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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto degli alimenti Numero: 5148 | Data di udienza: 26 Marzo 2014

* DIRITTO DEGLI ALIMENTI – IGP – Qualità, reputazione o altra caratteristica del prodotto – Origine geografica determinata – Periodo anteriore all’attribuzione di IGP – Produzione con diverse modalità – Irrilevanza – Prodotto ottenibile con una tecnica in concreto utilizzata al di fuori del territorio da tutelare – Elemento ostativo alla registrazione – Esclusione – Registrazione – Scopo – Denominazione generica – Presupposti.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ ter
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 15 Maggio 2014
Numero: 5148
Data di udienza: 26 Marzo 2014
Presidente: Filippi
Estensore: Politi


Premassima

* DIRITTO DEGLI ALIMENTI – IGP – Qualità, reputazione o altra caratteristica del prodotto – Origine geografica determinata – Periodo anteriore all’attribuzione di IGP – Produzione con diverse modalità – Irrilevanza – Prodotto ottenibile con una tecnica in concreto utilizzata al di fuori del territorio da tutelare – Elemento ostativo alla registrazione – Esclusione – Registrazione – Scopo – Denominazione generica – Presupposti.



Massima

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 15 maggio 2014, n. 5148


DIRITTO DEGLI ALIMENTI – IGP – Qualità, reputazione o altra caratteristica del prodotto – Origine geografica determinata – Periodo anteriore all’attribuzione di IGP – Produzione con diverse modalità – Irrilevanza.

Per ottenere l’attribuzione di una IGP ad un prodotto è necessario che la sua qualità, reputazione o un’altra caratteristica dipenda da una determinata origine geografica, in cui avvenga la produzione, trasformazione e/o elaborazione, con riguardo ad almeno una fase del processo produttivo; è tuttavia irrilevante che tale bene, in assenza di attribuzione di IGP, sia in precedenza stato prodotto con diverse modalità e che la decisione non sia giustificata da caratteristiche compositive o da esigenze produttive o di commercializzazione (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 13 dicembre 2007 n. 13229).

Pres. Filippi, Est. Politi – C. s.r.l. (avv.ti Forte, Marinuzzi e Buonanno) c. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Avv. Stato)

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – IGP – Prodotto ottenibile con una tecnica in concreto utilizzata al di fuori del territorio da tutelare – Elemento ostativo alla registrazione – Esclusione.

Il mero fatto che il prodotto si ottenga tramite una tecnica realizzabile ovunque e in concreto utilizzata (anche) al di fuori del territorio da tutelare, non costituisce elemento ostativo alla registrazione, in quanto con la stessa non si tutelano solo beni che tecnicamente possono essere prodotti solo in un luogo, ma anche quelli la cui reputazione ha una specifica origine geografica; è tuttavia altrettanto vero che la protezione da accordare mediante il riconoscimento della IGP, laddove appunto veicolata dalla preminente pregnanza assunta dal criterio reputazionale, non può che essere limitata alla metodologia tradizionale di produzione.


Pres. Filippi, Est. Politi – C. s.r.l. (avv.ti Forte, Marinuzzi e Buonanno) c. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Avv. Stato)

 

DIRITTO DEGLI ALIMENTI – IGP – Registrazione – Scopo – Denominazione generica – Presupposti.

La registrazione di una IGP ha come scopo, tra gli altri, quello di evitare l’uso abusivo di una denominazione da parte di terzi che desiderino trarre profitto dalla reputazione acquisita da quest’ultima e, del resto, ad evitare la scomparsa della medesima derivante dalla sua volgarizzazione dovuta a un suo uso generale al di fuori o della sua origine geografica, o della determinata qualità, della reputazione o di un’altra caratteristica attribuibile a tale origine e giustificante la registrazione; con la conseguenza che una denominazione diventa generica solo se il nesso diretto tra, da un lato, l’origine geografica del prodotto e, dall’altro, una qualità determinata dello stesso, la sua reputazione o un’altra caratteristica del medesimo, attribuibile a detta origine, sia scomparsa e la denominazione descriva ormai soltanto un genere o un tipo di prodotti (Corte di Giustizia CE, IV Sezione, 2 luglio 2009, procedimento C-343/07, Bavaria NV, Bavaria Italia Srl contro Bayerischer Brauerbund eV).


Pres. Filippi, Est. Politi – C. s.r.l. (avv.ti Forte, Marinuzzi e Buonanno) c. Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 15 maggio 2014, n. 5148

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 15 maggio 2014, n. 5148

N. 05148/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02986/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA
 

sul ricorso n. 2986 del 2013, proposto da CRM s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gaetano Forte, Chiara Marinuzzi e Francesco Buonanno, presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata, in Roma, via Calderini n. 68;

contro

il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, per il presente giudizio ex lege domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

nei confronti di

– Regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco Mastragostino e Maria Chiara Lista, per il presente giudizio elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Gracchi n. 39, presso lo studio dell’avv. Adriano Giuffrè;
– Regione Emilia-Romagna, Servizio Percorsi di qualità, relazioni di mercato ed integrazione di filiera, in persona del Dirigente incaricato p.t.;
– Consorzio di promozione della Piadina Romagnola – CO.P.ROM., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Improda, Raffaella Arista e Pierangela Rodilosso, con domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Due Macelli n. 47;
– Associazione per la promozione della Piadina romagnola IGP, in persona del legale rappresentante;

per l’annullamento

– del decreto direttoriale 27 dicembre 2012 avente ad oggetto “Protezione transitoria accordata a livello nazionale alla denominazione “Piadina Romagnola/Piada Romagnola” per la quale è stata inviata istanza alla Commissione Europea per la registrazione come indicazione geografica protetta”, pubblicato in G.U. 16 gennaio 2013 n. 13;

– del Disciplinare di produzione pubblicato sul sito del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

– nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e dell’Amministrazione regionale intimata;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Consorzio di Promozione della Piadina Romagnola – CO.P.ROM.;
Visto l’atto di intervento ad adiuvandum di STER S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gaetano Forte, Chiara Marinuzzi e Francesco Buonanno, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Calderini n. 68;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Assume la ricorrente società – operante nel settore della produzione di derivati del pane, tra i quali la Piadina romagnola – l’illegittimità dell’impugnato decreto ministeriale, sulla base dei seguenti argomenti di censura:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2. par. 1, lett. b), del Reg. CE 510/06 e dell’art. 4, comma 2, lett. d). del D.M. 21 maggio 2007. Mancanza del legame con il territorio. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti del provvedimento. Sviamento.

Sul presupposto della definizione fornita dall’epigrafato Regolamento comunitario alla nozione di “indicazione geografica”, riferita ai prodotti agricoli o alimentari, parte ricorrente contesta la sussistenza di collegamento alcuno fra la produzione della Piadina (sia a carattere artigianale, che industriale) con il territorio, assumendo l’inesistenza di specifiche limitazioni concernenti la qualità degli ingredienti e/o l’ambiente.

Sotto tale aspetto, confuta che il “legame” con il luogo possa essere individuato nella “influenza del microclima, soprattutto in fase di riposo, il quale ne induce la particolare fragranza”, atteso che la Piadina non è un prodotto lievitato, né il processo di fermentazione viene descritto nel Disciplinare.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, lett. f), del D.M. 21 maggio 2007. Eccesso di potere per errore nei presupposti, erronea valutazione della situazione di mercato e mancata valutazione di prodotti che si trovano legalmente sul mercato da 25 anni.

Nell’assumere che la diffusione del prodotto alimentare di che trattasi sia largamente dovuta all’attività di produzione ascrivibile a CRM, la ricorrente stessa (che vanta un fatturato pari a circa la metà di tutte le altre aziende) evidenzia che nel corso del periodo venticinquennale di operatività sul mercato non è stata mai oggetto di contestazione la denominazione “Piadina romagnola” dalla medesima impiegata.

3) Violazione e falsa applicazione di legge: omessa valutazione dell’art. 14, comma 2, del Reg. CE 510/06. Utilizzo in buona fede del marchio/denominazione (e art. 14, comma 2, del Reg. CE 1151/12).

In ogni caso, se il Reg. CE 510/06 disciplina la coesistenza di un marchio anteriore con una denominazione geografica, parte ricorrente rivendica la buona fede che ha assistito la diffusione del prodotto con la denominazione “Piadina romagnola”, la quale integrerebbe l’impiego di un “marchio di fatto”.

4) Violazione e falsa applicazione di legge: art. 5, comma 6, del Reg. CE 510/06. Mancata previsione di un periodo di adattamento.

Rileva ulteriormente CRM che l’avversato decreto non prevederebbe alcun periodo di adeguamento e/o adattamento per le aziende operanti fuori zona, con violazione dell’epigrafata norma regolamentare.

Con motivi aggiunti, parte ricorrente ha, poi, impugnato i seguenti atti:

– decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali 28 giugno 2013, avente ad oggetto “Autorizzazione all’organismo denominato “BioAgriCert s.r.l.”, in Casalecchio di Reno, ad effettuare i controlli per la denominazione “Piadina Romagnola”, protetta transitoriamente a livello nazionale con decreto 27 dicembre 2012”, pubblicato in G.U. 9 luglio 2013 n. 159;

– piano dei controlli approvato da BioAgriCert;

– decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali 8 luglio 2013, avente ad oggetto “Modifica del decreto 27 dicembre 2012 relativo alla protezione transitoria accordata a livello nazionale alla denominazione “Piadina Romagnola/Piada Romagnola” per la quale è stata inviata istanza alla Commissione Europea per la registrazione come indicazione geografica protetta”, pubblicato in G.U. 22 luglio 2013 n. 170;

– Disciplinare di produzione pubblicato sul sito del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

– ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale.

Nel riproporre, avverso gli atti gravati con l’anzidetto mezzo di tutela, gli argomenti di doglianza già esposti con l’atto introduttivo del giudizio, CRM ha, ulteriormente, dedotto le seguenti, autonome, censure:

A) Illegittimità derivata dall’illegittimità dei provvedimenti ed atti impugnati con il ricorso principale per: I) Violazione e falsa applicazione di legge (art. 2, par. 1, lett. b), del Reg. CE 510/06 e dell’art. 4, comma 2, lett. d), del D.M. 21 maggio 2007; art. 4, comma 2, lett. f), del D.M. 21 maggio 2007; art. 14, comma 2, del Reg. CE 510/06 e art. 14, comma 2, del reg. CE 1151/12; art. 5, comma 6, del Reg. CE 510/06); II) Eccesso di potere: difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti del provvedimento/i; sviamento.

B) Violazione e falsa applicazione di legge: art. 2, par. 1, lett. b), del Reg. CE 510/06, del D.M. 21 maggio 2007 con riferimento alla mancata dimostrazione del legame con il territorio del prodotto industriale “Piadina romagnola” e con riferimento alla mancata individuazione di un collegamento reputazionale del prodotto industriale “Piadina romagnola” con quello artigianale c.d. dei “chioschi”. Eccesso di potere: difetto di istruttoria, travisamento dei fatti ed errore nei presupposti del provvedimento. Sviamento.

Le modificazioni apportate al Disciplinare, con riferimento agli elementi che comprovano il legame del prodotto con il territorio, segnatamente sotto l’aspetto reputazionale, rileverebbero esclusivamente per la Piadina artigianale e non anche per i prodotti alimentari a lunga conservazione e/o confezionati per il consumo differito.

C) Violazione e falsa applicazione di legge: artt. 6, 7, 8 e 9 del D.M. 21 maggio 2007.

Rileva inoltre parte ricorrente che, in presenza di modificazioni significative al Disciplinare, il Ministero avrebbe dovuto nuovamente informare la Regione o le Associazioni interessate al fine di promuovere l’eventuale presentazione di osservazioni.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

Omogenee conclusioni sono state rassegnate da STER S.p.A., intervenuta in giudizio ad adiuvandum.

Diversamente, il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, l’Amministrazione regionale dell’Emilia-Romagna ed il Consorzio di Produzione della Piadina Romagnola – CO.P.ROM., costituitisi in giudizio, hanno confutato la fondatezza delle esposte doglianze, conseguentemente invocando la reiezione dell’impugnativa.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 26 febbraio 2014.

DIRITTO

1. Va, in primo luogo, disattesa l’eccezione di irricevibilità dell’impugnativa, che la Regione Emilia-Romagna ha argomentato con riferimento alla tardività dell’impugnazione sia del decreto di protezione transitoria, che del Disciplinare di produzione.

Escluso che, relativamente a tale ultimo atto, in difetto della qualificazione del valore di pubblicità legale integrato dalla pubblicazione del medesimo sul sito web del Ministero delle Politiche agricole, sia dato identificare nella relativa data il termine di decorrenza per la proposizione dell’impugnazione in sede giurisdizionale, il pur ravvisabile carattere endoprocedimentale del Disciplinare di che trattasi non ne esclude, tuttavia, la sottoposizione al sindacato.

Laddove infatti, come appunto nella fattispecie all’esame, si sia inteso promuovere il riconoscimento della qualificazione di “indicazione geografica protetta” – IGP (nelle more attuando le misure interinalmente protettive consentite, come si avrà cura di precisare infra, dalla normativa comunitaria e nazionale di riferimento), allora è proprio nel Disciplinare di produzione che possono essere ravvisate indicazioni che, in quanto suscettibili di identificare il nesso relazionale fra un prodotto e/o le relative caratteristiche produttive ed un dato territorio geografico, direttamente e concludentemente refluiscono sulla richiesta di che trattasi.

Ne consegue che, ferma l’evidente proponibilità di reclamo, in sede giurisdizionale, avverso la richiesta di registrazione (in ragione dell’interesse a promuovere un annullamento suscettibile di indurre l’arresto procedimentale del relativo iter approvativo) e/o le misure protettive transitorie (a fronte del lamentato pregiudizio riveniente dall’attuazione di esse), le doglianze eventualmente appuntabili avverso previsioni contenute nel Disciplinare ben possono essere – come nel caso di specie – sollevate in una con la sottoposizione al vaglio giudiziale degli atti anzidetti.

Né, altrimenti (e con ogni evidenza), la mancata presentazione, da parte di CRM, di osservazioni e/o opposizioni nel corso del procedimento “nazionale” di registrazione (e, quindi, entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione del Disciplinare in G.U., avvenuta il 28 gennaio 2012) è suscettibile di escludere, come pure ipotizzato dalla Regione Emilia-Romagna, l’esperibilità del rimedio giurisdizionale.

Ciò osservato, la chiara individuabilità della decorrenza del termine per ricorrere nella data di pubblicazione del decreto ministeriale sulla Gazzetta Ufficiale (in assenza di altre e/o diverse indicazioni legislativamente sancite), consente di escludere che il mezzo di tutela all’esame sia stato tardivamente proposto: per l’effetto imponendosi la reiezione dell’eccezione come sopra formulata dalla difesa dell’intimata Amministrazione regionale.

2. Quanto sopra preliminarmente osservato, non può, poi, il Collegio esimersi dal dichiarare l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum dispiegato da STER S.p.A., con atto depositato in giudizio il 24 gennaio 2014.

La stessa interveniente, in punto di legittimazione, ha rappresentato di commercializzare, fra i propri prodotti, anche le “piadine” e le “piade”, confezionate con l’evocazione “antica ricetta romagnola”.

Soggiunge, peraltro, che, “pur non essendo interessata all’annullamento” dei provvedimenti gravati con il ricorso all’esame, “non utilizzando la precisa locuzione “Piadina romagnola” o “Piada romagnola” per i propri prodotti, potrebbe “in futuro, laddove i provvedimenti predetti dovessero essere confermati nella loro legittimità, subire un pregiudizio dall’attuazione del Disciplinare di produzione, avendo … sede di stabilimento fuori dal territorio romagnolo”.

La dichiarata non attualità dell’interesse del quale la parte interveniente assume di essere portatrice, esclude l’ammissibilità di tale mezzo di tutela processuale.

È infatti noto (cfr., ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. I, 3 agosto 2012 n. 969) che l’intervento adesivo ad adiuvandum, pur ammesso a tutela di un interesse diverso e meno forte di quello del ricorrente, ad esso collegato o dipendente, presuppone pur sempre che l’interveniente vanti una posizione qualificata e giuridicamente apprezzabile, e possa ritrarre dall’accoglimento del ricorso un vantaggio concreto e attuale, anche se indiretto e riflesso, dotato quindi di effettiva utilità.

3. La disamina delle censure proposte con il presente ricorso impone – in ragione dell’impugnazione del decreto ministeriale con cui è stata accordata protezione transitoria, a livello nazionale, alla denominazione “Piadina Romagnola/Piada Romagnola”, per la quale è stata inviata istanza alla Commissione Europea per la registrazione come indicazione geografica protetta – di esaminare previamente i contenuti del Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari.

Per quanto di interesse ai fini della delibazione della presente vicenda contenziosa, va in primo luogo sottolineato come l’art. 2, comma 1, lett. b) stabilisca che per «indicazione geografica», si intende “il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:

– come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e

– del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e

– la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata”.

Ai sensi del successivo art. 4, per beneficiare di una indicazione geografica protetta (IGP), un prodotto agricolo o alimentare deve essere conforme ad un Disciplinare, il quale deve comprendere, fra l’altro:

“a) il nome del prodotto agricolo o alimentare che comprende la denominazione d’origine o l’indicazione geografica;

b) la descrizione del prodotto agricolo o alimentare mediante indicazione delle materie prime, se del caso, e delle principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche o organolettiche del prodotto agricolo o alimentare;

c) la delimitazione della zona geografica e, se del caso, gli elementi che indicano il rispetto delle condizioni di cui all’articolo 2, paragrafo 3;

d) gli elementi che comprovano che il prodotto agricolo o alimentare è originario della zona geografica delimitata di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a) o b), a seconda dei casi;

e) la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto agricolo o alimentare e, se del caso, i metodi locali, leali e costanti, nonché gli elementi relativi al condizionamento, quando l’associazione richiedente, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, stabilisce e motiva che il condizionamento deve aver luogo nella zona geografica delimitata per salvaguardare la qualità o garantire l’origine o assicurare il controllo;

f) gli elementi che giustificano:

i) il legame fra la qualità o le caratteristiche del prodotto agricolo o alimentare e l’ambiente geografico di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a) o, a seconda dei casi,

ii) il legame fra una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica del prodotto agricolo o alimentare e l’origine geografica di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b)”.

Nell’ambito della disciplina riservata alla domanda di registrazione (art. 5), merita di essere segnalata – in quanto direttamente afferente alla controversia all’esame – la previsione dettata dal paragrafo 6, che prevede che:

“A decorrere dalla data della presentazione della domanda alla Commissione, [lo] Stato membro può accordare solo in via transitoria alla denominazione una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di adattamento.

Il periodo di adattamento di cui al primo comma può essere previsto solo a condizione che le imprese interessate abbiano legalmente commercializzato i prodotti in questione utilizzando in modo continuativo tali denominazioni almeno per i cinque anni precedenti e abbiano sollevato questo problema nel corso della procedura nazionale di opposizione di cui al paragrafo 5, primo comma.

La protezione nazionale transitoria cessa a decorrere dalla data in cui è adottata una decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento”.

Rilevano, in sede di rassegna dei salienti contenuti nella regolamentazione comunitaria di che trattasi, le disposizioni relative alla individuazione del conseguente procedimento dinanzi alla Commissione (art. 6), le modalità di eventuale proposizione di opposizioni e la conclusiva decisione sulla registrazione (art. 7), nonché la procedura preordinata alle modificazioni del Disciplinare (art. 9).

Particolare interesse rivela, poi, il contenuto dell’art. 13, che detta i contenuti della disciplina di protezione che assiste i prodotti che abbiano beneficiato della registrazione DOP (denominazione di origine protetta) e IGP (indicazione geografica protetta); mentre il paragrafo 2 del successivo art. 14 stabilisce che “nel rispetto del diritto comunitario, l’uso di un marchio corrispondente ad una delle situazioni di cui all’articolo 13, depositato, registrato o, nei casi in cui ciò sia previsto dalla normativa pertinente, acquisito con l’uso in buona fede sul territorio comunitario, anteriormente alla data di protezione della denominazione d’origine o dell’indicazione geografica nel paese d’origine, … può proseguire, nonostante la registrazione di una denominazione d’origine o di un’indicazione geografica, qualora il marchio non incorra nella nullità o decadenza per i motivi previsti dalla prima direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa o dal regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio, del 20 dicembre 1993, sul marchio comunitario”.

4. A seguito della esplicitazione, limitatamente ai profili rilevanti ai fini del decidere, della portata contenutistica promanante dalla disciplina comunitaria di riferimento, non può omettere il Collegio di rammentare come la normativa nazionale rilevante sia rappresentata dal D.M. 21 maggio 2007 (recante “Procedura a livello nazionale per la registrazione delle DOP e IGP, ai sensi del regolamento (CE) n. 510/2006”), ora abrogato dal comma 1 dell’art. 32 del D.M. 14 ottobre 2013, (con decorrenza dal 26 ottobre 2013, ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 33 del medesimo decreto), ma ratione temporis operante quanto alla presente controversia.

In particolare, l’art. 4, comma 3, prevede che la richiesta di riconoscimento debba essere corredata, fra l’altro, dai seguenti documenti:

“[omissis]

c) Disciplinare di produzione;

d) relazione tecnica dalla quale si evinca in maniera chiara il legame con il territorio, inteso come nesso di causalità tra la zona geografica e la qualità o le caratteristiche del prodotto (nell’ipotesi di DOP) o una qualità specifica, la reputazione o altra caratteristica del prodotto (nell’ipotesi di IGP). Dalla relazione tecnica deve altresì risultare che il prodotto per il quale si richiede il riconoscimento presenta almeno una caratteristica qualitativa che lo differenzia dallo standard qualitativo di prodotti della stessa tipologia ottenuti fuori dalla zona di produzione;

e) relazione storica, corredata di riferimenti bibliografici, atta a comprovare la produzione per almeno venticinque anni anche se non continuativi del prodotto in questione, nonché l’uso consolidato, nel commercio o nel linguaggio comune, della denominazione della quale si richiede la registrazione;

f) relazione socio-economica contenente le seguenti informazioni:

1. prodotto e struttura produttiva:

quantità prodotta attuale;

potenzialità produttiva del territorio;

numero aziende coinvolte distinte per singolo segmento della filiera (attuali e potenziali);

destinazione geografica e commerciale del prodotto (attuale e potenziale);

2. domanda attuale relativa al prodotto e previsione di medio termine;

g) cartografia in scala adeguata a consentire l’individuazione precisa della zona di produzione e dei suoi confini”.

Se il Collegio riserva di condurre successivamente, anche alla luce delle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio, le considerazioni riguardanti la presenza di un legame del prodotto con il territorio (almeno, giusta quanto sostenuto dalla parte ricorrente, per la Piadina non prodotta artigianalmente), anche sotto il profilo reputazionale, fin d’ora la disamina del testo normativo all’esame impone di rilevare che:

– la procedura è articolata in due distinte fasi (artt. 6 e 7), preordinate all’attivazione delle interlocuzioni con i soggetti interessati;

– è prevista la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, al fine di consentire al proposizione di eventuali osservazioni e la predisposizione di controdeduzioni (art. 8);

– il Disciplinare di produzione viene trasmesso alla Commissione Europea;

– la modificazione del Disciplinare impone di seguire la procedura dettata dagli indicati artt. 6, 7 e 8;

– la protezione transitoria (concedibile a domanda dell’associazione richiedente), ove accordata, decade qualora entro sei mesi dalla data di pubblicazione del decreto non sia approvato il piano dei controlli (art. 10).

5. Il decreto ministeriale in data 27 dicembre 2012, impugnato con l’atto introduttivo del giudizio, sul presupposto:

– della domanda presentata dal Consorzio di promozione della Piadina Romagnola – CO.P.ROM., intesa ad ottenere la registrazione della denominazione “Piadina Romagnola/Piada Romagnola”, ai sensi dell’art. 5 del Reg. CE 510/2006;

– della trasmissione all’organismo comunitario competente della predetta domanda di registrazione, ad opera del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

– dell’istanza con la quale CO.P.ROM. ha chiesto la protezione a titolo transitorio, ai sensi del riportato art. 5, comma 6 del Regolamento CE 510/2006;

ed in relazione alla ravvisata esigenza di “assicurare certezza alle situazioni giuridiche degli interessati all’utilizzazione della denominazione «Piadina Romagnola/Piada Romagnola», in attesa che l’organismo comunitario decida sulla domanda di riconoscimento della indicazione geografica protetta”, ha accordato (art. 1) la protezione a titolo transitorio a livello nazionale, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del predetto Regolamento alla denominazione sopra indicata, riservata (art. 2) “al prodotto ottenuto in conformità al Disciplinare di produzione consultabile nel sito istituzionale di questo Ministero all’indirizzo www.politicheagricole.gov.it.”; ed ha ulteriormente precisato (art. 4) che:

– “la protezione transitoria di cui all’art. 1 cesserà a decorrere dalla data in cui sarà adottata una decisione sulla domanda stessa da parte dell’organismo comunitario”;

– “la protezione transitoria decadrà qualora entro sei mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto, non sarà approvato il relativo piano dei controlli, così come previsto dal comma 2” dell’art. 10 del decreto 21 maggio 2007”.

6. Con successivo decreto in data 8 luglio 2013 (dalla parte ricorrente gravato con motivi aggiunti), il Ministero intimato:

– vista la nota del 3 luglio 2013, con la quale era stata trasmessa la documentazione relativa alla domanda di registrazione della denominazione «Piadina Romagnola/Piada Romagnola» modificata in accoglimento delle richieste della Commissione UE;

– e ritenuta la necessità di riferire la protezione transitoria a livello nazionale al Disciplinare di produzione modificato in accoglimento delle richieste della Commissione UE;

ha disposto che la protezione a titolo transitorio a livello nazionale, già accordata con decreto 27 dicembre 2012 alla denominazione di che trattasi, “è riservata al prodotto ottenuto in conformità al Disciplinare di produzione consultabile nel sito istituzionale di questo Ministero all’indirizzo www.politicheagricole.gov.it”.

7. Le modificazioni all’originario decreto del 27 dicembre 2012 – che hanno imposto l’adozione di un nuovo provvedimento ministeriale (come detto, impugnato con motivi aggiunti) e, con esso, l’applicazione della (contestata) protezione a titolo transitorio – concernono il Disciplinare di produzione della Piadina.

Nel rilevare come gli interventi manipolativi sul testo del Disciplinare sono stati indotti dalla richiesta della Commissione Europea, per come dalla stessa Autorità ministeriale evidenziato nel decreto dell’8 luglio 2013, si osserva che l’art. 6 (Elementi che comprovano il legame con l’ambiente) reca, nella rinnovata formulazione, una più dettagliata ed analitica illustrazione, di carattere storico-sociale, in ordine alle tipologie e caratteristiche di produzione e consumo del prodotto di che trattasi, riguardate all’interno di un ampio excursus (documentato anche da citazioni a carattere bibliografico), che comprova la risalente tradizione che caratterizza tale alimento nell’ambito del territorio della Romagna.

Tale implementato dettaglio rivela, come condivisibilmente osservato dalla parte ricorrente, chiaro intento di accrescere la valenza “reputazionale” della Piadina: avvalorando pertanto quell’elemento (in primo luogo considerato dalla normativa europea di riferimento; quindi, ripreso anche dalla applicativa decretazione nazionale) suscettibile di asseverare la considerazione del prodotto non con carattere di assolutezza, ma in quanto correlata alla tradizionale produzione ed al consolidato consumo dello stesso nel quadro del radicamento territoriale che ne integra il proprium (all’interno, quindi, della stretta correlazione tra qualità/caratteristiche della “Piadina” o “Piada” romagnola e zona geografica di produzione della stessa).

Lo stesso Disciplinare di produzione, nella rimodulata versione anzidetta, ribadisce i contenuti dell’originario testo, quanto alle peculiari caratteristiche integranti il vincolo geografico di produzione della Piadina (che parte ricorrente aveva già contestato con l’atto introduttivo del giudizio): ribadendo, sotto tale profilo, che “al fine di garantire un uniforme contenuto di umidità caratteristico dell’aree a salvaguardia della fragranza del prodotto, il confezionamento dovrà avvenire nella zona di produzione indicata all’articolo 3, immediatamente a seguito del raffreddamento post-cottura, anche nel caso del prodotto congelato, al fine di garantire la qualità, la freschezza e le tipiche caratteristiche organolettiche” (art. 5).

8. Proprio il profilo di interesse da ultimo segnalato, alla stregua della direzione contenutistica appalesata dalle doglianze dedotte dalla parte ricorrente con il ricorso introduttivo, ha indotto la Sezione a disporre compiuti approfondimenti, avvalendosi dello strumento di cui all’art. 19 c.p.a.

I quesiti rivolti all’attenzione del consulente tecnico d’ufficio, nominato nella persona della prof.ssa Maria Ambrogina Pagani, (Professore Ordinario di Tecnologie Alimentari e responsabile dell’insegnamento di “Tecnologia dei Cereali” presso il Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente della Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università degli Studi di Milano), giusta quanto dalla Sezione stabilito con ordinanza n. 5956 del 13 giugno 2013, sono i seguenti:

1) quali sono gli elementi che influiscono sulla fragranza di un prodotto da forno;

2) se la fragranza di un prodotto privo di una fase di lievitazione possa essere influenzata dal microclima (in particolare, per interazione di microorganismi, loro selezione, moltiplicazione);

3) se le diverse condizioni micro-ambientali (quali, ad esempio, il livello di ventilazione, l’umidità e la temperatura), nell’ambito della zona di produzione di cui al Disciplinare impugnato con il ricorso in trattazione, eventualmente varianti tra mare, pianura, collina, possono incidere sulle caratteristiche della Piadina romagnola;

4) in caso di riscontrata influenza del microclima, se essa possa essere riconosciuta anche per le lavorazioni di tipo industriale (confezionate ed a lunga conservazione), nelle quali la fase di riposo avviene in celle precondizionate;

5) se la diversità in termini reologici ed organolettici generata dall’impiego, in rilevanti proporzioni, di sostanze grasse con proprietà differenziate (strutto e/o olio di oliva e/o olio di oliva extravergine e/o altri grassi vegetali), possa essere compatibile con la definizione di un alimento, avente caratteristiche tali da non poter essere prodotto al di fuori dell’area geografica definita dal Disciplinare di cui sopra;

6) se il microclima può avere una influenza oggettivamente significativa sulle caratteristiche organolettiche del prodotto superiore o pari a quella derivante dalla variabilità compositiva, soprattutto in sostanze grasse, prevista dal Disciplinare;

7) se nel documento unico sul quale è chiamata ad esprimersi la Commissione Europea in sede di decisione in ordine alla registrazione del prodotto quale IGP, sia richiamata l’influenza del microclima sulla fragranza del prodotto quale elemento che giustifichi il legame con il territorio, e, più in generale, sulla preparazione della Piadina romagnola;

8) se, sulla base della documentazione di cui al precedente punto 7), il microclima della zona di origine e la sua influenza sulla fragranza del prodotto siano caratteristiche che contribuiscono alla classificazione del prodotto stesso come idoneo all’apposizione del marchio IGP.

9. Con relazione depositata in atti del giudizio alla data del 27 novembre 2013, il CTU (previo svolgimento delle demandate operazioni di accertamento e verifica, nel necessario contraddittorio con le parti costituite) ha fornito le risposte, di seguito riportate, ai quesiti come sopra al medesimo rivolti:

– Quesito n. 1

“… il contributo più importante alla fragranza dei prodotti da forno deriva dai complessi fenomeni che hanno luogo durante la cottura in forno, operazione chiave per questo gruppo di alimenti …”.

Quesito n. 2

“… all’interno dell’unità produttiva, devono essere monitorati numerosi parametri, quali la temperatura, l’umidità, la carica batterica/micotica dell’aria nei locali e la carica batterica delle superfici a contatto diretto con il prodotto, nonché le caratteristiche dell’acqua usata per l’impastamento. Il rispetto di tali procedure porta ad escludere che il microclima dell’ambiente esterno, soprattutto in un prodotto ottenuto senza un intervento diretto di microrganismi (fase di lievitazione) possa avere un effetto sull’andamento del processo produttivo e, di conseguenza, sulla fragranza del prodotto stesso. L’unico elemento che … può ragionevolmente contribuire a conferire particolari e desiderate caratteristiche aromatiche del prodotto finito ottenuto in un’azienda … è la tipologia delle materie prime, la formulazione utilizzata e il processo produttivo, in particolare le condizioni di cottura”.

Quesito n. 3

“… il microclima esterno non può influenzare l’andamento dei fenomeni che possono manifestarsi nell’impasto … La bassa carica microbica della farina, le condizioni di tempo/temperatura/umidità applicate durante la fase di riposo/puntatura del processo produttivo in celle condizionate (sia in lavorazioni artigianali che industriali) non sembrano poter consentire una crescita microbica tale da influenzare, sia positivamente, che negativamente, le caratteristiche del prodotto”. Viene, poi, ulteriormente soggiunto che “… anche nel caso in cui la Piadina sia prodotta in chioschi, ambienti dove l’isolamento dall’esterno non è assicurato e non può essere escluso a priori, la fase di riposo (le cui condizioni di tempo e temperatura sono definite nel Disciplinare di produzione) potrebbe far registrare una crescita di microrganismi (e potenzialmente una lievitazione biologica) solo in condizioni che contrastino con le indicazioni di corretta prassi igienica”.

– Quesito n. 4:

“… il microclima dell’area geografica identificata per la produzione di Piadina IGP in lavorazioni di tipo industriale non può influenzare le caratteristiche del prodotto, in quanto le fasi associate alla potenziale formazione di sostanze aromatiche vengono condotte in ambienti confinati e controllati per condizioni di temperatura e umidità (celle pre-condizionate) … I due metodi strumentali utilizzati per determinare l’aroma della Piadina (dunque la fragranza) sono concordi nell’indicare che le proprietà sensoriali dei campioni non sono influenzate dalla condizioni del microclima della zona di produzione, ma sembrano fortemente correlate ad alcune scelte tecnologiche adottate nel processo produttivo …”.

– Quesito n. 5:

“… il contenuto della materia grassa della formulazione [è] l’elemento determinante che condiziona le caratteristiche reologiche dei prodotti analizzati, indipendentemente dalla zona di produzione o dalla natura artigianale o industriale del produttore” … “Data la variabilità della componente grassa ammessa dal Disciplinare, sia in termini qualitativi che quantitativi, eventuali caratteristiche impartite al prodotto dalla “territorialità” (ad esempio, umidità ambientale, composizione dell’acqua), anche se presenti, passerebbero in secondo piano e sarebbero surclassate dagli effetti macroscopici attribuibili alla componente grassa nell’impasto”.

– Quesito n. 6:

“ … il metodo sensoriale ha messo in luce, tra i sei campioni di Piadina analizzati, differenze per le caratteristiche sensoriali non riconducibili alla zona di produzione e, di conseguenza, al microclima presente … ma ascrivibili alle condizioni adottate in alcune fasi del processo tecnologico e/o alla formulazione. Sebbene indirettamente ma significativamente, i risultati sensoriali indicano che la produzione di Piadina all’interno della zona per cui si richiede l’IGP non garantisce la formazione di aroma e gusto le cui intensità siano tali da superare le diversità strutturali associate alla formulazione ed imputabili … soprattutto alla componente grassa”.

– Quesito n. 7:

“Nel documento Unico … su cui la Commissione Europea in sede di decisione si deve esprimere in ordine alla registrazione del prodotto quale IGP, non viene richiamata l’influenza del territorio e del suo microclima sulla fragranza quale elemento che giustifichi il legame con il territorio”.

– Quesito n. 8:

“la denominazione IGP deve identificare un prodotto alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità o la reputazione o altre caratteristiche”, sì che “si deve intendere che l’IGP può essere diretta, come accade nel caso in questione, a basarsi sulla “popolarità” e sulla reputazione della denominazione per tutelarne e garantirne la produzione” “… il solo fatto che il prodotto Piadina si possa ottenere tramite un processo tecnologico realizzabile anche al di fuori del territorio IGP non può essere considerato un elemento che ne impedisca la registrazione”.

10. Le risposte come sopra fornite dal CTU ai quesiti al medesimo rivolti, hanno consentito alle parti, in vista dell’odierna pubblica udienza di trattazione della controversia, di precisare le proprie conclusioni con scritti difensivi essenzialmente incentrati su una polarità di prospettazioni.

Se, da un lato, parte ricorrente ha inteso valorizzare le indicazioni contenute nella Relazione, circa l’assenza di alcun “legame” della Piadina con il territorio indicato ai fini della registrazione IGP, in ragione della ravvisata ininfluenza di fattori ambientali e/o microclimatici sul processo produttivo (e, conseguentemente, sulla conclusiva realizzazione del prodotto alimentare di che trattasi), diversamente le difese delle parti resistenti (Consorzio di Produzione della Piadina Romagnola – CO.P.ROM e Regione Emilia Romagna) hanno soffermato l’attenzione sul c.d. “elemento reputazionale” (e, con esso, sulla risalente tradizione produttiva nell’ambito dell’area geografica romagnola e sul carattere di notorietà assunto dalla riconducibilità/associabilità dello stesso prodotto alla zona di origine), che sarebbe confermato dalla analitica ricostruzione storico-sociale contenuta nel Disciplinare e troverebbe, altresì, profili di ribadito convincimento nella stessa relazione peritale (si confronti, in proposito, il punto 8).

In altri termini, ed in estrema sintesi, se l’esclusa rilevanza del fattore microclimatico (secondo quanto sostenuto da CRM) attenuerebbe il legame del prodotto in questione con la zona geografica di provenienza, secondo quanto ex adverso argomentato il fattore reputazionale ex se consentirebbe la registrazione quale prodotto ad “indicazione geografica protetta”, atteso che (si confronti, in proposito, la memoria di CO.P.ROM. depositata il 5 febbraio 2014), “la reputazione di un prodotto non deriva tanto dalle qualità intrinseche del medesimo, quanto dall’immagine con la quale viene percepito dal consumatore, che vi associa, in virtù dell’area geografica di origine, determinate caratteristiche e qualità a prescindere dalla loro effettiva sussistenza”.

11. La tesi che assevera, quale elemento discriminante ai fini del riconoscimento della IGP, la sussistenza di elementi reputazionali suscettibili di avvalorare il legame di un particolare prodotto alimentare con la zona di tradizionale produzione, dimostra, ad avviso del Collegio, elementi di persuasività con esclusivo riferimento alla produzione “artigianale” della piadina; ma non rivela, al contrario, omogeneo carattere di condivisibilità con riferimento alla produzione “industriale” dell’alimento di che trattasi.

11.1 Va, innanzi tutto, dato atto della presenza di pronunzie giurisprudenziali che hanno ripetutamente accentuato la centrale rilevanza che deve annettersi, nel quadro delle valutazioni preordinate al riconoscimento della indicazione geografica protetta, alla “reputazione” vantata dal prodotto con riferimento ad una particolare circoscrizione geografica.

È stato, in tal senso, affermato che, se per ottenere l’attribuzione di una IGP ad un prodotto è necessario che la sua qualità, reputazione o un’altra caratteristica dipenda da una determinata origine geografica, in cui avvenga la produzione, trasformazione e/o elaborazione, con riguardo ad almeno una fase del processo produttivo, è irrilevante che tale bene, in assenza di attribuzione di IGP, sia in precedenza stato prodotto con diverse modalità e che la decisione non sia giustificata da caratteristiche compositive o da esigenze produttive o di commercializzazione (cfr. T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 13 dicembre 2007 n. 13229).

Sia il previgente Regolamento CEE 14 luglio 1992 n. 2081/92, sia il successivo Regolamento 20 marzo 2006 n. 510/2006 (applicabile alla vicenda contenziosa all’esame), hanno, infatti, definito l’«indicazione geografica» come il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare:

– come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e – del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e

– la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata.

11.2 Se è vero che il mero fatto che il prodotto si ottenga tramite una tecnica realizzabile ovunque e in concreto utilizzata (anche) al di fuori del territorio da tutelare, non costituisce elemento ostativo alla registrazione, in quanto con la stessa non si tutelano solo beni che tecnicamente possono essere prodotti solo in un luogo, ma anche quelli la cui reputazione ha una specifica origine geografica, è altrettanto vero che la protezione da accordare mediante il riconoscimento della IGP, laddove appunto veicolata dalla preminente pregnanza assunta dal criterio reputazionale, non può che essere limitata alla metodologia tradizionale di produzione.

L’irrilevanza assunta, quanto alla produzione industriale dell’alimento, dalla localizzazione dell’impianto all’interno del quale avvengano le lavorazioni, indice infatti ad escludere che il nesso fra elemento reputazionale ed area di originaria produzione riveli la medesima intensità invece riscontrabile laddove si sia in presenza di modalità artigianali di elaborazione delle materie prime e di realizzazione del prodotto; le quali, tradizionalmente caratterizzano la risalente e socialmente radicata diffusione della “piadina” prodotta nei “chioschi” tipici della regione romagnola.

La circostanza che in concreto, attualmente, la produzione industriale possa essere delocalizzata rispetto all’area geografica da ultimo indicata integra, pertanto, elemento di necessaria valutazione, tenendo conto che la registrazione del prodotto, ove ne sussistano i presupposti, è diretta proprio a regolamentare modalità e luogo di produzione anche al fine di limitare l’utilizzo del nome ai produttori in possesso di determinate caratteristiche ed escludere, o costringere ad adeguarsi, chi non le possiede (Cons. Stato, sez. VI, 4 agosto 2008 n. 3890 e 29 settembre 2009 n. 5881).

11.3 Considerazioni riconducibili alla valorizzazione reputazionale del prodotto, quale matrice fondante del riconoscimento della qualificazione IGP, sono peraltro state esplicitate anche in ambito comunitario.

In tal senso, è stato affermato che la registrazione di una IGP ha come scopo, tra gli altri, quello di evitare l’uso abusivo di una denominazione da parte di terzi che desiderino trarre profitto dalla reputazione acquisita da quest’ultima e, del resto, ad evitare la scomparsa della medesima derivante dalla sua volgarizzazione dovuta a un suo uso generale al di fuori o della sua origine geografica, o della determinata qualità, della reputazione o di un’altra caratteristica attribuibile a tale origine e giustificante la registrazione; con la conseguenza che una denominazione diventa generica solo se il nesso diretto tra, da un lato, l’origine geografica del prodotto e, dall’altro, una qualità determinata dello stesso, la sua reputazione o un’altra caratteristica del medesimo, attribuibile a detta origine, sia scomparsa e la denominazione descriva ormai soltanto un genere o un tipo di prodotti (Corte di Giustizia CE, IV Sezione, 2 luglio 2009, procedimento C-343/07, Bavaria NV, Bavaria Italia Srl contro Bayerischer Brauerbund eV).

Tali considerazioni si rivelano, ad avviso del Collegio, particolarmente coerenti con il percorso interpretativo che, sulla base delle indicazioni emerse a seguito dell’accertamento peritale disposto, consente di pervenire ad una esaustiva delibazione della sottoposta controversia: segnatamente laddove si consideri che l’elemento reputazionale:

– laddove suscettibile di connotare, all’interno del tradizionale e (spesso) risalente legame tra la produzione di un alimento e le abitudini alimentari della popolazione insediata all’interno di un determinato ambito territoriale

– viene evidentemente a rivestire depotenziata rilevanza in presenza di (pur consentite) modalità di produzione industriale del medesimo alimento: le quali, esclusa ogni rilevanza a tal fine ricongiungibile a fattori microclimatici o ai particolari componenti del prodotto (ove peculiarmente connotati in ambito locale), non rivelano carattere di preclusa compatibilità con una realizzazione posta in essere anche al di fuori dell’originario territorio caratterizzante l’alimento.

12. Le indicazioni analiticamente illustrate nel Disciplinare quanto alla risalente riconducibilità della produzione e del consumo della “Piadina” nell’ambito geografico della Romagna, unitamente alla tradizionale composizione di tale prodotto alimentare, univocamente depongono per la correttezza dell’indicazione geografica di tale alimento, limitatamente, peraltro, alla sola produzione artigianale dello stesso.

Se è infatti vero che il “legame”, ovvero il “condizionamento geografico” del prodotto con l’ambiente di origine non può essere individuato – secondo quanto osservato nella relazione del CTU precedentemente riportata – nell’influenza del “particolare” microclima suscettibile di assistere talune delle fasi della produzione, è allora altrettanto vero che gli ampi – ed ampiamente illustrati – riferimenti reputazionali univocamente militano per la piena registrabilità del prodotto con caratteristica di indicazione geografica protetta con esclusivo riferimento alla produzione tradizionale – e, quindi, non industriale – della “piadina”.

I presupposti suscettibili di giustificare tale valutazione, infatti, vengono enucleati dalla normativa comunitaria (e da quella nazionale, di essa applicativa) con carattere di necessaria compresenza e/o di obbligatoria cumulabilità, laddove (si confronti, in proposito, l’art. 4, comma 3, lett. d), del D.M. 21 maggio 2007), è rimessa alla relazione tecnica, da allegare alla domanda di riconoscimento, l’indicazione:

– del legame con il territorio, inteso come nesso di causalità tra la zona geografica

– e della qualità o le caratteristiche del prodotto (nell’ipotesi di DOP) o di una qualità specifica

– nonché della reputazione o altra caratteristica del prodotto (nell’ipotesi di IGP);

dalla medesima relazione dovendo “altresì risultare che il prodotto per il quale si richiede il riconoscimento presenta almeno una caratteristica qualitativa che lo differenzia dallo standard qualitativo di prodotti della stessa tipologia ottenuti fuori dalla zona di produzione”.

Proprio tale “caratteristica qualitativa”, alla stregua delle dettagliate indicazioni rassegnate dal CTU, non emerge con riferimento alla produzione industriale eseguita (anche) al di fuori dell’originaria zona di origine della “piadina”, in ragione della ravvisata assenza di elementi suscettibili di refluire sulla realizzazione dell’alimento con carattere di differenzialità in ragione della collocazione geografica dell’impianto di realizzazione.

Deve, quindi, escludersi che quanto indicato nel Disciplinare di produzione allegato al decreto ministeriale impugnato (segnatamente per quanto concerne l’esigenza che, “al fine di garantire un uniforme contenuto di umidità caratteristico dell’aree a salvaguardia della fragranza del prodotto, il confezionamento [deve] avvenire nella zona di produzione indicata all’articolo 3, immediatamente a seguito del raffreddamento post-cottura, anche nel caso del prodotto congelato, al fine di garantire la qualità, la freschezza e le tipiche caratteristiche organolettiche” (art. 5), riveli condivisibile concludenza con riferimento alla produzione industriale dell’alimento in discorso.

L’irrilevanza assunta dalle condizioni microclimatiche sulla produzione e sul confezionamento dell’alimento – per come dettagliatamente illustrate nell’acquisita relazione peritale – inducono, infatti, ad escludere che anche la produzione industriale sia legata alla zona di tradizionale produzione della “piadina” da un nesso di indissolubile rilevanza: piuttosto dovendosi osservare come l’alimento – si ribadisce, limitatamente alla produzione non artigianale – ben possa essere realizzato anche in insediamenti collocati (come nel caso dell’odierna ricorrente) al di fuori dell’area geografica romagnola.

Diversamente, il dimostrato vincolo reputazionale, si dimostra idoneo a radicare la riferibilità del prodotto ad un ambito geografico con riferimento alla sola tradizionale produzione artigianale della piadina: la quale, per come dettagliatamente riportato nella relazione illustrativa allegata al decreto ministeriale, trova risalenti e consolidati elementi consuetudinari nella realizzazione, distribuzione e consumazione dell’alimento artigianalmente effettuata nei “chioschi” a ciò adibiti nell’area di riferimento, rappresentando un indiscutibile elemento di collegamento – che caratterizza la “tipicità” della “piadina” – fra una particolare modalità di preparazione/offerta di quest’ultima e le consolidate abitudini di consumo nella zona interessata.

13. Le considerazioni che precedono impongono di accogliere le doglianze articolate con il ricorso introduttivo, limitatamente alla sola produzione industriale della “piadina”: la quale, come precedentemente esposto, non trova collegamenti, di carattere compositivo, microclimatico e/o reputazionale, con l’area indicata nel provvedimento gravato.

I risalenti riferimenti offerti dall’Autorità ministeriale con riguardo alla tradizionale produzione ed alla diffusione nelle abitudini alimentari della popolazione insediata nel territorio di riferimento del prodotto alimentare di che trattasi (la cui classificabilità, alla stregua di una terminologia recentemente invalsa, ben potrebbe avvenire nel novero dei c.d. “street foods”), militano infatti per la tutelabilità del solo prodotto artigianalmente realizzato: per il quale, alla stregua delle stesse indicazioni contenute nella ripetuta relazione, effettivamente è dato evincere la presenza di un nesso di carattere reputazionale con l’area geografica interessata.

Deve, allora, ritenersi che:

– se l’accertata riconducibilità del prodotto alimentare “Piadina” o “Piada” al territorio della Romagna, univocamente connota con carattere geografico la sola realizzazione artigianale dell’alimento

– deve, conseguentemente inferirsi che, fuori dal contesto territoriale di che trattasi, l’impiego della locuzione anzidetta ben possa essere consentito in presenza di lavorazioni industriali per le quali – nel rispetto delle indicazioni (“metodo di ottenimento del prodotto”) – la constatata irrilevanza dei fattori produttivi e/o microclimatici ben consente la collocazione di insediamenti industriali anche al di fuori dell’area, per come delimitata all’art. 3 del Disciplinare impugnato.

14. Quanto alla mancata concessione, relativamente alle aziende poste fuori dalla zona di produzione, di un periodo di “adattamento”, giusta la previsione di cui all’art. 5, comma 6, del Reg. 510/2006/CE, va in primo luogo esclusa la fondatezza dell’argomentazione, sollevata dalla difesa di CO.P.ROM., secondo cui troverebbe applicazione alla fattispecie la disciplina di cui al Reg. (UE) n. 1151/2012 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari: per effetto della quale (avente portata abrogativa in ordine al precedente Reg. 510/2006/CE, ex art. 58), non è più prevista (art. 9) la possibilità, per lo Stato membro, di accordare un “periodo di adattamento”, giusta quanto disposto dal previgente testo regolamentare.

Al riguardo, osserva il Collegio che il Regolamento del 2012, entrato in vigore il 3 gennaio 2013 (ventesimo giorno successivo alla pubblicazione in G.U.C.E., avvenuta il 20 dicembre 2012) non è, ratione temporis, operante relativamente alla vicenda procedimentale conclusasi con l’adozione del decreto ministeriale avversato, intervenuta alla (anteriore) data del 27 dicembre 2012.

Piuttosto, merita condivisione l’ulteriore argomentazione, parimenti esplicitata dalla difesa della suddetta parte controinteressata, secondo cui l’omessa partecipazione di CRM al procedimento (e, segnatamente, alla procedura di opposizione prevista e disciplinata dall’art. 5, comma 5, del Reg. 510) ha assunto valenza concretamente preclusiva ai fini della pur consentita concessione del periodo di “adattamento” di che trattasi.

Intende, sul punto, il Collegio precisare che siffatta presenza procedimentale (la cui mancanza, nel caso di specie, non è stata occasionata dalla mancata pubblicizzazione della relativa attività amministrativa, come comprovato, anche, dalla presentazione di opposizioni da parte di altri soggetti, quali Confesercenti Cesena e Ravenna e Slowfood Emilia-Romagna) integra un presupposto legittimante ai fini della richiesta delle misure di che trattasi, come reso palese dal comma 2 del paragrafo 6 dell’art. 5 del Regolamento 501 del 2006, laddove viene espressamente stabilito che “il periodo di adattamento … può essere previsto solo a condizione che le imprese interessate … abbiano sollevato questo problema nel corso della procedura nazionale di opposizione di cui al paragrafo 5, primo comma”.

Quest’ultima, infatti, è preordinata ad addurre all’attenzione dell’Amministrazione procedente quegli interessi, astrattamente meritevoli di interinale tutela, alla cui transitoria protezione è, appunto, coordinata l’ammissione al periodo di “adattamento” di che trattasi.

In altri termini, fermo il carattere evidentemente discrezionale che assiste la determinazione in proposito rimessa allo Stato membro dal comma 1 dell’art. 6 del Reg. 510/2006/CE (“A decorrere dalla data della presentazione della domanda alla Commissione il medesimo Stato membro può accordare solo in via transitoria alla denominazione una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di adattamento”), in difetto della rappresentazione di particolari esigenze di tutela da parte dell’operatore interessato (nella sede a ciò elettivamente deputata, ovvero quella per la presentazione di opposizioni), viene a difettare, in capo all’Autorità procedente, la cognizione stessa di siffatte (eventuali) ragioni, sì da rendere concretamente impossibile l’adozione della misura di che trattasi.

15. Se, alla stregua delle considerazioni precedentemente esposte, le doglianze articolate con l’atto introduttivo vanno parzialmente accolte, omogenee considerazioni vanno rassegnate con riferimento ai motivi di ricorso dedotti con i motivi aggiunti successivamente proposti, giusta quanto infra precisato.

15.1 Se è suscettibile di accoglimento il primo di tali profili di censura (invalidità derivata del decreto ministeriale 28 giugno 2013), parimenti condivisibile si dimostra la doglianza (in narrativa rubricata sub B) riferita alla carenza dell’elemento reputazionale (in ordine al quale, nel richiamare quanto in precedenza diffusamente esposto, va ribadito come le relative considerazioni possano trovare fondata consistenza esclusivamente per la Piadina artigianale e non anche per i prodotti alimentari a lunga conservazione e/o confezionati per il consumo differito).

15.2 Con riferimento, invece, al terzo motivo dedotto con il mezzo di tutela all’esame, va escluso che, in presenza di modificazioni al Disciplinare esclusivamente riferite al profilo storico-tradizionale suscettibile di caratterizzare la considerazione reputazionale del prodotto alimentare di che trattasi (veicolate, peraltro, da una precisa richiesta in tal senso rivolta all’Autorità nazionale da parte della Commissione Europea), fosse necessario procedere ad un rinnovato avvio dell’iter procedimentale, mediante applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 6, 7, 8 e 9 del D.M. 21 maggio 2007.

Per effetto della riformulazione dell’art. Art. 6 del Disciplinare (Elementi che comprovano il legame con l’ambiente) è stato, infatti, meramente ampliato (e maggiormente dettagliato) il complesso dei riferimenti storici e letterari con i quali è stata analiticamente illustrata la reputazione del prodotto, “attestata dagli inizi del XIV secolo e che deriva da particolari ed unici fattori territoriali, culturali, sociali ed economici”.

Tale elemento di valutazione, per quanto oggetto di più accurata e documentata esplicitazione, era invero già contemplato (e motivatamente esposto) nell’ambito dell’originaria formulazione del Disciplinare di che trattasi: con la conseguenza che, segnatamente per quanto concerne il profilo reputazionale di che trattasi, le parti interessate ben erano state poste in grado di proporre eventuali osservazioni e/o opposizioni, senza che la maggiormente diffusa evocazione dei relativi elementi asseverativi possa aver vulnerato l’integrità ed effettività della partecipazione e dell’interlocuzione in ambito endoprocedimentale.

16. Le considerazioni precedentemente esposte impongono, in ragione della riscontrata fondatezza – nei limiti precedentemente indicati – degli argomenti di censura da CRM dedotti con l’atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti successivamente proposti, di accogliere, in tali limiti l’impugnativa all’esame.

Il conseguente annullamento, in parte qua, degli atti gravati (con particolare riferimento al Disciplinare di produzione), imporrà alla competente Autorità ministeriale, nell’alveo della valenza conformativa propria della presente pronunzia, di procedere ad una rimeditata formulazione del predetto documento, nell’ambito della quale la pur acclarata rilevanza dell’elemento reputazionale sia suscettibile di valorizzazione con riferimento alla sola produzione artigianale della “Piadina/Piada romagnola”, ferma la realizzazione industriale dell’alimento (in ragione della dimostrata irrilevanza assunta da fattori comunque riconducibili alla zona geografica dallo stesso delimitata) anche in aree poste al di fuori di quest’ultima.

17. La complessità della controversia, unitamente alla (parziale) novità delle problematiche dedotte in giudizio, integra la presenza di giusti motivi per compensare le spese di lite fra le parti costituite.

Quanto, da ultimo, agli oneri rivenienti dall’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio disposta dalla Sezione con ordinanza n. 13 giugno 2013 n. 5956), differisce il Collegio la relativa liquidazione, da disporsi con separato provvedimento, all’intervenuta presentazione, ad opera del consulente tecnico incaricato, di dettagliata e documentata evidenza in ordine alle spese dal medesimo sostenute nell’espletamento dell’incarico, nonché al compenso al medesimo spettante.

A tale riguardo, manda all’Ufficio di Segreteria la comunicazione della presente pronunzia anche nei confronti del suindicato C.T.U., affinché quest’ultimo provveda alla sollecita esplicitazione degli elementi sopra indicati.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

– dichiara inammissibile l’intervento ad adiuvandum dispiegato da STER S.p.A.;

– accoglie, nei limiti indicati in motivazione, l’impugnativa;

– riserva ogni statuizione in ordine agli oneri connessi all’espletamento della disposta consulenza tecnica d’ufficio, giusta quanto in motivazione indicato sub 17.;

– compensa fra le parti costituite le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle Camere di Consiglio del 26 febbraio 2014 e del 26 marzo 2014, con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Politi, Consigliere, Estensore
Mariangela Caminiti, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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