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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali Numero: 611 | Data di udienza: 29 Novembre 2012

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo archeologico diretto e indiretto – Nozione – Interesse archeologico o storico-artistico – Discrezionalità tecnica e amministrativa – Limiti al sindacato giurisdizionale – Imposizione del vincolo archeologico –  Rinvenimento dei reperti – Necessità – Esclusione – Ragionevole previsione di esistenza di reperti non ancora portati alla luce.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ quater
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 19 Gennaio 2013
Numero: 611
Data di udienza: 29 Novembre 2012
Presidente: Scafuri
Estensore: Santoleri


Premassima

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo archeologico diretto e indiretto – Nozione – Interesse archeologico o storico-artistico – Discrezionalità tecnica e amministrativa – Limiti al sindacato giurisdizionale – Imposizione del vincolo archeologico –  Rinvenimento dei reperti – Necessità – Esclusione – Ragionevole previsione di esistenza di reperti non ancora portati alla luce.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater – 19 gennaio 2013, n. 611


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo archeologico diretto e indiretto – Nozione.

Il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni od aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici o in relazione ai quali vi è certezza dell’esistenza, della localizzazione e dell’importanza del bene archeologico; il vincolo archeologico c.d. indiretto, invece, viene imposto su beni ed aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantire una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro (cfr., tra le tante, Consiglio Stato sez. VI, 23 dicembre 2008 n. 6513; Consiglio Stato sez. VI 25 novembre 2008 n. 5784; T.A.R. Lazio Sez. II quater, 20 gennaio 2011 n. 551).


Pres. Scafuri, Est. Santoleri – G. s.r.l. e altro (avv.ti Delli Santi, Nicolai, Albanese) c. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato)


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Interesse archeologico o storico-artistico – Discrezionalità tecnica e amministrativa – Limiti al sindacato giurisdizionale.

Le valutazioni espresse dall’Autorità preposta alla tutela dei beni culturali in ordine all’esistenza di un interesse sia archeologico che storico-artistico, tale da giustificare l’apposizione del relativo vincolo, è espressione di un potere nel quale sono presenti momenti di discrezionalità sia tecnica che amministrativa, con la conseguenza che esse soggiacciono al sindacato giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità e illogicità tali da renderle inattendibili (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI 6 marzo 2009 n. 1332; 22 febbraio 2010 n. 1013; T.A.R. Lazio sez. II Quater 20 gennaio 2011 n. 551).


Pres. Scafuri, Est. Santoleri – G. s.r.l. e altro (avv.ti Delli Santi, Nicolai, Albanese) c. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato)

BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo archeologico – Imposizione – Rinvenimento dei reperti – Necessità – Esclusione – Ragionevole previsione di esistenza di reperti non ancora portati alla luce.

Per l’imposizione del vincolo archeologico non occorre che i reperti siano stati già rinvenuti (Cons. Stato, sez. VI, n. 4429/2002; Cons. giust. amm. reg. sic. n. 579/1997), essendo sufficiente che l’Amministrazione, sulla base dei dati in suo possesso, pervenga alla ragionevole conclusione, acquisita mediante attendibili elementi presuntivi tratti da dati di fatto incontroversi, che il sottosuolo contiene reperti non ancora portati alla luce (Cons. Stato, sez. VI, n. 6791/2002; n. 4429/02; Cons. Stato, VI Sez., 7 maggio 2001 n. 2522 e 5 ottobre 2001 n. 5247; T.A.R. Puglia Sez. III Bari 14/10/08 n. 2333).

Pres. Scafuri, Est. Santoleri – G. s.r.l. e altro (avv.ti Delli Santi, Nicolai, Albanese) c. Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater – 19 gennaio 2013, n. 611

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater – 19 gennaio 2013, n. 611


N. 00611/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00129/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 129 del 1999, proposto da:
Soc Gavima Srl, Soc Galatea Azzurra Srl, rappresentate e difese dagli avv. Riccardo Delli Santi, Alessandro Nicolai, Roberto Albanese, con domicilio eletto presso Riccardo Delli Santi in Roma, via di Monserrato, 25;

contro

Ministero Per i Beni Culturali e Ambientali, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali emesso in data 4 aprile 1998, di imposizione di vincolo, ai sensi degli artt. 1 e 3 della l. n. 1089/1939, sugli immobili e sulle aree di loro proprietà, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni Culturali e Ambientali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2012 il dott. Stefania Santoleri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Le società ricorrenti sono proprietarie di un fabbricato e della relativa area di pertinenza siti in Roma, all’angolo tra Via Salaria e Via Anapo, distinti in catasto al foglio 569, part nn. 60, 199 e 200, sottoposti con il decreto impugnato a vincolo archeologico ai sensi degli artt. 1 e 3 della L. 1089/39, in quanto nella loro area (ed in altre limitrofe appartenenti ad altri proprietari) sono stati rinvenuti i cubiculi ipogei di una catacomba affrescata, denominata “Catacomba Anonima di Via Anapo”.

Avverso il suddetto provvedimento le ricorrenti deducono i seguenti motivi di impugnazione:

__1. Eccesso di potere per violazione di legge (art. 97 Cost. – L.241/90). Eccesso di potere per carenza di motivazione, violazione del principio di economicità del procedimento amministrativo.

Lamentano le ricorrenti che il Ministero avrebbe rispettato soltanto formalmente le garanzie partecipative, in quanto avrebbe adottato il provvedimento quando era ancora in corso il dialogo tra le parti e senza aver preventivamente esaurito l’iter istruttorio.

Nella nota datata 12 giugno 1998, la Soprintendenza faceva riferimento alla “proposta di vincolo”,

quando, invece, già in data 4 aprile 1998 il provvedimento era stato emesso anche se non era stato ancora notificato; inoltre, le osservazioni della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra sono datate 3 giugno 1998 e sono quindi pervenute alla Soprintendenza dopo la data di redazione del decreto di vincolo.

Il decreto impugnato, infatti, riproduce lo schema iniziale senza tener conto delle osservazioni presentate dalle ricorrenti e dirette a far rilevare che la catacomba avrebbe una collocazione marginale rispetto all’edificio da sottoporre a vincolo, e che l’edificio – per le caratteristiche strutturali con le quali è stato realizzato – non potrebbe arrecare alcun nocumento al bene protetto.

Il provvedimento di vincolo sarebbe quindi insufficientemente motivato e sarebbe altresì sproporzionato.

___2. Eccesso di potere per violazione degli artt. 1, 2 della L. 1089/39. Eccesso di potere per carenza di motivazione.

Deducono i ricorrenti che l’Amministrazione avrebbe potuto imporre un vincolo indiretto sul bene e non il vincolo archeologico diretto, trattandosi di vincolo strumentale alla tutela di un bene esterno all’immobile che avrebbe dovuto essere ben delimitato.

___3. Eccesso di potere per eccessiva genericità del provvedimento, carenza di motivazione, travisamento dei fatti, nonché per violazione dei principi costituzionali.

Lamentano le ricorrenti l’estrema genericità del vincolo che sottopone a preventiva autorizzazione della Soprintendenza Archeologica qualsiasi tipo di progetto di trasformazione, restauro, modifica dello stato attuale dei luoghi senza alcuna distinzione fra opere interessanti direttamente il sottosuolo e i lavori concernenti gli altri piani del fabbricato, e persino la realizzazione di opere idrauliche di qualsiasi natura.

Il vincolo archeologico diretto può essere imposto solo ove siano presenti reperti da tutelare, mentre nel caso di specie il vincolo si estende in aree nelle quali non esistono reperti, come accertato in sede di realizzazione del fabbricato risalente agli anni ’70; inoltre la realizzazione della trave- ponte preserverebbe da qualunque influenza gli eventuali interventi realizzati sulla soprastante struttura edilizia.

Insistono quindi le ricorrenti per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio depositando memorie e documenti ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica del 29 novembre 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con decreto datato 4 aprile 1998, notificato alla due società ricorrenti il 3 ed il 23 novembre 1998, è stato imposto il vincolo archeologico diretto ai sensi degli artt. 1 e 3 della L. 1039/39 sul fabbricato di loro proprietà e su parte della relativa area di pertinenza, al fine di proteggere i resti della “Catacomba anonima di Via Anapo” dotata di affreschi del III – IV Secolo d.C., rinvenuti nel sottosuolo.

Il vincolo è stato disposto al fine di proteggere i resti da eventuali lavori intrapresi nel soprasuolo edificato “tali da mettere in pericolo la stabilità delle volte dei cunicoli, posti ad una quota relativamente poco profonda, e per la conservazione dei dipinti” e comporta la preventiva autorizzazione della Soprintendenza Archeologica di Roma per “qualsiasi progetto di trasformazione, restauro, modifica dello stato attuale dei luoghi, ivi compreso drenaggio di acque meteoriche o condutture di scarico e trasporto di acqua o liquami fognanti relativo agli edifici esistenti”.

Nel ricorso le ricorrenti lamentano il mancato rispetto delle garanzie partecipative in sede procedimentale, l’erronea imposizione del vincolo diretto sulla loro proprietà in luogo del vincolo indiretto, ed infine lamentano l’eccessiva genericità ed ampiezza del vincolo imposto, deducendo – in sostanza – la violazione del principio di proporzionalità.

Quanto al primo aspetto, ritiene il Collegio che le garanzie partecipative siano state rispettate, sia perché è stata inviata in data 6 dicembre 1996 la formale comunicazione di avvio del procedimento con allegata copia dello schema di vincolo, alla quale – peraltro – la società Gavima S.r.l. ha dato riscontro soltanto con nota dell’11 febbraio 1998, quando ormai il progetto di decreto era stato già inviato dalla Soprintendenza al Ministero (come risulta dalla nota della Soprintendenza Archeologica di Roma del 2 marzo 1998, doc. n. 5 del fascicolo di parte ricorrente), sia perché la Soprintendenza, una volta ricevuta la nota di rilievi sull’eccessiva genericità del vincolo dell’11 febbraio 1998, ha provveduto a riscontrarla (indirizzando la nota sia al Ministero che alla società Gavima S.r.l.), indicando compiutamente le ragioni per le quali aveva ritenuto di imporre il vincolo, prescrivendo l’obbligo di sottoporre a preventiva autorizzazione qualunque intervento senza fare distinzioni tra opere interessanti direttamente il sottosuolo e quelle concernenti i piani terreni o i piani alti degli stabili, gli spazi a giardino e così via (cfr. nota della Soprintendenza del 2 marzo 1998, doc. n. 5 fascicolo di parte ricorrente).

Successivamente, la società Gavima S.r.l., con nota del 12 giugno 1998, ha manifestato rilievi non soltanto sul tipo di interventi da sottoporre a preventiva autorizzazione da parte della Soprintendenza – come aveva fatto in precedenza – ma ha sostenuto altresì che “tutto ciò che poteva essere esplorato, indagato, scoperto” fu fatto completamente in sede di realizzazione del fabbricato negli anni ’70 sotto il controllo della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e che “a seguito di tali sondaggi e indagini risultò che il sedime dell’edificio non era sostanzialmente interessato dalla presenza di strutture o reperti da conservare” (cfr. nota della soc. Gavima del 12/6/98 doc. n. 6 fasc. parte ricorrente).

A fronte di detti rilievi, l’Amministrazione ha provveduto a chiarire, con nota del luglio 1998, il contenuto del vincolo – specificando che “qualsiasi progetto di trasformazione dello stato attuale dei luoghi” deve intendersi come “qualsiasi trasformazione che abbia attinenza diretta o indiretta con il sottosuolo”; l’Amministrazione ha poi acquisito il parere della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra con riferimento alla delimitazione dell’area sottoposta a vincolo (nota del 3 giugno 1998 doc. n. 4 fascicolo dell’Avvocatura) da cui non risulta affatto quanto sostenuto dalla proprietaria del bene, ma al contrario si rileva che “a causa di una frana le gallerie sottostanti il villino non sono state scavate per intero: tuttavia esse continuano verso nord e verso sud, come si vede in pianta dal tracciato di Ba e di B10 che prosegue a tratteggio. Il loro stato franoso non esclude tuttavia la possibilità di effettuare in futuro scavi che consentano il recupero delle strutture antiche, dove peraltro potrebbero trovarsi affreschi – come già accaduto per il fossore Trofimo – visti nel Cinquecento, noti da disegni del tempo e poi perduti. Proprio per l’attuazione di tali scavi sarebbe stato lasciato il menzionato pozzo nella proprietà Gavima”. Aggiunge poi la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che “nel caso di vincoli riguardanti catacombe, poiché esse quasi mai sono state scavate per intero, tali vincoli sono necessariamente più estesi rispetto alle parti note e percorribili, in considerazione di una zona di rispetto immediatamente circostante l’estensione accertata, ove con sicurezza di espande il cimitero. L’area di proprietà Gavima non solo risponde a queste caratteristiche, ma, di più, è interessata da un incrocio di gallerie, in parte percorribili, in parte ancora interrate”.

Ritiene dunque il Collegio che l’Amministrazione abbia in concreto esaminato tutti i rilievi svolti dalla società proprietaria del bene, abbia approfondito ogni aspetto – acquisendo anche il parere della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che a suo tempo si era occupata degli scavi eseguiti nel 1973 in sede di realizzazione del fabbricato – prima di arrivare alla determinazione di confermare il progetto di vincolo: ne consegue che, al di là della datazione del decreto, nessuna violazione delle norme sul procedimento sussiste, avendo l’Amministrazione valutato ed approfondito ogni aspetto indicato dalla proprietà prima di procedere alla notifica del decreto impugnato, eseguita soltanto nel novembre del 1998, dopo che erano stati eseguiti tutti gli approfondimenti istruttori sollecitati dalla proprietà, dai quali non era emerso alcun elemento idoneo a comportare la sua modifica.

Il primo motivo deve essere pertanto respinto.

Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.

Ai sensi della l. n. 1089 del 1939 (artt. 1 e 3), il vincolo archeologico c.d. diretto viene imposto su beni od aree nei quali sono stati ritrovati reperti archeologici o in relazione ai quali vi è certezza dell’esistenza, della localizzazione e dell’importanza del bene archeologico; il vincolo archeologico c.d. indiretto (art. 21, l. n. 1089 del 1939), invece, viene imposto su beni ed aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, per garantire una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro (cfr., tra le tante, Consiglio Stato sez. VI, 23 dicembre 2008 n. 6513; Consiglio Stato sez. VI 25 novembre 2008 n. 5784; T.A.R. Lazio Sez. II quater, 20 gennaio 2011 n. 551).

Nel caso di specie, il bene archeologico ricade – incontrovertibilmente – al di sotto dell’area di proprietà delle ricorrenti (ed infatti il ritrovamento delle gallerie appartenenti all’antica catacomba è avvenuto proprio durante i lavori di realizzazione del fabbricato di loro proprietà), e dunque non ricorrono i presupposti per l’imposizione del vincolo indiretto che presuppone l’inesistenza di reperti, e la semplice vicinanza con la zona interessata dai ritrovamenti. L’estensione del vincolo sul fabbricato è derivata dalla necessità di preservare l’integrità dei beni archeologici sottostanti, e dunque non risulta giustificata dall’esigenza – propria del vincolo indiretto – di tutelare la visione ed il decoro del bene protetto.

Detta censura – però – può essere approfondita ove esaminata unitariamente alla seguente, diretta a contestare il provvedimento di vincolo sotto il profilo della proporzionalità, sotto due diversi aspetti: quello relativo alla delimitazione dell’area da sottoporre a vincolo, e l’altro relativo al contenuto stesso del vincolo, ritenuto dalle ricorrenti troppo generico e non direttamente ancorato alla tutela del bene archeologico.

Ritengono, infatti, le ricorrenti, che l’area interessata dai ritrovamenti sarebbe marginale, mentre il vincolo riguarderebbe l’intero fabbricato e l’area di pertinenza, dove non vi sarebbe alcunché da tutelare; inoltre le cautele usate durante i lavori di costruzione del fabbricato (lavori eseguiti sotto il controllo della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra) sarebbero sufficienti a preservare l’integrità del bene archeologico, rendendo ingiustificata l’imposizione del vincolo, che per il suo contenuto, sarebbe troppo vago e generico, tanto da comportare la sottoposizione alla preventiva autorizzazione della Soprintendenza Archeologica di qualunque intervento, anche minore, sul fabbricato.

Occorre innanzitutto rilevare che – secondo la giurisprudenza – le valutazioni espresse dall’Autorità preposta alla tutela dei beni culturali in ordine all’esistenza di un interesse sia archeologico che storico-artistico, tale da giustificare l’apposizione del relativo vincolo, è espressione di un potere nel quale sono presenti momenti di discrezionalità sia tecnica che amministrativa, con la conseguenza che esse soggiacciono al sindacato giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità e illogicità tali da renderle inattendibili (cfr., tra le tante, Cons. Stato Sez. VI 6 marzo 2009 n. 1332; 22 febbraio 2010 n. 1013; T.A.R. Lazio sez. II Quater 20 gennaio 2011 n. 551).

E’ stato quindi ritenuto che la scelta di sottoporre a vincolo diretto una determinata area – pur impinguendo nel merito -, è comunque sindacabile in sede di legittimità per macroscopici ed evidenti vizi logici, oltre che per incongruenza della motivazione (Cons. Stato Sez. VI 19/1/07 n. 111; T.A.R. Campania Sez. VII Napoli 3/8/06 n. 7794), ed è stato altresì affermato che il vincolo deve apparire adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale é preordinato (Cons. Stato, sez. VI, n. 2524/2003; T.A.R. Toscana sez. III 14/9/04 n. 3772; C.G.A.R.S. n. 400/89).

E’ rilevante sottolineare che il vincolo imposto sul bene di proprietà delle ricorrenti non comprime eccessivamente il loro diritto di proprietà, in quanto non impedisce il suo sfruttamento economico, come accade nel caso di vincoli archeologici comportanti l’inedificabilità dell’area: il vincolo si limita, infatti, ad imporre la sottoposizione ad autorizzazione della Soprintendenza di tutti quei lavori che immutando lo stato di fatto del fabbricato e delle aree limitrofe, possano comportare danni ai reperti.

Ciò si evince in modo palese dalla nota del luglio del 2 marzo1998 della stessa Soprintendenza Archeologica e dalla nota del luglio 1998 già citata in precedenza, in cui si sottolinea la ratio del vincolo (e cioè la necessità di evitare che per effetto di interventi sul soprasuolo edificato si possa mettere in pericolo la stabilità delle volte dei cunicoli e si possa compromettere la conservazione dei dipinti) (cfr. doc. n. 5 fascicolo di parte ricorrente).

L’esistenza del vincolo, quindi, non implica – automaticamente – l’impossibilità di realizzare modifiche sul fabbricato e sulle aree di pertinenza, ma comporta soltanto l’impossibilità di effettuare la trasformazione dello stato dei luoghi fino a quando non sia stata rilasciata l’autorizzazione da parte della Soprintendenza (che può imporre modifiche al progetto per preservare i beni archeologici, o vietarli ove gli interventi siano lesivi dell’integrità dei beni stessi): il provvedimento, quindi, mira al contemperamento degli opposti interessi – quello privato al più proficuo sfruttamento del diritto di proprietà – e quello pubblico alla conservazione del patrimonio culturale.

Se si tiene conto di detto aspetto, appare evidente che il provvedimento oltre ad essere adeguatamente motivato, non è affetto né da vizi di illogicità, né appare sproporzionato sia nella delimitazione dell’area da sottoporre a vincolo, sia con riferimento al contenuto prescrittivo del vincolo.

Per quanto riguarda la delimitazione, è sufficiente richiamare l’orientamento della giurisprudenza secondo cui per l’imposizione del vincolo archeologico non occorre che i reperti siano stati già rinvenuti (Cons. Stato, sez. VI, n. 4429/2002; Cons. giust. amm. reg. sic. n. 579/1997), essendo sufficiente che l’Amministrazione, sulla base dei dati in suo possesso, pervenga alla ragionevole conclusione, acquisita mediante attendibili elementi presuntivi tratti da dati di fatto incontroversi, che il sottosuolo contiene reperti non ancora portati alla luce (Cons. Stato, sez. VI, n. 6791/2002; n. 4429/02; Cons. Stato, VI Sez., 7 maggio 2001 n. 2522 e 5 ottobre 2001 n. 5247; T.A.R. Puglia Sez. III Bari 14/10/08 n. 2333): come già rilevato in precedenza, l’assunto delle ricorrenti secondo cui l’intera area sottostante il loro fabbricato sarebbe stata sondata nel 1973, e che non nasconderebbe nessun reperto, risulta smentita proprio dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che all’epoca seguì i lavori.

Inoltre, la stessa Pontificia Commissione – che a suo tempo aveva fatto realizzare la trave-ponte alla quale più volte fanno cenno le ricorrenti – ha condiviso la decisione della Soprintendenza Archeologica di sottoporre a preventiva autorizzazione qualunque progetto di trasformazione dello stato dei luoghi, dimostrando in questo modo che le modalità esecutive utilizzate nel 1973 per la realizzazione del fabbricato non comportano automaticamente la garanzia della sicura salvaguardia dei beni tutelati anche in caso di trasformazioni degli immobili.

Ne consegue che la sottoposizione ad autorizzazione degli interventi sull’esistente non è né illogica né sproporzionata.

In conclusione, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere respinto perché infondato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi € 2.000,00 (duemila/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Angelo Scafuri, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
Maria Laura Maddalena, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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