio – prot. n. 4241 del 13.1.2014, con la quale vengono ribaditi, nei termini che seguono, i criteri di determinazione degli standards e dei parcheggi posti a fondamento del provvedimento impugnato:

– attività industriali e artigianali (art. 5 punto 1 d.m. n. 1444/1968): 10% dell’intera superficie fondiaria;

– attività commerciali e direzionali (art. 5 punto 2 d.m. n. 1444/1968): a 100 m. di superficie lorda di pavimento deve corrispondere la quantità minima di 80 mq. di spazio, escluse le sedi viarie, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all’art. 18 l. n. 765/1967): per effetto di tale norma è obbligatorio dotarsi di un parcheggio minimo nel lotto di almeno mq. 40 ogni 100 m. di superficie lorda oltre ai parcheggi pertinenziali previsti dall’art. 18 della l. n. 765/1967 (art. 41 sexies l. n. 1150/1942);

– superfici residenziali (art. 11 l.r. n. 35/1987): 27 mq/abitante.

In aggiunta ad essi, evidenzia la suddetta relazione, sia per il commerciale-direzionale (ai sensi dell’art. 5 comma 2 d.m. n. 1444/1968) che per il residenziale (art. 41 sexies l. n. 1150/1942) vanno soddisfatti anche i parcheggi pertinenziali.

In base a tali dati, quindi, il fabbisogno di standards per l’insediamento ex Cofima è pari a mq. 1.712, che risulta contenuto entro la superficie scoperta esistente (pari a mq. 7.220).

Il fabbisogno di standards per l’insediamento Califano/Immobiliare Beatrice è invece pari a mq. 8.568,4 (dato dalla somma delle componenti commerciale, pari a mq. 7.859,2, artigianale, pari a mq. 17, e residenziale, pari a mq. 691), che non è possibile soddisfare con le superfici scoperte esistenti (pari a circa mq. 4.534).

A tali dati, continua la relazione, si dovranno aggiungere le superfici a parcheggi pertinenziali, sia per il commerciale-direzionale (ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.m. n. 1444/1968) che per il residenziale (ai sensi dell’art. 41 sexies l. n. 1150/1942), che richiedono una dotazione di almeno mq. 4.000 (se si considera il dimensionamento previsto dall’art. 41 sexies l. n. 1150/1942 pari a 1 mq/10 mc) che lievita a circa mq. 7.000 tenendo conto della presenza delle medie strutture di vendita (tutte le unità commerciali superiori a mq. 250) che ai sensi del vigente Piano delle Attività Commerciali devono avere una dotazione di parcheggi di almeno 1 mq/mq di vendita.

La superficie complessiva di aree a standards e parcheggi pertinenziali ammonta quindi ad oltre mq. 15.500, a fronte di mq. 4.534 di aree esterne rimasti nella disponibilità delle società Califano/Immobiliare Beatrice, di cui solo una porzione di mq. 2.500 è a servizio delle superfici commerciali /terziarie esistenti: la carenza di superfici a parcheggi e standards è pertanto stimabile in almeno mq. 13.000.

Tanto premesso in punto di fatto, e prima di affrontare la disamina delle censure mosse dalla parte ricorrente al provvedimento impugnato, è opportuno richiamare sinteticamente i riferimenti normativi e l’elaborazione giurisprudenziale della fattispecie lottizzatoria, con particolare riguardo all’ipotesi in cui l’illecito urbanistico in cui essa consiste non si incentra sulla lottizzazione del terreno a scopo edificatorio, secondo la versione “classica” dello stesso, ma sul mutamento della destinazione d’uso di preesistenti manufatti, legittimamente realizzati, in contrasto con la disciplina urbanistica di zona.

Dal primo punto di vista, il referente normativo della fattispecie lottizzatoria si rinviene nell’art. 30 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il quale, al suo primo comma, così la definisce: “si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.

Sul piano interpretativo, invece, viene in rilievo, quale sintesi e perfezionamento dell’elaborazione giurisprudenziale precedente, la recentissima sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3115 del 19 giugno 2014 n. 3115, con la quale, anche richiamando la precedente fondamentale decisione n. 3381/2012 della medesima Sezione, si forniscono le seguenti coordinate ermeneutiche:

– la fattispecie descritta dalla detta disposizione integra il più grave attentato alle potestà di Governo del territorio previste ed espressamente normate dall’art. 117 della Costituzione, incidendo sulla potestà programmatoria urbanistica e, insieme, sull’assetto del territorio;

– la giurisprudenza penale ha costantemente interpretato la detta fattispecie in termini ampi e l’ha costruita quale reato di pericolo, affermando che (Cass. pen. Sez. III, 16-07-2013, n. 37383) “il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata”;

– la condotta materiale sottesa alla integrazione della fattispecie illecita riposa nella erezione di opere (c.d. lottizzazione materiale) ovvero nella intrapresa di iniziative giuridiche (c.d. lottizzazione negoziale) che comportano una trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione delle prescrizioni urbanistiche;

– nell’ipotesi di lottizzazione c.d. “materiale”, la fattispecie integra qualcosa di diverso, seppur collegato, rispetto alle singole opere realizzate, costituendo un quid pluris (anche, ovviamente, in termini di maggiore gravità). Alcun rilievo sanante sull’abuso in questione può quindi rivestire il rilascio di una eventuale concessione edilizia, sia ex ante, in presenza di concessioni edilizie già rilasciate, sia successivamente, in presenza di concessioni rilasciate in via di sanatoria. Ciò in quanto, ove manchi la specifica autorizzazione a lottizzare, la lottizzazione abusiva sussiste e deve essere sanzionata anche se, per le singole opere facenti parte di tale lottizzazione, sia stata rilasciata una concessione edilizia (cfr C.d.S. sez. V 26.03.1996 n. 301);

– al fine di valutare un’ipotesi di lottizzazione abusiva c.d. materiale, appare necessaria una visione d’insieme dei lavori, ossia una verifica nel suo complesso dell’attività edilizia realizzata, atteso che potrebbero anche ricorrere modifiche rispetto all’attività assentita idonee a conferire un diverso assetto al territorio comunale oggetto di trasformazione;

– la verifica dell’attività edilizia realizzata nel suo complesso può condurre a riscontrare un illegittimo mutamento della destinazione all’uso del territorio autoritativamente impressa anche nei casi in cui le variazioni apportate incidano esclusivamente sulla destinazione d’uso dei manufatti realizzati, ciò perché è proprio la formulazione dell’art. 30 del D.P.R. n. 380/01 che impone di affermare che integra un’ipotesi di lottizzazione abusiva qualsiasi tipo di opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto del territorio preesistente, a realizzare un nuovo insediamento abitativo e, quindi, in ultima analisi, a determinare sia un concreto ostacolo alla futura attività di programmazione (che viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un carico urbanistico che necessita adeguamento degli standards. Come già affermato dalla giurisprudenza di merito, il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia” dei terreni deve essere, dunque, interpretato in maniera “funzionale” alla ratio della norma, il cui bene giuridico tutelato è costituito dalla necessità di preservare la potestà programmatoria attribuita all’Amministrazione nonché l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), al fine di garantire una ordinata pianificazione urbanistica, un corretto uso del territorio ed uno sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standards compatibile con le esigenze di finanza pubblica. Ciò che rileva è il concetto di “trasformazione urbanistica ed edilizia” e non quello di “opera comportante trasformazione urbanistica ed edilizia”;

– ne discende che il mutamento di destinazione d’uso di edifici già esistenti può influire sull’assetto urbanistico dei terreni sui quali essi insistono e può altresì comportare nuovi interventi di urbanizzazione e che la verifica circa la conformità della trasformazione realizzata e la sua rispondenza o meno alle previsioni delle norme urbanistiche vigenti deve essere effettuata con riferimento non già alle singole opere in cui si è compendiata la lottizzazione, eventualmente anche regolarmente assentite (giacché tale difformità è specificamente sanzionata dagli artt. 31 e ss. D.P.R. n. 380/2001), bensì alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto, sicché essa conformità ben può mancare anche nei casi in cui per le singole opere facenti parte della lottizzazione sia stato rilasciato il permesso di costruire;

– si rammenta in proposito quanto ripetutamente sostenuto da questa giurisprudenza, cioè che “in materia edilizia, il reato di lottizzazione abusiva mediante modifica della destinazione d’uso da alberghiera a residenziale è configurabile, nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale consenta l’utilizzo della zona ai fini residenziali, in due casi: a) quando il complesso alberghiero sia stato edificato alla stregua di previsioni derogatorie non estensibili ad immobili residenziali; b) quando la destinazione d’uso residenziale comporti un incremento degli standards richiesti per l’edificazione alberghiera e tali standards aggiuntivi non risultino reperibili ovvero reperiti in concreto” (Cassazione penale , sez. III, 07 marzo 2008 , n. 24096). In detta pronuncia, in particolare, si è condivisibilmente affermato che il problema della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva – allorquando il bene suddiviso consista non in un terreno inedificato, bensì in un immobile già regolarmente edificato – deve essere affrontato anche alla stregua della legislazione urbanistica regionale in materia di classificazione delle categorie funzionali della destinazione d’uso e correlato precipuamente alle previsioni della pianificazione comunale, alle quali deve essere raffrontata, in termini di “compatibilità”, la effettuata trasformazione del territorio;

– ad avviso della Corte di Cassazione, in particolare, “può integrare il reato di lottizzazione abusiva, il mutamento della destinazione d’uso di un immobile che alteri il complessivo assetto del territorio messo a punto attraverso gli strumenti urbanistici, dovendosi considerare, quanto alla individuazione di siffatta “alterazione”, che l’organizzazione del territorio comunale si attua con il coordinamento delle varie destinazioni d’uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l’assegnazione ad ogni singola destinazione d’uso di determinate qualità e quantità di servizi. L’assetto territoriale, pertanto, può essere alterato anche allorché significativamente si incida sulle dotazioni degli standards di zona”;

– il Consiglio di Stato (sez. 5^, 3.1.1998, n. 24) ha rimarcato, al riguardo, che “la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede”;

– quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l’ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza, si configura in ogni caso un’ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”;

– il Giudice di legittimità ha addirittura ritenuto che alla luce di tali indirizzi interpretativi persino “il rilascio di concessioni edilizie (destinate a creare nuovi insediamenti abitativi in una zona per la quale PRG subordina l’attività edificatoria all’adozione di piani di lottizzazione convenzionati) in assenza dei prescritti strumenti attuativi, richieda, ai fini della legittimità dell’intervento, la prova rigorosa della preesistenza e sufficienza delle opere di urbanizzazione primaria, tali da rendere del tutto superfluo lo strumento attuativo” (Cass. pen. Sez. III, Sent., 13.6.2011, n. 23646 cit.).

Tirando sinteticamente le fila del discorso, quindi, il cambio di destinazione d’uso di edifici preesistenti e legittimamente realizzati è suscettibile di integrare la fattispecie lottizzatoria quando contrasti con la disciplina urbanistica di zona – vuoi perché la nuova destinazione non rientra tra quelle contemplate dallo strumento urbanistico vigente per la zona in questione, vuoi perché, pur rientrando tra quelle astrattamente ammissibili, il cambio di destinazione d’uso sia avvenuto in dispregio dei parametri di zona, intesi ad assicurare l’”assorbimento” del nuovo carico urbanistico da esso indotto mediante la previsione di adeguati standards ed interventi di urbanizzazione – producendo effetti squilibranti sull’assetto urbanistico esistente, in termini di alterazione del corretto rapporto tra insediamenti e standards urbanistici, tale da imporre l’intervento riparatore a posteriori della Pubblica Amministrazione, con i conseguenti oneri a carico della finanza pubblica.

Deve altresì osservarsi che il provvedimento impugnato, da un punto di vista strettamente motivazionale, soddisfa le esigenze giustificative imposte dall’esercizio del potere sanzionatorio ex art. 30 d.P.R. n. 380/2001, in relazione alla specifica fattispecie in esame. Esso in particolare, anche in correlazione con gli altri atti che hanno costellato il relativo procedimento (in specie, la nota prot. n. 61685 del 27.9.2013, recante le controdeduzioni alle osservazioni formulate delle parti interessate nell’ambito del contraddittorio procedimentale, e la nota prot. n. 49953 del 26.7.2013, inviata all’A.G. ai fini della riapertura del procedimento penale di cui era stata disposta l’archiviazione), da’ atto:

– dell’avvenuta realizzazione, sul complesso immobiliare dell’ex Ceramica C.A.V.A., sito in via Mazzini n. 227, di plurimi frazionamenti immobiliari e cambi di destinazione d’uso, il cui atto iniziale è individuato nel frazionamento e vendita, in data 31.3.1982, di una porzione dello stesso a favore della soc. Co.Fi.M.A., per poi proseguire con l’attività edilizia posta illecitamente in essere dal 1982 al 2003;

– del contrasto della suddetta attività con la disciplina urbanistica vigente all’epoca della sua realizzazione, con particolare riguardo alle norme urbanistiche in tema di frazionamento degli opifici esistenti (introdotte successivamente all’esecuzione degli interventi contestati e comunque non rispettate sotto i profili della superficie minima, del rapporto di copertura della superficie fondiaria, dell’indice di fabbricabilità fondiaria, della distanza dai confini, della dotazione minima di parcheggi, della introduzione di destinazioni, residenziale e miste, non consentite);

– della creazione, quale conseguenza della suddetta attività (che ha portato al frazionamento del complesso immobiliare ex Ceramica C.A.V.A. in 24 unità immobiliari autonome), di un rilevante fabbisogno di standards, pari a mq. 8.568,4, e di parcheggi pertinenziali, pari a mq. 7.000, per complessivi mq 15.500 circa, non soddisfatto dalle superfici disponibili, pari a mq. 4.534, solo 2.500 mq. dei quali destinati o utilizzabili come parcheggi, e tale da condizionare la potestà pianificatoria comunale, oltre ad essere fonte di disordine urbanistico.

E’ quindi necessario verificare se i presupposti del provvedimento impugnato, in esso puntualmente delineati e corrispondenti a quelli tipizzati dal legislatore, così come precisati a livello giurisprudenziale, ai fini della configurazione della fattispecie lottizzatoria, siano inficiati dalle doglianze contenute in ricorso.

Prima ancora, tuttavia, deve affermarsi l’insussistenza dei presupposti per la sospensione del giudizio, chiesta dal difensore comunale in attesa che si pronunci, sulla questione inerente l’effettiva consumazione della fattispecie lottizzatoria, il giudice civile e penale, che ne sono contestualmente investiti.

Quanto infatti alla sospensione necessaria, ex art. 295 c.p.c. (cui rinvia l’art. 79 cod. proc. amm.), non sussiste la condizione per disporla relativa al carattere pregiudiziale del processo penale o civile rispetto a quello introdotto con il ricorso in esame, vertendo di fatto essi, per contro, sul medesimo thema decidendum (sebbene analizzato nella prospettiva propria di ciascun contesto processuale e per le finalità di giustizia tipiche di esso).

A non diverse conclusioni deve poi giungersi relativamente alla sospensione facoltativa, sia perché fa difetto, ex art. 296 c.p.c., la conforme istanza di tutte le parti, sia perché il termine di sospensione non superiore a tre mesi, non rinnovabile, non è compatibile con l’esigenza (ben più ampia, attese le ordinarie connotazioni temporali del giudizio civile e di quello penale, a fronte della tendenziale celerità acquisita invece dal processo amministrativo) cui la sospensione dovrebbe venire incontro, sia perché, infine, risultano acquisiti al presente processo tutti gli elementi, di fatto e di diritto, utili alla sua definizione, con la conseguente insussistenza dei “giustificati motivi” che, secondo il codice processuale civile, legittimano la sospensione.

Deve a questo punto esaminarsi, sempre in via preliminare, l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal difensore comunale, sulla scorta della asserita carenza in capo al fallimento ricorrente di un interesse giuridicamente tutelabile alla proposizione del ricorso, non essendo esso più proprietario dell’immobile oggetto del provvedimento impugnato, non venendo indicato (nell’ordinanza impugnata) quale soggetto esecutore né figurando tra i destinatari della confisca.

L’eccezione, contraddetta dall’atteggiamento processuale tenuto in altra sede dal Comune intimato, non è meritevole di accoglimento.

Basti invero considerare che lo stesso Comune di Cava de’ Tirreni, con l’azione volta a conseguire la declaratoria di nullità del decreto di trasferimento a suo favore della citata area ex Co.Fi.M.A., emesso dal Giudice Delegato in data 18.5.2011 (azione fondata, tra l’altro, sulla asserita illiceità dell’oggetto della vicenda traslativa, siccome costituente frutto della contestata attività lottizzatoria), assume che il bene de quo, in conseguenza della improduttività in radice di effetti che colpirebbe l’atto di trasferimento, non è mai fuoriuscito dal patrimonio fallimentare: ciò che è sufficiente per considerare il medesimo fallimento quale soggetto giuridico potenzialmente destinato a risentire ab origine gli effetti pregiudizievoli (sub specie di acquisizione dell’area e dei manufatti che vi insistono al patrimonio comunale) dell’ordinanza impugnata e comunque interessato a contestarne la legittimità.

I rilievi svolti consentono quindi di affermare la sussistenza, in capo al fallimento Co.Fi.M.A., di un concreto ed attuale interesse a domandare l’annullamento del provvedimento impugnato, fonte nei suoi confronti degli effetti lesivi dianzi tratteggiati.

Nel merito, ritiene il Tribunale di prendere le mosse dalle censure specificamente concernenti l’area di pertinenza del Fallimento ricorrente, a cominciare da quella con la quale esso deduce che una parte dell’opificio dell’ex Ceramica C.A.V.A., avente una superficie originaria di mq. 30.000, è stato trasferito alla società Co.Fi.M.A.. in data 31.3.1982, senza essere interessato a partire da quella data da alcuna modifica, e che l’unica contestazione concernente l’area acquistata attiene al suddetto atto di trasferimento, con la conseguente inapplicabilità alla fattispecie della norma sanzionatoria di cui all’art. 18 l. n. 47/1985, avente carattere non retroattivo, dal momento che la sanzione amministrativa dell’acquisizione al patrimonio comunale è stata introdotta solo dalla legge suindicata.

La censura non è meritevole di accoglimento.

La configurazione della fattispecie lottizzatoria emergente dall’ordinanza impugnata abbraccia infatti una serie molteplici di atti (di frazionamento, di cambiamento di destinazione d’uso e di vendita), posti in essere in un arco temporale che va dal 1982 fino al 2003, avvinti da un nesso teleologico unitario e funzionali alla realizzazione di un disegno urbanisticamente illecito non ancora completato (essendo subordinato all’esito favorevole delle molteplici domande di condono presentate dai diversi soggetti coinvolti), di cui l’atto di frazionamento e vendita del 31.3.1982 costituisce solo il segmento attuativo iniziale: ne consegue che, poiché la fattispecie lottizzatoria si caratterizza per la sue modalità formative di natura progressiva, l’individuazione della disciplina applicabile (anche ai segmenti antecedenti dell’unitaria fattispecie) si determina in relazione al termine finale del suo iter realizzativo, senza che possa sostenersi l’indebita applicazione retroattiva delle misure sanzionatorie da essa introdotte.

Del resto, l’oggetto delle sanzioni previste dall’ordinamento per l’ipotesi lottizzatoria non è rappresentato dalle singole iniziative edilizie, abusive o meno, che concorrono ad integrarla, ma dalla vicenda lottizzatoria nel suo complesso, di cui i primi rappresentano gli indici rivelatori: ne consegue che anche i fatti realizzati nel vigore della disciplina previgente, che non contemplava le sanzioni previste da quella sopravvenuta, sono suscettibili di contribuire alla ricostruzione ed al disvelamento della vicenda lottizzatoria (ed a giustificare l’applicazione ad essa, complessivamente ed unitariamente considerata, delle connesse sanzioni).

Sotto questo profilo, quindi, ed all’esclusivo fine di dimostrare l’infondatezza della censura in esame, non può condividersi nemmeno quanto osservato dal c.t.u. nominato nell’ambito del proc. n. 3285/2012 R.G.N.R./Mod. 21, ad avviso del quale la vicenda di frazionamento e trasferimento del 31.3.1982 non ricadrebbe nella fattispecie lottizzatoria, così come delineata ratione temporis nei termini della suddivisione di terreni in lotti destinati alla successiva costruzione di edifici: essa si basa infatti sulla visione atomistica ed isolata degli atti concorrenti alla integrazione della dinamica lottizzatoria, obliterando le connessioni funzionali del suindicato atto di frazionamento e vendita con la più ampia e temporalmente dilatata trama lottizzatoria, delineate dall’Amministrazione comunale con il provvedimento impugnato.

Altra e più pregnante questione è invece quella concernente l’effettiva idoneità del suddetto atto di frazionamento e vendita a concorrere alla realizzazione del disegno lottizzatorio, ergo a costituirne l’incipit.

Allega sul punto la parte ricorrente, con ulteriore censura, che i plurimi frazionamenti e cambi di destinazione d’uso, menzionati dall’ordinanza impugnata, non hanno riguardato l’immobile della società Co.Fi.M.A., essendo contestato, relativamente all’area acquistata da quest’ultima, il solo atto di trasferimento del 1982, siccome non preceduto dal frazionamento dell’immobile preesistente: ebbene, osserva la parte ricorrente che il mancato frazionamento non può essere assunto a presupposto della fattispecie lottizzatoria, essendosi il trasferimento risolto nella mera suddivisione del compendio originario, senza opere né cambio di destinazione d’uso, avendo i due opifici scaturiti dalla divisione mantenuto la rispettiva configurazione edilizia e risultando le aree pertinenziali sufficienti per lo svolgimento dell’attività produttiva, nel rispetto dei parametri di zona, con la conseguenza che non potrebbe essere contestato alcun incremento del carico urbanistico né alcun contrasto con la disciplina di zona.

La censura, ad avviso del Tribunale, è meritevole di accoglimento.

Deve premettersi che, come si è visto, la fattispecie lottizzatoria contestata dall’Amministrazione ruota essenzialmente intorno all’attività di frazionamento e cambiamento di destinazione d’uso posta in essere dalla società (Califano & Panico s.r.l.) originariamente proprietaria del compendio immobiliare de quo e dalle società aventi causa della stessa (essenzialmente: Immobiliare Beatrice e La Madegra), in carenza delle necessarie autorizzazioni ed in violazione delle norme vigenti del P.R.T.C., con particolare riguardo alla dotazione degli standards e dei parcheggi pertinenziali, con effetti distorsivi sugli equilibri urbanistici di zona e sull’esercizio della potestà pianificatoria comunale.

L’attrazione alla suddetta fattispecie dell’atto di frazionamento e vendita posto in essere nell’anno 1982, in virtù del quale una parte dell’originario compendio immobiliare industriale è stato acquisito dalla società Co.Fi.M.A. s.p.a., è fondato dal Comune intimato (cfr., ad esempio, la nota di controdeduzioni alle osservazioni procedimentali prot. n. 61685 del 27.9.2013), sul fatto che il Piano A.S.I. approvato con D.P.C.M. del 6.7.1966 non contemplava il frazionamento degli opifici esistenti ed imponeva un rapporto di copertura della superficie fondiaria non superiore al 50%, mentre il rapporto di copertura dello stabilimento ex Co.Fi.M.A.. è del 57,83% (pari al rapporto tra mq. 9.900 di superficie coperta e mq. 17.120 di superficie catastale complessiva), senza tralasciare l’esistenza di opere abusive (pari a mq. 3.600 di ampliamento, come accertato con la c.t.u. espletata dal Tribunale fallimentare) che non potevano essere sanate ed impedivano altresì la sanatoria del frazionamento.

Ebbene, deve effettivamente escludersi, sulla scorta delle doglianze attoree, che l’attività di frazionamento e vendita culminata nell’acquisto di una porzione del complesso immobiliare Ceramica C.A.V.A. da parte della società Co.Fi.M.A., in data 31.3.1982, costituisca il primo tassello dello schema lottizzatorio ipotizzato dall’Amministrazione intimata.

Fa difetto in primo luogo, relativamente ad essa, il presupposto – connesso al cambio della destinazione d’uso dell’immobile preesistente – necessario, anche alla stregua della giurisprudenza citata, per l’applicazione della fattispecie lottizzatoria al di fuori dell’ipotesi tradizionale della lottizzazione del terreno a scopo edificatorio: come evidenziato dalla parte ricorrente, e non contestato dal Comune di Cava de’ Tirreni, infatti, la porzione immobiliare oggetto di cessione ha conservato, anche successivamente alla vendita, e conserva tuttora la sua originaria destinazione produttiva.

Né rileva che, come osservato dall’Amministrazione intimata, alcune circostanze inerenti alla suddetta attività (come il fatto che il Piano A.S.I. approvato con D.P.C.M. del 6.7.1966 imponeva un rapporto di copertura della superficie fondiaria non superiore al 50%, mentre il rapporto di copertura dello stabilimento ex Co.Fi.M.A.. è del 57,83%, pari al rapporto tra mq. 9.900 di superficie coperta e mq. 17.120 di superficie catastale complessiva, e la presenza di opere abusive, ovvero di mq. 3.600 in ampliamento accertati con la c.t.u. del Tribunale fallimentare) risulterebbero impeditive della sanatoria dell’immobile risultante dal frazionamento: esse ineriscono infatti ai profili di carattere edilizio e non urbanistico della vicenda de qua.

La rilevanza meramente edilizia (e non urbanistica) della stessa è del resto confermata dalla deduzione attorea, avvalorata dall’istruttoria svolta dal Comune resistente, secondo cui le aree pertinenziali risultano dimensionalmente sufficienti per lo svolgimento dell’attività produttiva, secondo i parametri di cui all’art. 5, comma 1, d.m. n. 1444/1968: in particolare, essendo il fabbisogno di standards dell’immobile ex Co.Fi.M.A. pari a mq. 1.712, lo stesso è ampiamente contenuto nei limiti della superficie scoperta disponibile, pari a mq. 7.220 (cfr. pag. 51 della nota comunale prot. n. 49953/2013).

Deve altresì osservarsi che la mancata previsione, ad opera del Piano Consortile approvato con D.P.C.M. del 6.7.1966, del frazionamento degli opifici esistenti non implica necessariamente il divieto dello stesso, potendo ragionevolmente ipotizzarsi che la sua espressa previsione ad opera della variante approvata con delibera del C.G. dell’A.S.I. n. 13 del 9.6.2002 fosse funzionale a dettare una puntuale disciplina della relativa fattispecie (piuttosto che ad introdurne ex novo l’ammissibilità).

Del resto, a confermare la non riconducibilità dell’operazione frazionatrice del 31.3.1982 alla fattispecie lottizzatoria oggetto di giudizio sovviene la discontinuità qualitativa della prima rispetto ai successivi segmenti della seconda, indice della non ascrivibilità di entrambe ad un unico disegno di trasformazione urbanistica del territorio: basti osservare che solo relativamente alla porzione del compendio industriale rimasto di proprietà della società venditrice sono riscontrabili gli atti di “parcellizzazione” immobiliare che l’Amministrazione comunale ha elevato a nucleo centrale della contestazione lottizzatoria.

Di non secondaria importanza infine, quale ragione di esclusione del suddetto atto di frazionamento dall’ipotesi lottizzatoria, è la circostanza relativa all’ampiezza della superficie scaturita dal frazionamento e trasferita alla società Co.Fi.M.A., pari a mq. 9.900 di superficie coperta e mq. 17.120 di superficie catastale complessiva: è infatti evidente che, in mancanza di ulteriori frazionamenti, la suddetta superficie, finanche maggiore di quella rimasta nella disponibilità della società Califano & Panico (pari a mq. 13.230 complessivi), non può concorrere ad integrare l’elemento materiale della contestata lottizzazione, la quale presuppone, come rilevato dalla stessa Amministrazione intimata, la “polverizzazione” dell’originario impianto immobiliare.

L’espunzione dell’attività di frazionamento e vendita dell’area ex Co.Fi.M.A. dall’ambito fattuale concorrente, secondo l’ordinanza impugnata, alla configurazione della fattispecie lottizzatoria non può che condurre all’annullamento (parziale, ovvero nei limiti dell’interesse della parte ricorrente) della stessa.

Può quindi dichiararsi l’assorbimento delle censure non esaminate.

Sussistono infine giuste ragioni, alla luce della complessità dell’oggetto della controversia, per disporre la compensazione delle spese di giudizio sostenute dalle parti della stessa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2224/2013, lo accoglie ed annulla l’ordinanza impugnata, nei limiti dell’interesse della parte ricorrente (ovvero relativamente agli effetti della stessa concernenti l’area ex Co.Fi.M.A.).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Antonio Esposito, Presidente
Ezio Fedullo, Consigliere, Estensore
Maurizio Santise, Referendario
 
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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