Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime |
Categoria: Beni culturali ed ambientali
Numero: 3596 |
Data di udienza: 11 Luglio 2012
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nulla osta paesistico o edilizio – Affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione – Annullamento da parte del Ministro dei beni culturali e ambientali – A garanzia del buon andamento dell’azione amministrativa.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 6^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 25 Luglio 2012
Numero: 3596
Data di udienza: 11 Luglio 2012
Presidente: Conti
Estensore: Maiello
Premassima
* BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nulla osta paesistico o edilizio – Affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione – Annullamento da parte del Ministro dei beni culturali e ambientali – A garanzia del buon andamento dell’azione amministrativa.
Massima
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 6^ – 25 luglio 2012, n. 3596
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI – Nulla osta paesistico o edilizio – Affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione – Annullamento da parte del Ministro dei beni culturali e ambientali – A garanzia del buon andamento dell’azione amministrativa.
Il Ministro dei beni culturali e ambientali può annullare il nulla osta paesistico quando è affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, dovendo tali nulla osta essere congruamente motivati, anche se hanno natura di atti ampliativi della sfera dei destinatari, così come i provvedimenti amministrativi c.d. positivi che devono basarsi su un’idonea motivazione, giacché l’indicazione delle ragioni su cui si fondano gli stessi agevola l’attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell’azione amministrativa; pertanto, a maggior ragione tale esigenza di adeguata motivazione deve essere rispettata nell’ipotesi di nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico, attesa la tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi ai fini dell’adeguata gestione dei vincoli paesistici.
Pres. Conti, Est. Maiello – A.E. (avv. De Luca Di Melpignano) c. Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali
Allegato
Titolo Completo
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 6^ – 25 luglio 2012, n. 3596
SENTENZA
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 6^ – 25 luglio 2012, n. 3596
N. 03596/2012 REG.PROV.COLL.
N. 04720/1994 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4720 del 1994, proposto da:
Esposito Anna, rappresentata e difesa dall’avv. Lucio De Luca Di Melpignano, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo difensore in Napoli, via Cesario Console, 3;
contro
Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso i cui uffici – alla via A. Diaz n°11 – è ope legis domiciliato;
per l’annullamento
del decreto ministeriale, assunto in data 14.12.1993, di annullamento del nulla osta rilasciato, in data 28.9.1993, dal Sindaco di Anacapri ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 7 della legge 1497/1939.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2012 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il gravame in epigrafe la ricorrente impugna il decreto ministeriale di annullamento del nulla osta rilasciato, in data 28.9.1993, dal Sindaco di Anacapri ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 7 della legge 1497/1939.
Espone di essere proprietaria di una casetta unifamiliare sita in Anacapri alla vic.le Linaro, costruita in data anteriore all’1.10.1983, per la quale presentava nei termini previsti domanda di condono edilizio.
Aggiunge che il Comune di Anacapri, acquisiti il parere favorevole della C.E.I. ed il nulla osta sindacale ex articolo 7 della legge 1497/1939, con atto n. 4 del 7.1.1994, accoglieva la domanda di condono edilizio sul presupposto che si trattasse di “…opere non comportanti modificazioni dell’assetto del territorio”.
Di contro, con il provvedimento impugnato, l’Amministrazione intimata annullava il nulla osta sindacale.
Avverso tale provvedimento, con il gravame in epigrafe, la ricorrente deduce:
1) eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento dei fatti. Erronea individuazione del soggetto destinatario.
il provvedimento ministeriale, in ragione dell’indicazione di una località (via Filippetti) e di un numero di riferimento (10716) diversi, si riferirebbe ad un immobile non coincidente con quello di proprietà attorea;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 quinquies della legge 8.8.1985 n. 431. Eccesso di potere per presupposto erroneo. Carenza di istruttoria.
contrariamente a quanto ritenuto, il manufatto di proprietà della ricorrente si integrerebbe perfettamente con l’ambiente circostante; tanto più che l’atto ministeriale si limiterebbe ad affermare, con motivazione apodittica, l’estraneità del fabbricato alle tipologie architettoniche presenti nell’area;
3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 quinquies L. 8.8.1985 n. 431, L. 29.6.1939 n. 1497 e 82 D.P.R. 616/77.
il carattere di generalità ed astrattezza della misura interdittiva di cui alla legge 431/1985 dovrebbe far escludere che possa portare alla configurazione di vincoli assoluti di inedificabilità dell’area; peraltro, il suddetto vincolo, alla data del 31.12.1986, dovrebbe ritenersi oramai scaduto;
4) eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza di istruttoria.
il provvedimento impugnato non sarebbe assistito da una congrua istruttoria né da sufficiente motivazione. Il Ministero non avrebbe svolto alcuna attività istruttoria né avrebbe indicato gli elementi di contrasto con le esigenze di tutela ambientale;
5) violazione e falsa applicazione degli artt. 32, II comma, e 33, I comma, lettera A) della L. 28.2.1985 n. 47, nonché dell’articolo 7 della L. 29.6.1939 n. 1497.
contrariamente a quanto ritenuto, anche il pergolato sarebbe – anche in quanto mero completamento – un’opera realizzata in epoca anteriore al 31.10.1983 e, dunque, ricadente nel procedimento di condono.
6 ) violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 quinquies L. 8.8.1985 n. 431. Eccesso di potere per difetto di motivazione. Illogicità. Manifesta ingiustizia.
Contrariamente a quanto ritenuto, anche il pergolato costituirebbe una tipica struttura mediterranea. Sarebbe, inoltre, del tutto illogico annullare l’intero condono edilizio perché si ritiene non autorizzabile il singolo pergolato.
All’udienza di discussione la difesa di parte ricorrente ha rinunciato a tutti i motivi di gravame ad eccezione di quelli riportati ai punti 2) e 4). Quindi il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Occorre, anzitutto, premettere, ai fini di una compiuta perimetrazione della res iudicanda, che la parte ricorrente nel corso dell’udienza di discussione ha rinunciato (anche in ragione dell’intervenuta rettifica del decreto impugnato nella parte relativa alla indicazione dei dati identificativi del cespite immobiliare in argomento) a tutti i motivi di gravame ad eccezione di quelli di cui ai punti 2) e 4) sopra riportati nella premessa in fatto.
Così delineato l’interesse attoreo, l’ambito cognitivo della controversia rimesso all’esame del Collegio non può che restare circoscritto ai soli punti rimasti controversi siccome introdotti da pertinenti motivi di gravame tuttora assistititi dall’indefettibile requisito del cd. interesse al ricorso, dovendo per converso ritenersi oramai improcedibili gli altri punti di domanda oggetto di esplicita dichiarazione di rinuncia.
Orbene, procedendo nel solco delle coordinate sopra tracciate, la Sezione evidenzia che, contrariamente a quanto dedotto ai richiamati motivi sub 2 e 4, il provvedimento impugnato è assistito da un sufficiente corredo motivazionale.
Il decreto si fonda sull’assoggettamento del territorio ai vincoli rinvenienti dalla dichiarazione di notevole interesse pubblico giusta d.m. 20.3.1951, nonché sulle previsioni dell’art. 1 quinquies della l. 431/1985 e sui divieti da esso recati, e dunque sul fatto che “il fabbricato oggetto della richiesta di sanatoria per caratteri formali è estraneo alla tipologia di opere architettoniche presenti nell’area, di notevole interesse paesistico” e che “…le ulteriori modifiche previste allo stato dei luoghi non sono riconducibili alle categorie di opere consentibili ai sensi dell’art. 1 quinquies della legge 431/1985 …”, di talchè la determinazione sindacale è stata ritenuta viziata “da eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione e da violazione di legge perché in violazione delle disposizioni normative sopra citate”. Inoltre, il decreto ministeriale oppone anche che si è fatto luogo nella sede comunale ad un’unica valutazione di compatibilità paesaggistica di quanto già realizzato e di nuove opere (un pergolato con colonne in muratura), inammissibile in presenza di procedure diverse finalizzate alla tutela di interessi pubblici distinti.
Tanto premesso, e considerata la natura complessa dell’oggetto della valutazione compiuta dall’organo tutorio (rappresentato da interventi eseguiti in tempi diversi e soggetti a regimi differenziati), occorre, in prima battuta, passare in rassegna le singole statuizioni in cui si articola l’avversato provvedimento di annullamento, salvo, poi, a recuperare in prosieguo una necessaria valutazione di insieme indotta, peraltro, dallo stesso esplicito rilievo mosso dalla Soprintendenza circa la rilevata commistione, operata dall’organo di prime cure, di procedimenti aventi oggetti e natura diversi.
Ciò detto, rispetto al manufatto preesistente in riferimento al quale si è proceduto nell’ambito degli adempimenti connessi alla pendenza di un’istanza di condono, l’organo tutorio ha opposto che “il fabbricato oggetto della richiesta di sanatoria per caratteri formali è estraneo alla tipologia di opere architettoniche presenti nell’area, di notevole interesse paesistico” e che, pertanto, l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Anacapri è viziata “da eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione..”.
A tal riguardo, le opere de quibus, consistendo in un “fabbricato totalmente abusivo “ e comportando, dunque, un’oggettiva trasformazione dello stato dei luoghi, restavano evidentemente soggette ad un approfondito vaglio sulla loro armonizzabilità con il paesaggio, in quanto soggetto ad una speciale tutela.
Di contro, gli atti prodotti in giudizio evidenziano l’effettiva assenza di una motivazione espressa sulla compatibilità dell’intervento con i vincoli gravanti sull’area di sedime.
Né è possibile ritenere che l’autorizzazione sindacale, essendo un provvedimento favorevole, poteva non contenere una motivazione sulla compatibilità predetta.
Come efficacemente evidenziato da autorevole giurisprudenza, deve infatti ritenersi che, con riguardo al nulla osta di cui all’art.7 della legge n.1497/1939, sussista sempre un obbligo indifferenziato di motivazione; e ciò al fine di consentire la tutela sia in favore dell’interesse collettivo sia di quello riferito a possibili controinteressati, non assumendo alcun rilievo la natura di atto favorevole e positivo di tale nulla osta ovvero l’imposizione di prescrizioni al progetto (Consiglio di stato, sez. VI, 03 febbraio 2011 , n. 771; CdS VI Sez. n. 184 del 15/01/2002).
Sarebbe impossibile, invero, risalire alla ratio dell’atto e ricostruire l’iter logico seguito nell’adozione di esso dall’autorità emanante qualora il provvedimento stesso assumesse un tenore apodittico e non si potrebbe di certo verificare, in tale ipotesi, se l’autorità predetta abbia o non valutato correttamente gli interessi in gioco.
Peraltro, avendo l’ordinamento riservato all’autorità statale un potere di controllo della determinazione dell’ente delegato, deve ritenersi anche che una mancanza di motivazione di detta determinazione renderebbe irrealizzabile il compito ad essa attribuito (cfr. in termini CdS VI Sez. n. 184 del 15/01/2002).
Del resto, in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui il Ministro dei beni culturali e ambientali può annullare il nulla osta paesistico quando è affetto da vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione, dovendo i nulla osta del genere essere congruamente motivati, anche se hanno natura di atti ampliativi della sfera dei destinatari (cfr. Cons. St., Ad. Plen. 22.7.1999, n.20; Sez.VI, 10.8.1999 n.1025; 2.3.2000, n.1096; 8.3.2000, n.1162; 13.2.2001, n.685).
Anche i provvedimenti amministrativi c.d. positivi, dunque, devono basarsi su un’idonea motivazione, giacché l’indicazione delle ragioni su cui si fondano gli stessi agevola l’attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell’azione amministrativa; a maggior ragione tale esigenza di adeguata motivazione deve essere rispettata nell’ipotesi di nulla osta edilizio in area soggetta a vincolo paesistico, attesa la tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi ai fini dell’adeguata gestione dei vincoli paesistici (cfr. in termini CdS VI Sez. n. 184 del 15/01/2002).
Ora, avuto riguardo al caso di specie, il provvedimento sindacale attesta la compatibilità paesaggistica della costruzione in questione con una frase di stile che recepisce l’avviso favorevole già espresso della commissione edilizia integrata, senza esplicitare la traiettoria argomentativa che ha condotto a siffatta positiva delibazione.
Non può ritenersi, dunque, che l’organo comunale suddetto – cui, ai sensi dell’art.82 del DPR n.616/1977, è stata attribuito in via esclusiva la funzione di rilasciare il nulla osta in questione – abbia assolto in modo adeguato, nell’emanazione del provvedimento di propria competenza, al relativo obbligo motivazionale.
Né è possibile assegnare rilievo al rinvio operato dalla precitata determina sindacale al parere espresso dalla Commissioni integrata nella seduta dell’1.2.1991, essendosi parimenti il precitato organo collegiale limitato ad esprimere il proprio “..parere favorevole, prescrivendo che per i lavori di completamento dovranno usarsi materiali e tipologie previste dal regolamento di estetica cittadina”.
Resta, pertanto, acclarato, avuto riguardo alle divisate risultanze processuali, che l’autorizzazione paesistica rilasciata dal Comune di Anacapri con decreto sindacale n. 10716 del 28.9.1993 è del tutto sfornita di una motivazione espressa sulla compatibilità paesaggistica dell’opera assentita, non essendo sufficiente al tale scopo l’aver dettato nello stesso nulla osta alcune prescrizioni da osservare nella concreta attività edificatoria (Consiglio di stato, sez. VI, 03 febbraio 2011 , n. 771; CdS VI Sez. n. 184 del 15/01/2002).
Tale lacuna è stata del tutto ritualmente rilevata dall’organo tutorio, la cui attività di riscontro deve essere orientata, oltre che da un criterio di giustizia sostanziale e di buona amministrazione, anche dalla verifica formale della effettiva sussistenza di adeguati motivi a supporto dell’autorizzazione rilasciata.
Rispetto alla statuizione in argomento, circa il rilevato difetto di motivazione del provvedimento di prime cure, non hanno, dunque, pregio le doglianze con cui parte ricorrente lamenta la genericità degli elementi di contrasto con le esigenze di tutela ambientale rilevati dall’organo tutorio.
Ed, invero, il potere di annullamento è stato coerentemente esercitato nel rispetto dei limiti che segnano il sindacato di legittimità sull’atto, che notoriamente si estende a tutte le ipotesi concretanti vizi di legittimità, in esse incluso l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione (cfr. ex multis Consiglio di stato, sez. VI, 10 gennaio 2011 , n. 50).
Le ulteriori censure attoree che involgono la pretesa insufficienza delle ragioni di contrasto con i valori paesistici esposte nel provvedimento ministeriale di annullamento non sono, infine, conferenti siccome relative a statuizioni esterne al perimetro degli adempimenti imposti all’organo tutorio dalla normativa di settore.
L’autorità ministeriale, se pur si è soffermata a rilevare la non compatibilità dell’intervento edilizio realizzato con il vincolo paesaggistico gravante sull’area, ha sostanzialmente evidenziato un vizio consistente nella carenza di motivazione del provvedimento autorizzatorio comunale, rilevando quindi a carico dell’atto annullato un tipico vizio di legittimità.
Avrebbe infatti il Comune dovuto spiegare nel suo atto quali erano gli elementi tali da ravvisare la compatibilità paesaggistica tra il manufatto e il contesto vincolato. Le successive valutazioni espresse dall’Autorità statale in ordine alla non compatibilità dell’intervento con il vincolo paesaggistico gravante sul terreno di che trattasi sono ulteriori rispetto all’economia del provvedimento di annullamento, ma non intaccano, per la loro ultroneità del caso concreto, la portata di quel rilievo di illegittimità che è titolo sufficiente per l’annullamento. Esse perciò non valgono ad inficiare la legittimità dell’annullamento, una volta che risulti in concreto acclarato il difetto motivazionale della autorizzazione paesaggistica (Consiglio di stato, sez. VI, 03 febbraio 2011 , n. 771).
Vale, poi, aggiungere, rispetto alle nuove opere (id est pergolato con colonne), che il provvedimento impugnato si fonda anche su altre argomentazioni che impingono nei divieti di cui all’articolo 1 quinquies del D.L. 27-6-1985 n. 312. Sotto tale diverso profilo, la motivazione che regge l’avversato provvedimento di annullamento riflette una chiara capacità di resistere alle censure attoree, come detto rimaste circoscritte ai soli motivi sub 2 e 4.
Sul punto, è, infatti, di tutta evidenza l’impatto con la previsione vincolistica della legge Galasso (cfr. articolo 1 quinquies D.L. 27-6-1985 n. 312) che, senza assegnare alcun rilievo al dedotto rapporto di completamento funzionale, vieta, fino all’adozione da parte delle regioni dei piani di cui all’articolo 1-bis, ogni modificazione dell’assetto del territorio nonché ogni opera edilizia, con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici.
La chiara attitudine degli interventi in contestazione (id est pergolato con colonne) a generare una trasformazione durevole del territorio rende condivisibile il rinvio, contenuto nel provvedimento impugnato, all’incidenza ostativa del richiamato divieto normativo.
Infine, occorre tener conto delle ulteriori argomentazioni su cui si fonda il provvedimento impugnato rimaste completamente obliterate nella domanda attorea, per come rideterminata in sede di udienza di discussione.
Ed, infatti, mette conto evidenziare che il decreto ministeriale oppone, quale autonoma ragione ostativa, anche che si è fatto luogo nella sede comunale ad un’unica valutazione di compatibilità paesaggistica di quanto già realizzato e di nuove opere (un pergolato con colonne in muratura), inammissibile in presenza di procedure diverse finalizzate alla tutela di interessi pubblici distinti.
Orbene, l’assenza di uno specifico motivo di censura idoneo ad aggredire anche tale statuizione dovrebbe condurre all’inammissibilità del gravame secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale a tenore del quale “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento” (cfr. ex multis, Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897).
Ciò nondimeno, per completezza espositiva, vale richiamare le considerazioni già svolte da questa Sezione su vicende del tutto analoghe a quella fin qui scrutinata e che confermano, anche nel merito, la validità dell’impianto motivazionale posto a fondamento del provvedimento impugnato.
In effetti, ha chiarito recentemente la Sezione (sent. n. 574 del 2 febbraio 2012; n° 01792 del 18.4.2012) che, “in assenza di un vincolo di inedificabilità assoluta preesistente alla data del 1 ottobre 1983 – che non risulta apposto, per quanto qui riguarda, dal d.m. 20 marzo 1951 che ha dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della l. 1497/1939 genericamente richiamato in seno al provvedimento impugnato – le prescrizioni recate dal legislatore del 1985 non possono comportare un retroagire del regime vincolistico assoluto (imposto non a caso dopo la normativa condonistica, a sancire uno spartiacque), ossia non riconducono sotto l’imperio dell’art. 33 della l. 47 del 1985, e quindi sotto il regime di preclusione assoluta da esso recato, fattispecie in cui si è costruito senza titolo, entro la data fissata dalla legge, su immobili sottoposti a vincolo rimuovibile previa autorizzazione. Tuttavia, se ciò è vero, è ancora vero che non possono farsi rientrare nel condono (nell’autorizzazione paesaggistica a tali fini rilasciata) interventi successivi, ostandovi, come osservato dalla Soprintendenza, l’inequivoca previsione di legge volta a precludere ogni e qualsiasi (ulteriore) modificazione dello stato dei luoghi fino alla sopravvenienza della strumentazione di piano, di cui si è detto innanzi. Tale strumentazione, per quanto riguarda l’isola di Capri, è intervenuta nel 1999 con l’approvazione del P.T.P., che, in via generale, non consente incrementi volumetrici”.
In dette pronunce è stato poi ancora precisato come per un verso “l’art. 35 della l. 47 del 1985 consente (giammai ampliamenti) ma il solo completamento delle finiture et similia, ovvero l’esecuzione di interventi aventi natura eminentemente conservativa” e, per connesso verso, che eventuali ampliamenti avrebbero potuto essere sanati solo ove (ipotesi che qui evidentemente non ricorre, in presenza dei titoli abilitativi concessi) ci si fosse avvalsi “anche del sopravvenuto condono di cui all’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724, avuto conto del suo comma 20 ai cui sensi “i vincoli di inedificabilità richiamati dall’art. 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 non comprendono il divieto transitorio di edificare previsto dall’art. 1-quinquies del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito in l. 8 agosto 1985, n. 431, fermo restando il rispetto dell’art. 12 del d. l. 12 gennaio 1988, n. 2, convertito in l. 13 marzo 1988, n. 68” (che impone l’acquisizione del parere ex art. 32 stessa legge nei sensi di cui al nono comma dell’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616)”.
La vicenda sottoposta all’esame del Collegio con il ricorso in epigrafe si presenta, inoltre, peculiare in ragione del fatto che la medesima autorizzazione paesaggistica è relativa anche ad interventi nuovi (id est pergolato con colonne), a “completamento” di quanto già realizzato e fatto oggetto dell’istanza di condono.
Si è in presenza, cioè, di quella frammistione fra procedimenti la cui legittimità è negata dal Ministro per i beni culturali in seno al provvedimento impugnato.
Tali interventi, come già evidenziato, restano interdetti dal citato art. 1 quinquies l. 431 del 1985” che pone come condizione esplicita la non attitudine degli interventi, ancorchè di manutenzione, ad alterare “…lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.
La preclusione ad ogni intervento innovativo, nei territori assoggettati al regime vincolistico assoluto in discorso, è presente anche nella legislazione condonistica.
Invero, l’art. 35 della l. 47 del 1985 consente “di completare sotto la propria responsabilità le opere di cui all’articolo 31, non comprese tra quelle indicate dall’art. 33” e, quindi, con esclusione di ogni ulteriore modifica dello stato dei luoghi rispetto al preesistente edificato oggetto dell’istanza di condono che non sia consentita dalla strumentazione di piano (dal P.T.P.) nel caso sopravvenuta.
Ne deriva che nella fattispecie in questione non poteva farsi luogo ad alcuna modifica innovativa, posto che il P.T.P. dell’isola di Capri – peraltro recante rigidi vincoli di in edificabilità – è stato approvato con il D.M. 8 febbraio 1999, ossia in data successiva al 1993, anno di adozione dei provvedimenti qui all’esame.
A rilevare, comunque, è anche un altro dato, anch’esso posto in luce da più pronunce della Sezione (cfr. ex multis, n. 36 del 10 gennaio 2011, n. 26788 del 3 dicembre 2010; n. 24017 del 12 novembre 2010; n. 1976 del 14 aprile 2010; n. 1770 del 7 aprile 2010), legato ai percorsi procedimentali imposti dall’art. 35 per consentire – in relazione alle opere “non comprese tra quelle indicate dall’articolo 33”, e invece ricadenti nell’ambito dell’art. 32, e quindi di inedificabilità relativa – autorizzazioni al completamento del manufatto oggetto di condono.
Percorsi, comprensivi dell’onere di “allegare perizia giurata, ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi” (così la legge) ed a seguirsi “rigidamente anche per quanto attiene alle modalità di presentazione dell’istanza, sia al fine di conferire certezze in ordine allo stato dei luoghi…” (così le richiamate recenti pronunce della Sezione, che trovano peraltro conforto in un risalente precedente del giudice di appello, secondo cui “Siffatto maggior rigore trova sostanziale giustificazione, da un lato, nell’accentuata gravità dell’abuso edilizio commesso su aree soggette a vincolo, dall’altro, nell’esigenza di una particolare cautela nel consentirne la sanatoria”: Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 1999, n. 1082).
Tale cautela è, evidentemente, legata alla necessità di tenere ben netta la separazione, alla luce dell’ammissibilità a sanatoria solo di “opere ultimate” entro la data prevista dalla legislazione eccezionale (qui, entro il 1° ottobre 1983).
A quanto fin qui argomentato consegue che – a tutto, in ipotesi, concedersi alla tesi, secondo cui non vi sarebbero preclusioni all’adozione di un unico atto – resta pur sempre ineludibile che detto unico atto deve evitare ogni frammistione, operando al suo interno quelle separazioni nette che la legge impone, a partire dall’accertamento dell’ammissibilità a condono del manufatto non completato per poi proseguire con la verifica della natura delle opere previste a completamento che, per essere autorizzate ai sensi dell’art. 35 citato, non devono assumere rilevanza innovativa del preesistente.
Tale conclusione, ben si intende, non significa affatto precludere che l’immobile da condonare possa essere completato, adeguato funzionalmente o anche ristrutturato (del resto, sostenere il contrario sarebbe irragionevole), ma significa certamente garantire – come ragionevole e come imposto dalla legge – che a tanto si pervenga nel rispetto della stessa legge, ovvero a mezzo di procedure che ne assicurino il rispetto sostanziale evitandosi equivoche frammistioni.
Facendo applicazione dei sopra richiamati principi, deve concludersi nel senso che le doglianze attoree non possano trovare ingresso.
Ciò, soprattutto, in quanto l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Sindaco del Comune di Anacapri ed il presupposto parere della C.E.I. non si fanno carico alcuno di operare, sia pur in seno al solo atto rilasciato, quella separazione invece dovuta, ai diversi fini fin qui chiariti (cfr. TAR CAMPANIA; Sez. VI, n° 01792 del 18.4.2012; sent. n. 574 del 2 febbraio 2012).
Conclusivamente, il ricorso va respinto siccome infondato.
Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2012 con l’intervento dei magistrati:
Renzo Conti, Presidente
Arcangelo Monaciliuni, Consigliere
Umberto Maiello, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)