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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti Numero: 1231 | Data di udienza: 29 Gennaio 2014

* APPALTI – Costituzione in ATI in fase successiva alla prequalificazione – Divieto – Inconfigurabilità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ ter
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 31 Gennaio 2014
Numero: 1231
Data di udienza: 29 Gennaio 2014
Presidente: Filippi
Estensore: Politi


Premassima

* APPALTI – Costituzione in ATI in fase successiva alla prequalificazione – Divieto – Inconfigurabilità.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 31 gennaio 2014, n. 1231


APPALTI – Costituzione in ATI in fase successiva alla prequalificazione – Divieto – Inconfigurabilità.

Nelle gare pubbliche sono legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, ancorché singolarmente invitate, anche quando la loro costituzione in ATI, ovvero in un Consorzio, sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione, non sussistendo alcun divieto in tal senso; ma, al contrario, emergendo un preciso indirizzo legislativo volto a favorire il fenomeno del raggruppamento associativo o consortile e ad individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura da cui decorre il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti, divieto che non opera per la fase di prequalificazione (cfr. Cons. Stato, sez. V 31 maggio 2011 n. 3256; nonché T.A.R. Lazio, sez. I-ter, 16 luglio 2012 n. 6436; Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003 n. 5309; Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 588).

Pres. Filippi, Est. Politi – V. s.p.a. e altri (avv.ti Perrone e Martire) c. Comune di Bracciano (avv.ti Anelli e Ribaldi)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 31 gennaio 2014, n. 1231

SENTENZA

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ ter – 31 gennaio 2014, n. 1231


N. 01231/2014 REG.PROV.COLL.
N. 11020/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso n. 11020 del 2006, proposto da Vivenda S.p.A., Solidarietà e Lavoro soc. coop., Cooptour Società Cooperativa Turistica Costa del Sole, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese dagli avv.ti Michele Perrone e Elisabetta Martire, per il presente giudizio elettivamente domiciliate in Roma, alla via Cosseria n. 2, presso lo studio dell’avv. A. Placidi;

contro

il Comune di Bracciano, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Lorenzo Anelli e Sofia Ribaldi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato, in Roma, via Giuseppe Mercalli n. 11;

per l’annullamento

del bando di gara, della lettera di invito, nonché del verbale di gara del 6 novembre 2006, di tutti i successivi verbali delle sedute eventualmente espletate, della aggiudicazione provvisoria ove già disposta e di quella definitiva, e del contratto d’appalto eventualmente stipulato, e di ogni altro documento connesso, presupposto e conseguenziale, relativo alla licitazione privata per l’affidamento del servizio di ristorazione scolastica anni 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009 del Comune di Bracciano.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2014 il dott. Roberto Politi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Espongono le società ricorrenti di essere state invitate alla gara, indetta dal Comune di Bracciano, per l’affidamento, a licitazione privata, del servizio di ristorazione scolastica per gli anni 2006/2007, 2007/2008, 2008/2009.

Soggiungono di aver presentato domanda di partecipazione alla procedura anzidetta in costituendo raggruppamento temporaneo di imprese.

Il provvedimento di esclusione con il presente mezzo di tutela impugnato è motivato con riferimento all’asserita inammissibilità della partecipazione congiunta, a fronte di un invito formulato dalla Stazione appaltante singolarmente nei confronti di ciascuna delle imprese ricorrenti.

Tale atto, secondo quanto sostenuto dalle ricorrenti, sarebbe illegittimo per violazione dell’art. 37, comma 12, del D.Lgs. 163/2006, nonché sotto il profilo dell’eccesso di potere; contestandosi che, ancorché in presenza di un invito a partecipare alle medesime singolarmente rivolto, fosse preclusa la partecipazione alla gara in forma associata.

L’offerta è stata, nella fattispecie, dalle stesse presentata congiuntamente, in esito al separato superamento, da parte di ciascuna di esse, della prequalificazione: osservandosi, in proposito, come l’interpretazione della epigrafata disposizione del Codice dei contratti, per come avvalorata dalla prevalente giurisprudenza, non escluda la possibilità di costituzione di un’ATI anche successivamente all’espletamento della fase di prequalificazione.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

Parte ricorrente ha altresì formulato domanda risarcitoria in forma specifica, chiedendo la riammissione alla procedura selettiva di che trattasi; e, in via subordinata, ha sollecitato il ristoro del pregiudizio sofferto a seguito dell’esecuzione dell’atto impugnato, mediante condanna dell’intimata Amministrazione al risarcimento del danno per equivalente monetario (commisurato al danno emergente ed al lucro cessante asseritamente patiti).

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

La domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato, dalla parte ricorrente proposta in via incidentale, è stata da questa Sezione respinta con ordinanza n. 6926, pronunziata nella Camera di Consiglio del 18 dicembre 2006.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 29 gennaio 2014.

DIRITTO

1. Va preliminarmente osservato, ad integrazione di quanto esposto in narrativa, che con verbale n. 1 in data 6 novembre 2006, la Commissione chiamata a valutare le offerte per la gestione del servizio di ristorazione scolastica relativamente alla procedura selettiva de qua, ha rilevato che “tra le offerte pervenute è presente il plico presentato da n. 3 Ditte Vivenda S.p.A., Coop. Solidarietà e Lavoro soc. coop. a r.l., Cooptour Soc. Coop. Turistica Costa del Sole che presentano offerta in ATI, invitate e prequalificate singolarmente”.

Prosegue il verbale all’esame soggiungendo che “la Commissione ravvisa l’inammissibilità dell’offerta ritenendo che non si possa presentare offerta in ATI da parte di Ditte invitate singolarmente”.

2. Di quanto sopra dato atto, la disposta esclusione delle imprese odierne ricorrenti è illegittima.

Va rammentato come l’art. 37 del D.Lgs. 13 aprile 2006 n. 163 preveda che:

– è consentita la presentazione di offerte da parte dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 1, lettere d) ed e), anche se non ancora costituiti (comma 8);

– salvo quanto disposto ai commi 18 e 19, è vietata qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi ordinari di concorrenti rispetto a quella risultante dall’impegno presentato in sede di offerta (comma 9);

– in caso di procedure ristrette o negoziate, ovvero di dialogo competitivo, l’operatore economico invitato individualmente, o il candidato ammesso individualmente nella procedura di dialogo competitivo, ha la facoltà di presentare offerta o di trattare per sé o quale mandatario di operatori riuniti (comma 12).

Quanto all’art. 37 comma 9, il riferimento “all’impegno presentato in sede di offerta” rivela la chiara voluntas legis di individuare proprio nella presentazione dell’offerta il momento a decorrere dal quale sorge il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti alla gara.

In presenza di disposizioni, che espressamente ricongiungono a tale fase della procedura l’invariabilità della composizione dei concorrenti, deve conseguentemente escludersi l’operatività di un analogo divieto anche per l’anteriore fase della prequalificazione; e ciò anche in considerazione del fatto che la finalità di quest’ultima consiste non tanto nel cristallizzare il novero delle offerte (non vi è, infatti, certezza che gli operatori prequalificati ed invitati partecipino poi tutti effettivamente al successivo svolgimento della gara), quanto nel ridurre il numero dei potenziali partecipanti allo scopo di semplificare la fase valutativa da parte della Stazione appaltante.

Solo a seguito della lettera di invito, difatti, gli operatori economici possono conoscere effettivamente il contenuto complessivo della documentazione di gara; e possono appieno valutare i margini di convenienza, opportunità e fattibilità di eventuali proposte contrattuali.

Altrimenti detto, solo dopo la prequalificazione una mera ed astratta ipotesi partecipativa può assurgere ad una piena conoscenza delle esigenze dell’Amministrazione; e, conseguentemente, dar luogo ad un’offerta calibrata sulle potenzialità del raggruppamento anche attraverso l’integrazione con altri operatori ovvero attraverso il mutamento della forma giuridica.

Deve allora ribadirsi che nelle gare pubbliche sono legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, ancorché singolarmente invitate, anche quando la loro costituzione in ATI, ovvero in un Consorzio, sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione, non sussistendo alcun divieto in tal senso; ma, al contrario, emergendo un preciso indirizzo legislativo volto a favorire il fenomeno del raggruppamento associativo o consortile e ad individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura da cui decorre il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti, divieto che non opera per la fase di prequalificazione (cfr. Cons. Stato, sez. V 31 maggio 2011 n. 3256; nonché T.A.R. Lazio, sez. I-ter, 16 luglio 2012 n. 6436).

La validità della costituzione di ATI, infatti, deve essere giudicata con esclusivo riferimento al momento della formulazione dell’offerta, dovendosi ritenere legittime le offerte congiuntamente presentate da imprese appositamente e tempestivamente raggruppate, singolarmente invitate, anche quando la loro costituzione in ATI sia intervenuta dopo la fase di prequalificazione (Cons. Stato, sez. V, 18 settembre 2003 n. 5309).

Tale orientamento è stato in giurisprudenza confermato, precisandosi che non sussiste alcun divieto in tal senso, emergendo per contro un preciso indirizzo legislativo volto a favorire il fenomeno del raggruppamento e ad individuare la presentazione dell’offerta come momento della procedura da cui decorre il divieto di modificabilità soggettiva della composizione dei partecipanti, divieto che non opera per la fase di prequalificazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 588).

3. Quanto precedentemente esposto induce a ravvisare la chiara illegittimità dell’avversato provvedimento di esclusione delle ricorrenti dalla gara di che trattasi, con riveniente accoglimento dell’unico profilo di censura dedotto con il presente mezzo di tutela.

Esclude, peraltro, il Collegio di poter dar luogo a pronunzia costitutiva di annullamento dell’aggiudicazione.

Osta all’accoglimento della relativa domanda, formulata dalle odierne ricorrenti, la previsione di cui al comma 3 dell’art. 34 c.p.a., con la quale è stato stabilito che “quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

Va rammentato, al riguardo, il fondamentale contributo interpretativo fornito da Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2011 n. 2817, secondo cui la disposizione da ultimo richiamata ha introdotto “un principio di carattere generale volto da un lato ad inibire l’annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e, dall’altro, a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento. In questa ipotesi l’azione costitutiva si depotenzia di quel quid pluris – la modificazione di una situazione giuridica – che la caratterizza rispetto al contenuto di accertamento proprio di ogni azione per ridursi a mero accertamento, per il quale il presupposto dell’interesse è costituito dall’interesse risarcitorio”.

Come condivisibilmente osservato nella pronunzia in rassegna, “l’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato è contenuto nel petitum di annullamento come un presupposto necessario. Siccome il più contiene il meno, il giudice limita la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento in seguito ad una valutazione dell’interesse a ricorrere, quindi da compiere d’ufficio: in quanto manca l’interesse all’annullamento ma sussiste l’interesse all’accertamento ai fini risarcitori.”

Di quanto sopra dato atto (si confronti, omogeneamente, anche T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 11 ottobre 2012 n. 4058), e considerato che:

– non soltanto la procedura di gara i cui esiti (unitamente alla disposta esclusione delle ricorrenti) sono stati avversati con il presente mezzo di tutela

– ma anche la durata complessiva dell’affidamento del servizio

sono, allo stato, ampliamenti esauriti, non vi è spazio – in ragione della carente individuabilità di interesse alcuno in capo alle stesse ricorrenti – per una pronunzia costitutiva di annullamento degli atti impugnati; in luogo della quale, il Collegio, ai sensi del richiamato art. 34, comma 3, c.p.a., accerta e dichiara l’illegittimità degli atti stessi.

4. Tale pronunzia, come si è avuto modo di constatare, è funzionale alla disamina della pretesa risarcitoria pure fatta valere dalla parte ricorrente con il mezzo di tutela all’esame.

Va, al riguardo, innanzi tutto escluso che possa trovare accoglimento il richiesto ristoro del pregiudizio in forma specifica, in quanto l’osservato esaurimento (degli effetti) della procedura selettiva, nonché del servizio in esito allo svolgimento di essa affidato, preclude la riammissione alla gara delle ricorrenti ai fini della successiva ponderazione comparativa delle offerte da esse presentate rispetto a quelle addotte all’esame della Stazione appaltante da parte degli altri soggetti ammessi.

5. Con riferimento alla subordinata richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario, non può condividersi quanto eccepito dalla difesa del Comune intimato (cfr. memoria di costituzione depositata in data 14 dicembre 2006) con riferimento all’esclusa configurabilità di alcun elemento colposo, in capo alla procedente Amministrazione, che avrebbe contribuito all’adozione della gravata determinazione di esclusione delle ricorrenti dalla gara.

In materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto, non è infatti necessario provare la colpa dell’Amministrazione aggiudicatrice come (ulteriore) presupposto del risarcimento da adozione di provvedimento illegittimo, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria a condizione che la possibilità di riconoscere detto risarcimento non sia subordinata alla constatazione dell’esistenza di un comportamento “colpevole”, secondo quanto desumibile dai principi di cui alla giurisprudenza comunitaria ascrivibile alla Corte di Giustizia C.E., sez. III, 30 settembre 2010, C-314/2009.

Con tale pronunzia (resa nel caso Stadt Graz), la Corte di Giustizia era stata chiamata a interpretare il diritto dell’Unione Europea per stabilire se una norma nazionale che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento per violazione della disciplina degli appalti pubblici da parte dell’Amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole della violazione fosse, o meno, contrastante con la direttiva 89/665/CEE del 21 dicembre 1989 (c.d. “direttiva ricorsi”).

Se tale direttiva prevede norme di armonizzazione, lasciando agli Stati membri un ampio margine di discrezionalità (tra l’altro, volto a disciplinare le azioni preordinate ad ottenere un risarcimento dei danni ai soggetti lesi da un provvedimento illegittimo in materia di appalti pubblici), tuttavia siffatta discrezionalità, ad avviso del supremo organo di giustizia europeo, non può contrastare con le finalità ed il contesto generale della direttiva, né con i principi di equivalenza e di effettività, al fine di assicurare l’uniforme applicazione della disciplina in tutto il territorio dell’Unione.

Secondo la Corte, obiettivo della direttiva consiste nel garantire l’esistenza di mezzi di ricorso efficaci, e quanto più rapidi possibile, contro le decisioni prese dalle amministrazioni aggiudicatrici in violazione della normativa sugli appalti pubblici.

Nel confermare la pregressa giurisprudenza, nel caso Stadt Graz la Corte di Giustizia ha, quindi, rilevato che l’effettività del rimedio risarcitorio è tale soltanto a condizione che la possibilità di riconoscere un risarcimento in caso di violazione delle norme sugli appalti pubblici non sia subordinata alla verifica dell’esistenza di un comportamento colpevole tenuto dall’Amministrazione aggiudicatrice, in quanto concedere alla P.A. la possibilità di superare una presunzione di colpevolezza genera il rischio che il soggetto pregiudicato dalla decisione illegittima di un’Amministrazione aggiudicatrice sia privato del diritto ad ottenere un risarcimento, anche in considerazione della lunghezza dei tempi che possono rendersi necessari per l’accertamento del carattere colpevole della violazione violata.

Quella a cui soggiace la Pubblica Amministrazione in caso di violazione delle norme sugli appalti configura, quindi, una responsabilità di tipo oggettivo, sottratta ad ogni possibile esimente; con la conseguenza che:

– non vi è necessità alcuna di provare l’elemento soggettivo della colpa della Pubblica Amministrazione, perché altrimenti la tutela offerta non sarebbe efficace;

– l’Amministrazione non può provare la scusabilità dell’errore, perché altrimenti la tutela offerta al privato non sarebbe rapida.

6. Escluso, alla stregua di quanto sopra esposto, che l’indagine in ordine all’elemento colposo caratterizzante la condotta dell’Amministrazione possa assumere rilevanza alcuna ai fini della disamina della pretesa risarcitoria per equivalente oggetto della presente indagine (cfr., in proposito, Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2013 n. 3397; nonché T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, 10 giugno 2011 n. 1088 e T.A.R. Sardegna, sez. I, 5 giugno 2012 n. 564), viene dunque in considerazione la pretesa risarcitoria per equivalente fatta valere dalla parte ricorrente.

Con essa viene, in particolare, chiesto il pagamento di una somma di denaro, da quantificarsi in corso di causa, e comunque, pari al lucro cessante e al danno emergente in termine di refusione dei costi di partecipazione e perdita di chance.

L’istanza deve essere disattesa, non avendo la società ricorrente offerto alcun elemento di prova relativo al danno ed alla sua quantificazione, non essendo a tal fine sufficiente la mera – ed astratta – affermazione del risentito pregiudizio, ove non necessariamente coordinata all’ostensione di obiettivi e concreti elementi suscettibili di dimostrarne la sussistenza e, complementarmente, di illustrarne la consistenza ai fini della quantificazione del relativo ammontare.

Nel rispetto del principio generale sancito dall’art. 2697 c.c., secondo cui chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, ai fini del risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 30 luglio 2007 n. 10).

L’importanza dell’assolvimento dell’onere allegatorio è fondamentale, perché il diritto entra nel processo attraverso le prove, ma queste ultime devono avere a oggetto fatti circostanziati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2008 n. 2751).

Sotto tale angolazione ben si comprende che, se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è, comunque, ineludibile l’obbligo a monte di allegare circostanze precise; né, altrimenti, la liquidazione del danno può intervenire mediante ricorso all’equità c.d. integrativa ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone la sicura impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito.

Deve quindi affermarsi che, al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente a perdita di chance per illegittima esclusione dalla gara d’appalto, è necessario che il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate, la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno e provi, conseguentemente, la concreta realizzazione almeno di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (cfr. C.G.A.R.S., 4 novembre 2010 n. 1357; Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 2010 n. 7744 e 23 luglio 2009 n. 4628).

Se, alla stregua di quanto osservato, la pretesa risarcitoria del danno sub specie della perdita di chance, così come del lucro cessante, non possono trovare ammissibile esame in ragione dell’omessa allegazione di qualsivoglia elemento dimostrativo ad opera delle odierne ricorrenti, parimenti inammissibile si dimostra la pretesa risarcitoria relativa al danno emergente, riguardato con riferimento alla refusione dei costi di partecipazione alla gara sostenuti dalla parte ricorrente medesima (c.d. interesse negativo).

È noto come i costi sostenuti per la partecipazione alle gare pubbliche si configurano come danno emergente quando l’impresa sia stata illegittimamente esclusa, giacché in questo caso viene in considerazione il diritto soggettivo del contraente a non essere coinvolto in trattative inutili.

Detto danno deve, in via prioritaria e preferenziale, essere ristorato in forma specifica, mediante rinnovo delle operazioni di gara; e, solo ove tale rinnovo non sia possibile, è suscettibile di ristoro per equivalente (mentre, nel caso in cui l’impresa ottenga il risarcimento del danno per mancata aggiudicazione o per la perdita della possibilità di aggiudicazione, non sussistono i presupposti per il risarcimento per equivalente dei costi di partecipazione, atteso che mediante il risarcimento stesso non si può far conseguire all’impresa un beneficio maggiore di quello che deriverebbe dall’aggiudicazione).

Ciò posto, anche siffatta domanda risarcitoria non si sottrae all’onere della piena prova degli elementi costitutivi dell’illecito (tra i quali, il pregiudizio patrimoniale), con la conseguenza che occorre dimostrare che la rimozione del provvedimento non soddisfa di per sé l’interesse azionato, residuando un danno ulteriore nella sfera patrimoniale; con la precisazione, peraltro, che, quando la lesione lamentata concerne interessi pretensivi o procedimentali, la misura del danno va fornita:

– quanto al danno emergente, mediante la documentazione delle spese affrontate per la partecipazione al procedimento;

– e, quanto al lucro cessante, mediante la prova che la sfera giuridica ha subito una diminuzione per effetto dell’atto illegittimo e che non si è accresciuta nella misura raggiungibile in assenza del provvedimento viziato, con l’ammissibilità, in tale ultimo caso, del ricorso, eventuale, all’applicazione di criteri presuntivi di determinazione del quantum.

La mancata ostensione del benché minimo elemento probatorio, ad opera delle odierne ricorrenti, anche con riferimento al danno emergente (oneri sostenuti per la partecipazione alla gara), esclude – in ragione di quanto precedentemente rilevato – che la relativa pretesa sia ammissibile.

7. Ribadite le esposte considerazioni, il gravame va dunque accolto nei limiti sopra evidenziati.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti indicati in motivazione; e, per l’effetto:

– accerta, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., l’illegittimità degli atti impugnati, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione;

– dichiara inammissibile la domanda risarcitoria proposta dalla parte ricorrente.

Condanna il Comune di Bracciano, nella persona del Sindaco p.t., al pagamento delle spese di giudizio in favore della parte ricorrente, in ragione di € 2.500,00 (Euro duemila e cinquecento/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2014 con l’intervento dei magistrati:

Maddalena Filippi, Presidente
Roberto Politi, Consigliere, Estensore
Mariangela Caminiti, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 31/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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