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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 17 | Data di udienza: 15 Novembre 2017

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sanatoria – Soggetti legittimati all’istanza – Consenso manifestato dal proprietario – Necessità – Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 – Mutamento lessicale della formulazione rispetto all’art. 13 della l. n. 47/1985 – Conformità alle norme di salvaguardia – Necessità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Emilia Romagna
Città: Bologna
Data di pubblicazione: 10 Gennaio 2018
Numero: 17
Data di udienza: 15 Novembre 2017
Presidente: Mozzarelli
Estensore: La Greca


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sanatoria – Soggetti legittimati all’istanza – Consenso manifestato dal proprietario – Necessità – Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 – Mutamento lessicale della formulazione rispetto all’art. 13 della l. n. 47/1985 – Conformità alle norme di salvaguardia – Necessità.



Massima

 

TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 2^ – 10 gennaio 2018, n. 17


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Sanatoria – Soggetti legittimati all’istanza – Consenso manifestato dal proprietario – Necessità.

 Alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo coloro che hanno a titolo richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione ex art. 11 t.u. edilizia, ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima»: la sanatoria, quindi, è fungibile ratione personarum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario. La normativa di riferimento (art. 36 T.U. edilizia ed anche la l.r. Em. Rom. n. 23 del 2004, art. 17) ammette infatti la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario ma anche del responsabile dell’abuso, ma tale ultima qualità non è di per sé sufficiente a radicare il titolo per la proposizione della relativa istanza, occorrendo comunque il consenso del soggetto titolare del bene interessato il quale, ove estraneo all’illecito, può astrattamente avere un interesse alla rimessione in pristino dei luoghi, contrario quindi alla definitiva regolarizzazione.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 36 d.P.R. n. 380/2001 – Mutamento lessicale della formulazione rispetto all’art. 13 della l. n. 47/1985 – Conformità alle norme di salvaguardia – Necessità.

L’art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che «in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività […] o in difformità da essa […] il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». La predetta disposizione contiene talune differenze rispetto a quella omologa previgente contenuta nell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, previsione quest’ultima che ammetteva il rilascio del titolo in sanatoria in presenza della conformità delle opere «agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda». Il mutamento lessicale della formulazione normativa  deve tuttavia considerarsi irrilevante, in quanto la conformità alla “disciplina urbanistica vigente” si riferisce sicuramente pure al rispetto delle norme di salvaguardia connesse alle prescrizioni dello strumento urbanistico adottato (Cass. pen. Sez. III, n. 21781 del 2011; sul punto già Cass., sez. III, n. 291 del 2004).


Pres. Mozzarelli, Est. La Greca – E. s.r.l. (avv.ti Morello e Mazzoli) c. Comune di San Pietro in Casale (avv.ti Graziosi e Graziosi)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 2^ - 10 gennaio 2018, n. 17

SENTENZA

 

TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 2^ – 10 gennaio 2018, n. 17

Pubblicato il 10/01/2018

N. 00017/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00576/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 576 del 2011, proposto da Erregieffe S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Antonino Morello, Marino Mazzoli, con domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Bologna, via S.Vitale n. 55;


contro

– il Comune di San Pietro in Casale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Benedetto Graziosi e Giacomo Graziosi, con domicilio eletto presso il loro studio sito in Bologna, via dei Mille n.7/2;

nei confronti di

– il Condominio «Il Mulino», l’Unione Reno Galliera, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– del provvedimento del Direttore dell’Area gestione territorio prot. n.1797 del 9.2.2011, comunicato il 23.2.2011, con cui e stata respinta l’istanza di D.I.A. in sanatoria;

– dell’art. 19 – «salvaguardia del RUE» del Regolamento Urbanistico Edilizio del Comune di San Pietro in Casale, elaborato in forma associata con l’Unione Reno Galliera, adottato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 108 del 9.12.2009, approvato con deliberazione n. 4 del

3.2.2011, pubblicato sui BUR del 16.3.2011 (doc. 2) e da allora vigente.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di San Pietro in Casale;
Viste le memorie delle parti;
Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il dott. Giuseppe La Greca;

Uditi nell’udienza pubblica del 15 novembre 2017 gli avv.ti A. Morello per la società ricorrente, G. Graziosi per il Comune resistente;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1.- La ricorrente società espone di aver realizzato opere in difformità al permesso di costruire per ristrutturazione e cambio d’uso in un edificio, di cui ha ceduto la proprietà, destinato a civile abitazione, servizi e negozi sito in San Pietro in Casale, via Pescerelli /via Matteotti e di aver presentato, in relazione alle stesse opere, una d.i.a. in sanatoria che il Comune ha sospeso con il provvedimento impugnato.

2.- Deve esser premesso che, secondo quanto esposto, il permesso di costruire rilasciato dagli uffici del Comune di San Pietro in Casale prevedeva, per lo scolo delle acque provenienti dall’edificio, un impianto fognario con due condotte per la raccolta separata delle acque bianche e nere che confluivano in un’unica condotta prima dell’immissione nella rete fognaria comunale. Nel corso dei lavori la società ha modificato l’impianto fognario rispetto alla planimetria di progetto ed ha realizzato un impianto a condotta unica. A seguito di sollecitazione del Condominio di via Pescerelli, l’Amministrazione ha ordinato alla ricorrente il ripristino delle opere realizzate in parziale difformità dal titolo edilizio: il relativo provvedimento è stato impugnato dinanzi a questo T.A.R. da parte della ricorrente ed il relativo ricorso è stato rigettato con sentenza n. 556/2016.

3.- Con il provvedimento oggetto dell’odierna domanda di annullamento il Comune di San Pietro in Casale ha disposto la sospensione della D.I.A. in sanatoria per tre ordini di ragioni:

– sarebbe carente la legittimazione per assenza di titolo della società alla presentazione della D.I.A. medesima;

– sussisterebbe la previsione nel regolamento edilizio comunale dell’obbligo di reti di scarico separate per le acque bianche e le acque nere anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia;

– le misure di salvaguardia previste dallo strumento urbanistico ai sensi dell’art. 12 della l.r. Em. Rom. n. 20 del 2000 involgerebbero anche la fattispecie per cui è causa.

4.- Il ricorso si articola in tre motivi di doglianza con i quali parte ricorrente ha evidenziato che:

a) quanto alla propria legittimazione a presentare la D.I.A. in sanatoria, la stessa discenderebbe dalla qualità di responsabile dell’abuso da essa rivestita (non foss’altro che per aver ricevuto anche l’ordinanza di messa in pristino n. 50 del 2009); b) nel caso di specie non sarebbe applicabile la previsione del R.U.E. che obbliga alla separazione di rete tra acque bianche ed acque nere sul rilievo che lo stesso è entrato in vigore successivamente alla presentazione della D.I.A. di cui trattasi; c) il R.U.E. non può, in tesi, dar luogo all’applicazione di una misura di salvaguardia poiché la disciplina in esso contenuta sarebbe circoscritta alle questioni urbanistiche e non si estenderebbe a fattispecie di tipo edilizio, in disparte la circostanza secondo cui, il dato normativo primario non autorizzerebbe comunque il R.U.E. a dettare misure di salvaguardia.

5.- Si è costituito in giudizio il Comune di San Pietro in Casale il quale ha concluso per l’infondatezza del gravame.

6.- In prossimità della discussione del ricorso nel merito parte ricorrente ha ribadito le proprie tesi difensive.

7.- Il ricorso, poiché infondato, deve essere rigettato.

8.- È indubbio che il Comune di San Pietro in Casale, allorché tra i motivi posti alla base della sospensione della D.I.A. ha identificato la carenza di titolo alla presentazione della medesima D.I.A. abbia inteso riferirsi, seppur implicitamente, alla carenza del titolo di proprietà che avrebbe legittimato l’intervento sanante di cui trattasi. In tal senso, ad avviso del Collegio, non ci si trova al cospetto di un’integrazione postuma della motivazione del provvedimento quanto di un’indicazione che, seppur in modo sintetico, ha rilevato la carenza di presupposti per avvalersi della possibilità di ottenere un titolo postumo idoneo a sanare le opere abusivamente realizzate.

Sul punto, costituisce, invero, ius receptum la regola secondo cui alla richiesta di sanatoria e agli adempimenti relativi possono provvedere, non solo coloro che hanno a titolo richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione ex art. 11 t.u. edilizia, ma anche, «salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima»: la sanatoria, quindi, è fungibile ratione personarum, ma a condizione che sia acquisito in modo univoco il consenso comunque manifestato dal proprietario.

E’ vero che in materia di sanatoria la normativa di riferimento (art. 36 T.U. edilizia ed anche la l.r. Em. Rom. n. 23 del 2004, art. 17) ammette la proposizione dell’istanza da parte non solo del proprietario ma anche del responsabile dell’abuso, ma tale ultima qualità non è di per sé sufficiente a radicare il titolo per la proposizione della relativa istanza, occorrendo comunque il consenso del soggetto titolare del bene interessato il quale, ove estraneo all’illecito, può astrattamente avere un interesse contrario alla definitiva regolarizzazione.

Nel caso di specie, la mancata acquisizione del consenso da parte del Condominio «Il Mulino», odierno proprietario del bene, non può giustificarsi sulla base della asserita qualità di cointeressato che lo stesso Condominio rivestirebbe, dovendosi, al contrario, ritenere che il medesimo soggetto giuridico potrebbe astrattamente serbare un interesse alla rimessione in pristino dei luoghi e non già alla conservazione delle opere realizzate in difformità dal titolo abilitativo.

9.- Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta l’inapplicabilità delle misure di salvaguardia al caso di specie poiché non viene in rilievo una D.I.A. ordinaria bensì una D.I.A. in sanatoria volta ad ottenere l’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001. La questione si porrebbe, ad avviso del ricorrente, poiché è vero che il R.U.E ha introdotto, anche per gli interventi di ristrutturazione edilizia, la separazione acque bianche/acque nere ma lo stesso R.U.E., seppur adottato anteriormente alla presentazione della D.I.A. in sanatoria, è stato approvato in un momento successivo ad essa. Tale circostanza deporrebbe, ad avviso della Erregieffe s.r.l., per l’applicazione alla vicenda per cui è causa del pregresso assetto normativo comunale, ossia dell’art. 24 del previgente regolamento per il servizio di fognatura e depurazione approvato nel 1986.

9.1.- Il motivo non è meritevole di pregio.

9.2.- L’art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che «in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività […] o in difformità da essa […] il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». La predetta disposizione contiene talune differenze rispetto a quella omologa previgente contenuta nell’art. 13 della l. n. 47 del 1985, previsione quest’ultima che ammetteva il rilascio del titolo in sanatoria in presenza della conformità delle opere «agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda». Sul punto ritiene il Collegio che la predetta differenza semantica sia da giudicarsi del tutto irrilevante ai fini del rilascio del titolo in sanatoria, sul rilievo che ove si ammettesse quale limite e presupposto dell’accertamento di cui trattasi la conformità delle opere abusive allo strumento urbanistico soltanto approvato si finirebbe per assentire, con lo strumento della sanatoria, opere che in realtà non potrebbero essere autorizzate per il tramite di un ordinario permesso di costruire. La Corte di Cassazione, sul punto, ha nitidamente affermato che «il mutamento lessicale della formulazione normativa (di cui si è dato conto dianzi) deve considerarsi irrilevante, in quanto la conformità alla “disciplina urbanistica vigente” si riferisce sicuramente pure al rispetto delle norme di salvaguardia connesse alle prescrizioni dello strumento urbanistico adottato» (Cass. pen. Sez. III, n. 21781 del 2011; sul punto già Cass., sez. III, n. 291 del 2004).

10.- Con il terzo mezzo d’impugnazione parte ricorrente ha censurato l’illegittimità del provvedimento di sospensione della D.I.A. poiché l’art. 12 della l.r. Em. Rom. n. 20 del 2000 si riferirebbe – nel determinare l’applicazione delle misure di salvaguardia – unicamente alle situazioni involgenti prescrizioni urbanistiche contenute nei piani adottati e non anche alle regole di disciplina di procedimenti edilizi.

10.1.- La doglianza non è meritevole di pregio.

10.2.- Ritiene il Collegio che la distinzione tra fattispecie di stampo urbanistico e questioni di ordine edilizio proposta dalla lettura delle norme offerta da parte ricorrente non possa trovare cittadinanza. La predetta disposizione regionale, la quale, tra l’altro, stabilisce che «a decorrere dalla data di adozione di tutti gli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica disciplinati dalla presente legge e delle relative varianti, le amministrazioni pubbliche sospendono ogni determinazione in merito all’autorizzazione di interventi di trasformazione del territorio che siano in contrasto con le prescrizioni dei piani adottati o tali da comprometterne o renderne più gravosa l’attuazione», deve essere letta in un’ottica di sistema ed in relazione alle finalità di tutela del territorio. Deve essere invero ritenuto che le misure di salvaguardia devono spiegare efficacia anche in relazione al rispetto delle norme del R.U.E. in quanto strumento che concorre alla regolazione dell’incremento edilizio ed al quale lo strumento urbanistico fa riferimento irrilevante se gli interventi siano volti a soddisfare esigenze di tipo urbanistico od edilizio in senso stretto. In tal senso anche i dubbi di legittimità della previsione contenuta nel regolamento comunale – la quale secondo la prospettazione di parte ricorrente poiché norma secondaria non potrebbe dar luogo a misure di salvaguardia – sono destinati ad essere del tutto dequotati sia perché il R.U.E. spiega gli effetti dell’art. 12 della l.r. n. 20 del 2000, sia perché, nel caso di specie, è del tutto pacifico che l’intervento di cui trattasi fosse assoggettato a titolo abilitativo seppur con le vesti della (ex) D.I.A.

11.- Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso, poiché infondato, deve essere rigettato.

12.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; non è luogo a provvedere nei confronti delle parti non costituite in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione seconda, rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di San Pietro in Casale, delle spese processuali e degli onorari di causa che liquida in complessivi € 4.000,00 (euro quattromila/00) oltre accessori come per legge. Nulla per le spese nei confronti del condominio «Il Mulino» e dell’Unione Reno Galliera, non costituiti in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Mozzarelli, Presidente
Maria Ada Russo, Consigliere
Giuseppe La Greca, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Giuseppe La Greca
        
IL PRESIDENTE
Giancarlo Mozzarelli
        
        
IL SEGRETARIO
 

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