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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia, Procedimento amministrativo Numero: 561 | Data di udienza: 20 Febbraio 2019

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Permesso di costruire convenzionato – Emanazione – Concorso di molteplici organi comunali – Annullamento s’ufficio da parte del solo dirigente del settore territorio e ambiente – Illegittimità – Principio del contrarius actus.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 5 Aprile 2019
Numero: 561
Data di udienza: 20 Febbraio 2019
Presidente: Abbruzzese
Estensore: Severini


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Permesso di costruire convenzionato – Emanazione – Concorso di molteplici organi comunali – Annullamento s’ufficio da parte del solo dirigente del settore territorio e ambiente – Illegittimità – Principio del contrarius actus.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 5 aprile 2019, n. 561


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Permesso di costruire convenzionato – Emanazione – Concorso di molteplici organi comunali – Annullamento s’ufficio da parte del solo dirigente del settore territorio e ambiente – Illegittimità – Principio del contrarius actus.

E’illegittimo l’annullamento d’ufficio operato dal solo dirigente del settore territorio e ambiente di un comune, relativamente ad un permesso di costruire convenzionato, alla cui emanazione avevano concorso, a vari livelli, molteplici organi del Comune. La problematica de qua s’inscrive, a livello dogmatico, nel contesto del principio cd. del “contrarius actus”, il quale, in linea generale, postula che per procedere all’annullamento d’ufficio, in autotutela, di un determinato atto, occorre seguire – in direzione opposta – lo stesso iter procedimentale, che ha condotto alla sua adozione  (T. A. R. Liguria, Sez. I, 18/07/2017, n. 627; conforme: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, 4/11/2013, n. 4895; Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 13/10/2015, n. 629; T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 12/01/2011, n. 31).

Pres. Abbruzzese, Est. Severini – M.G. e altro (avv.  Visone) c. Comune di Nocera Inferiore  (avv. Criscuolo), Ministero dell’Interno (Avv. Stato) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ - 5 aprile 2019, n. 561

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 2^ – 5 aprile 2019, n. 561

Pubblicato il 05/04/2019

N. 00561/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00462/2018 REG.RIC
.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 462 del 2018, proposto da:
Margherita Galano e Giuseppe Galano, rappresentati e difesi dall’Avv. Lodovico Visone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, via Dogana Vecchia 40;

contro

Comune di Nocera Inferiore, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Sabato Criscuolo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Salerno, via Piave n. 1;
Commissione per la Stabilità Finanziaria degli Enti Locali, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Salerno, domiciliato ex lege in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 58;

per l’annullamento

A) del provvedimento prot. 13172, del 12.03.2018, adottato dal Tecnico Convenzionato nella qualità di Dirigente S. T. A., recante l’annullamento in autotutela, ex art. 21 nonies l. 241/90, del p. d. c. convenzionato, prot. 34065, del 25.07.2017;

B) ove occorra, della nota prot. 8702, del 15.02.2018, recante l’avvio del procedimento inerente l’atto adottato sub A), con contestuale sospensione dei lavori;

C) ove occorra, se ed in quanto solo ora lesivo, del decreto sindacale n. 39, del 6.12.2017, recante la nomina del dirigente convenzionato, ex art. 110 T. U. E. L.;

D) ove occorra, se ed in quanto solo ora lesiva, della delibera della Commissione Stabilità Enti Locali, n. 116 dell’1.08.2016;

E) ove occorra, delle note del Segretario Generale 5326/2017 e 55142/2017 (atti tutti impugnati sub C) – D) ed E), conosciuti solo per estremi, con riserva di motivi aggiunti);

F) d’ogni altro atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale;

– nonché

per il risanamento dei danni cagionati dal provvedimento, che incide sull’atto negoziale, in ragione del forzoso fermo del cantiere, per le spese generali, di custodia, di messa in sicurezza, per danni contrattuali e precontrattuali, come da allegata relazione contabile;

nonché, in ipotesi, per il ristoro del pregiudizio, occorso per il recesso unilaterale dall’accordo negoziale, calcolato in ragione del danno precontrattuale, contrattuale, perdita di chance, meglio descritto nell’allegata c. t. p.;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Nocera Inferiore e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2019, il dott. Paolo Severini;

Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

FATTO

Il presente giudizio ha ad oggetto il provvedimento prot. 13172, del 12.03.2018, adottato dal Tecnico Convenzionato Dirigente S.T.A., recante l’annullamento in autotutela, ex art. 21 nonies l. 241/90, del p. d. c. convenzionato prot. 34065, del 25.07.2017.

Il progetto convenzionato concerneva la bonifica del sito industriale con riqualificazione urbana dell’area, ex opificio Galano, ubicata nel centro cittadino, alla via Pironti.

In data 4.09.2014, i ricorrenti avevano presentato istanza di permesso di costruire convenzionato, per la realizzazione di un intervento di riqualificazione, ex art. 7 – co II – l. r. C. 19/2009 e ss. mm. ii. – cd. Piano Casa.

Il progetto prevedeva la demolizione di alcuni capannoni industriali e la costruzione di tre fabbricati a destinazione residenziale, composti da cinque piani fuori terra ed un piano seminterrato, destinato a box – garage, ed interessava solo una parte dell’ambito n. 6 – circa 5.000 mq. dei 20.000, su cui si sviluppava l’opificio industriale – individuato con delibera consiliare n. 3/2010 – con la quale erano stati individuati gli ambiti di intervento per la realizzazione degli interventi di riqualificazione delle aree urbane degradate, e l’opificio industriale Galano era stato individuato e contrassegnato come ambito n. 6.

In data 23.09.2014 il Comune di Nocera Inferiore richiedeva lo studio di compatibilità idraulica, l’attestato di regolarità contributiva ai fini ICI e IMU e TARSU, il protocollo ITACA, prodotti in data 14.11.2014 dagli istanti.

In data 11.12.2014, il Comune di Nocera Inferiore rilevava la mancanza del titolo abilitativo del frazionamento, delle planimetrie catastali aggiornate, del titolo di proprietà della sentenza di divisione giudiziaria.

Rilevava, poi, che l’intervento doveva essere esteso all’intero ambito dell’ATUE 6.

In data 14.01.2015 veniva fornita detta documentazione ed in data 2.02.2015 il Comune comunicava i motivi ostativi all’accoglimento della domanda e successivamente, in mancanza di memorie scritte e/o osservazioni, in data 24.02.2015, rigettava la richiesta di permesso di costruire convenzionato.

Avverso tale provvedimento, gli istanti avevano proposto ricorso giurisdizionale R.G. 870/15, tuttora pendente (ormai, di fatto, superato dall’attività, successivamente posta in essere dal Comune, di cui infra).

Difatti, il Comune di Nocera Inferiore ha, in seguito, assentito in un primo momento all’intervento di riqualificazione, richiesto dai ricorrenti a mezzo di p. d. c. convenzionato (prot. n. 34065 del 25.07.2017) e, così, ad un progetto che interessava una limitata parte del comparto (circa 5.000 mq dei 20.000 mq. originari).

A seguito della presentazione, in data 10.10.2017 (prot. n. 45129), di una richiesta di variante, il Comune ha riscontrato il contrasto del p. d. c. rilasciato, con le previsioni del P. U. C., approvato con delibera consiliare n. 12 del 28.07.2016 e, con nota prot. n. 8702 del 15.02.2018, ha comunicato l’avvio del procedimento, finalizzato all’annullamento del p.d.c. 34065/2017.

Con provvedimento, prot. n. 13172 del 12.03.2018, il Dirigente del Settore Territorio ed Ambiente del Comune di Nocera Inferiore ha, in particolare, annullato in autotutela il p. d. c. convenzionato, prot. n. 34065 del 25.07.2017, atteso che tale titolo edilizio “risulta fondato su presupposti illegittimi, in quanto: lo stesso risulta rilasciato in contrasto alla norma urbanistica vigente, tanto da non ritenersi in deroga allo strumento urbanistico vigente bensì in variante ledendo, inoltre, l’interesse pubblico, in quanto trattasi di “nuovo insediamento” che, partecipando al dimensionamento complessivo dell’ente locale, ne aggrava il carico urbanistico”.

Con il medesimo provvedimento è stata disposta l’archiviazione della richiesta di variante presentata in data 10.10.2017 (prot. n. 45129) ed è stata ordinata la cessazione di tutti i lavori connessi al titolo edilizio annullato, salva la rimozione dell’amianto, imposta dalle ordinanze sindacali, emesse nei confronti degli odierni ricorrenti, nn. 41 e 43 del 9.07.2015.

Avverso il provvedimento, prot. n. 13172 del 12.03.2018, i ricorrenti hanno così proposto l’odierno gravame, per ottenerne l’annullamento, formulando le seguenti censure in diritto:

I) Violazione di legge: art. 21 nonies, l. 241/90, in relazione agli artt. 1, 2, 7 e 12, L.R. 19/09 e s.m.i., in relazione agli artt. 12, 14, 20 e 28 bis, T.U. Ed.; agli artt. 1 e 7, d. m. 1444/1968) – Eccesso di potere: sviamento – abnormità – irrazionalità – perplessità – motivazione confusa e contraddittoria – carente istruttoria – straripamento di potere – incompetenza – violazione art. 97 Cost. e 1, l. 241/90: principi di equità – buon andamento – proporzionalità – ragionevolezza.

Premesso che “gli interventi consentiti in esecuzione del c.d. piano casa regionale, ex l. r. C. 19/09, sono riconosciuti di interesse pubblico per disposto normativo” e che “per il rilancio economico – occupazionale del Paese, che è lo scopo dichiarato dalla legge, si incentivano le intraprese edilizie ed urbanistiche mercé premi, bonus volumetrici ed usi diversificati”; e, inoltre, che “di volta in volta le diverse modalità costruttive vengono attratte al regime della deroga (come nel caso) ovvero alla variante urbanistica, secondo valutazioni operate dal legislatore, insindacabili in sede d’applicazione della norma”; che, per quanto attiene l’attuazione degli interventi disciplinati dall’art. 7, l. r. cit., il Comune di Nocera s’era dotato di uno “strumento” operativo, capace di governare ed incentivare gli interventi in deroga, ex art. 7 cpv. l. r. 19/09, consentiti, nonché delle aree ed ambiti sottratti alla disciplina derogatoria; che, con delibera n. 3 del 26.02.2010, il Consiglio comunale aveva così determinato, in modo puntuale, i criteri ed i parametri per lo sfruttamento e la riconversione dei volumi esistenti; quindi il permesso di costruire convenzionato, ora annullato, era “figlio legittimo di tale assetto normativo”, peraltro “generato a seguito di una travagliatissima gravidanza che ha già affrontato e risolto tutti i dubbi che ora agitano ancora il nuovo dirigente comunale”; era, tuttavia, “evidente che le valutazioni soggettive non possono incidere sulle determinazioni collettive, né a queste sovrapporsi, in una sorta di primazia culturale”, “a meno di non coinvolgere nel processo di revisione tutti gli organi che hanno concorso alla determinazione, da cui il p. d. c. convenzionato era sorto”; sicché “di tale atto deve predicarsi se non la nullità, per l’evidente straripamento di potere, di certo l’illegittimità per la violazione procedimentale consumata”; era “nozione elementare, infatti, che gli atti di secondo grado devono seguire lo stesso iter procedimentale dell’atto annullato”, e, essendosi detto “del travagliato iter del p. d. c. convenzionato”, lo stesso “non poteva essere vanificato in solitudine”, tanto più che il T. C. “pretende la competenza consiliare, di cui però vuole ignorare non solo il portato ma anche il suo già operato esercizio”, “non avvedendosi che, nella confusa rincorsa alla pretesa legittimazione dell’eccezionale potere esercitato, consegna l’atto alla sanzione della nullità per la carenza del potere in astratto, comunque, all’illegittimità per la carenza del potere in concreto”;

II) Violazione di legge: art. 21 nonies, l. 241/90. Eccesso di potere (sviamento – carenza del presupposto – abnormità – perplessità – motivazione incongrua ed apparente – ingiustizia manifesta) – Straripamento di potere – Violazione art. 97 Cost.: principi di ragionevolezza ed equità.

Dal chiaro tenore normativo, conseguiva “che l’interesse pubblico, necessario per potersi fare luogo all’esercizio della potestà d’annullamento dell’atto in autotutela, esige la ricorrenza di una condizione ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) di cui deve darsi prova e dimostrazione”. Nella specie, il T. C. “lamenta vizi procedurali, a tutela di prerogative e competenze degli organi di governo, piuttosto che interpretazioni soggettive delle norme applicate”, sicché “l’atto si manifesta illegittimo per violazione di legge (artt. 3 e 21 nonies l. 241/90) prima ancora che per la carenza del presupposto”; in ogni caso, in limine, s’evidenziava “come ogni censura tesa a rappresentare l’incompetenza degli organi che hanno concorso alla formazione del p. d. c. convenzionato, non era opponibile, in sede di autotutela decisoria”; quand’anche lo stesso fosse stato rilasciato da soggetto privo di attribuzioni (il che non era), non di meno ciò non ne consentiva l’annullamento, venendo in rilievo, in tale estremo, la teoria del funzionario di fatto, che ha generato l’affidamento del privato, di tal che non può essergli opposto, ex post, qualsivoglia limite d’attribuzione di potere, “promanando gli atti annullati dal Comune di Nocera, che è anche intervento nella stipula dell’atto negoziale” e “potendosi, al più, operare in via di convalida, ove necessario, in ossequio al principio di conservazione degli atti, come previsto dallo stesso art. 21 nonies, alla pari della correzione dei vizi procedurali”, mentre non era consentito l’annullamento, se non per vizi originari dell’atto, sostanziali ed inemendabili, altrimenti difetterebbe qualsivoglia interesse pubblico, prevalente sull’interesse del cittadino alla conservazione dell’atto”; in ogni caso, concludeva il ricorrente, “tali “censure” potevano essere sollevate, in ipotesi, solo dagli organi di governo, non già dallo stesso U. T. C. che aveva rilasciato il titolo”;

III) Eccesso di potere: difetto assoluto e/o motivazione apparente – carente istruttoria – sviamento – abnormità – irragionevolezza – perplessità – Violazione di legge: artt. 1, 3 e 21 nonies, l. 241/90 – violazione art. 97 Cost.: principi di equità – proporzionalità – ragionevolezza – violazione di legge: artt. 1 e 7, l. r. 19/09 – Eccesso di potere: carenza assoluta del presupposto – carente istruttoria.

Con la L. R. 19/09, titolata misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, i cui obiettivi venivano fissati nell’art. 1, si qualificavano gli interventi così normati, come d’interesse pubblico, capaci, pertanto, d’essere assentiti in deroga; in particolare, per il contrasto della crisi economica e per a tutela dei livelli occupazionali, nonché per la riqualificazione delle aree urbane degradate, erano consentiti gli interventi incentivati con l’art. 7; quello in oggetto era disciplinato dall’art. 7 cpv. della l. r. cit. e dalla delibera di C. C. n. 3/2010; in particolare la deroga s’esauriva, nel caso in esame, “unicamente nella diversa destinazione d’uso del fabbricato, pure coerente ed armonica con il contesto urbano”; tale deroga era pure “bilanciata, in una sorta di comparazione legislativa, con l’interesse più generale del recupero di un immobile esistente, degradato, con destinazione industriale dismessa da decenni, con copertura in amianto, incistato nel centro della città, che l’aveva inglobato quale corpo estraneo”; ebbene, “a fronte della destinazione residenziale di tale contenitore, si recuperava alla città non solo una funzione omogenea, ma anche spazi collettivi e verde pubblico attrezzato ed opere di urbanizzazione secondaria”, “aprendo alla città un’ampia area, prima occlusa da mura di cinta ed enormi fabbricati”; per di più, “degli originari 5.000 mq., oggetto d’intervento, ne vengono ceduti, sistemati a verde ed attrezzati, circa 2.200 mq.”, mentre “degli originari 4.600 mq. coperti, verranno utilizzati solo 670 mq, restituendo circa 4.500 mq. di densità edilizia, così eliminata, perseguendo recupero di suolo impermeabilizzato, con accesso alla fruizione collettiva del parco urbano così generato”; parimenti, “degli originari 46.500 mc, vengono utilizzati solo 10.123 mc.”, “pure ulteriormente ridotti con la richiesta di variante (da 28 a 21 alloggi) coevamente, e ancor più, illegittimamente rigettata”; descritto, in tal modo, “l’assetto normativo”, il “progetto licenziato” e “l’interesse pubblico traguardato”, con impiego di circa 50 maestranze per i prossimi tre anni, parte ricorrente opinava che “(pur) conoscendo dei limiti normativi imposti agli atti d’annullamento per autotutela decisoria, in ordine alla dimostrazione dell’interesse pubblico, “diverso dal mero ripristino della legittimità” assunta violata, e alla necessaria comparazione degli interessi coinvolti”, il nuovo T. C. convenzionato, aveva offerto “una singolare motivazione: il mancato consolidamento di un interesse qualificato nel privato al mantenimento dell’atto, perché i lavori non potevano ritenersi iniziati”; ma “ferma l’erroneità dell’assunto, non è chi non veda come, per quanto precede, la motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico perseguito con l’atto di autotutela doveva fare i conti con un intervento, esso stesso, d’interesse pubblico, per disposto normativo”, come pure riconosciuto dallo stesso Consiglio Comunale con delibera 3/2010, sulla cui scorta il titolo, “così superficialmente dissolto”, era stato rilasciato; parimenti, “doveva darsi conto dell’operata comparazione, con gli interessi del privato alla conservazione dell’atto”; né valeva “alcuna soggettiva interpretazione della prevalenza del P. U. C. sulla legge (…), comunque smentita dalle stesse N. T. A., a reggere il confronto”; in pratica, “nel dato contesto la motivazione sull’interesse pubblico risulta, così, incongrua e meramente apparente; comunque, data sul falso ed erroneo presupposto dell’operata, fittizia, valutazione degli interessi antagonisti”; al riguardo, bastava dire dell’investimento che i Galano avevano operato, per oltre 5 milioni di euro e del tempo, atteso per il conseguimento del titolo”, circostanze “assolutamente ignorate dal T. C.”; stabilito, dunque, che “quanto precede è già bastevole per intendere l’illegittimità dell’atto”, che non aveva tenuto conto della particolarità della vicenda, né della valenza dell’interesse perseguibile, parte ricorrente proseguiva osservando che, per espressa previsione dell’art. 21 nonies, l. 241/90, l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto legittimo deve essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino alla legalità, non potendo neanche “risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa, la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto, oggetto del procedimento di autotutela”; a ben vedere, infatti, “l’identificazione dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto viziato nelle medesime esigenze di tutela implicate dalla norma violata”, si risolveva “nella (inammissibile) coincidenza del presupposto vincolante, consistente nell’invalidità del provvedimento originario, con l’ulteriore e diversa condizione (secondo l’assetto regolativo di riferimento) della sussistenza di un interesse pubblico alla sua rimozione d’ufficio”; ma tale esegesi doveva essere rifiutata, “nella misura in cui si risolve nella pratica disapplicazione della parte del precetto che esige l’ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) condizione della ricorrenza dell’interesse pubblico attuale alla eliminazione del provvedimento viziato e, quindi, all’elisione dei suoi effetti giuridici”; insomma, “perché la norma abbia un senso è necessario non solo che l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto viziato non possa coincidere con la mera esigenza della restituzione all’azione amministrativa della legalità violata, ma anche che non possa risolversi nella semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative, sottese all’ordine giuridico infranto: una motivazione siffatta finirebbe, logicamente, proprio per esaurire l’apprezzamento del presupposto discrezionale, in un esame del mero riscontro della condizione vincolante (l’illegittimità dell’atto da annullare di ufficio), con un palese (e inammissibile) tradimento della volontà del legislatore”; in definitiva sul punto, “alla stregua delle coordinate ermeneutiche appena tracciate, risulta allora agevole rilevare che nell’atto controverso il solo accenno dedicato, nella motivazione, alla sussistenza dell’interesse pubblico alla rimozione degli atti annullati” risultava “formulato con esclusivo, astratto e testuale riferimento unicamente ad aspetti procedurali, piuttosto che di competenza degli organi, ovvero di affermate prevalenze di atti amministrativi regolamentari sulle fonti normative primarie, piuttosto che di riserva di regolazione, invece, derogata per legge”; ma “l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo”, dovendo, “una motivazione satisfattiva della presupposta esigenza regolativa, consacrata nel testo dell’art. 21 nonies, l. cit.” spingersi “fino all’argomentata indicazione delle specifiche e concrete esigenze pubblicistiche che impongono l’eliminazione d’ufficio dell’atto viziato e non può certo risolversi nella ripetitiva e astratta affermazione dei medesimi interessi, alla cui soddisfazione la norma violata risulta preordinata”; e “se ciò è vero nel regime ordinario, la motivazione che la norma impone nel regime speciale degli interventi edilizi, qualificati per legge d’interesse pubblico, s’esaspera”, fino a diventare “necessario il confronto e la dimostrazione di come sia proporzionato lo scopo perseguito con l’annullamento del titolo, con la vanificazione dell’interesse pubblico perseguito con l’intervento, sia in termini di rilancio economico – occupazionale, sia di riqualificazione urbana, sia in chiave di incremento di superfici permeabili, sia del depauperamento delle casse erariali (gli oneri dovuti ammontano ad € 540.000) che delle varie opere di urbanizzazione secondaria (parco urbano) non più realizzate che delle aree non più cedute al Comune (mq 2.200), che del contenitore industriale tal quale mantenuto nel centro cittadino, che dell’immobile destinato ad ERS da cedere al Comune”; tanto, “a fronte non già di una chiara e immediata violazione di norme consumata, bensì di una diversa e singolare interpretazione soggettiva delle stesse norme, operata solo ora dal nuovo T. C. convenzionato”, tanto più che anche il nuovo P. U. C. ricomprendeva l’immobile tra quelli soggetti a recupero e riqualificazione;

– IV) Violazione di legge: art. 21 nonies, l. 241/90, in relazione agli artt. 1 e 7, L.R. 19/09 in relazione agli artt. 12 e 28 bis, T. U. Ed.,; all’art. 11, l. 241/90 – Eccesso di potere: sviamento – carenza assoluta del presupposto – abnormità – illogicità – perplessità – irrazionalità – sproporzione – Violazione degli artt. 97 Cost. e 1, l. 241/90: principi di buon andamento, non aggravamento del procedimento ed equità – Straripamento di potere.

Il Consiglio Comunale, con la citata delibera 3/2010, svolgendo la delega recata nell’art. 7, l. r. 19/09, aveva predisposto il quadro istituzionale relativo agli interventi, variamente disciplinati dallo stesso art. 7, cit.; l’organo di governo, tributato di specifiche ed esclusive potestà di intervento nella materia de qua, aveva, così: – a) individuato gli ambiti di trasformazione urbanistica ed edilizia (ATUE) e relativi sub – ambiti, ai sensi dell’art. 7, comma 2, l. r. 19/09; – b) individuato gli ambiti di ERP di cui al comma 3, art. 7, cit.; – c) individuato gli ambiti di ERS per 480 alloggi, corrispondenti al fabbisogno quantificato, ai sensi dell’art. 7, comma 4, l. r. 19/09, in variante allo strumento urbanistico. Per quanto qui rileva, poi, ai sensi dell’art. 7, 2 co., cit., venivano individuati sei ATUE, tra cui quello dei Galano (il n. 6); ed erano dettate, nel dettaglio, le modalità d’attuazione: 1) destinazioni d’uso consentite; 2) parametri edilizi; 3) modalità di attuazione. Con tale strumento s’era, così, stabilito che gli interventi consentiti nell’ATUE 6 e relativo sub – ambito potevano avere: – a) destinazione residenziale; – b) h/max 19,50 m; numero piani 6; distanze dai confini 5 m; dalle strade 10; dai fabbricati 10; i. f. 0,60 mc/mq; S. U. L. = i. f. x superficie lotto; S. U. L. non residenziale 30% del S.U.L. totale, percentuale ERS da cedere: 30% valore di trasformazione; c) titolo: permesso di costruire convenzionato”; erano inoltre dettati “gli elementi essenziali della convenzione”, prevedendosi espressamente che gli interventi potevano essere attuati anche dai proprietari singoli, all’interno dei sub – ambiti individuati”; con delibera n. 13 del 28.07.2016, poi, il Consiglio Comunale aveva approvato lo schema di convenzione, anche per gli effetti dei p. d. c. convenzionati ex art. 7, l. r. 19/09, ciò, coevamente all’approvazione del P. U. C., “di cui veniva così confermata la deroga”; e, “all’esito del lunghissimo e travagliato iter istruttorio predetto”, era stato rilasciato il p. d. c. del 25.07.2017, previa stipula della convenzione in data 20.07.2017; ne conseguiva che, “da un canto, la complessa vicenda è attratta nella disciplina generale dei p. d. c. convenzionati, di cui al T. U. Ed., e, dall’altro, sul piano amministrativo, che gli impegni assunti e le pattuizioni stipulate con la convenzione dovevano essere ricostruiti, in termini di “accordo sostitutivo del provvedimento” ex art. 11, l. 241/90”; da tale complesso quadro di riferimento, e dalle “puntuali previsioni normative e regolamentari di cui si è dotato il Comune, in esecuzione anche della l. r. 19/09”, conseguiva “la pretestuosità, perché smentita addirittura in fatto, di ogni argomento speciosamente costruito ed inseguito, per argomentare un atto abnorme”, né, in assoluto, il T. C. “aveva titolo alcuno, per annullare il p. d. c. convenzionato”; ai sensi dell’art. 11, l. 241/90, infatti, nel rispetto dei principi di lealtà e buona fede, per gli effetti degli artt. 1372 e ss. Cod. Civ., la P. A. poteva solo recedere dall’accordo, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, tenendo indenne il privato “contraente” dai pregiudizi occorsi” e “dovendosi, comunque, valutare la possibilità del recesso da un negozio che ha già avuto, come nel caso, un principio di esecuzione”; ma “non solo non vi è motivo alcuno sopravvenuto per legittimare il recesso, ove volesse essere operato: perché ogni elemento, opposto dal T. C., è precedente la stessa stipula della convenzione”; per di più, “non vi è nemmeno, come rilevato, alcun interesse pubblico capace di legittimare tale eccezionale momento, confondendo il T. C. la pretesa illegittimità del titolo (che egli non avrebbe rilasciato) con il quid pluris necessario, allorquando si interviene in autotutela”; insomma, la P. A., a valle della sottoscrizione dell’accordo, e ricorrendone i presupposti, poteva agire solo con recesso unilaterale, ristorando tutti i danni contrattuali e precontrattuali, oltre ogni altra posta risarcitoria dovuta”; era allora “evidente lo straripamento di potere denunciato, che genera la nullità dell’atto” o, in subordine, “la sua patente illegittimità”, perché il T. C. non è titolato ad annullare la convenzione stipulata (dal Segretario Comunale ufficiale rogante) dal Comune con il privato; perché tale negozio è riservato, come pure riferito, alla competenza degli organi deliberanti, mentre il momento patologico necessita dell’intervento dell’A. G. O., quale che ne sia il motivo; perché solo il Giudice può risolvere il contratto, mentre il recesso è dato “solo per motivi sopravvenuti, d’ineludibile interesse pubblico”;

– V) Eccesso di potere: falsità del presupposto – carente istruttoria – sviamento; Violazione di legge: artt. 1 e ss. e 7, l. r. 19/09.

Il T. C. convenzionato affermava che il p. d. c. convenzionato sarebbe illegittimo, in quanto in contrasto con il P. U. C., approvato con delibera di C. C. 12/2016; segnatamente, l’intervento sarebbe in contrasto con l’art. 26 delle N.T.A. dello strutturale e dell’art. 10 delle N.T.A. dell’operativo; e, essendo il P. U. C. “normativa prevalente e superiore”, le precedenti norme – secondo il T. C. – dovevano da questo essere assorbite, “dal che una serie di conseguenze sia in termini di determinazione dell’ambito di intervento che del titolo di attuazione necessario”; ma, “fermo che il P. U. C., quale che ne sia la modalità di attuazione, inserisce l’area di intervento tra quelle ammesse a trasformazione edilizia ed urbanistica, laddove la quota residenziale è fissata nell’11,74% della volumetria esistente”, sicché, in assoluto, non vi sarebbe alcun interesse pubblico qualificato, legittimante il disposto annullamento del titolo, “venendo in rilievo prima ancora che il disposto dell’art. 38, T.U. Ed., il principio di proporzionalità di marca eurounitaria”; e “fermo ancora che il C. C., con la delibera 3/2010, data in esecuzione dell’art. 7, l. r. cit., aveva espressamente consentito interventi per sub – ambiti”, veniva in evidenza “l’ignoranza dell’art. 2, co. 6, delle stesse N. T. A. dello strutturale del P. U. C., dove inequivocabilmente s’afferma che: “l’elaborazione del PUC (…) ha fatto inevitabilmente salvi gli interventi in deroga previsti dalla normativa nazionale e regionale, con particolare riferimento alla l. r. c. n. 19 del 28.12.2009 e s. m. i.”; né poteva essere diversamente, “in quanto è la legge che consente l’intervento di cui all’art. 7, 2 co., in deroga agli strumenti urbanistici”, senza alcuna graduazione, né distinzione tra strumenti urbanistici; l’intervento in oggetto, pertanto, trovava “governo nella l. r. 19/09 (di deroga) e nella delibera di C. C. 3/2010, d’attuazione e specificazione della modalità operativa del disposto normativo”; ove, poi, volesse ritenersi tale delibera “superata” dal P. U. C., “non di meno l’intervento in oggetto poteva ritenersi governato da tale strumento urbanistico, né poteva in assoluto, sulla base del P. U. C., argomentarsene l’illegittimità, come ora preteso dal T. C.”: perché il P. U. C., al pari di ogni altro strumento urbanistico, è derogato per legge, venendo così meno ogni interpretazione del T. C., “tesa alla ricerca di una “impossibile” illegittimità”, “dovendo qui ritenersi impugnata ogni argomentazione spesa dal T. C.”, “senza che possa opporsi acquiescenza di sorta”; l’intervento “è in deroga e tanto basta e trova governo nell’art. 7, co. 2, l. r. 19/09 e nella delibera 3/2010”, laddove “ogni difforme argomento risulta così erroneo per contrasto con dette norme”;

VI) Violazione di legge: art. 21 nonies l. 241/90, in relazione all’art. 15, T. U. Ed. – Eccesso di potere: motivazione apparente ed erronea, in relazione alla carente istruttoria – violazione di legge: artt. 3 e 21 nonies, l. 241/90.

Per argomentare la preminenza dell’interesse pubblico, “che si esaurisce nel mero ripristino della pretesa legalità originaria”, sull’affidamento ingenerato nel privato con il rilascio del titolo, il T. C. convenzionato aveva affermato, nella sostanza, che i lavori avevano avuto un inizio “fittizio”, in quanto tesi unicamente “all’allestimento del cantiere ed alla sola demolizione degli immobili esistenti”; ma “l’affermazione restituisce plasticamente la carenza assoluta di argomenti prima ancora che la fallacia dell’assunto”, atteso che il p. d. c. convenzionato “è teso alla ristrutturazione edilizia, mercé demolizione e parziale ricostruzione, di un enorme fabbricato di oltre 46.000 mc., per una superficie coperta di ben 4.600 mq.”; e “per espressa pattuizione convenzionale, pure ribadita nel titolo edilizio, “le opere di urbanizzazione previste nel progetto devono avere inizio prima dell’avvio delle strutture residenziali (…)”; sicché “la realizzazione di tali opere (pubbliche) necessitava la previa demolizione delle fabbriche, che occupano quasi per intero l’area d’intervento (dei 5000 mq. del lotto, ben 4550,33 sono occupati dalle fabbriche)”; sicché “i lavori di demolizione, alla data del 15.02.2018 (di comunicazione del proposito d’annullamento e contestuale sospensione del titolo) avevano interessato ben 1.500 mq. di copertura, per 20.000 mc.”; “nel cantiere erano impegnati 17 operai e mezzi d’opera di rilevante consistenza, come documentato in allegato”; detti lavori “erano serventi il rispetto dell’obbligazione della realizzazione dell’opera pubblica d’urbanizzazione secondaria di verde pubblico attrezzato ad arredo urbano”; sicché era dimostrata, ad avviso del ricorrente, la falsità e la carenza del presupposto;

– VII) Violazione di legge: art. 90, d. lgs. 81/2008, in relazione agli artt. 6 e 18, l. 241/90 – Eccesso di potere: carenza assoluta del presupposto – abnormità – perplessità – sviamento – Violazione art. 97 Cost.: equità – buon andamento – lealtà – ragionevolezza.

Il T. C. convenzionato, “quale motivo aggiunto”, affermava, poi, che i lavori non potevano essere nemmeno iniziati, ed in ipotesi dovevano ritenersi sine titulo, perché il D. U. R. C., allegato alla comunicazione d’inizio lavori del 9.10.2017, era scaduto il 5.10.17; a tale proposito, “fermo che l’impresa appaltatrice è in possesso di D. U. R. C. regolari senza soluzione di continuità, come documentato”, il T. C. “non poteva ignorare che la norma invocata (art. 90, d.lgs. 81/08) non consente alcun approdo della specie”, atteso che “il D. U. R. C. non aggiornato può comportare al più una sospensione, per il tempo strettamente necessario ad ottenere, dall’ente previdenziale, l’aggiornamento del documento”, e ciò “anche a tacere che era onere dell’ente, in ipotesi, acquisire in via istruttoria il documento e/o chiederne l’integrazione, ex artt. 6 e 18, l. 241/90”;

VIII) VIOLAZIONE DI LEGGE (artt. 12 e 20 d. P. R. 380/2011 in relazione agli artt. 3, comma 1, e art. 12 bis l. r. C. 19/2009) – ECCESSO DI POTERE (carenza assoluta dei presupposti – abnormità – carente istruttoria – sviamento – difetto di motivazione).

Né aveva maggior pregio l’ulteriore motivo di diniego, secondo cui: “il P. U. C. per la zona, oggetto d’intervento, prevede la formazione di un intero ambito disciplinato dall’art. 26 delle NTA dello strutturale e dall’art. 10 delle NTA dell’operativo, in coerenza a quanto precedentemente disciplinato dalla delibera di C. C. n. 3/2010, la quale prevedeva che interventi edilizi in tale zona dovessero essere predisposti sull’intero ambito denominato 6”; era così riproposto “lo stesso argomento, speso quattro anni prima e superato a seguito del ricorso 570/2015”, dopo che l’ente aveva acquisito autorevole parere legale, a valle di una complessa istruttoria; il T. C. convenzionato si doleva così ancora “della circostanza che l’intervento progettato, riguardando solo una parte del <contenitore industriale>, non concreterebbe la finalità di riqualificazione di un’area urbana degradata di cui al citato art. 7”; a tale riguardo, fermo che “è lo stesso Consiglio Comunale ad avere individuato specificamente l’area Galano ricomprendendola nell’ATUE 6, per gli effetti dell’art. 7, II co., l. r. cit.”, tale norma non imponeva affatto che la trasformazione si estendesse all’intero “ambito”, né la delibera di Consiglio Comunale, richiamata dal T. C., prescriveva tale obbligo: con la delibera n. 3/2010, il Comune di Nocera Inferiore ha inteso dare attuazione alla l. r. e, oltre ad escludere l’applicazione del Piano casa in determinate aree, ha individuato, ai sensi del comma 2 dell’art. 7 della l. r. cit. gli ambiti, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, la cui trasformazione urbanistica ed edilizia <è subordinata alla cessione da parte dei proprietari, singoli o riuniti in consorzio, e in rapporto al valore della trasformazione, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in aggiunta alla dotazione minima inderogabile di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968>; nello specifico, il Comune aveva individuato sei aree d’intervento – ivi compreso l’ambito A. T. U. E. n. 6 – Galano –Località Casolla – in quanto corrispondenti ad aree urbane in cui sono state individuate <condizioni di degrado (presenza di attività incongrue rispetto all’ubicazione dei contenitori – edilizia degradata – diffuso disordine urbanistico) che necessitano di un’estesa azione di rinnovamento>; per tali aree – già zone D, normate dall’art. 24 N. T. A. della variante d’adeguamento del P. R. G. al P. U. T. – la delibera aveva dettato nuove destinazioni d’uso, parametri edilizi e modalità di attuazione, sul presupposto – espressamente enunciato in delibera – che tali aree, ubicate in zona centrale dell’abitato esistente, rappresentavano <una potenzialità per i privati e, ancor più, una rilevante occasione per il riassetto e la riqualificazione urbana onde invertire le tendenze in essere di ulteriore depauperamento ed intasamento urbano>; in particolare, per tali aree di trasformazione urbanistica ed edilizia (A.T.U.E.) la delibera aveva previsto, quale strumento attuativo – in luogo degli strumenti precedentemente contemplati per tali zone: p.i.p. di iniziativa comunale o p.d.l. di iniziativa privata o p.r.u.e.a. di iniziativa pubblica, riguardanti ciascun comparto delimitato graficamente nelle tavole di P. R. G. – il permesso di costruire convenzionato, ovverossia uno strumento d’attuazione semplificato, ora codificato dall’art. 28 bis T. U. Ed., per effetto del cd. decreto “Sblocca Italia” (D. L. 133/2014), ivi contemplando la possibilità che <gli interventi possono essere attuati anche dai proprietari singoli o riuniti in consorzio all’interno dei sub-ambiti individuati>; dunque, per effetto della delibera consiliare – coerentemente con gli intendimenti del legislatore regionale, che tale ipotesi aveva previsto in deroga agli strumenti urbanistici – l’area in cui ricadono gli immobili è divenuta recuperabile a mezzo di titolo diretto convenzionato; per tali motivi, dunque, “l’originario diniego venne superato”, non senza “aver approfondito l’argomento anche con il legale dell’ente”; sicché “se tale argomento non valeva a supportare il diniego, di certo non può formare oggetto di motivo di annullamento”;

IX) Violazione di legge: 21 nonies, l. 241/90, in relazione all’art. 7, II co., L. R. 19/09, in relazione agli artt. 14 e 28 bis, T. U. Ed.; alla L. R. 11/2015: principio di semplificazione – Eccesso di potere: sviamento – abnormità – perplessità – carenza assoluta del presupposto – Violazione artt. 97 Cost.; 1, l. 241/90: principi di equità – buon andamento – proporzionalità – ragionevolezza.

La tecnica redazionale del provvedimento d’autotutela impugnato, “da sola mette a nudo la carenza del presupposto legittimante l’eccezionale potere esercitato”, giacché “una personale interpretazione, affidata ad uno scritto “difensionale”, giammai può integrare il quid pluris, preteso dall’art. 21 nonies, l. 241/90”; “la complessa istruttoria posta in essere, dipanatasi nel corso di tre anni, con l’intervento di diversificati organi, parimenti qualificati, dell’Ente, pure supportati da autorevole parere legale, aveva radicato più che un legittimo affidamento”; il T. C. “non s’avvede che la sua disamina restituisce una serrata critica alla legge ed agli atti del Consiglio Comunale che vi hanno dato attuazione, piuttosto che dello stesso UTC, del segretario comunale, in disparte l’ufficio legale”; come rappresentato, infatti, “l’intervento assentito con il p. d. c. convenzionato, trova governo sia nella l. r. 19/09 (art. 7, 2 co.), sia, con specialità, nelle prescrizioni della delibera del Consiglio Comunale n. 3/2010, cui gli organi burocratici hanno dato attuazione”; né il T. C. “può incidere su atti dell’organo di governo”, ovvero “criticarli in una pretesa, indebita, disapplicazione”; il Consiglio Comunale aveva previsto che gli interventi in deroga (si badi non in variante) dell’art. 7, II co., a differenza di quelli del 4 e 5 co., si attuavano a mezzo di permesso di costruire convenzionato, a tal fine approvando anche lo schema di convenzione; sicché “le elucubrazioni in ordine alla qualificazione del concetto di area degradata, piuttosto che del titolo necessario”, restavano “nel campo delle opinioni del T. C., perché il tema era stato già affrontato dall’unico organo competente”, comprendendo l’area in oggetto in una specifica A.T.U.E., la cui attuazione era consentita a mezzo di p. d. c. convenzionato; né valeva alcuna “presunzione” in ordine ad una diversa modalità di attuazione (P. U. A.), “nella speculazione interpretativa dell’art. 26, l. r. 16/04, nel testo addizionato dalla l. r. 1/2011”; non solo “perché tale modalità argomentativa, se pure possibile in sede d’adozione dell’atto e/o in sede difensionale, non legittima il potere di annullamento, che pretende non solo la certezza dell’illegittimità originaria, ma anche un diverso, qualificato, attuale e concreto interesse pubblico”, ma anche perché erronea. L’art. 7 della l. r. 19/09, disciplinava, infatti, “plurimi e diversificati interventi”, di alcuni prevedendo la deroga agli strumenti urbanistici (II comma), di altri che siano consentiti in variante (3 e 4 comma); l’art. 2 l. r. 1/2011, che ha inserito la lettera f) al comma 3 dell’art. 26, l. r. 16/04, “s’è limitato a chiarire che gli interventi in attuazione dell’art. 7, L. R. 19/09 non costituiscono varianti al P. U. C.”; e “alcuna diversa interpretazione della norma è possibile, oltre il suo dato letterale”, perché, se l’avesse voluto, “il legislatore avrebbe detto che tali interventi devono attuarsi a mezzo PUA”; onde “la forzatura del dato normativo, anche in ragione dell’addizione chiarificatrice della norma visitata, non è consentita”; il legislatore aveva voluto dire soltanto che gli interventi in oggetto, in assoluto, non costituiscono variante al P. U. C., non altro;

X) Violazione di legge: art. 7, II co., L. R. 19/09, in relazione agli artt. 14 e 28 bis, T. U. Ed.; alla L. R. 11/2015: principio di semplificazione – Eccesso di potere: sviamento – abnormità – perplessità – carenza assoluta del presupposto – Violazione artt. 97 Cost.; 1, l. 241/90: principi di equità – buon andamento – proporzionalità – ragionevolezza.

S’è già evidenziato “come il P. U. C. fa espressamente salvi gli interventi derogatori della l. r. 19/09, di cui si è tenuto conto nella redazione dello stesso piano, come riferito nell’art. 2 delle N. T. A.”; ebbene, “in disparte tale assorbente circostanza, fermo che la legge non è derogabile per atto amministrativo”, nondimeno “l’affermazione del T. C. convenzionato che pretende l’illegittimità del p. d. c. convenzionato”, risentiva “del difetto di percezione della realtà fattuale”, non potendo ignorarsi “le ragioni della deroga, poste a base della legge “eccezionale”, già visitate, né quelle della disciplina, in concreto, dell’intervento in oggetto”; le considerazioni poste a base (prima dalla legge e, poi), dal Consiglio Comunale nella disciplina dell’ATUE 6, erano “del tutto ragionevoli, ove si consideri che gli aspetti edilizi, oggetto di deroga, riguardano un edificio già esistente, di proprietà privata, in attuali precarie condizioni di manutenzione, del quale s‘opera la riqualificazione, mercé la sua parziale ricostruzione, lasciando ampi spazi liberi impermeabilizzati, opportunamente sistemati a verde per la libera fruizione collettiva”; in pratica, “il “sacrificio” delle previsioni pianificatorie (nemmeno esistente per quanto detto) e dell’ordine in esso precostituito”, consisteva “nella sola diversa destinazione d’uso”, peraltro espressamente consentita dal nuovo P.U.C.; detto intervento, “in ragione della eliminazione di ben 36.000 mc, e coeva realizzazione di standard dotazionali, peraltro calcolati al doppio di quelli previsti, per la zona <B>, ne recuperano finanche bisogni arretrati”, sicché “può senza dubbio affermarsi che, quale che ne sia il peso, non solo è abbondantemente bilanciato ma, comparativamente, si pone quale modello virtuoso di recupero dell’esistente, in ragione dei miglioramenti che ne derivano, in relazione ad una serie di concorrenti interessi pubblici, pure disciplinati dagli organi di governo dell’ente locale (recupero, accessibilità, fruibilità, risanamento, occupazione, etc.)”; nemmeno poteva tacersi, “a tacitazione dell’inconsistenza del lamentato attentato al “dimensionamento complessivo dell’ente locale”, che l’intervento “è stato attentamente verificato, ai fini del rispetto degli standard dotazionali di zona, ex d. m. 1444/1968”; né il T. C. “contesta tale dato, né fornisce alcun elemento “numerico”, capace di supportare l’assunto, per tal verso apodittico”, “al pari d’ogni altra affermazione, quale quella che vuole l’intervento vincolato alla sola destinazione di ERS”, senz’alcuna dimostrazione di tale assunto, tenuto altresì conto “che il P. U. C. non contiene riferimenti alla densità edilizia fondiaria, ma opera mercé la definizione dell’indice di utilizzazione fondiaria, data dal rapporto tra superficie utile (S. U.) espressa in mq, costruibile per ciascun mq. della S. F. (superficie fondiaria)”, trattandosi, “in relazione agli edifici esistenti, che coprono quasi per intero la S. F., di un parametro che, com’è concepito, consente margini ampliativi della superficie, nel rispetto dell’indice”; in sintesi: – a) il fabbricato oggetto di intervento è sito nel centro cittadino; – b) l’intervento progettato, in corso d’esecuzione, riserva sedi idonee alla circolazione pedonale, integrando l’ambito del contesto urbano; incrementa le superfici permeabili, piantumate; assolve la proporzione degli spazi per parcheggi in relazione alla destinazione residenziale; anche a voler ragionare nell’ottica del T. C., “nondimeno quanto progettato doveva ritenersi attratto nella disciplina (a regime) del permesso di costruire convenzionato, come normato dall’art. 28 bis, T. U. Ed.; insomma, “sotto ogni profilo viene in evidenza la carenza strutturale dello stesso presupposto: l’illegittimità originaria del p. d. c. convenzionato”;

XI) VIOLAZIONE DI LEGGE (art. 21, nonies, in relazione agli artt. 3, 5 e 6 L. 241/90) – ECCESSO DI POTERE (difetto di motivazione – violazione del giusto procedimento – arbitrarietà – contraddittorietà) – Violazione dell’art. 1 l. 241/90 e dell’art. 97 Cost.: buon andamento, trasparenza, lealtà.

Il rilascio del p. d. c. in oggetto fondava sull’acquisizione di numerosi pareri dei vari organi dell’Ente, variamente titolati (tra cui il parere del R. d. P., “affidato ad una ponderosa disamina”); a mente dell’art. 6, comma 1, lett. e), l. 241/90, “l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento, se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale” (norma coerente, del resto, con la disposizione di principio, fissata dall’art. 3 della stessa legge, che – nel definire la “struttura” della motivazione, identificandola nell’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto – ne ha espressamente disposto il vincolo alle risultanze dell’istruttoria); sicché “il dirigente che non intenda fare proprie le indicazioni del responsabile del procedimento deve esternare le ragioni della propria divergenza dalle risultanze dell’istruttoria”; ebbene, “tali principi sono stati apertamente violati dal T. C., che ha semplicemente ignorato, in uno ad ogni altro pronunciato, la relazione istruttoria, a firma del R. d. P., che ha riconosciuto la conformità del proposto intervento alla normativa di riferimento, confortato, sul punto, anche da autorevole parere dell’Avvocatura”; e, pertanto, “il difetto di motivazione e la patente contraddittorietà, non solo menomano in concreto il diritto dei ricorrenti ad un comprensibile esercizio dell’azione amministrativa, ma costituiscono un indizio sintomaticamente rivelatore del mancato rispetto dei canoni di trasparenza, di coerenza interna e di razionalità dell’azione amministrativa”;

– XII) Violazione di legge: art. 110, co. 4, T. U. E. L. in relazione agli artt. 155 – 242 – 243 – 243 bis e ss.; 259 e 263, T. U. E. L.; art. 19, l. 81/2015 – eccesso di potere: carenza assoluta del presupposto – Straripamento di potere – Violazione art. 97 Cost.: principio di buon andamento.

Con delibera n. 17 del 10.06.2013, il Consiglio Comunale di Nocera Inferiore aveva fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario, ex art. 243 bis, T. U. E. L., essendo quindi l’ente compreso nel novero degli enti strutturalmente deficitari, per gli effetti degli artt. 242 e ss. T. U. E. L. che, nel mentre beneficia della sospensione delle procedure esecutive e della paralisi dei creditori, fino all’approvazione del piano di riequilibrio pluriennale, ove i debiti vengono spalmati nell’arco di un decennio; dall’altro subisce una serie di limitazioni di sovranità e controlli, riservati al Ministero dell’Interno e alla Corte dei Conti; in particolare, avendo il Comune di Nocera fatto ricorso anche al fondo di rotazione, ex art. 243 ter, “non solo non avrebbe potuto assumere alcun dirigente, ma avrebbe perfino dovuto operare la riduzione delle spese del personale dirigente”; ai sensi dell’art. 110. 4 co., T. U. E. L., poi, ove pure stipulato, il contratto a tempo determinato con un dirigente è risolto di diritto, nel caso in cui l’ente venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie; per cui, in assoluto, il decreto sindacale recante l’incarico dell’arch. Fontanella di dirigente a tempo determinato era “nullo per contrasto con norma imperativa (art. 110, 4 co. Tuel)”; né poteva tale norma imperativa, recante attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica nei confronti degli EE. LL. e di autonomia territoriale, “ritenersi superata da un’autorizzazione, di dubbia valenza, della Commissione di stabilità E. L., allo stato ignota”, la quale, “ove recasse una deroga al divieto imposto all’art. 110, cit., parteciperebbe della medesima sanzione, ove non volesse operarsi in termini di disapplicazione”; e “la nullità dell’investitura del T. C. convenzionato, genera la nullità strutturale dell’atto impugnato per carenza di attribuzione e di potere in astratto”.

Con il deposito del 23.03.2018, i ricorrenti hanno prodotto una perizia tecnica a firma dell’ing. Villani, che ha ricevuto l’incarico di descrivere le finalità e le caratteristiche tecnico – urbanistiche del progetto assentito, lo stato delle opere realizzate fino ad oggi e i relativi costi sostenuti e da sostenere, in caso di annullamento del permesso di costruire convenzionato.

In data 5.04.2018 s’è costituito, in resistenza, il Ministero dell’Interno.

È seguita in data 6.04.2018 la costituzione del Comune di Nocera Inferiore, con riserva di dedurre ed articolare in prosieguo le proprie difese.

Con memoria depositata in data 20.04.2018, il Comune di Nocera Inferiore ha, quindi, replicato alle censure del ricorrente affermando che:

il Dirigente del Comune non ha mai annullato la delibera consiliare 3/2010, ma ha accertato che l’intervento proposto dai Galano, trovava la sua fonte di disciplina direttamente nel P. U. C., approvato con delibera consiliare n. 12/2016, pubblicato sul BURC n. 52 dell’1.08.2016 ed entrato in vigore, quindi, in data ampiamente antecedente il rilascio del p. d. c. 34065, avvenuto il 25.07.2017;

il Dirigente del Settore Territorio ed Ambiente ha posto in essere un’attenta e ponderata valutazione degli interessi contrapposti e giustificato l’annullamento del p. d. c. in relazione all’effettiva presenza di un interesse pubblico specifico per la collettività territoriale di riferimento, al perseguimento del rispetto dell’assetto urbanistico congegnato al momento dell’approvazione dello strumento urbanistico (P. U. C.), entrato in vigore prima del rilascio del p. d. c. annullato;

il P. U. C. ha previsto che l’intervento di riqualificazione deve comprendere l’intero comparto identificato dal Piano, ossia l’intera area di 20.000 mq., occupata dall’opificio, con divieto, conseguentemente, di interventi ridotti ad una parte del comparto e deve essere assentito, esclusivamente a mezzo d’approvazione di un P. U. A. – Piano urbanistico attuativo; al riguardo, non si poteva ipotizzare la natura speciale e, quindi, derogatoria di una disciplina (quella recata dalla delibera consiliare n. 3/2010) rispetto all’altra (quella recata dal P. U. C.);

il dirigente comunale ha annullato il provvedimento amministrativo per un vizio di legittimità dello stesso, cui consegue l’inefficacia della convenzione integrativa; ha poi precisato che non è ammissibile l’intervento previsto dai Galano, attesa la mancanza del presupposto imprescindibile, per assentire gli interventi di cui al citato art. 7 l. r. C. n. 19/2009, ossia la sussistenza di un’area “urbana degradata”, per tale intendendosi, secondo la definizione cristallizzata nell’art. 2, lett. a) del medesimo testo normativo, “quelle compromesse, abbandonate, a basso livello di naturalità, dismesse o improduttive in ambiti urbani ed in territori marginali e periferici in coerenza al Piano territoriale regionale (PTR) di cui alla legge regionale 13/2008”; nel caso di specie, invece, l’intervento proposto era riferito ad un complesso industriale, non ad un’area urbana degradata; l’art. 7, comma II, non consente modifiche dell’originaria destinazione dei manufatti, che nella specie era industriale; la realizzazione dell’intervento, inizialmente assentito dal Comune e consistente nella costruzione di tre fabbricati destinati a residenza, in luogo dell’esistente opificio industriale, avrebbe comportato un cambio di destinazione, con conseguente incremento del carico urbanistico;

il P. U. C. consente per l’area in esame – D7 – un intervento di riqualificazione inerente l’intero comparto, a mezzo approvazione di un P. U. A. e, quindi, la realizzazione dell’intervento sarebbe stata in variante, e non in deroga, allo strumento urbanistico, variante non prevista per gli interventi, di cui al II comma dell’art. 7 l. r. C. 19/2009;

quanto all’effettivo inizio dei lavori, il Comune replicava, richiamando la nota prot. n. 9337 del 20.02.2017, a firma del Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Nocera Inferiore, dalla quale emergeva che, a seguito di sopralluogo, effettuato in data 19.02.2018, era emerso che “nessun lavoro era in atto”, in relazione al p. d. c. 34065/2017, e che: “All’atto del sopralluogo venivano rilevati solo lavori di bonifica dell’area relative alle ordinanze notificate agli interessati, Galano Margherita (…) e Galano Giuseppe, ai sensi del D. Lgs. n. 152/2006 nella versione vigente” (il Sindaco del Comune di Nocera Inferiore, con le ordinanze nn. 41 e 43 del 9.07.2015, aveva ordinato ai ricorrenti la rimozione delle coperture degli opifici industriali in eternit – amianto). Si chiarisce che all’atto del predetto sopralluogo è stata accertata l’esecuzione solo di tali lavori di bonifica”;

il Comune rilevava, poi, che il D. U. R. C. presentato, in allegato alla comunicazione d’inizio lavori del 9.10.2017 (prot. n. 44877), era scaduto il 5.10.2017, e in forza del comma X dell’art. 90 del D. Lgs. n. 81/2008, in tale ipotesi “è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo”, con l’ovvia conseguenza che gli eventuali lavori, effettuati nel periodo di sospensione, non potevano che essere considerati abusivi;

in replica all’ottavo motivo di ricorso, il Comune assumeva che al momento della presentazione del primo ricorso, risalente al 2015, l’ente non aveva ancora approvato il P. U. C., prevedente che l’intervento di riqualificazione, nelle zone D7, dovesse riguardare l’intero comparto, non ammettendo interventi parziali, che in tal modo aveva superato la stessa delibera consiliare n. 3/2010;

quanto all’ultimo motivo di ricorso, il Comune di Nocera Inferiore replicava che non s’era mai trovato nelle condizioni di deficit strutturale, ex art. 242 D. Lgs. n. 267/2000, e non aveva mai avuto accesso al fondo di rotazione, ex art. 243 ter del citato D. Lgs. 267/2000; il Comune aveva fatto ricorso solo alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ex art. 243 bis del D. Lgs. 267/2000 ed era sottoposto ai controlli del Ministero sulle assunzioni del personale; nello specifico, l’assunzione del Dirigente del Settore Territorio ed Ambiente era stata ritualmente approvata dalla Commissione per la Stabilità Finanziaria degli Enti Locali, nella seduta del 22.11.2016.

Con memoria, depositata in data 11.01.2019, il Ministero dell’Interno ha poi chiesto la dichiarazione di difetto di legittimazione dell’Amministrazione Statale, atteso che gli atti impugnati riguardavano provvedimenti adottati dal Comune di Nocera Inferiore, i cui effetti non potevano essere in alcun modo ascritti al Ministero dell’Interno; l’unico atto emanato dalla P. A. statale, impugnato in subordine e solo qualora lesivo della posizione dei ricorrenti, era la decisione della Commissione della stabilità finanziaria degli enti locali, n. 116 dell’1.08.2016; si precisava anche che il Comune di Nocera Inferiore, con atto consiliare n. 17 del 10 giugno 2013, aveva deliberato il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ai sensi dell’art. 243 bis del T. U. E. L. 267/2000, senza richiedere l’accesso al fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali; l’ente era, pertanto, sottoposto ai controlli centrali sulle dotazioni organiche e sulle assunzioni di personale, da parte della Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali (COSFEL), ai sensi del predetto art. 243 bis, comma 8, lett. d) del T. U. E. L., per tutta la durata del Piano di riequilibrio e l’impugnata decisione COSFEL 116 del 1.8.2016, non riguardava il Comune di Nocera Inferiore, bensì un altro Comune, ed era, pertanto, da considerare estranea al presente gravame.

È seguita la memoria dei ricorrenti, depositata in data 18.01.2019, nella quale gli stessi hanno insistito nell’evidenziare che la motivazione sull’interesse pubblico, rappresentata nell’atto impugnato, era “apodittica” e che l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo doveva essere integrato da ragioni, diverse dalla mera esigenza di ripristino della legalità e non poteva risolversi nella semplice ripetizione delle esigenze regolative, sottese all’ordine giuridico infranto.

È seguita la memoria di replica del Comune di Nocera Inferiore, depositata in data 30.01.2019, nella quale s’è contestata l’asserita carenza di motivazione, in ordine all’interesse pubblico sotteso al provvedimento impugnato, e s’è chiarito che il Dirigente del Settore Territorio ed Ambiente del Comune di Nocera Inferiore aveva posto in essere “un’attenta e ponderata valutazione degli interessi contrapposti” e giustificato l’annullamento in autotutela del p. d. c. “in relazione all’effettività della tutela dell’interesse pubblico specifico di natura urbanistica, rappresentato dall’esigenza di non consentire una deviazione dell’uso del territorio dalle finalità e modalità, legittimamente individuate dal Piano Urbanistico Comunale (P. U. C.), entrato in vigore prima del rilascio del p. d. c. annullato”, al quale i ricorrenti avevano prestato “acquiescenza, non avendolo impugnato”; s’era, altresì, precisato che sussistevano “tutte le condizioni per l’annullamento in autotutela del provvedimento, in considerazione anche dell’esiguità del tempo trascorso tra l’atto emanato ed il provvedimento d’annullamento dello stesso (poco meno di sette mesi), del mancato inizio dei lavori (cfr. nota prot. n. 9337 del 20.02.2017, atto non impugnato), e del motivo fondante l’annullamento, rinvenibile nell’ordinato assetto del territorio”; s’è richiamata la giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 8/2017, che ha chiarito che l’onere motivazionale gravante sull’Amministrazione è attenuato, in ragione della rilevanza degli interessi pubblici tutelati; il Comune ha poi, in replica all’asserita assenza di un vizio di legittimità, evidenziato la non conformità urbanistica dell’intervento e la presenza di un contrasto del p. d. c. annullato con il P. U. C., che aveva espressamente previsto che l’intervento di riqualificazione, per l’area in esame, dovesse: – comprendere l’intero comparto identificato dal Piano, ossia l’intera area di 20.000 mq occupata dall’opificio industriale, con divieto, conseguentemente, di interventi ridotti e parziali del comparto; – essere assentito esclusivamente a mezzo di approvazione di un PUA – Piano urbanistico attuativo; infine, il Comune ha ribadito la presenza di un vizio originario, dato che il P. U. C. era vigente, già al momento del rilascio del permesso di costruire annullato e, quindi, l’applicabilità dell’art. 21 nonies l. 241/90.

Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2019, il ricorso era trattenuto in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Tribunale come, ai fini della decisione del ricorso, s’imponga, previamente, una ricognizione del contenuto testuale del provvedimento gravato.

Nello stesso, a firma del Dirigente del Settore Territorio e Ambiente del Comune di Nocera Inferiore, avente ad oggetto la “conclusione del procedimento, finalizzato all’annullamento, ai sensi della l. 241/90 e ss. mm. ed ii., del p. d. c. 34065 del 25/07/2017, e contestuale archiviazione della richiesta di variante, prot. 45129 del 10/10/2017”, premesso che:

lo scrivente è stato nominato Dirigente del Settore Territorio e Ambiente con Decreto Sindacale n. 39 del 06/12/2017;

a seguito di colloquio intercorso con il titolare di P. O. dell’Edilizia Privata ha appreso che l’Ufficio aveva valutato positivamente una richiesta di p. d. c. convenzionato in variante (prot. 45129 del 10/10/2017) al p. d. c. convenzionato 34065 del 25/07/2017, rilasciato a nome dei sigg.ri Galano Giuseppe e Margherita, consistente nella diminuzione della volumetria già concessa, ai sensi di quanto disposto dalla Delibera di C. C. n. 3/2010, disciplinante gli interventi di cui all’art. 7 comma 2 della L. R. C. 19/2009 e s.m.i.;

ha avuto disposizione dall’Amministrazione di determinarsi in merito;

Verificato che gli atti presenti in ufficio, sia relativi al p. d. c. convenzionato n. 34065 del 25/07/2017 che agli atti ad esso presupposti, risultano affetti da criticità;

Ritenuto che il procedimento relativo alla variante de quo, è da ritenersi non procedibile, poiché collegato al p. d. c. convenzionato 34065 del 25/07/2017, che evidenzia dei profili di criticità, rispetto alla non coerenza con la strumentazione urbanistica vigente e, pertanto, l’iter procedurale della variante, di cui già è stata comunicata la sospensione, ad oggi non risultando procedibile, si dispone l’archiviazione della richiesta di variante prot. 45129 del 10/10/2017;

Rilevato che esiste agli atti, per il p. d. c. convenzionato prot. 34065 del 25/07/2017, una comunicazione d’inizio lavori, prot. 44877 del 9/10/2017, con la quale si dà inizio all’allestimento del cantiere ed alla sola demolizione degli immobili esistenti e che, pertanto, è utile precisare, come da orientamento giurisprudenziale consolidato, che non si è verificato alcun reale inizio, in quanto non risulta rilasciata alcuna autorizzazione sismica, senza la quale le opere edilizie non possono materialmente iniziare (in zone individuate a rischio sismico);

(che) pertanto anche se s’è generato un legittimo affidamento al cittadino, relativamente al p. d. c. rilasciato, lo stesso non può considerarsi lesivo di reali interessi, in quanto le opere edilizie non risultano concretamente iniziate e quindi risulta prevalente l’interesse pubblico al razionale sviluppo del territorio;

(che) inoltre a motivo aggiunto si rappresenta che i lavori in concreto non potevano comunque iniziare, perché allegata alla comunicazione di inizio lavori per allestimento cantiere e per demolizione degli immobili, prot. n. 44877 del 9/10/2017, è allegato un D. U. R. C. scaduto in data 5/10/2017, pertanto ai sensi dell’art. 90, commi 9 e 10, del D. LGS. 81/2008, qualsiasi lavorazione, se iniziata, è da ritenersi “sine titulo”;

Tenuto conto che in data 28/07/2016, con delibera di Consiglio Comunale n. 12, è stato definitivamente approvato il Piano Urbanistico Comunale, corredato di V.A.S., degli Atti di Programmazione degli Interventi, dei Piani di Settore ai sensi dell’art. 25 c. 1 della L. R. C. 16/2004 e dell’art. 3 comma 5 del Regolamento di Attuazione n. 05/2011;

che il P. U. C., per la zona oggetto d’intervento, prevede la formazione di un intero ambito, disciplinato dall’art. 26 delle N. T. A. dello strutturale e dall’art. 10 delle N. T. A. dell’operativo, in coerenza a quanto precedentemente disciplinato dalla delibera di C. C. n 3/2010, la quale prevedeva che interventi edilizi in tale zona dovessero essere predisposti sull’intero ambito denominato “6”;

che la normativa prevalente e superiore, dettata dal P. U. C. approvato, è da ritenersi assorbente delle precedenti norme (in) quanto tra esse non c’è coerenza;

che l’art. 7, comma 2, L. R. Campania 28/12/2009, n. 19, prevede per la riqualificazione delle aree urbane degradate, che “le amministrazioni comunali devono concludere il procedimento, anche su proposta dei proprietari singoli o riuniti in consorzio, con provvedimento da adottare, nel rispetto dei termini previsti dalla legge n. 241/1990, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, relativo agli ambiti la cui trasformazione urbanistica ed edilizia è subordinata alla cessione da parte dei proprietari, singoli o riuniti in consorzio, e in rapporto al valore della trasformazione, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in aggiunta alla dotazione minima inderogabile di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto ministeriale n. 1444/1968. Nella identificazione dei suddetti ambiti devono essere privilegiate le aree in cui si sono verificate occupazioni abusive”;

che l’art. 26 della L. R. Campania 22/12/2004, n. 16, indica che i “piani urbanistici attuativi – Pua – sono strumenti con i quali il comune provvede a dare attuazione alle previsioni del Puc o a dare esecuzione agli interventi di urbanizzazione e riqualificazione” (e) prevede, altresì, che l’approvazione dei Pua non possa comportare variante al Puc e che a tal fine non costituiscono variante al Puc, tra l’altro, gli interventi in attuazione dell’articolo 7 della legge regionale n. 19/2009;

che il comma 5 del medesimo art. 26 dispone che la Giunta Comunale può decidere di conferire alla delibera di approvazione dei Pua valore di permesso di costruire abilitante gli interventi previsti, subordinando tale permesso all’acquisizione dei pareri, autorizzazioni, nulla-osta e provvedimenti all’uopo necessari, anche mediante lo sportello urbanistico di cui all’articolo 41;

(che) tale disposizione indica, quindi, come, la competenza all’adozione del Pua, compete alla Giunta Comunale e non al Consiglio Comunale;

che i piani, nati per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente, rivestono natura di “strumento attuativo” del piano regolatore generale, e come tali restano gerarchicamente subordinati alla strumentazione urbanistica di rango superiore, quindi assimilabili, quanto a struttura e funzione, ai piani particolareggiati;

che in particolare, in esecuzione dell’art. 5, comma 13, del c.d. “decreto sviluppo” (decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011, n. 106), la Giunta Comunale può approvare il piano attuativo degli interventi, previsti dall’art. 9 del medesimo decreto, quando questo è coerente con il P. R. G. (o strumento equipollente); qualora, invece, il piano attuativo implichi l’esigenza di modifica del P. R. G./P. U. C., la competenza spetta al Consiglio Comunale per le modifiche da apportare allo strumentazione urbanistica superiore;

che il Piano Casa, rivestendo carattere eccezionale e temporaneo, costituisce norma di stretta interpretazione, con conseguente impossibilità d’accedere ad applicazioni estensive, travalicanti il dato letterale;

che la corretta interpretazione dell’art. 7, comma 2 della 1. r. n. 19 del 2009 e s. m. i., ha già costituito oggetto d’analisi da parte di consolidati orientamenti giurisprudenziali;

che non può revocarsi in dubbio che il presupposto “a monte”, imprescindibile ai fini dell’ammissibilità dell’intervento de quo, sia costituito dalla sussistenza di un’area “urbana degradata”, per tale intendendosi, secondo la definizione cristallizzata nell’art. 2, lett. a) del medesimo testo normativo, “quelle compromesse, abbandonate, a basso livello di naturalità, dismesse o improduttive in ambiti urbani ed in territori marginali e periferici in coerenza al Piano territoriale regionale (PTR) di cui alla legge regionale 13/2008”;

che è opportuno, nella individuazione del quadro complessivo di riferimento, sottolineare le differenze rispetto alla fattispecie disciplinata dal comma 4 della medesima disposizione, che prevede la possibilità per le amministrazioni comunali d’individuare, anche in variante agli strumenti urbanistici, aree da destinate all’edilizia residenziale sociale, sempre che non sussista già la disponibilità di aree destinate a tale scopo e con il vincolo della loro funzionalizzazione, in misura prevalente, in favore di giovani coppie e nuclei familiari con disagio abitativo;

che i limiti operanti, anche a seguito delle modifiche apportate al testo dell’art. 7 dalla novella del 2011 relativa al “Piano Casa”, essendo il potere riconosciuto alle amministrazioni comunali direttamente correlato all’esigenza di coniugare il perseguimento delle finalità, esplicitate nell’art. 1, con la necessità d’evitare uno stravolgimento dell’assetto urbanistico esistente, come pure con l’esigenza di garantire l’autonomia comunale nell’esercizio delle funzioni connesse alla gestione del territorio;

che l’incremento del carico urbanistico connesso all’intervento concesso, associato alla classificazione dell’area, non destinata ad edilizia residenziale sociale, induce ad escludere l’ammissibilità dell’intervento in deroga;

che è stato chiarito, infatti, dalla giurisprudenza superiore che l’art. 26, comma 3, lett. f) della 1. r. n. 16 del 2004 (secondo cui non costituiscono varianti al P. U. C., tra l’altro, “gli interventi in attuazione dell’articolo 7 della legge regionale n. 19/2009”) va coordinato con il quarto comma del medesimo articolo, in base al quale è possibile desumere che gli interventi, previsti dall’art. 7 della L. Reg.19/2009, si attuano tramite piano attuativo che, tuttavia, non costituisce variante allo strumento urbanistico generale, solo qualora non ne derivi alcun incremento del carico urbanistico; (che) in caso contrario, trattandosi di nuovi insediamenti che partecipano al dimensionamento complessivo dell’ente locale, con incidenza sul relativo assetto urbanistico, non potrà prescindersi dal previo perfezionamento della procedura di P. U. A. in variante dello strumento previsionale generale;

Considerato che l’intervento proposto è riferito ad un complesso industriale;

(che) l’intervento proposto è riferito solo ad una parte dell’intero complesso industriale, individuato come ambito sia dallo strutturale che dall’operativo del vigente P.U.C.;

(che) l’intervento, alla luce della vigente normativa d’attuazione del P. U. C. e di quanto in precedenza evidenziato rispetto all’orientamento giurisprudenziale, doveva essere presentato con PUA e non come PDC convenzionato;

(che) il valore relativo alla trasformabilità dell’area, cui fa riferimento l’art. 7 comma 2 della L. R. C. 19/2009 è funzione del valore delle aree da destinarsi a residenza, disciplinato da una delibera di Consiglio Comunale da adottare ai sensi dell’art. 172 lett b) del D. Lgs 267/2000;

(che) la suddetta delibera è stata adottata dal C. C. con atto n. 3 del 31/01/2017 ed essa stabilisce solo il prezzo di cessione di aree da destinare alle attività produttive (riferite ai PIP di Casarzano e Fosso Imperatore) non facendo alcun riferimento alle aree derivanti da insediamenti, di cui all’art. 7 comma 2 della L. R. C. 19/2009;

(che) la competenza nello stabilire tale valore è del Consiglio Comunale, in quanto trattasi di allegato obbligatorio al Bilancio di previsione dell’Ente (art. 42 comma 2 del D. Lgs 267/2000);

(che) l’area de qua, interessata dall’intervento, è individuata dalla strumentazione urbanistica vigente come “ambiti Industriali dismessi riutilizzati”, normati dall’art. 26 delle NTA;

(che) nel caso specifico l’intervento doveva essere proposto come Piano Urbanistico attuativo;

(che) nella fattispecie tale P. U. A. doveva essere in variante alla strumentazione urbanistica vigente in quanto trattasi di “nuovo insediamento”, che partecipa al dimensionamento complessivo dell’ente locale, con incidenza sul relativo assetto urbanistico;

(che) la nuova destinazione doveva essere riferita alla realizzazione di edilizia residenziale sociale;

(che) la L. R. C. 19/2009 disciplina gli interventi su immobili industriali dismessi con altro comma dello stesso art. 7, specificatamente il comma 5;

(che) ogni provvedimento amministrativo è legittimo, solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto, effettivamente esistente al momento della sua adozione, e sempre che vi sia compatibilità urbanistica ed il titolo sia autorizzabile, ai sensi del regolamento urbanistico e della strumentazione urbanistica vigenti, e (che) inoltre risulta annullabile quando s’è consolidato su palesi illegittimità e vi è l’interesse pubblico all’annullamento;

Visti gli artt. 7 e 10 della L. 241/90; (…) gli artt. 107 comma 3, 109 e 110 del Testo Unico sull’ordinamento degli Enti locali; (…) gli artt. 21 octies c. l e 21 nonies della legge 241 del 1990

Visto che in data 28/07/2016 con delibera di Consiglio Comunale n. 12 è stato definitivamente approvato il Piano Urbanistico Comunale corredato di V.A.S., degli Atti di Programmazione degli Interventi, del Piani di Settore ai sensi dell’art. 25 c. l della L. R. C. 16/2004 e dell’art. 3 comma 5 del Regolamento di Attuazione n. 05/2011;

Richiamata la comunicazione d’avvio del procedimento di annullamento, prot. gener. 8702 del 15 febbraio 2018, regolarmente notificata a (omissis) Margherita Galano (…) Giuseppe Galano (…);

Tenuto conto che entro il termine assegnato non risultano pervenute, al protocollo generale dell’ente, controdeduzioni e/o osservazioni;

Ritenuto necessario tutelare l’ordinato e sostenibile assetto edilizio della zona, predeterminato dal pianificatore comunale con le disposizioni normative di cui alle N. T. A. e al R. E. vigente;

Rilevato, altresì, che le ragioni di pubblico interesse riguardano, tra l’altro, l’aggravio di carico urbanistico (in) quanto trattasi di “nuovo insediamento” che partecipa al dimensionamento complessivo dell’ente locale;

Valutato l’interesse pubblico, concreto e attuale all’annullamento dell’atto, al fine, oltre che di ristabilire la legittimità dell’azione amministrativa, di ridare vivibilità ai cittadini, già penalizzati per la carenza endemica di standard, anche in considerazione di quanto disciplinato ed evidenziato dalla Relazione allegata al vigente P. U. C.;

che il legittimo affidamento al cittadino, relativamente al p. d. c. rilasciato, non può considerarsi lesivo di reali interessi, in quanto le opere edilizie non risultano concretamente iniziate, mancando, quindi, l’irreversibile alterazione del territorio non essendo state effettuate opere strutturali; ergo risulta prevalente l’interesse pubblico al razionale sviluppo del territorio

Comunica che il procedimento conclusosi con il rilascio del Permesso di Costruire convenzionato prot. 34065 rilasciato in data 25/07/2017, intestato a Galano Giuseppe e Margherita (…) risulta fondato su presupposti illegittimi, in quanto:

lo stesso risulta rilasciato in contrasto alla norma urbanistica vigente, tanto da non ritenersi in deroga allo strumento urbanistico vigente bensì in variante ledendo, inoltre, l’interesse pubblico in quanto trattasi di “nuovo insediamento”, che partecipando al dimensionamento complessivo dell’ente locale ne aggrava il carico urbanistico, poiché:

– 1) l’intervento proposto è riferito ad un complesso industriale;

– 2) l’intervento proposto è riferito solo ad una parte dell’intero complesso industriale, individuato come ambito sia dallo strutturale che dall’operativo del vigente P. U. C.;

– 3) l’intervento, alla luce della vigente normativa d’attuazione del P. U. C. e di quanto in precedenza evidenziato rispetto all’orientamento giurisprudenziale, doveva essere presentato con PUA e non come PDC convenzionato;

– 4) il valore relativo alla trasformabilità dell’area, cui fa riferimento l’art. 7 comma 2 della L. R. C. 19/2009 è funzione del valore delle aree da destinarsi a residenza, disciplinato da una delibera di Consiglio Comunale da adottare ai sensi dell’art 172 lett. b) del D. Lgs 267/2000;

– 5) la suddetta delibera è stata adottata dal C. C. con atto n. 3 del 31/01/2017 ed essa stabilisce solo il prezzo di cessione di aree da destinare alle attività produttive (riferite ai PIP di Casarzano e Fosso

Imperatore), non facendo alcun riferimento alle aree derivanti da insediamenti di cui all’art. 7, comma 2, della L. R. C. 19/2009;

– 6) la competenza nello stabilire tale valore è del Consiglio Comunale, in quanto trattasi di allegato obbligatorio al Bilancio di previsione dell’Ente (art. 42 comma 2 del D. Lgs 267/2000);

– 7) nell’istruttoria del p. d. c. de quo e nell’allegata convenzione si fa riferimento ad un valore di trasformazione dei suoli autodeterminato e quindi non conforme al sopra descritto iter procedurale d’individuazione di tale valore;

7) (bis) l’area de quo interessata dall’intervento è individuata dalla strumentazione urbanistica vigente come “ambiti Industriali dismessi riutilizzati”, normati dall’art. 26 delle NTA;

– 8) nel caso specifico l’intervento doveva essere proposto come Piano Urbanistico attuativo;

– 9) nella fattispecie tale PUA doveva essere in variante alla strumentazione urbanistica vigente, in quanto trattasi di “nuovo insediamento” che partecipa al dimensionamento complessivo dell’ente locale, con incidenza sul relativo assetto urbanistico;

– 10) la nuova destinazione doveva essere riferita alla realizzazione di edilizia residenziale sociale;

– 11) la L. R. C. 19/2009 disciplina gli interventi su immobili industriali dismessi, in deroga agli strumenti urbanistici, anche con “cambiamento di destinazione d’uso”, con altro comma dello stesso art 7, specificatamente il comma 5;

– 12) ogni provvedimento amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto effettivamente esistente al momento della sua adozione e sempre che vi sia compatibilità urbanistica ed il titolo sia autorizzabile ai sensi del regolamento urbanistico e della strumentazione urbanistica vigenti, ed inoltre risulta annullabile quando si è consolidato su palesi illegittimità e vi è interesse pubblico all’annullamento…”;

sulla base di tali motivazioni:

a) disponeva l’annullamento in autotutela, con effetto ex tunc, ai sensi degli artt. 21 quinquies, octies e nonies della l. 241/90 e ss. mm. ii., del seguente atto “ed a caducazione (di) tutti gli atti da esso derivanti: p. d. c. n. 34065 del 25/07/2017 convenzionato “, in quanto asseritamente assentito su presupposti palesemente illegittimi e pertanto non produttivo di alcun effetto, con lesione dell’interesse pubblico de quo trattandosi di “nuovo insediamento”, che, partecipando al dimensionamento complessivo dell’ente locale, ne aggrava il carico urbanistico e, pertanto, disponeva “che si proceda, ai sensi degli artt. 31 e seguenti del d. P. R. 380/01 nella versione vigente”; nonché

b) disponeva l’archiviazione della richiesta di variante, prot. 45129 del 2017; e

c) diffidava il proprietario e tutti i soggetti in precedenza generalizzati dal realizzare qualsiasi opera edilizia sull’immobile in oggetto ed a trasferirne la proprietà, a qualsiasi titolo, essendo il bene in questione realizzato in difformità dalle leggi e norme urbanistiche vigenti ed a continuare le opere di al p. d. c. n. 34065 del 25/07/2017 convenzionato, fatte salve eventuali ordinanze (emesse per emergenza sanitaria e di salute pubblica relative alla rimozione dell’amianto) notificate agli interessati per la bonifica dell’area, ai sensi di quanto disposto dal D. LGS. 152/2006 nella versione vigente in combinato disposto col D. M. 6/09/1994.

Tal essendo l’articolato contenuto del provvedimento gravato, rileva il Collegio come la decisione, circa le plurime doglianze sollevate dai ricorrenti, non possa prescindere dalla risoluzione di una problematica di fondo, sollevata, del resto, con il primo motivo dell’atto introduttivo del giudizio, consistente nella legittimità, o meno, dell’annullamento d’ufficio operato, “in solitudine”, dal dirigente del Settore Territorio e Ambiente del Comune di Nocera Inferiore, relativamente ad un atto, il permesso di costruire convenzionato del 25.07.2017, alla cui emanazione avevano invece concorso, a vari livelli, molteplici organi del Comune.

La problematica de qua s’inscrive, a livello dogmatico, nel contesto della dedotta violazione del principio cd. del “contrarius actus”, il quale, in linea generale, postula che per procedere all’annullamento d’ufficio, in autotutela, di un determinato atto, occorre seguire – in direzione opposta – lo stesso iter procedimentale, che ha condotto alla sua adozione.

In giurisprudenza, per l’affermazione di tale principio, cfr. la massima seguente: “Con riferimento agli atti di autotutela opera il principio del contrarius actus, inteso quale doverosità di attivare nell’autotutela lo stesso procedimento seguito per l’adozione dell’atto. Pertanto, la revoca e in generale gli atti di secondo grado in funzione di autotutela devono seguire la stessa procedura osservata per l’adozione del provvedimento poi ritirato ed essere disposti dallo stesso organo che li ha emanati” (T. A. R. Liguria, Sez. I, 18/07/2017, n. 627; conforme: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. V, 4/11/2013, n. 4895).

Con ancora maggiore aderenza alla fattispecie in esame, s’è inoltre osservato che: “In applicazione del principio del contrarius actus, la revoca e in generale gli atti di secondo grado devono seguire la medesima procedura osservata per l’adozione del provvedimento originario ed essere disposti dallo stesso organo che li ha emanati: le parti dell’intesa originaria devono necessariamente intervenire (o almeno formalizzare in via previa la propria intesa o il suo assenso) all’atto della risoluzione o recesso dall’accordo originario” (Cons. giust. amm. Sicilia, Sez. giurisd., 13/10/2015, n. 629).

Ebbene, nella specie, il permesso di costruire convenzionato, oggetto del contestato provvedimento di secondo grado, è stato il punto terminale di un complesso iter procedimentale, del quale s’è dato conto in narrativa, ma del quale pare opportuno tracciare, qui, un sintetico quadro riassuntivo.

Come rilevato, in particolare, dai ricorrenti, per l’attuazione degli interventi disciplinati dall’art. 7, l. r. C. 19/2009, il Comune di Nocera Inferiore s’era dotato di uno “strumento” operativo, capace di governare ed incentivare gli interventi in deroga, ex art. 7 cpv. l. r. cit., consentiti, nonché delle aree ed ambiti sottratti alla disciplina derogatoria; specificamente, con delibera n. 3 del 26.02.2010, il Consiglio comunale aveva determinato, in modo puntuale, i criteri ed i parametri per lo sfruttamento e la riconversione dei volumi esistenti; con la conseguenza che il permesso di costruire convenzionato, oggetto d’annullamento, era “figlio legittimo di tale assetto normativo”.

Più specificamente, nella delibera di C. C. di Nocera Inferiore, n. 3 del 26.02.2010, avente ad oggetto: “Legge Regione Campania n. 19 del 28 Dicembre 2009 “Misure Urgenti per il Rilancio Economico, per la Riqualificazione del Patrimonio Esistente, per la Prevenzione del Rischio Sismico e per la Semplificazione Amministrativa”: Provvedimenti”, il Consiglio Comunale, “Considerato che occorre disciplinare le modalità attuative dell’art. 7 – comma 2 – della L. R. n. 19/2009, c.d. Piano Casa”; “che ai sensi del comma 2 dell’art. 7 della L. R. n. 19/09, “nelle aree urbane degradate le amministrazioni comunali anche su proposta del proprietari singoli o riuniti in, consorzio, con atto consiliare da adottare entro il termine perentorio di 60 giorni, in deroga agli strumenti urbanistici generali possono individuare Ambiti la cui Trasformazione Urbanistica ed Edilizia (ATUE) sia subordinata alla cessione da parte dei proprietari singoli o riuniti in consorzio, e in rapporto al valore della trasformazione, di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale sociale, in aggiunta alla dotazione minima inderogabile di spazi o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi di cui al D. M. LL. PP. 1444/68”; “che, pertanto, la L. R. consente ai comuni di avanzare proposte circa le iniziative da intraprendere ai sensi dell’art. 7 comma 2”; “che, ai sensi dell’art. 7, l’obiettivo enunciato dalla legge regionale è quello di perseguire “la risoluzione delle problematiche abitative e della riqualificazione del patrimonio edilizio e urbanistico esistente”; “che a tal fine, si ritiene opportuno indicare, quali aree di intervento ex art. 7, comma 2, gli ambiti di riqualificazione urbanistica previsti dal vigente PRG, in quanto corrispondenti ad aree urbane in cui sono individuate condizioni di degrado (presenza di attività incongrue rispetto alla ubicazione dei contenitori, edilizia degradata, diffuso disordine urbanistico) che necessitano di una estesa azione di rinnovamento, ferme restando le esclusioni previste dalla legge e quelle indicate nella presente deliberazione”; – che detti ambiti, ubicati in aree centrali dell’abitato esistente costituiscono una vera e propria risorsa la cui trasformazione urbanistica ed edilizia rappresenta una potenzialità per i privati e, ancora più, una rilevante occasione per il riassetto e la riqualificazione urbana onde invertire le tendenze in essere di ulteriore depauperamento e intasamento urbano”; “che tra gli ambiti previsti da! PRG vigente, estromesse le aree escluse come specificato in precedenza, sono stati presi in considerazione quelli che presentano caratteristiche di degrado del patrimonio edilizio tali da richiedere radicali iniziative di ristrutturazione urbanistica e tali da consentire un dimensionamento delle attrezzature di quartiere commisurate agli standard di legge”; “che la variante di adeguamento del P.R.G. al P.U.T. approvata con delibera del Commissario ad Acta n. 1 del 11/07/2001 pubblicata sul Burc n. 60 del 27/12/2006 individua, nella tavola 12.2., tra gli ambiti da sottoporre a strumenti urbanistici attuativi le seguenti aree: (…) Ambito ATUE n. 6 – Galano”; “che in detti ambiti, le Norme di attuazione dello strumento urbanistico vigente, prevedono, all’art. 24, tra l’altro, quale strumento operativo i “Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale” (P.R.U.E.A.) “finalizzati ad una più organica valorizzazione del territorio ed utilizzazione delle infrastrutture, delle residenze e del patrimonio edilizio esistente”; “che, pertanto, gli interventi previsti dalla strumentazione urbanistica vigente in tali ambiti, risultano del tutto coerenti con le finalità e gli obiettivi dell’Art. 7 – comma 2 – della L. R. n. 19/09” (omissis) dettava le “modalità di attuazione per gli interventi ricadenti in tali ambiti” (id est: destinazioni d’uso consentite, parametri edilizi), e, per quanto qui più specificamente rileva, tra le modalità di attuazione prevedeva il “permesso di costruire convenzionato”, non senza precisare che “la convenzione dovrà contenere i seguenti elementi essenziali: a) tempo di realizzazione degli interventi; b) modalità di cessione delle aree destinate a standard; c) modalità di cessione delle aree e/o degli immobili destinati a ERS; d) oneri di urbanizzazione a carico dei richiedenti anche mediante scomputo nei limiti previsti dalla normativa vigente; e) garanzie a favore dell’ente” e che “gli interventi possono essere attuati anche dai proprietari singoli o riuniti in consorzio all’interno dei sub-ambiti individuati” (la precisazione si lega al precedente punto, ove si dava atto “che l’Ufficio di Piano ha riportato nel grafico allegato alla presente deliberazione gli ambiti di cui al punto precedente con la indicazione di sub-ambiti per consentire una più agevole attuazione degli interventi – Tav. 1)”.

È in relazione all’assetto operativo, disciplinato – in aderenza all’art. 7 cpv. della l. r. 19/2009 – dal Consiglio Comunale, che i ricorrenti presentavano al Comune, in data 4.09.2014, una domanda di p. d. c. (evidentemente, da convenzionarsi con l’ente), intitolata “Progetto di Bonifica del sito e Riqualificazione Urbana dell’area ex Opificio Galano, ubicata in Nocera Inferiore alla Via Pironti”, “individuata ai sensi del comma 2, art. 7 , L. R. 19/09, come Ambito di Trasformazione Urbanistica ed Edilizia (ATUE) con Delibera Consiliare n. 3 del 26/27 Febbraio 2010”.

In data 22.10.2015, a seguito dei rilievi e delle osservazioni formulate dall’ente, i ricorrenti presentavano nuova domanda di permesso di costruire, rimodulata onde aderire alle predette osservazioni (espresse, da ultimo, nella nota del 20.10.2015 prot. 52071 del dirigente Settore Territorio e Ambiente del Comune); domanda che restava, peraltro, intitolata come sopra.

Viene, poi, in rilievo la delibera di C. C. n. 13 del 28.07.2016, avente ad oggetto: “Schema di convenzione urbanistica per gli interventi di edilizia privata. Provvedimenti”, in cui l’organo assembleare dell’ente approvava l’allegato schema di convenzione urbanistica per interventi di iniziativa privata; ebbene, assai importante, ai fini della decisione, si presenta la proposta di deliberazione da sottoporre all’approvazione del C. C., in cui il Responsabile del Servizio “Ufficio di Piano” e l’Assessore alle Politiche della Pianificazione Urbana, nel trasmettere all’organo consiliare la detta proposta, al fine dell’approvazione di tale schema di convenzione, licenziavano un’articolata premessa, nella quale rilevavano quanto segue:

“Con delibera della G. C. n. 57 del 30.3.2015 è stata adottata la proposta del Piano Urbanistico Comunale del Comune di Nocera Inferiore e che, esperita la fase di valutazione e recepimento delle osservazioni e acquisiti tutti i pareri di competenza nonché la dichiarazione ai sensi dell’art. 3 del R. R. n. 5/2011 di coerenza alle strategie a scala sovracomunale individuate dall’amministrazione provinciale anche in riferimento al proprio Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) vigente, il P. U. C. nella riunione del 28 luglio 2016 è stato sottoposto all’esame del Consiglio Comunale (…). È stato altresì avviato il procedimento di formazione del Regolamento Urbanistico Edilizio Comunale (RUEC) che dovrà essere approvato dal Consiglio Comunale; la proposta di RUEC già all’esame della competente Commissione Consiliare individua le modalità di intervento e le tipologie delle trasformazioni, nonché criteri e modalità per l’attività concreta di costruzione, modificazione e conservazione delle strutture edilizie; Nel disciplinare i Piani Urbanistici Attuativi (PUA), ai sensi della Legge Regionale n. 16/2004, il RUEC, come detto, attualmente in fase di formazione, configura gli stessi come strumenti urbanistici che danno attuazione agli interventi di trasformazione e di riqualificazione previsti dalla componente operativa del PUC; in particolare per le convenzioni da stipularsi tra enti pubblici e soggetti privati per l’attuazione di interventi trasformativi insediativo – infrastrutturali vanno definiti, tra gli altri, alcuni elementi essenziali e precisamente: a) le prestazioni oggetto della convenzione; b) la durata degli obblighi assunti, i termini di inizio e di ultimazione degli interventi; c) le garanzie reali e finanziarie da prestare per l’adempimento degli obblighi e le sanzioni per l’inosservanza degli stessi, ivi compresa la possibilità della risoluzione contrattuale; d) gli elementi progettuali, le garanzie e le modalità di controllo dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione; la legge Regionale n. 19/2009 individua diverse tipologie di interventi di iniziativa privata, in particolare all’art.7, con l’obiettivo di riqualificare il patrimonio edilizio ed urbanistico esistente e favorire la soluzione di problematiche abitative. Per esigenze di semplificazione dell’azione amministrativa e di celerità nei confronti dei soggetti proponenti si rende necessario procedere all’approvazione di uno Schema dì Convenzione contenente gli elementi essenziali di cui alle precedenti lettere a), b), c), d). Detto Schema di Convenzione è allegato in appendice alla proposta di RUEC trasmessa dal Prof. Arch. A. Dal Piaz in data 31/05/2016 prot. n. 27244 che costituirà riferimento per gli atti da stipulare in rapporto a ciascun PUA o altro intervento convenzionato, eventualmente da adeguare alle specifiche fattispecie”.

In tale contesto, seguiva in data 27.07.2017 (dopo numerose e complesse interlocuzioni tra i ricorrenti e l’Amministrazione, dalle quali per ragioni di sintesi può prescindersi in questa sede), il rilascio, in favore dei medesimi, da parte del Responsabile della Posizione Organizzativa E2 – Settore Territorio e Ambiente del Comune, del permesso di costruire convenzionato n. 34065, nel quale il suddetto funzionario, “vista la domanda prot. 52438 del 22.10.2015”, inoltrata dai ricorrenti “nella qualità di proprietari di un complesso immobiliare, costituito da fabbricati industriali, da edifici per servizi ed amministrazione, nonché dalle relative aree di pertinenza e di sedime, intesa ad ottenere il permesso di costruire per la riqualificazione urbana di parte dell’area ex opificio Galano ubicata in via Pironti n. 13, ai sensi dell’art.7, co. 2 della L. R. C. n.19/09 e s. m. i., mediante la demolizione degli immobili esistenti di cui innanzi e la realizzazione di tre corpi di fabbrica ad uso residenziale, composti da piano seminterrato, piano rialzato, 1°, 2°, 3° e 4°, coperti a lastrico solare”; “vista la documentazione integrativa” inoltrata dai medesimi (…); “visti gli elaborati progettuali allegati alla domanda di permesso di costruire, e le successive integrazioni prodotte, l’ultima del 17.05.2017”; “visto il progetto relativo alle opere di urbanizzazione da realizzarsi sulle aree a standard da cedere”; “vista la delibera di Consiglio Comunale n. 3 con la quale è stata individuata ai sensi del comma 2 art. 7 L. R. n. 19/09, quale ambito di trasformazione Urbanistica ed Edilizia ATUE n. 6, l’area dell’ex opificio industriale Galano di via M. Pironti n. 13”; “vista la valutazione sulla conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie del Responsabile del Procedimento prot. 33132 dell’1.07 2016”; “vista la determina dirigenziale n. 1752 del 2.12.2016 e l’integrazione n. 887 del 31.05 2017, avente ad oggetto: presa d’atto della conclusione dell’iter procedurale”; “vista la convenzione stipulata in data 20.07.2017, repertorio n. 4703, tra il Comune di Nocera Inferiore e i sigg. Galano Giuseppe e Margherita”; visti i pareri espressi dal Responsabile U. O. Dipartimento di Prevenzione Servizio Igiene e Sanità Pubblica – Distretto n. 60 dell’A.S.L. Salerno, 5940, dal Settore LL. PP. per l’apertura varchi carrabili, dal Comando di Polizia Locale per l’apertura di varco carrabile e dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco; (…) “accertato che è stato soddisfatto l’obbligo previsto dall’art. 16 del d. P. R. n. 380/01 per il pagamento del contributo di costruzione nel modo seguente (…)”; “preso atto che i richiedenti sigg. Galano Giuseppe e Margherita hanno dimostrato di essere comproprietari e di avere titolo al Permesso di Costruire Convenzionato”; rilasciava il detto titolo abilitativo in loro favore, prescrivendo, quali condizioni speciali, l’obbligo, da parte dei proprietari, del rispetto di quanto previsto dalla Convenzione del 20.07.2017, nonché l’obbligo che le opere di urbanizzazione previste dal progetto esecutivo allegato devono avere inizio prima dell’avvio della costruzione delle strutture residenziali, essere realizzate con continuità e contestualmente all’avanzamento complessivo dell’intervento di trasformazione”.

Infine, nella convenzione urbanistica “per la cessione di alloggio ERS e Area libera a verde” del 20.07.2017, stipulata tra i ricorrenti e il funzionario P. O. Settore Territorio e Ambiente, allegata al permesso di costruire, per quanto qui rileva, si stabiliva che i ricorrenti, proprietari dell’area interessata, s’impegnavano ad assumere gli oneri e gli obblighi che seguono, ovvero “la realizzazione di edilizia abitativa con garages interrati e superficie a raso da destinare a spazi pubblici o da riservare alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi” (seguiva la specifica degli interventi da attuare); cedevano a titolo gratuito, al Comune, “quale ulteriore integrazione” un’unità immobiliare per Edilizia Residenziale Sociale (ERS), individuata con colore verde al piano terra del fabbricato identificato con la lettera A, avente una superficie di mq. 40,00 circa e un’area scoperta pari a mq. 29,00 circa; cedevano a titolo gratuito, al Comune la proprietà dell’area di sedime del compendio immobiliare, oggetto dell’intervento di trasformazione, per la porzione destinata a standard, avente superficie complessiva compresa tra mq. 2.177,56 e 2.168,24 (minimo da garantire), posta a sud del lotto; e s’obbligavano, in applicazione di quanto previsto dall’art. 16, comma 2-bis del d. P. R. n. 380/2001, alla realizzazione diretta, a loro cura e spese, delle opere di urbanizzazione primaria, sui terreni destinati a standard e ceduti al Comune, nonché degli alloggi per l’edilizia sociale di cui sopra.

Ebbene, a fronte di tale complesso e travagliato, per molti versi, iter procedimentale, che ha visto il coinvolgimento, in primis, del Consiglio Comunale, che ha dettato le linee generali dell’intervento di trasformazione urbana, infine assentito con il p. d. c. convenzionato di cui sopra, quindi del Responsabile del Procedimento (che s’esprimeva, proprio “sulla conformità del progetto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie”), nonché dei numerosi altri uffici comunali e degli altri enti, sopra indicati, oltre, ovviamente, che del dirigente del Settore Territorio ed Ambiente, competente, per legge, all’emanazione dell’atto conclusivo del procedimento medesimo, appare al Collegio piuttosto arduo sostenere la legittimità di un provvedimento di secondo grado che, obliterando d’un sol colpo tale, articolato, percorso procedurale ed istituzionale, è stato assunto “in solitaria” dal solo dirigente del Settore Territorio e Ambiente, il quale, in tal modo, ha riassunto e superato, in sé, le precedenti, elaborate, valutazioni tecnico – normative, molte delle quali di chiara valenza discrezionale, di pertinenza di altri settori dell’Amministrazione Comunale, prime tra tutte, ovviamente, proprio quelle sulla riconducibilità dell’intervento proposto, ed assentito, alla disciplina legislativa regionale del cd. Piano Casa (valutazioni queste ultime operate, in maniera estremamente precisa e dettagliata, come risulta dall’esposizione che precede, dall’organo politico – assembleare dell’ente) ed alla compatibilità, dello stesso, rispetto alla coeva – quanto meno, rispetto alla delibera di C. C. n. 13 del 28.07.2016 – approvazione del P. U. C.

Tale perplessità s’acuisce, alla luce della sibillina affermazione, contenuta nelle premesse del provvedimento gravato, secondo la quale il dirigente del Settore Territorio e Ambiente aveva avuto “disposizione dall’Amministrazione di determinarsi in merito” alla sorte del predetto titolo abilitativo convenzionato, non essendo peraltro affatto precisato, nel testo del medesimo, da quale organo promanasse tale disposizione, della quale comunque (anche se in ipotesi, vista la delicatezza della materia e la pregnanza degli interessi in gioco, la stessa fosse ascrivibile agli organi apicali dell’Amministrazione Comunale) una cosa è certa, del non essere stata esternata in atti ufficiali, risultando evidentemente come il portato d’interlocuzioni informali, svoltesi all’interno degli Uffici Comunali (il che, già di per sé, costituisce un rilevante indizio dell’illegittimità di tale modus agendi, rifuggendo l’ordinamento da ogni decisione non formalizzata in un documento ufficiale e priva pertanto – per definizione – di qualsivoglia giustificazione).

Del resto, anche nella comunicazione d’avvio del procedimento, teso all’annullamento del titolo abilitativo in oggetto, non si precisa affatto da chi fosse stata data disposizione, al T. C., di “determinarsi in merito”: eppure l’avviso dell’inizio del procedimento, ex art. 7 l. 241/90, sarebbe stato proprio il luogo istituzionale, deputato a contenere un’informazione – d’indubbia rilevanza – del genere (con il che, se ne conferma la natura informale e, per ciò stesso, immotivata).

In ogni caso, anche in disparte quanto sopra, dalle considerazioni che precedono un dato appare, al Collegio, estremamente chiaro, e consiste nella consequenziale osservazione che, visto che la decisione di procedere al rilascio del permesso di costruire convenzionato de quo era il portato delle manifestazioni di volontà emesse a vari livelli, in un arco temporale considerevole, mercé l’emanazione di atti (delibere consiliari, pareri, determine, etc.) assai diversificati tra loro e con l’assunzione di differenti gradi di responsabilità, dagli organi, uffici ed enti predetti, non può giustificarsi la pretermissione dei medesimi, allorquando s’è poi trattato di annullare, in autotutela, l’atto abilitativo, costituente il punto terminale di detto complesso iter procedimentale.

Ovvero – il che è lo stesso – ritiene il Tribunale, in ciò aderendo alla prospettazione del ricorrente, che tale decisione di secondo grado andasse assunta, in ossequio al principio generale del contrarius actus, attraverso la ripetizione delle fasi, attraverso cui la primigenia determinazione era maturata, e quindi mercé il coinvolgimento di detti organi, uffici ed enti, chiamati – in primo luogo, evidentemente, il Consiglio Comunale – ad eventualmente rideterminarsi, in senso contrario, rispetto alle manifestazioni di volontà che avevano – nel tempo – predisposto il substrato giuridico – fattuale, su cui il rilascio del permesso di costruire convenzionato de quo era, indubbiamente, maturato.

Per essere più espliciti, occorreva, quanto meno, che il Consiglio Comunale (revocando, in ipotesi, tutte le positive valutazioni circa la compatibilità del progetto in itinere con le disposizioni della l. r. C. 19/2009 e circa la convenienza e l’opportunità, per l’Amministrazione Comunale, in quanto ente esponenziale della collettività, d’aderire all’iniziativa edilizia dei ricorrenti, anche in vista degli innegabili vantaggi che ne sarebbero derivati, in termini di riqualificazione urbana e d’acquisizione di spazi di edilizia sociale e di aree a standard, per i cittadini), deliberasse, in forma esplicita, circa l’eventuale necessità d’annullare, in autotutela, il provvedimento conclusivo dell’iter procedimentale, lungo, articolato e complesso, che s’è sopra descritto; con ciò, evidentemente, non espropriando l’indiscutibile potere – dovere del dirigente competente d’assumere il conseguente atto terminale di tale procedimento di secondo grado, bensì fornendo, al medesimo, l’ineludibile sostegno, in termini valutativo – discrezionali, di natura giuridico – politico – istituzionale, alla sua legittima assunzione.

In altri termini, ad avviso del Tribunale, non è pensabile, e soprattutto non riveste il crisma della legittimità, che a fronte di un così complesso ed articolato iter procedurale, che ha visto la partecipazione, a vari livelli, di molte delle componenti istituzionali della “macchina” amministrativa del Comune, la determinazione finale, circa l’annullamento del p. d. c. convenzionato in oggetto sia stata, in ultima analisi, “scaricata” sul solo dirigente del Settore Territorio e Ambiente, il quale, seppur senz’altro attrezzato, sotto il profilo squisitamente tecnico, non poteva tuttavia – per definizione – apprestare, a supporto della decisione assunta, il, pur indispensabile, afflato volitivo, anche in termini d’assunzione di responsabilità politica, di tale scelta.

La necessità del rispetto del principio del contrarius actus, in materia edilizia, rappresenta, del resto, un risultato acquisito in giurisprudenza, sia pur prevalentemente affermato, riguardo alla necessità d’acquisire, nel corso del procedimento di secondo grado, il parere della Commissione Edilizia Comunale (“È illegittimo l’atto di ritiro della concessione edilizia che non sia stato preceduto dal parere della commissione edilizia, che, invece, si era favorevolmente espressa sull’originario rilascio del titolo edilizio. L’omessa acquisizione del parere si traduce in difetto di istruttoria e violazione del principio del contrarius actus, in quanto l’atto di annullamento della concessione avrebbe dovuto essere sottoposto al vaglio dello stesso organo (tecnico) che si era già pronunciato in senso opposto” (T. A. R. Sardegna, Sez. II, 17/02/2011, n. 145); “Il provvedimento di annullamento d’ufficio di una concessione edilizia emesso senza la previa acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale è illegittimo per violazione del principio del "contrarius actus", in virtù del quale nell’emanazione di un provvedimento di annullamento di una concessione edilizia debbono essere seguite le stesse forme e la medesima procedura adottate per l’atto da annullare” (T. A. R. Veneto, Sez. II, 4/05/2005, n. 1952).

Non mancano, tuttavia, decisioni che richiedono l’osservanza del principio in argomento, anche per procedimenti di competenza consiliare, ove vengono in rilievo valutazioni di natura prettamente urbanistica (“Il Consiglio comunale ha competenza generale nella materia delle convenzioni con cui si affidano attività o servizi, alla stregua dell’art. 42 comma 2 lett. e), del d.lg. n. 267 del 2000, mentre secondo la speciale previsione dell’art. 35 comma 7 l. n. 865 del 1971, la concessione del diritto di superficie su aree Peep è deliberata dal Consiglio comunale (o dall’assemblea del consorzio di comuni): coerentemente col principio del contrarius actus, quindi, anche il provvedimento di decadenza dalla convenzione stessa resta riservato alla competenza consiliare” (T. A. R. Campania – Napoli, sez. V, 4/07/2003, n. 7992).

Si tenga anche presente, a supporto delle conclusioni, cui è pervenuto il Collegio, la seguente, significativa massima: “Il Consiglio comunale è competente a denegare la stipula di una convenzione di lottizzazione poiché secondo la (allora) vigente normativa di cui all’art. 151, r.d. 4 febbraio 1915 n. 148 al sindaco spetta il potere di emanare gli atti consequenziali all’approvazione della convenzione di lottizzazione, ma nel caso in cui, a causa del lungo tempo trascorso, si renda necessaria una valutazione sulla conformità del piano approvato alla sopravvenuta normativa nonché sulla stessa attualità dell’interesse pubblico a darvi corso, sussiste la competenza dell’organo collegiale (esercitando quei poteri discrezionali di valutazione del merito corrispondenti a quelli che vengono esercitati in sede di emanazione di un provvedimento di secondo grado, quali l’annullamento e la revoca, tipicamente riconducibili al contrarius actus, rispetto alle previsioni di cui all’art. 28 l. n. 1150 del 1942)” (T. A. R. Calabria – Catanzaro, Sez. I, 12/01/2011, n. 31).

Il primo motivo di ricorso è, in definitiva, fondato, e comporterebbe già di per sé, e in maniera dirimente, l’accoglimento del ricorso, e l’annullamento del provvedimento gravato.

Tuttavia, il Collegio non può esimersi dall’osservare come anche le doglianze, che possono esaminarsi in maniera unitaria, espresse nel secondo e nel terzo motivo di gravame, si presentino altrettanto condivisibili.

L’art. 21 nonies della legge 241/90 prevede, infatti, che: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

Sicché, il provvedimento d’annullamento d’ufficio deve enucleare l’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto illegittimo, e deve tenere conto degli interessi dei destinatari del medesimo, che sullo stesso hanno fatto affidamento.

L’enucleazione dell’interesse pubblico specifico deve, quindi, senz’altro risolversi in un quid pluris, rispetto alla constatazione delle ragioni, per le quali l’atto da rimuovere sia considerato illegittimo, e non può esaurirsi in esse, e ciò soprattutto quando, come nella specie, sia fondato prevalentemente, se non esclusivamente, su ragioni di natura squisitamente formale – procedurale, tendenti a porre in risalto, in definitiva, l’errata applicazione di norme ed istituti di legge, in cui altri organi – diversi, tra l’altro, da quello che procede all’adozione del provvedimento di secondo grado – sarebbero incorsi, nel giungere alla decisione del rilascio del permesso di costruire convenzionato di cui trattasi.

Il riferimento, in particolare, è all’ivi dedotto contrasto tra il P. U. C. di Nocera Inferiore, approvato con deliberazione di C. C. n. 12 del 28.07.2016, e p. di c. convenzionato in oggetto, rilasciato in favore dei ricorrenti, un anno dopo.

Tale contrasto rappresenta, indubbiamente, il motivo di fondo per il quale il provvedimento amministrativo (il p. d. c. convenzionato) sarebbe stato, nell’ottica del firmatario del provvedimento impugnato, illegittimamente concesso: ma, una volta che ciò fosse stato, in tesi, verificato, occorreva andare oltre, e spiegare quale specifico interesse pubblico militasse nel senso dell’eliminazione dell’atto, emanato a seguito del complesso ed articolato iter procedimentale, sopra descritto, alla cui adozione avevano concorso le manifestazioni di volontà dei plurimi organi, uffici ed enti, sopra indicati, e dal quale era, indubbiamente, sorta una posizione d’affidamento qualificato, in capo ai ricorrenti, del quale occorreva necessariamente tenere conto, comparando l’esigenza di ripristino della legalità, in tesi, violata, con il sacrificio, correlativamente imposto alla situazione giuridica soggettiva dei destinatari – beneficiari dell’atto ampliativo, che s’andava a rimuovere.

Il che, all’evidenza, non è avvenuto, nel provvedimento di ritiro in autotutela gravato.

L’unico accenno all’affidamento, innegabilmente maturato in favore dei ricorrenti, per effetto del rilascio, in loro favore, del titolo, reputato da annullare (“Anche se s’è generato un legittimo affidamento al cittadino, relativamente al p. d. c. rilasciato, lo stesso non può considerarsi lesivo di reali interessi, in quanto le opere edilizie non risultano concretamente iniziate e quindi risulta prevalente l’interesse pubblico al razionale sviluppo del territorio”), di fatto elude il problema, appuntandosi su un dato fattuale, tutto sommato scarsamente rilevante – e comunque controvertibile, nonché vivacemente contestato, dai ricorrenti, in giudizio – quale il mancato effettivo inizio dei lavori, per bypassare, sostanzialmente, ogni effettiva e concreta considerazione degli interessi dei destinatari e l’indispensabile raffronto tra questi ultimi e l’interesse, di natura pubblicistica, all’emenda dell’atto abilitativo rilasciato, in quanto asseritamente illegittimo.

Per dirla con le parole dei ricorrenti: “L’interesse pubblico, necessario per potersi fare luogo all’esercizio della potestà d’annullamento dell’atto in autotutela, esige la ricorrenza di una condizione ulteriore (rispetto all’illegittimità dell’atto originario) di cui deve darsi prova e dimostrazione”; “La motivazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico perseguito con l’atto di autotutela doveva fare i conti con un intervento, esso stesso, d’interesse pubblico, per disposto normativo, come pure riconosciuto dallo stesso Consiglio Comunale con delibera 3/2010, sulla cui scorta il titolo, “così superficialmente dissolto”, era stato rilasciato”; “L’interesse pubblico specifico alla rimozione dell’atto legittimo deve essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino alla legalità, non potendo neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa, la cui violazione ha integrato l’illegittimità dell’atto, oggetto del procedimento di autotutela”; “Se ciò è vero nel regime ordinario, la motivazione che la norma impone nel regime speciale degli interventi edilizi, qualificati per legge d’interesse pubblico, s’esaspera, fino a diventare necessario il confronto e la dimostrazione di come sia proporzionato lo scopo perseguito con l’annullamento del titolo, con la vanificazione dell’interesse pubblico perseguito con l’intervento, sia in termini di rilancio economico – occupazionale, sia di riqualificazione urbana, sia in chiave di incremento di superfici permeabili, sia del depauperamento delle casse erariali (gli oneri dovuti ammontano ad € 540.000) che delle varie opere di urbanizzazione secondaria (parco urbano) non più realizzate che delle aree non più cedute al Comune (mq 2.200), che del contenitore industriale tal quale mantenuto nel centro cittadino, che dell’immobile destinato ad ERS da cedere al Comune”.

La necessità della comparazione tra gli interessi (pubblici e privati) in conflitto, del resto, si desume chiaramente dalle massime seguenti: “In sede di adozione di un atto di autotutela avente ad oggetto un titolo edilizio, la comparazione tra interesse pubblico e quello privato, imposta dai principi generali, occorre solo qualora l’esercizio dell’autotutela dipenda da errori di valutazione imputabili all’Amministrazione, e non già quando lo stesso, come nella fattispecie, è dovuto ad un comportamento del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione. In tal caso, non può ritenersi meritevole di tutela un legittimo affidamento dell’interessato al mantenimento in vita del titolo edilizio che resta recessivo di fronte all’interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Sulla scorta del summenzionato principio, il Comune ha il dovere di verificare che le trasformazioni in atto siano conformi agli interessi pubblici sottesi al rispetto della pianificazione urbanistica e alla corretta rappresentazione dello stato di fatto e di diritto dei luoghi interessati” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VI, 10/04/2018, n. 2315); “L’annullamento d’ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, ai sensi dell’art. 21-nonies della l. n. 241/1990, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della p. a.” (T. A. R. Friuli Venezia – Giulia, Sez. I, 15/03/2017, n. 100); “Il carattere tipicamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire impone una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un ragionevole affidamento sulla legittimità del titolo stesso, affidamento indotto dallo operato degli stessi uffici comunali” (T.A.R. Puglia – Bari, Sez. III, 14/01/2015, n.47).

Il che corrisponde a quanto, dai ricorrenti, argomentato, segnatamente nell’ultima memoria difensiva, allorquando hanno posto in risalto che: “L’atto di ritiro è dovuto esclusivamente ad un ripensamento del nuovo T. C., per errori cedenti in capo allo stesso apparato dell’Ente. Non potendo imputarsi ai signori Galano alcunché, nemmeno a titolo di colpa concorrente”.

In conformità alle suddette argomentazioni, il ricorso va quindi accolto, e il provvedimento impugnato, sub A) dell’epigrafe, annullato, con assorbimento delle ulteriori censure di parte ricorrente.

Stante l’intervenuto annullamento dell’atto di secondo grado, oggetto di gravame, le domande di natura risarcitoria (nonché, in subordine, indennitaria), proposte dai ricorrenti, non possono essere, peraltro, favorevolmente delibate.

La decisione del Tribunale, d’accogliere il ricorso, eliminando dal mondo giuridico il provvedimento di annullamento, in autotutela, del permesso di costruire convenzionato, rilasciato dal Comune in favore dei ricorrenti, comporta l’automatica riespansione dello stesso, con la conseguente restituzione, ai medesimi, del “bene della vita”, medio tempore illegittimamente compresso, a causa della censurata determinazione in autotutela, adottata dal Responsabile del Settore Territorio e Ambiente dell’ente locale.

A fronte di tale automatica riespansione, in parte qua, della loro posizione giuridica soggettiva, ad avviso del Collegio non sono ravvisabili, in pregiudizio dei ricorrenti, danni concretamente apprezzabili, restando intatta, in particolare, la loro possibilità di dar corso al progettato intervento di riqualificazione urbana, nel cui ambito (sotto il profilo del dedotto danno emergente) troveranno, evidentemente, utile collocazione (oltre alle spese, amministrative ed assicurative, già affrontate) i lavori, sinora realizzati (consistiti nella rimozione dell’amianto e nelle prime opere di demolizione delle preesistenze), e nell’ambito del quale saranno, d’altronde, proficuamente impiegate le maestranze, all’uopo già assunte, laddove il lucro cessante, discendente dalla paventata perdita della “possibile redditività derivante dall’immissione sul mercato degli immobili, una volta ultimati” (come s’esprime il perito tecnico di parte, nella sua relazione in atti) risulta anch’esso scongiurato, in maniera automatica, dalla ricostituita facoltà, per effetto della presente decisione, di poter procedere alla loro concreta realizzazione.

Di là da tali considerazioni, che il Tribunale reputa dirimenti, si tenga comunque presente che, secondo la giurisprudenza: “È legittimo il rigetto della domanda di risarcimento dei danni derivanti da illegittimo annullamento in autotutela della concessione edilizia nel caso in cui, da un lato, la disciplina urbanistica da applicarsi sia particolarmente complicata e oscura e, dall’altro, i lavori eseguiti in corso di validità del titolo edilizio non siano di rilevante entità; in tal caso, infatti, la scarsa chiarezza della normativa applicabile da parte della Pubblica amministrazione, che prima ha concesso e poi ha annullato il titolo edilizio, sfugge a un giudizio di riprovazione e dunque non consente di imputare ad essa il pregiudizio sofferto dal beneficiario dell’atto di assenso edificatorio” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6/12/2013, n. 5823).

Le spese seguono la soccombenza del Comune di Nocera Inferiore, e sono liquidate come in dispositivo, laddove emergono eccezionali motivi per compensarle, quanto alle altre Amministrazioni, destinatarie della notifica del ricorso (e, il Ministero dell’Interno, anche costituito in giudizio, in disparte la sua eccezione di difetto di legittimazione passiva), in quanto estranee all’adozione del censurato provvedimento di secondo grado.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie, nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato, sub A) dell’epigrafe.

Respinge, nei sensi di cui in motivazione, la domanda di risarcimento del danno, e in subordine indennitaria, avanzata dai ricorrenti.

Condanna il Comune di Nocera Inferiore al pagamento, in favore dei ricorrenti, di spese e compensi di lite, che complessivamente liquida in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge, e lo condanna altresì alla restituzione, in favore dei medesimi ricorrenti, del contributo unificato versato.

Spese compensate, quanto alla Commissione per la Stabilità Finanziaria degli Enti Locali e al Ministero dell’Interno.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2019, con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente
Paolo Severini, Consigliere, Estensore
Olindo Di Popolo, Consigliere

L’ESTENSORE
Paolo Severini
        
IL PRESIDENTE
Maria Abbruzzese
        
        
IL SEGRETARIO

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