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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 3416 | Data di udienza: 6 Febbraio 2018

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mera demolizione di opere esistenti – Assoggettamento a permesso di costruire – Esclusione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 27 Marzo 2018
Numero: 3416
Data di udienza: 6 Febbraio 2018
Presidente: Stanizzi
Estensore: Mangia


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mera demolizione di opere esistenti – Assoggettamento a permesso di costruire – Esclusione.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis  – 27 marzo 2018, n. 3416


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mera demolizione di opere esistenti – Assoggettamento a permesso di costruire – Esclusione.

La ratio sottesa alle prescrizioni che regolamentano la trasformazione del territorio, essenzialmente volte ad evitare che quest’ultimo subisca modificazioni incontrollate nel rispetto del “preesistente” (inteso come stato dei luoghi non alterato dall’agere umano) o, comunque, a garantire che quest’ultimo sia soggetto a cambiamenti esclusivamente in stretta aderenza e, dunque, osservanza della disciplina che regolamenta la materia, conduce ad escludere che interventi di mera demolizione di opere già esistenti (ovvero, interventi di demolizione a cui non faccia seguito alcuna ricostruzione), prive di un qualsiasi valore sotto ulteriori profili (quale – ad esempio – quello storico e/o artistico), possano essere annoverati tra gli interventi imponenti il previo rilascio del permesso di costruire, attesa la piena idoneità di essi a garantire proprio la salvaguardia dello stato dei luoghi, così come oggetto di tutela da parte del legislatore.


Pres. Stanizzi, Est. Mangia – G. s.r.l. (avv.ti Maio e Letizia) c. Roma capitale (avv. Montanaro)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis - 27 marzo 2018, n. 3416

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis  – 27 marzo 2018, n. 3416

Pubblicato il 27/03/2018

N. 03416/2018 REG.PROV.COLL.
N. 07144/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7144 del 2016, proposto da:
Gruppo Finzi Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio Maio e Massimo Letizia, con domicilio eletto presso lo studio Massimo Letizia in Roma, via Monte Santo n. 68;


contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Cristina Montanaro, con domicilio eletto presso il difensore nella sede dell’Avvocatura dell’Ente in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;

per l’annullamento,

previa sospensiva,

della determinazione dirigenziale di Roma Capitale CP/430/2016, prot. n. CP/22386/2016, del 17 marzo 2016 di ingiunzione a rimuovere o demolire opere abusivamente realizzate in via della Magliana n. 611;

del verbale di accesso e sopralluogo redatto dalla Polizia Locale di Roma Capitale in data 10 febbraio 2015;

dell’accertamento tecnico del 25 maggio 2016;

di ogni altro atto connesso con quelli impugnati;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2018 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 16 giugno 2016 e depositato il successivo 21 giugno 2016, la società ricorrente – impresa leader “nel settore del recupero e del commercio dei rifiuti ferrosi e non ferrosi”, che svolge la sua attività nell’immobile in via della Magliana n. 611 (di proprietà della Immobiliare Magliana srl) – impugna la determinazione dirigenziale del 17 marzo 2016, con cui Roma Capitale le ha ingiunto, in veste di “responsabile”, la demolizione di opere edilizie abusivamente realizzate, consistenti in una “tettoia” di mt. 20,40 x m. 7,50, nella “demolizione di un manufatto esterno”, nella demolizione del locale pesa, nell’ampliamento del locale deposito posto al piano terra, nell’ampliamento del locale ufficio posto al primo piano, nell’esistenza di una struttura portante realizzata con “capriate in acciaio imbullonato” a differenza di quella prevista nella concessione in sanatoria (connotata da capriate “di cemento armato”), e nell’utilizzo del locale commerciale “come ambiente di stoccaggio e separazione dei rifiuti ferrosi utilizzando anche mezzi d’opera come presse e sollevatori mobili, per poi essere rivenduti”, e, nel contempo, le ha irrogato la sanzione pecuniaria di € 15.000,00 in ragione dell’insistenza delle stesse opere in area soggetta a vincoli.

A tali fini la ricorrente deduce i motivi di diritto di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili, in quanto adduce – in sintesi – che gli interventi contestati sono stati erroneamente qualificati come di “ristrutturazione edilizia” perché, in verità, nessun intervento di tale genere è stato realizzato (ponendo, in particolare, in evidenza che la tettoia costituiva un’opera precaria, tanto che ne è stata avviata la rimozione, la contestata demolizione del manufatto di mq. 15 e del gabbiotto, oltre a rappresentare interventi di lieve entità, ha costituito un’evenienza sostanzialmente doverosa, tenuto conto delle condizioni in cui le menzionate opere versavano, gli ampliamenti di cui ai nn. 4 e 5 costituiscono opere interne e, pertanto, sono, al più, riconducibili nell’ambito di quelli realizzabili mediante “segnalazione certificata di inizio attività” ai sensi dell’art. 22 e ss. del D.P.R. n. 380/01, non soggette, tra l’altro, al previo rilascio di alcuna autorizzazione paesaggistica, l’intervento di cui al n. 6, afferente il materiale dei “pilastri e della capriate” della struttura portante del capannone, non è stato mai realizzato e, comunque, non se ne comprende la rilevanza e, ancora, l’abuso sub 7, ossia l’utilizzo del locale commerciale “come ambiente di stoccaggio e separazione dei rifiuti”, oltre a essere genericamente indicato, è insussistente).

Con atto depositato in data 4 luglio 2016 si è costituita Roma Capitale, la quale – il successivo 8 settembre 2016 – ha prodotto documenti.

In data 25 novembre 2016 la ricorrente ha depositato due relazioni tecniche, in cui è dato rispettivamente leggere che la tettoia di cui al n. 1 del provvedimento impugnato è stata completamente rimossa e che, per le “demolizione esterne (servizi bagni e locale deposito pesa)” e gli ampliamenti “senza aumento di superficie e/o volumetrie, compensando le superfici e volumetrie demolite con quelle ampliate”, è in corso di predisposizione e presentazione una C.I.L.A. a sanatoria, con ulteriore precisazione che, trattandosi di area vincolata, risulta, peraltro, doverosa la previa acquisizione del N.O. a sanatoria della Regione Lazio.

Con ordinanza n. 7573 dell’1 dicembre 2016 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare.

Con memoria depositata in data 7 settembre 2017 Roma Capitale ha dato essenzialmente atto che le opere contestate sono state realizzate in violazione dell’art. 22, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 e, dunque, correttamente sanzionate ex art. 33 del medesimo D.P.R., con l’ulteriore aggiunta che la contestazione di cui al punto n. 7 non è affatto generica, essendo stati rinvenuti “presse e sollevatori mobili”.

In data 1 febbraio 2018 la ricorrente ha depositato copia dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica presentata alla Regione Lazio.

All’udienza pubblica del 6 febbraio 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.


DIRITTO

1. Come si trae dalla narrativa che precede, l’abuso di cui al n. 1, ossia “la realizzazione di tettoia con copertura in lamiera di dimensioni di m. 20,40 x m. 7,50 avente un’altezza di m. 5,00”, è stato rimosso, come già preannunciato nell’atto introduttivo del giudizio e, in seguito, attestato nella “relazione tecnica asseverata” depositata dalla ricorrente in data 25 novembre 2016.

In linea con i contenuti dell’ordinanza cautelare n. 7573 del 2016, il presente ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse nella parte in cui l’impugnativa mediante di esso proposta investe l’ordine di demolizione afferente l’intervento abusivo di cui sopra.

2. In relazione alle ulteriori opere contestate e, precipuamente, per quelle di cui ai nn. 2 e 3 del provvedimento gravato, consistenti nella riscontrata demolizione di un manufatto <<esterno “servizi bagni” in aderenza all’edificio principale>> e <<del locale pesa>>, il ricorso è, invece, fondato e, pertanto va accolto ai sensi e nei termini di seguito indicati.

In proposito, appare doveroso osservare che si tratta di un’ipotesi particolare, sostanzialmente opposta a quelle che ordinariamente sono oggetto di esame in sede giurisdizionale.

Come risulta dalla formulazione del provvedimento in epigrafe, l’Amministrazione ha, infatti, sanzionato non la trasformazione dei luoghi mediante la realizzazione di nuove opere, bensì – in un certo qual modo – l’avvenuto ripristino dello stato originario di quest’ultimi (determinato – appunto – dalla demolizione di opere in precedenza realizzate in virtù del rilascio, tra l’altro, di titoli edilizi).

Ciò detto, il Collegio ritiene che, sulla base di un’interpretazione strettamente letterale del disposto dell’art. 3, comma 1, lett. e), del D.P.R. n. 380 del 2001 (laddove gli interventi di “nuova costruzione” sono indicati come “quelli di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio”, per poi riportare un’elencazione essenzialmente connotata da valenza esemplificativa), anche interventi di tale genere dovrebbero essere considerati soggetti al regime di cui all’art. 10 del menzionato D.P.R. e, dunque, sanzionabili ai sensi del successivo art. 31.

Ragioni di coerenza giuridica, desumibili, tra l’altro, dalla ratio sottesa alle prescrizioni che regolamentano la trasformazione del territorio, essenzialmente volte ad evitare che quest’ultimo subisca modificazioni incontrollate nel rispetto del “preesistente” (inteso come stato dei luoghi non alterato dall’agere umano) o, comunque, a garantire che quest’ultimo sia soggetto a cambiamenti esclusivamente in stretta aderenza e, dunque, osservanza della disciplina che regolamenta la materia, conducono, peraltro, ad escludere che interventi di mera demolizione di opere già esistenti (ovvero, interventi di demolizione a cui non faccia seguito alcuna ricostruzione), versanti, tra l’altro, in condizioni ormai “fatiscenti” nonché prive di un qualsiasi valore sotto ulteriori profili (quale – ad esempio – quello storico e/o artistico), come nell’ipotesi in trattazione, possano essere annoverati tra gli interventi imponenti il previo rilascio del permesso di costruire e, ancora, tra quelli soggetti al previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da parte dell’autorità competente, attesa la piena idoneità di essi a garantire proprio la salvaguardia dello stato dei luoghi, così come oggetto di tutela da parte del legislatore.

Stante quanto in precedenza riportato, il provvedimento gravato è da considerare illegittimo nella parte in cui dispone “la rimozione o demolizione” in relazione agli interventi di cui ai nn. 2 e 3.

3. Ciò detto, è da valutare la legittimità del provvedimento de quo nella parte in cui l’ordine di demolizione impartito investe gli interventi di cui ai nn. 4, 5, 6 e 7.

Al riguardo, appare opportuno evidenziare che l’Amministrazione resistente – con la memoria depositata in data 7 settembre 2017 – ha espressamente affermato che si tratta di opere, anche meramente “interne”, in relazione alle quali è stata riscontrata la violazione dell’art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 (a differenza della tettoia, in relazione alla quale è, per contro, richiamato l’art. 22, comma 3, del medesimo D.P.R.) e, che, “posto ciò” e, comunque, richiamato l’“art. 9 delle NTA del P.R.G. vigente nel 2001”, “sono state accertate le violazioni di cui all’art. 33 D.P.R. n. 380/2001”.

In ragione di tali rilievi, si ricorda che:

– ai sensi del menzionato art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, “sono, altresì, realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini dell’agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori”;

– in relazione agli stessi interventi, il successivo art. 37 dispone che la realizzazione di essi in assenza o in difformità della segnalazione certificata di inizio attività comporta l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, precisando – in aggiunta – che, ove si tratti di interventi eseguiti su immobili vincolati, l’autorità competente a vigilare sull’osservanza del vincolo “può ordinare la restituzione in pristino” ed irrogare una “sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro”.

Tenuto conto degli argomenti addotti dall’Amministrazione, atti a rivelare l’esecuzione di meri interventi di c.d. ristrutturazione leggera (da intendere come interventi che determinano una “semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica/edilizia” – cfr. Circolare Esplicativa di Roma Capitale, prot. n. 19137 del 9 marzo 2012), e, comunque, adeguatamente valutati gli interventi in esame, il Collegio rileva validi motivi per escludere che si tratti di interventi soggetti al regime giuridico dell’art. 33 del D.P.R. n. 380 del 2001, atteso che:

– gli ampiamenti contestati, afferenti il locale deposito posto al piano terra ed il locale ufficio posto al primo piano (nn. 4 e 5), consistono in opere di mera redistribuzione interna degli spazi del capannone già esistente;

– l’intervento di cui al n. 6, inerente alla struttura del capannone, non si presta – in ogni caso – a rivelare una modificazione della sagoma dell’immobile, così come in origine assentito, idonea a supportarne una concreta rilevanza sul piano edilizio, in ragione, tra l’altro, dell’insistenza dell’immobile su area vincolata (cfr., tra l’altro, Cass. Pen., 6 luglio 2017, n. 32889);

– da ultimo, l’intervento di cui al n. 7 risulta – in effetti – genericamente indicato nel senso che non offre una precisa illustrazione dell’abuso realizzato, non esplicitando in termini chiari e inequivoci l’incidenza dell’attività di separazione dei rifiuti ferrosi ed elettrici riscontrata sulla regolarità edilizia del capannone.

In sintesi, anche l’ordine di demolizione afferenti agli interventi di cui ai nn. 4, 5, 6 e 7 è da considerare illegittimo.

4. Tenuto conto di quanto in precedenza riportato e, in particolare, dell’insussistenza di validi elementi per configurare veri e propri interventi di ristrutturazione edilizia o, meglio, interventi di ristrutturazione edilizia c.d. pesante (indicata anche nella circolare in precedenza indicata come “R2”, peraltro espressamente richiamato nel corpo del provvedimento gravato), deve, in ultimo, convenirsi anche in ordine all’illegittimità della sanzione pecuniaria irrogata.

5. Per le ragioni illustrate, il ricorso è in parte improcedibile e in parte va accolto ai sensi e nei termini in precedenza indicati.

Tenuto conto delle peculiarità che connotano la vicenda in esame, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 7144/2016, come in epigrafe proposto:

– lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse nella parte in cui il provvedimento impugnato dispone la demolizione della “tettoia” di m. 20,40 x m. 7,50;

– per la restante parte, lo accoglie ai sensi e nei termini indicati in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nella parte in cui ordina le rimozione degli abusi di cui ai nn. 2, 3, 4, 5, 6, 7 e commina la sanzione pecuniaria di € 15.000,00.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2018 con l’intervento dei Magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
Ofelia Fratamico, Consigliere

L’ESTENSORE
Antonella Mangia
        
IL PRESIDENTE
Elena Stanizzi
        
        
IL SEGRETARIO
 

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