* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Stato di abbandono di un bene – Dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico – Tutela da ulteriori forme di decadimento – Alterazioni rispetto alla originaria configurazione del bene – Consistenza effettiva e annuale – Testimonianza oggettiva di civiltà.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 25 Giugno 2019
Numero: 1123
Data di udienza: 15 Aprile 2019
Presidente: Ianniello
Estensore: Conforti
Premassima
* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Stato di abbandono di un bene – Dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico – Tutela da ulteriori forme di decadimento – Alterazioni rispetto alla originaria configurazione del bene – Consistenza effettiva e annuale – Testimonianza oggettiva di civiltà.
Massima
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 25 giugno 2019, n. 1123
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Stato di abbandono di un bene – Dichiarazione di interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico – Tutela da ulteriori forme di decadimento – Alterazioni rispetto alla originaria configurazione del bene – Consistenza effettiva e annuale – Testimonianza oggettiva di civiltà.
Lo stato di abbandono di un bene di per sé non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico – potendo un manufatto in condizione di degrado ben costituire oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l’ulteriore decadimento. Nemmeno rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. È infatti il caso di osservare che la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà: la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario.
Pres. Ianniello, Est. Conforti – F. s.r.l. (avv. Lentini) c. Ministero per i Beni e le Attività Culturali (Avv. Stato) e altro (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ - 25 giugno 2019, n. 1123SENTENZA
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 25 giugno 2019, n. 1123
Pubblicato il 25/06/2019
N. 01123/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01442/2007 REG.RIC.
N. 02116/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1442 del 2007, proposto da:
Fin.Gest. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, corso Garibaldi, n. 103;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele, n.58;
Comune di Capaccio, non costituito in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 2116 del 2007, proposto da:
Società De Martino s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, corso Garibaldi, n. 103;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliata in Salerno, corso Vittorio Emanuele, n. 58;
Comune di Capaccio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Pasquale D’Alessio, con domicilio eletto, ope legis, presso la Segreteria del T.A.R. Campania – Salerno, in Salerno, Largo S. Tommaso d’Aquino, n. 3;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Legambiente Circolo Freewheeling, Associazione Verdi Ambiente e Società – V.A.S. Onlus, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’avvocato Pasquale Rago, con domicilio eletto, ope legis, presso la Segreteria del T.A.R. Campania – Salerno, in Salerno, Largo S. Tommaso d’Aquino, n. 3;
per l’annullamento,
quanto al ricorso n. 1442 del 2007:
– del provvedimento prot. n. 23156/07 con il quale è stata disposta l’archiviazione dell’istanza di P.U.A. n. 180/06 bis del 13.07.2006, relativa ad un intervento di riqualificazione urbana del complesso immobiliare ex Tabacchificio Cafasso;
– del decreto del Soprintendente ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino del 31.05.2007, che ha disposto l’annullamento del decreto di autorizzazione paesistica comunale n. 52/07;
– del decreto della Soprintendenza ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino del 31.05.2007, con il quale è stato disposto parere contrario, ai sensi dell’art. 21 del D.Lgs. n. 42/01;
– di tutti gli atti presupposti ed, in particolare, della nota prot. 7172 del 13.3.2007, con la quale la Soprintendenza ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino ha comunicato l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante, ai sensi degli artt. 10 e 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004, dell’intero complesso immobiliare denominato ex Tabacchificio Cafasso.
Quanto al ricorso n. 2116 del 2007:
– del decreto n.154/07 con il quale il Direttore Regionale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Regionale della Campania ha dichiarato di interesse particolarmente importante, ai sensi dell’art. 10 co. III lett. a) D. Lgs. n. 42 del 2004, il complesso immobiliare ex Tabacchificio Cafasso;
– di tutti gli atti presupposti connessi, collegati e conseguenziali, e tra questi della Relazione storico-artistica, allegata al decreto di vincolo.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Comune di Capaccio nel giudizio n. 2116/2007 r.g.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 15 aprile 2019 il dott. Michele Conforti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il presente contenzioso ha ad oggetto una pluralità di provvedimenti, tutti riguardanti una serie di edifici, costituenti nell’insieme il complesso architettonico denominato “Ex tabacchificio di Cafasso”.
In particolare, nel giudizio recante n.r.g. 1442 del 2007, è controversa la legittimità:
– del provvedimento n. 23156 del 7.06.2007 del Comune di Capaccio, con il quale è stata disposta l’archiviazione dell’istanza di P.U.A. n. 180/06 bis del 13.07.2006, relativa al progetto di riqualificazione del suddetto tabacchificio;
– del decreto della Soprintendenza ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino, del 31.05.2007, che ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione paesistica comunale n. 52/07;
– del decreto della Soprintendenza ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino, del 31.05.2007, con il quale è stato formulato il parere contrario alla realizzazione del progetto di riqualificazione del bene per cui vi è controversia;
– della comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente importante dell’intero complesso, ai sensi degli artt. 10 e 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004.
Nel giudizio n.r.g. 2116 del 2007, invece, è stato impugnato il decreto n. 154 del 12.10.2007, con cui la Direzione Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha dichiarato il complesso immobiliare dell’ex Tabacchificio di Cafasso di particolare interesse, ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. a), D.Lgs. 42 del 2004.
La società De Martino s.r.l. ha acquistato il complesso immobiliare denominato “ex Tabacchificio di Cafasso”, sito nel Comune di Capaccio ed identificato al foglio 34 particella n. 70, ricadente in zona A2 del P.R.G. comunale, ed ha incaricato la società Fin.Gest. s.r.l. di elaborare e presentare un progetto di recupero edilizio di questo compendio immobiliare.
Quest’ultima società ha pertanto presentato, in data 13.07.2006, al Comune di Capaccio, un progetto volto al recupero dell’intero complesso, prospettando la realizzazione di un’articolata costruzione avente una destinazione di tipo residenziale.
Per quanto esposto da entrambe le società nel rispettivo ricorso, l’intervento si proponeva il recupero delle parti originarie dell’impianto edilizio, il recupero dei fabbricati principali attraverso la ristrutturazione edilizia con conservazione dei materiali, della maglia strutturale e dei suoi caratteri architettonici, la demolizione di parti aggiunte successivamente, prive di caratteri originari, la ricostruzione dei volumi edilizi delle parti demolite, in altro sito, senza incremento della volumetria totale, il recupero dell’intero muro di recinzione e di tutte quelle aperture esistenti e murate nel corso degli anni, la realizzazione di zone di verde attrezzato e viali alberati, la bonifica dell’intera copertura di cemento-amianto di due corpi di fabbrica originari conservati.
Nel corso del procedimento volto a delibare l’istanza, è stato acquisito il parere favorevole della commissione edilizia (parere C.E.C.I. del 24.10.2006) e, successivamente, è stata rilasciata l’autorizzazione paesistica comunale n. 52 del 2007 da parte del Comune di Capaccio-Paestum.
In data, 31.05.2007, tuttavia, la Soprintendenza ha annullato il predetto atto abilitativo e, contestualmente, con separato atto amministrativo ha esternato il parere negativo sull’approvazione del P.U.A. presentato dalla società.
Avverso i predetti atti è insorta la società Fin.Gest. s.r.l., quale proponente il progetto non delibato favorevolmente, notificando il ricorso n.r.g. 1442 del 2007.
Va soggiunto che, precedentemente alla conclusione del procedimento appena indicato, in data 13.03.2007, con nota prot. 7172, la Soprintendenza ha comunicato l’avvio del procedimento di cui agli artt. 10 e ss. del D.Lgs. n. 42 del 2004, e, proprio in ragione dell’inizio di questo procedimento, il medesimo organo ministeriale ha emanato, in virtù del combinato disposto degli artt. 14, comma 4, e 21 del D.Lgs. n. 42 del 2004, il parere costituente il diniego dell’autorizzazione all’intervento sul bene di interesse culturale.
Tale ultimo atto ha comportato l’archiviazione del progetto presentato, da parte del Comune di Capaccio, avvenuta con nota prot. n. 10679 del 12.03.2007.
Il procedimento intrapreso ai sensi degli artt. 10 e ss. del D.Lgs. n. 42 del 2004 è poi culminato nell’adozione del decreto di dichiarazione dell’interesse culturale, avvenuta con decreto n. 154 del 1.10.2007 della Direzione Regionale della Campania del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali.
Avverso il predetto provvedimento è insorta la società De Martino, nella qualità di proprietaria del complesso immobiliare, proponendo il ricorso n.r.g. 2116 del 2007.
Nel corso del primo giudizio, si è costituito il solo Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, mentre nel secondo, oltre al predetto Ministero, si costituiva altresì il Comune di Capaccio ed intervenivano in giudizio, ad opponendum, le associazioni Legambiente circolo freewheeling e Associazione verdi ambiente e società.
In data 23.03.19, le società Fin.Gest. s.r.l. e De Martino s.r.l. depositavano una memoria illustrativa in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza del 15.04.2019, previa riunione delle stesse, le cause venivano trattenute per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente va disposta la riunione del giudizio n. 2116 del 2007 al giudizio n. 1442 del 2007, per l’evidente connessione oggettiva e, parzialmente, soggettiva delle due controversie, che ne rende opportuna la disamina unitaria.
2. Sempre in via pregiudiziale, va dichiarata la sopravvenuta carenza d’interesse alla decisione della domanda di annullamento proposta avverso la nota 7172 del 13.03.2007, con la quale si è intrapreso il procedimento di dichiarazione di particolare interesse culturale, essendo il predetto procedimento culminato nel decreto che ha dichiarato la sussistenza del vincolo ed essendo, dunque, questo l’atto da cui promanano gli effetti ritenuti pregiudizievoli o comunque limitativi delle facoltà proprietarie esercitabili nei confronti del bene.
3. Può ora procedersi all’esame dei vari motivi di ricorso, partendo dal primo di quelli articolati nell’atto introduttivo del giudizio recante n.r.g. 1442 del 2007, il quale può essere scrutinato unitamente all’articolato motivo di censura contenuto nel ricorso n.r.g. 2116 del 2007, per l’evidente connessione logico-giuridica e comunanza di argomenti di doglianza che essi presentano.
4. Con il primo motivo del ricorso n.r.g. 1442 del 2007, la deducente impugna la comunicazione dell’avvio del procedimento di dichiarazione di notevole importanza d’interesse culturale, emessa ai sensi degli artt. 10 e ss. del D.Lgs. n. 42 del 2004, nonché il decreto della Soprintendenza, adottato ai sensi dell’art. 21, del medesimo disposto normativo e con il quale è stato formulato il parere contrario alla realizzazione dell’opera e, dunque, negata l’autorizzazione all’intervento sul bene d’interesse culturale.
4.1 La ricorrente lamenta l’illegittimità dei provvedimenti per difetto del presupposto, non sussistendo, secondo la sua prospettazione, il pregio “artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante”, elevato a presupposto dell’esercizio del potere dalla normativa di riferimento.
L’interessata contesta il presupposto di fatto sia avuto riguardo al complesso nel suo insieme sia prendendo posizione su ogni singola opera.
4.2 Quanto al ricorso n.r.g. 2116 del 2007, con esso si censura il provvedimento che ha dichiarato il pregio culturale dell’opificio di cui si discorre.
La doglianza è affidata ad un unico motivo di ricorso, che si snoda in più sotto motivi.
4.2.1 Con il primo sotto motivo, si impugna il provvedimento per violazione di legge ed eccesso di potere, poiché sarebbe mancata “una puntuale ricognizione motivata dei valori intrinseci del bene, nel rispetto ineludibile del termine di vetustà dei cinquanta anni dell’intero complesso”.
In sintesi, per la ricorrente il provvedimento sarebbe viziato per difetto d’istruttoria, non adeguatamente esaustiva, e per difetto del presupposto, non essendo tutti i beni ricompresi nel vincolo, risalenti ad oltre cinquanta anni, così come richiesto dalla norma (art. 10, comma 5, D.Lgs. n. 42 del 2004, nella formulazione applicabile ratione temporis).
4.2.2 Con la seconda sottocensura, viene dedotto il difetto d’istruttoria per non essersi conformata la Soprintendenza alle disposizioni impartite dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, che imporrebbe secondo l’interessata di “classificare il bene in questione e, quindi, a chiarire a quale categoria giuridica lo stesso appartenga”.
4.2.3 Con la censura individuata sub 1.3, si deduce nuovamente il mancato espletamento di indagini preventive e la sommarietà delle conclusioni rassegnate nella relazione storico-artistica.
4.2.4 Con la censura individuata sub 1.4, si contesta il difetto di presupposto, poiché si deduce che “l’originario complesso del Bonvicini…risulta esterno all’area vincolata”, ossia che quello che è l’immobile più risalente nel tempo e per la tutela del quale si sarebbe proceduto all’apposizione del vincolo mediante la dichiarazione di interesse culturale, sarebbe stato in realtà erroneamente individuato dalla Soprintendenza, la quale non si sarebbe avveduta che quello da essa indicato come l’opificio “del Bonvicini” sarebbe in realtà tutt’altro immobile, essendo quello denominato “del Bonvicini” andato distrutto nel corso del tempo e comunque collocato in un sito esterno a quello assoggettato al vincolo.
4.2.5 Con il quinto motivo di censura, si lamenta l’illegittimità del provvedimento, per eccesso di potere per difetto d’istruttoria, perché “la relazione storico artistica… risulta priva di un dettagliato rilievo dello stato dei luoghi e del complesso dei manufatti su cui è stato disposto il vincolo”.
La Soprintendenza avrebbe proceduto ad una “descrizione vaga e generica dell’intero complesso…indugiando su pochi particolari privi di qualsiasi pregio artistico”.
4.2.6 Con il sesto motivo, ci si duole della circostanza che il bene vincolato non appartenga a nessuna delle categorie giuridiche previste dalla disciplina di settore e si contesta, partitamente, il pregio di ciascun manufatto di cui si compone il suddetto complesso industriale, evidenziando, alla stessa stregua di quanto analogamente fatto nel primo motivo di ricorso n.r.g. 1442 del 2007, che la maggior parte dei fabbricati che compongono il bene oggetto del vincolo o sono di epoca tutto sommato recente oppure sono di scarso valore architettonico.
La ricorrente deduce, icasticamente, che il “monumento, oggi esistente, è una vera e propria “contraffazione archeologica”, perché realizzato per stratificazioni successive agli anni ‘50”.
4.2.7 Con il settimo sotto motivo di censura, si lamenta l’illegittimità del provvedimento per violazione di legge, poiché non sarebbe stato soddisfatto il requisito posto dall’ultimo comma dell’art. 10 D. Lgs. n. 42 del 2004, ossia che il manufatto non risale ad oltre cinquant’anni addietro.
Per la ricorrente, considerato che molti dei manufatti sono stati aggiunti a quella che era l’opera originaria, il vincolo imposto è sproporzionato e assolutamente irragionevole, manifestando così, ulteriormente, il difetto d’istruttoria e, in generale, lo sviamento dell’attività amministrativa.
4.3 Prima di procedere all’esame delle doglianze esposte dai ricorrenti, va delibata l’eccezione di irricevibilità per tardività dell’impugnazione n.r.g. 2116 del 2007, proposta dalle intervenienti Associazioni “Legambiente Circolo Freewheeling” e “Verdi Ambiente e Società”, stante il suo carattere pregiudiziale.
Con detta eccezione, le deducenti associazioni postulano la tardività dell’impugnazione della società proprietaria del bene, poiché quest’ultima, a suo dire, era pienamente a conoscenza dell’atto di avvio del procedimento di dichiarazione di particolare interesse ex artt. 10 e ss., avvenuto con la nota prot. 7172 del 13.03.2007.
4.3.1 L’eccezione è inammissibile e comunque infondata.
4.3.2 L’eccezione è inammissibile perché non chiarisce adeguatamente al Collegio le ragioni della pretesa tardività.
Non si comprende cioè in che modo la conoscenza della suindicata nota determini la tardività dell’impugnazione in relazione a tutt’altro atto, tenuto peraltro conto che quello di cui la società proprietaria del sito avrebbe avuto conoscenza è l’atto di avvio del procedimento amministrativo, il quale, se, di regola, non può essere oggetto d’immediata impugnazione, sulla scorta dei principi e delle regole generali (cfr., ex multis, T.A.R. Campania – Salerno, Sez. I, 09/03/2016 n. 592), nel caso di comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale, può eccezionalmente esserlo, in ragione degli effetti immediatamente lesivi spiegati, “in via cautelare”, da tale atto nella sfera giuridica del destinatario, ai sensi dell’art. 14, comma 4, D.Lgs. n. 42 del 2004 (cfr., Consiglio di Stato, Sez. VI Sent., 13/06/2007, n. 3171).
4.3.3 Invero, al fine di fugare ogni dubbio circa la tempestività dell’impugnazione, è sufficiente rilevare che il provvedimento di imposizione del vincolo è stato notificato in data 22.10.2007 e la domanda di annullamento è stata proposta con ricorso notificato in data 19.12.2007, dunque nel pieno rispetto dei termini di legge.
4.3.4 Il ricorso è pertanto ammissibile.
4.4 Può allora procedersi all’esame dei suindicati motivi, ribadendo la carenza d’interesse alla disamina dell’impugnazione relativa alla nota di avvio del procedimento di dichiarazione di notevole importanza d’interesse culturale, per la ragione già chiarita in precedenza.
4.5 Quanto alla censura sul parere contrario all’autorizzazione alla realizzazione del progetto di recupero, va specificamente osservato quanto segue.
4.5.1 Nel caso di specie, l’amministrazione ha così esternato le ragioni del suo intendimento negativo, evidenziando, in primo luogo, le ragioni della sussistenza del particolare pregio “artistico, storico, archeologico o etnoantropologico”, e deducendo, segnatamente, al di là del riferimento ai caratteri “formali e costruttivi”, che di per sé nulla chiariscono a tal proposito, che l’opera “costituisce un esempio mirabile di quell’archeologia industriale di cui esistono in Italia e all’estero molte vestigia” (che ben può ritenersi locuzione espressiva della sussistenza di un interesse sul versante artistico) e che essa costituisce “testimonianza di un’attività imprenditoriale che nel corso di circa settant’anni si è sviluppata con molto successo nella piana del Sele” (perifrasi che invece esprime la sussistenza di un interesse sul versante storico).
4.5.2 Operate tali premesse sulla sussistenza del pregio da salvaguardare, in secondo luogo, l’amministrazione ha chiarito in che modo esso fosse messo in pericolo dall’intervento progettato, evidenziando, a tal proposito, che “l’intervento previsto in progetto prevede una notevole modifica dei fabbricati esistenti alterandone l’aspetto esteriore, mediante:
la modifica delle coperture…,
la realizzazione di nuove aperture e di aggetti sui fronti esterni…,
modifica… [della] tipologia dei fabbricati, caratterizzata da spazi di grandi dimensioni, suddivisi in campate da una maglia strutturale di pilastri in cemento armato, attuando, mediante un insieme di opere edilizie, quali solai di interpiano e muri di divisione, la frammentazione dei suddetti spazi…,
la quasi totale occupazione delle aree libere di pertinenza con blocchi edilizi, determinando una radicale modifica di tali aree, alterando, altresì, la percezione ed il godimento dei fabbricati principali; le stesse aree rappresentano una parte inscindibile dalla storica attività industriale”.
4.5.3 Dall’altra parte, invece, il ricorrente deduce che il complesso è privo del pregio riscontrato dalla Soprintendenza perché:
trattasi di complesso immobiliare realizzato con materiali di costruzione e tecniche comuni a tutti gli opifici industriali degli anni ’30;
di cui esistono numerosi esempi sul territorio provinciale, che certamente non hanno formato oggetto di alcuna dichiarazione di vincolo;
i due edifici principali hanno perso gran parte delle loro caratteristiche, a seguito di massicci interventi edilizi riconducibili agli anni ’70 che hanno radicalmente modificato l’aspetto architettonico del complesso, privandolo di qualsiasi concreta attrattiva culturale;
la maggior parte dei manufatti che compongono il complesso immobiliare in questione si risolve in vere e proprie superfetazioni ed aggiunte, che non rivestono valore estetico, storico o architettonico;
si tratta di edifici in conglomerato cementizio armato o in muratura che sono stati aggiunti disordinatamente, in epoca successiva, al complesso principale, per esigenze di produzione;
per quanto concerne i rivestimenti esterni, va evidenziato che sussistono coperture prive di qualsiasi valore (storico ed architettonico), per l’utilizzo di materiali da costruzione poveri e comunque di tecniche architettoniche comuni a tutti gli immobili, che risalgono ad epoca recente; anzi, vi sarebbero coperture addirittura in amianto che andrebbero rimosse.
Queste deduzioni di censura proposte con riferimento al compendio immobiliare considerato nel suo complesso, vengono poi ulteriormente articolate con riferimento a ciascuno dei corpi di fabbrica, mettendosi in risalto principalmente che si tratta di opere tutt’altro che rivestenti valore storico perché realizzate in epoca più o meno contemporanea.
4.5.4 Nell’intraprendere l’esame della doglianza, va opportunamente richiamato quello che è l’insegnamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, per la quale “La valutazione in ordine all’esistenza di un interesse culturale (artistico, storico, archeologico o etnoantropologico) particolarmente importante, tale da giustificare l’imposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 13, comma 1, e 10, comma 3, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali), è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico discrezionale compiuta (Conferma della sentenza del T.a.r. Veneto, sez. I, n. 764/2011)” (Cons. Stato Sez. VI Sent., 14/10/2015, n. 4747).
4.5.5 In maniera pregevole e suggestiva, le deducenti società hanno provato a far vacillare l’impianto motivazionale che la Soprintendenza ha posto alla base degli atti e dei provvedimenti amministrativi che hanno scandito la presente vicenda, evidenziando una serie di incongruenze che, a loro dire, sarebbero sintomatiche sia del difetto d’istruttoria, sia del travisamento dei fatti sui quali l’amministrazione si è pronunciata, sia del difetto dei presupposti che, a norma di legge, consentono l’imposizione del vincolo, sia, infine, del difetto di motivazione dei provvedimenti e degli atti adottati.
Si è contestato, in estrema sintesi, che il complesso immobiliare non avrebbe quelle caratteristiche che ne consentono la qualificazione di bene culturale, previa dichiarazione di cui all’art. 13 D. Lgs. n. 42 del 2004, poiché esso è il frutto di una serie di modifiche ed alterazioni intervenute nel corso del tempo; non coincide con il complesso produttivo originario (in particolare, non vi coincide l’edificio storico denominato del “Bonvicini”); presenta una serie di parti (segnatamente, le coperture) che andrebbero rimosse perché realizzate con materiali addirittura gravemente dannosi per la salute umana; sarebbe stato comunque realizzato con tecniche costruttive banali e materiali non di pregio.
A supporto di queste deduzioni, una delle due società ricorrenti, la De Martino s.r.l., proprietaria dell’area, ha depositato un’articolata e completa perizia di parte, che si è soffermata ad analizzare ciascuna delle ragioni di criticità, sapientemente enucleata dalla difesa della ricorrente per infirmare i dati di fatto posti a fondamento della valutazione tecnico-discrezionale dell’amministrazione e, dunque, del giudizio di valore da essa espressa.
4.5.6 I dati sui quali il Collegio ritiene doveroso soffermare l’attenzione al fine di sottoporre ad un vaglio critico le motivazioni espresse a base del diniego di autorizzazione al compimento dell’opera, nonché quelle esternate nella relazione che funge da supporto motivazionale della dichiarazione di particolare interesse culturale sono:
– l’asserita mancanza di un “dettagliato rilievo dello stato attuale dei luoghi”;
– l’erronea individuazione, da parte della Direzione Regionale del Ministero intimato, di quello che costituirebbe l’edificio del Bonvicini (e, dunque, secondo la ricostruzione storica operata dall’amministrazione statale, l’edificio del complesso produttivo più antico dello stabilimento industriale), che, secondo il perito di parte, sarebbe stato demolito e di cui non “si conserva più nessuna traccia”, oltre ad essere collocato in un’area diversa da quella sottoposta a vincolo;
– la circostanza che molti dei corpi edilizi di cui si compone il complesso sono, in realtà, o opere che si sono aggiunte alla struttura originaria (modificandone l’assetto) oppure edifici che hanno subito profonde e radicali modifiche, tali da snaturane l’impianto originario.
4.5.7 Invero, quanto al provvedimento che ha esternato il parere negativo alla realizzazione delle opere, esso focalizza l’impianto motivazionale precipuamente sulla modifica dell’intero complesso edilizio ad opera del progetto presentato dalla Fin.Gest. s.r.l. Insomma, il complesso che la società assume essere stato in larga parte oggetto di aggiunte e modifiche verrebbe, a parere della Soprintendenza, ulteriormente modificato dal piano di recupero che si intende realizzare, diluendosi così, ulteriormente, quelle caratteristiche che lo connotano come esempio di architettura industriale e come testimonianza storica dello sviluppo industriale della Piana del Sele.
Posto che, malgrado i profili di criticità dell’opera rilevati dalla ricorrente, essa conserva comunque, almeno in parte, anche per la società deducente, quelle componenti di interesse storico e architettonico individuate dall’amministrazione statale (dato questo che infatti non è stato smentito o contestato dai ricorrenti, i quali riconoscono che l’opera presenta comunque le vestigia dei manufatti originari, seppure ad essi si siano operate delle modifiche e si siano anche aggiunti edifici più recenti), il parere negativo esternato risulta logicamente congruente con l’obiettivo di salvaguardare l’opera per come essa oggi si pone e per quanto comunque essa riesce ad esprimere sul piano dell’importanza artistico-architettonica, da una parte, e storica, dall’altra.
Dunque, a prescindere dalla fondatezza o meno delle censure che la ricorrente articola sui presupposti di fatto posti a fondamento delle valutazioni tecnico-discrezionali del parere della Soprintendenza di Salerno e Avellino, permane come valido ed inconfutato l’assunto che il complesso è comunque una testimonianza di un’attività imprenditoriale svoltasi “nel corso di circa settanta anni” e che tale manifestazione di quell’attività si perderebbe a causa di lavori che ne altererebbero (“ulteriormente”, se pure si vuole accogliere la tesi di parte ricorrente) l’aspetto esteriore, realizzerebbero nuove aperture e aggetti sui fronti esterni (così modificandone i prospetti), modificherebbero “radicalmente” la tipologia dei fabbricati (facendo venire meno gli “spazi di grandi dimensioni” di cui essi si compongono mediante la realizzazione di “solai interpiano e muri di divisione” necessari per la realizzazione del progetto presentato) e, infine, comporterebbero la totale occupazione delle aree libere di cui lo spazio occupato da questa struttura si compone, con loro conseguente modificazione.
La circostanza che possano esservi state, nel tempo, delle modifiche o delle aggiunte al complesso originario non costituisce di per sé motivo sufficiente per poter tacciare il giudizio espresso dalla Soprintendenza di illogicità, di incongruenza o, in generale, di sviamento.
4.5.8 Invero, va rilevato come, in linea generale, la tutela degli interessi presidiati dall’amministrazione statale nella materia de qua è perseguita con particolare ampiezza, il che è manifestato da quel consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene legittima la dichiarazione di interesse culturale anche con riferimento a beni che presentano una condizione di degrado o di abbandono.
Secondo quanto più volte rilevato dal Consiglio di Stato: “Lo stato di abbandono di un bene di per sé non osta alla dichiarazione di interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico – potendo un manufatto in condizione di degrado ben costituire oggetto di tutela storico-artistica, sia per i valori che ancora presenta, sia per evitarne l’ulteriore decadimento. In sede di dichiarazione di interesse storico-artistico è, tuttavia, onere dell’Amministrazione dei beni culturali prendere in considerazione le puntuali obiezioni sollevate dall’Amministrazione comunale proprietaria dell’immobile. (conferma T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII n. 1764 del 2014)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 18/12/2017, n. 5950).
Il principio può essere adattato anche al caso di specie, poiché manifesta, sul piano teleologico, che il bene da tutelarsi non deve essere in perfetto stato di conservazione e scevro da possibili criticità (quali possono essere, per l’appunto, eventuali superfetazioni, aggiunte, rimaneggiamenti che possono averlo, suo malgrado, interessato).
Il punto fondamentale della tutela approntata in astratto dal legislatore (e gestita in concreto dall’amministrazione) è, invece, che esso sia ancora idoneo a esprimere e testimoniare un pregio di carattere artistico, storico, archeologico o etnoantropologico di particolare importanza (art. 13, comma 3, lett. a) o, in virtù dell’opera di salvaguardia e valorizzazione affidata alla parte pubblica, lo sia in futuro.
Tale idoneità è stata ritenuta sussistente nel caso di specie dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo che, seppure sinteticamente, nel parere contrario al rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 21 del D. Lgs. n. 42 del 2004 ha sia evidenziato quali sono i profili d’interesse dell’opera, nel suo complesso, sia le criticità del progetto, che, con tali aspetti di rilevanza, si pongono in conflitto.
Va peraltro sottolineato come un principio ancor più pertinente al caso di specie sia stato espresso dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, 14.10.2015, n. 4747, la quale ha statuito che “Nemmeno rileva che il manufatto abbia subito, nel tempo, alterazioni rispetto alla sua originaria configurazione. È infatti il caso di osservare che la tutela storico-artistica protegge non già un’opera dell’ingegno dell’autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà: la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può risultare da interventi successivi e sedimentati nel tempo, tali da dar luogo ad un manufatto storicamente complesso e comunque diverso da quello originario”.
Un simile principio ben si attaglia alla fattispecie concretamente scrutinata nel presente processo e consente dunque di rigettare il primo motivo di gravame contenuto nel ricorso n.r.g. 1442 del 2007.
4.5.9 Il primo motivo del ricorso n.r.g. 1442 del 2007 va dunque respinto.
4.6 Può procedersi, dunque, all’esame delle censure dedotte con il primo motivo di doglianza del ricorso n.r.g. 2116 del 2007, per le quali, in verità, valgono anche le considerazioni appena espresse, ma rispetto al quale possono articolarsi anche ulteriori riflessioni.
Le doglianze dedotte possono essere esaminate unitariamente, poiché, sostanzialmente, finalizzate a censurare per ragioni diverse, ancorché interconnesse, le modalità con cui l’amministrazione statale ha condotto l’istruttoria e individuato i presupposti di fatto sui quali ha basato le sue valutazioni.
4.6.1 In relazione all’ampia (soprattutto sul piano storico) istruttoria condotta dall’amministrazione, va rilevato che alcune delle censure di parte ricorrente si profilano particolarmente suggestive, allorché rilevano la mancanza di una completa ed esaustiva descrizione dello stato dei luoghi e, specialmente, delle singole opere edilizie di cui si compone il complesso immobiliare, o stigmatizzano l’erronea individuazione dell’edificio “del Bonvicini”, che, dalle risultanze catastali offerte in prova dalla società proprietaria e depositate quali allegato alla perizia di parte, risulterebbe collocato all’esterno del perimetro dichiarato di interesse culturale e non coincidente con il fabbricato individuato dalla Soprintendenza.
Nondimeno, queste asserite lacune non sono tali da infirmare nel loro complesso le deduzioni prospettate nella relazione allegata al decreto di dichiarazione di interesse culturale.
Quanto alla mancanza di un’esaustiva descrizione di ogni opera presente in situ, va evidenziato come la relazione contenga una completa enunciazione di quelle che sono le caratteristiche complessive dell’opera-ex Tabacchificio, consentendo a chi legge l’elaborato tecnico di immaginare compiutamente quelle che sono le sembianze fondamentali e gli elementi salienti di tale struttura industriale del passato.
La relazione, poi, individua quelli che sono i manufatti principali che caratterizzano come peculiare l’intero complesso e provvede a indicarne, con maggior precisione, quelle che sono le caratteristiche architettoniche e costruttive.
La circostanza che uno dei due corpi di fabbrica possa essere stato erroneamente individuato come l’edificio denominato “del Bonvicini”, costituente il nucleo originario dell’azienda frutticola impiantata nella zona di Cafasso del Comune di Capaccio, risulta irrilevante sulla scorta di quello che è il complessivo impianto logico seguito dall’amministrazione statale nel dichiarare l’interesse culturale dell’opera.
Infatti, l’edificio “del Bonvicini” ha costituito il nucleo originario (e l’opificio) di un’azienda agricola (impiantata, a quanto emerge dalla relazione dell’amministrazione, a partire dal 1925), mentre l’interesse culturale individuato dall’amministrazione procedente si è impuntato principalmente sul complesso manifatturiero del tabacchificio, rispetto al quale è incontestato che l’edificio di cui si contesta la corretta denominazione (quello – per intenderci – che presenta le tre torrette) abbia costituito uno dei nuclei produttivi fondamentali e primigeni.
Insomma, l’eventuale erronea individuazione non sarebbe comunque tale da compromettere la valutazione complessiva, che viene formulata non già con riferimento ai singoli beni, bensì relativamente ad un “complesso immobiliare”, quest’ultimo non già quale generico opificio industriale o produttivo (nel qual caso avrebbe potuto, forse, avere una certa importanza la circostanza che uno degli edifici costituenti il suo nucleo originario non fosse stato correttamente individuato), bensì quale “ex Tabacchificio”, il quale risulta composto anche dall’edificio di cui verosimilmente si è errata la qualificazione storica, mentre non era composto dall’edificio che secondo la ricorrente società proprietaria andrebbe identificato con l’edificio “del Bonvicini”.
In proposito, il Collegio ritiene che colga nel segno la difesa delle associazioni che hanno spiegato intervento, allorché rilevano che il vincolo trova “titolo, ragione o giustificazione nel complesso industriale unitariamente inteso o considerato”.
4.6.2 Va sottolineato poi come la dichiarazione di particolare interesse e la relazione di accompagnamento che di essa funge da presupposto non sono incentrate esclusivamente sui profili di carattere artistico ed architettonico, ma, anzi, danno ampio spazio alla componente storica.
La proposta che ha dato avvio al procedimento amministrativo già segnalava l’importanza storica dell’opera, evidenziando in proposito che il tabacchificio è “esempio mirabile di quell’archeologia industriale di cui esistono in Italia e all’estero molte vestigia, oltre che testimonianza di un’attività imprenditoriale che nel corso di circa settanta anni si è sviluppata con molto successo nella piana del Sele”, e l’interesse per l’aspetto più propriamente storico è rimarcato ancora di più nella relazione del decreto di dichiarazione di interesse culturale.
In tale elaborato si dà conto delle diverse fasi storiche che hanno interessato il complesso industriale, così sottolineandosene l’evoluzione da esso accusata nel tempo, anche in ragione delle mutate necessità produttive.
Si è sottolineato, poi, che “Il monumento industriale quale bene inalienabile del patrimonio culturale va elevato attraverso lo studio dei resti materiali…”, il che costituisce in sé una mirabile notazione di sintesi di quanto finora rilevato, ossia che le vestigia del presente sono ritenute dall’amministrazione dei Beni Culturali un elemento che consente di ricostruire attraverso “lo studio dei resti materiali” una testimonianza del passato, unitamente al rilievo, posto quale chiosa finale dell’intero elaborato, secondo cui “…la formulazione di un giudizio di valore non sempre può essere dedotto da una valutazione esclusivamente estetica dell’oggetto”.
4.6.3 In ragione, di quanto finora rilevato non può accogliersi la deduzione secondo cui mancherebbe “una puntuale ricognizione dei valori intrinseci del bene”, poiché essa vi è stata e si è svolta su due distinti piani: uno di carattere artistico, l’altro di rilievo storico.
Né costituisce un rilievo tale da infirmare la correttezza e la legittimità della valutazione la circostanza che non tutte le opere componenti il “complesso” presenterebbero più di cinquant’anni, considerato che esso è stato vincolato nel suo insieme, anche perché esprime un’evoluzione dell’architettura e dell’esperienza industriale svoltasi nell’arco (“nel corso”) di un settantennio.
Non si vede, poi, quale sia l’incidenza della mancata conformazione alle disposizioni dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, né quale norma prescriva l’osservanza di queste disposizioni come necessaria ai fini della legittima apposizione del vincolo.
Circa il motivo di censura articolato al punto 1.3, il Collegio, pur rilevando talune criticità dell’istruttoria e dei provvedimenti scrutinati, ha già posto in luce quali elementi consentano di ritenere infondate le pur pregevoli doglianze di parte ricorrente.
Circa il quarto e il quinto sotto motivo, relativi alla collocazione del complesso Bonvicini e al mancato dettagliato rilievo dello stato dei luoghi, si è anche in questo caso già motivato in precedenza.
Quanto al sesto sotto motivo, risulta infondata la deduzione secondo cui il bene non apparterrebbe a nessuna delle categorie giuridiche previste dalla disciplina di settore, perché la riconducibilità del complesso industriale dell’ex Tabacchificio può essere legittimamente iscritta nella fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lett. a), tenuto conto che i beni di cui esso si compone non vanno considerati atomisticamente, ma apprezzati nella loro consistenza funzionalmente unitaria.
La considerazione testé esposta rende infondato anche l’ulteriore motivo di doglianza, poiché la circostanza che l’opera risalga ad oltre cinquant’anni fa va chiaramente riferita al complesso nel suo insieme, essendo irrilevante il dato che, nel corso del tempo, vi siano state aggiunte ed edificazioni successive, laddove quest’ultime non siano state in grado di cancellare la valenza sul piano artistico o su quello storico del manufatto complessivamente apprezzato.
Né può predicarsi la sussistenza del vizio di eccesso di potere per difetto di proporzionalità della misura adottata, considerato che anche il divenire del complesso originario è stato preso in considerazione dalla Direzione Regionale, laddove essa individua l’importanza del sito nel suo essere testimonianza storica di un’attività imprenditoriale che si è protratta per oltre settant’anni.
4.6.4 In conclusione, anche il motivo articolato con il ricorso n.r.g. 2116 del 2007 va respinto.
5. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta invece l’illegittimità del provvedimento, con cui si è annullata l’autorizzazione paesaggistica n. 52 del 2007.
5.1.1 Con la prima sotto censura, individuata al punto 2.1, la ricorrente deduce che, avendo il provvedimento di diniego ex art. 21 D. Lgs. n. 42 del 2004 costituito il fondamento motivazionale dell’atto specificamente gravato con il motivo di ricorso in esame, l’invalidità del primo rifluisce sul secondo, in via derivata.
5.1.2 Con la seconda sotto censura, poi, si deduce l’illegittimità per eccesso di potere del provvedimento, perché esso è espressione della tutela di un interesse di tipo paesaggistico, sicché l’essersi riferiti ad aspetti legati a profili e circostanze collegati ad un interesse di tipo culturale lo renderebbe illegittimo per sviamento. In sintesi, deduce il ricorrente, che se anche vi fosse lesione dell’interesse tutelato alla stregua dell’art. 21 D. Lgs. n. 42 del 2004, ciò non comporta di per sé che si possa esercitare legittimamente il potere previsto dall’art. 159 D. Lgs. n. 42 del 2004, poiché esso si riconnette alla tutela di tutt’altro interesse.
5.1.3 Con la censura articolata al capo 2.3 del ricorso, si lamenta poi l’eccesso di potere per difetto del presupposto e sviamento, per l’essere il provvedimento motivato facendo riferimento al D.M. 7.06.1967 “che ha imposto il vincolo paesistico di insieme sul centro storico della località Cafasso di Capaccio”. Senonché, per la società, il richiamo sarebbe errato, poiché l’interesse paesaggistico, salvaguardato mediante l’apposizione del vincolo attraverso il predetto Decreto, sarebbe teleologicamente orientato alla difesa di valori che non sono quelli per i quali la Soprintendenza dichiara di agire nel provvedimento di annullamento tutorio.
5.1.4 Viene poi censurato il provvedimento in esame, perché sarebbe errato il riferimento in esso contenuto alla mancanza della relazione paesaggistica, al contrario presente ed allegata all’istanza presentata per l’approvazione del progetto di recupero.
5.1.5 Al punto 2.5, viene poi censurato il provvedimento nel suo generico riferimento a tutte le disposizioni contenute nel capo III del D.Lgs. n. 42 del 2004, in quanto costituente motivazione meramente apparente.
5.1.6 Al punto 2.6 si deduce l’illegittimità del provvedimento perché esso esprimerebbe valutazioni di merito sovrapposte a quelle già compiute dal Comune di Capaccio, nella parte in cui fa riferimento alla modifica dei fabbricati esistenti e alla perdita dei valori ambientali del sito.
Parimenti, sarebbe inficiata da illegittimità quella parte della motivazione del provvedimento gravato che contesta l’insufficiente motivazione del provvedimento autorizzatorio annullato.
5.1.7 Viene infine contestata anche quella parte della motivazione del provvedimento di annullamento in cui si deduce il difetto d’istruttoria dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune, evidenziandosi, a tale proposito, che, mentre il provvedimento annullato costituiva il frutto di un’istruttoria completa, quello gravato nella presente sede processuale “non ha individuato un solo reale ed effettivo motivo di tutela paesistica”, benché sia motivato con “ben 8 considerato”.
5.2 Il secondo motivo di ricorso è, nel complesso, fondato.
A tal proposito, è opportuno evidenziare che il D.M., indicato quale presupposto giustificativo dell’annullamento tutorio adottato dalla Soprintendenza, pone il vincolo paesaggistico sull’area dichiarata di notevole interesse pubblico (e nella quale ricade anche la località interessata dall’intervento), poiché “la stessa è d’interesse paesaggistico particolarmente importante per il caratteristico andamento pianeggiante e collinare del terreno ricco di flora mediterranea e di nuclei rustici di caratteristica architettura locale, che hanno assunto valore di spontaneità e di qualificazione ambientale; inoltre, essa, rappresenta un quadro naturale panoramico di incomparabile bellezza godibile da ognuno degli innumerevoli punti di belvedere accessibili al pubblico e rappresentati in special modo dai tratti di strada che attraversano il territorio comunale”, mentre il provvedimento di annullamento giunge a cassare l’autorizzazione rilasciata dal Comune considerato che “…il progetto autorizzato riguarda un ex complesso industriale, adibito alla lavorazione del tabacco; che gli interventi proposti interessano sia i fabbricati esistenti sia le aree libere di loro pertinenza;
che tale complesso presenta particolare interesse ambientale, sia per i caratteri formali e costruttivi, sia perché costituisce un esempio mirabile di quella archeologia industriale di cui esistono in Italia e all’estero molte vestigia…;
che il progetto prevede la modifica consistente dei fabbricati esistenti alterandone l’aspetto esteriore…;
che l’intervento modifica radicalmente la tipologia dei fabbricati…;
che, per quanto sopra esposto, il citato provvedimento comunale n. 52/2007 del 29.3.2007 del 29/03/2007 è viziato da eccesso di potere sotto il profilo della carenza sia di istruttoria che di motivazione”.
5.3 Ritiene il Collegio che effettivamente sussista un contrasto fra le premesse dalle quali muove la Soprintendenza e le considerazioni che sorreggono il disposto annullamento.
5.3.1 Il Decreto ministeriale, infatti, vincola l’area in cui l’intervento va a collocarsi per ragioni prettamente paesaggistiche, legate alla conformazione estetica e naturalistica del territorio del Comune di Capaccio-Paestum.
La motivazione di questo provvedimento è incentrata su profili che attengono esclusivamente alle caratteristiche orografiche (“l’andamento pianeggiante e collinare”), della flora (“ricco di flora mediterranea”), della composizione complessiva degli insediamenti (“nuclei rustici di caratteristica architettura locale”), tali da rendere l’intero territorio preso in considerazione dal decreto “un quadro naturale panoramico di incomparabile bellezza”.
Il Decreto, invocato quale fonte del vincolo e presupposto dell’intervento a tutela operato dall’organo ministeriale, si incentra dunque su profili marcatamente naturalistici (come, del resto, rimarca l’aggettivo “naturale” riferito al termine “quadro”) e di carattere estetico.
5.3.2 A differenti conclusioni può giungersi analizzando il provvedimento gravato, il quale basa la sua motivazione su aspetti prettamente legati ai profili architettonici e di valenza storica dell’ex complesso industriale e alle modifiche che il progetto, per il quale è stata chiesta e rilasciata l’autorizzazione paesistica, recherà a tale complesso edilizio.
5.3.3 Si ritiene, dunque, che mentre il primo provvedimento, il Decreto Ministeriale, pone un vincolo a tutela di interessi paesaggistici, il secondo provvedimento, l’annullamento d’ufficio gravato, sia finalizzato alla salvaguardia di interessi aventi natura diversa, di carattere storico, artistico e architettonico.
5.4 Ciò palesa la sussistenza del vizio di eccesso di potere per sviamento, poiché l’amministrazione statale ha esercitato il potere di annullamento non per caducare l’autorizzazione paesistica in quanto stridente ed in contrasto con gli interessi paesaggistici tutelati attraverso il vincolo apposto con il Decreto ministeriale, e che l’autorizzazione stessa è deputata a salvaguardare in concreto con riferimento alle singole iniziative di modifica dello stato dei luoghi, bensì per impedire la violazione e la lesione di altri valori, quelli, per l’appunto, di carattere storico, artistico e architettonico, alla tutela dei quali, tuttavia, sono finalizzati altri e diversi strumenti giuridici.
L’importanza degli interessi o l’intenzione (quand’anche, in tesi) lodevole dell’amministrazione non elidono la violazione dello scopo e delle finalità della norma che permetteva, ratione temporis, l’annullamento di secondo grado delle autorizzazioni paesistiche (ove ritenute illegittime).
Tutto ciò, come ricordato da una celebre sentenza del passato, integra il rilevato vizio di eccesso di potere: “…lo sviamento di potere, come è ben noto, può verificarsi non solo quando lo scopo dell’applicazione della norma sia addirittura illecito, ma anche quando lo scopo stesso, pur essendo lecito o anche lodevole, sia però diverso da quello che la norma si prefiggeva. Può così accadere che un provvedimento amministrativo, pur determinato da ragioni di pubblico interesse, risulti viziato da eccesso di potere, solo perché il motivo di pubblico interesse che lo ha provocato è diverso da quello che la norma, in base alla quale è stato adottato, effettivamente si proponeva” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 aprile 1937 n. 171).
5.5 Il motivo di censura va pertanto accolto e, conseguentemente, annullato il provvedimento di annullamento dell’autorizzazione paesistica comunale n. 52/07.
6. Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, si deduce l’illegittimità del provvedimento di archiviazione del Comune di Capaccio, in via derivata, poiché motivato sulla scorta dei provvedimenti asseritamente illegittimi già censurati con i precedenti motivi di ricorso, sicché venuti meno quelli, anche di questo non potrà che statuirsi l’illegittimità.
6.1 Il motivo è infondato.
In ragione dell’infondatezza delle censure elevate nei confronti del parere negativo al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’opera, nonché delle doglianze espresse con riferimento alla dichiarazione di interesse culturale il motivo può essere rigettato, venendo a cadere il presupposto concettuale sulla scorta del quale esso è argomentato.
6.2 Va dunque rigettato il terzo motivo di censura del ricorso n.r.g. 1442 del 2017.
7. In conclusione, va dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse l’impugnazione proposta avverso l’atto di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale (proposta con il primo motivo di ricorso n.r.g. 1442 del 2007), vanno respinti il primo e il terzo motivo del ricorso n.r.g. 1442 del 2007, nonché l’unico, articolato motivo del ricorso n.r.g. 2116 del 2007, mentre va, invece, accolto il secondo motivo del ricorso n.r.g. 1442 del 2007, con conseguente annullamento del decreto del Soprintendente ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino del 31.05.2007, che ha disposto l’annullamento del decreto di autorizzazione paesistica comunale n. 52/2007.
8. In ragione della complessità della vicenda, si compensano le spese di lite dei giudizi n.r.g. 1442 e 2116 del 2007.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, così dispone:
a) quanto al ricorso n.r.g. 1442 del 2007:
– dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l’impugnazione della comunicazione di avvio del procedimento di interesse culturale, di cui alla nota prot. 7172 del 13.03.2007;
– accoglie in parte il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla il decreto del Soprintendente ai B.A.P.P.S.A.E. di Salerno e Avellino del 31.05.2007 che ha disposto l’annullamento del decreto di autorizzazione paesistica comunale n. 52/2007;
– respinge il ricorso per la restante parte;
b) rigetta il ricorso n.r.g. 2116 del 2007.
Compensa le spese fra le parti, per entrambi i giudizi riuniti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Valeria Ianniello, Presidente
Viviana Lenzi, Primo Referendario
Michele Conforti, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Michele Conforti
IL PRESIDENTE
Valeria Ianniello
IL SEGRETARIO