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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 1440 | Data di udienza: 17 Dicembre 2021

RIFIUTI – Sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE – Disciplina nazionale – Regole tecniche più restrittive rispetto alla normativa comunitaria – Questioni pregiudiziali.


Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 2^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 7 Febbraio 2022
Numero: 1440
Data di udienza: 17 Dicembre 2021
Presidente: Stanizzi
Estensore: Fratamico


Premassima

RIFIUTI – Sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE – Disciplina nazionale – Regole tecniche più restrittive rispetto alla normativa comunitaria – Questioni pregiudiziali.



Massima

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 7 febbraio 2022, ord. n. 1440

RIFIUTI – Sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE – Disciplina nazionale – Regole tecniche più restrittive rispetto alla normativa comunitaria – Questioni pregiudiziali.

Sono rimesse, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali:
1) “se l’art. 114, par. 5 e 6, del TFUE, nonché l’art. 16, par. 1 della Direttiva 94/62/CE, nonché l’art. 8 della Direttiva 98/34/CE, ostino all’applicazione di una disposizione nazionale come quella prevista dal decreto interministeriale del 18 marzo 2013, che vieti la commercializzazione di sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali non biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE, quando tale disciplina nazionale contenente regole tecniche più restrittive rispetto alla normativa comunitaria non sia stata previamente notificata dallo Stato membro alla Commissione europea, ma solo comunicata successivamente all’adozione e prima della pubblicazione del provvedimento”;

2) “se gli articoli 1, 2, 9, par. 1, e 18 della Direttiva 94/62/CE, completati dalle norme degli articoli 1, 2 e 3 dell’Allegato II alla Direttiva vadano interpretati nel senso che ostino all’adozione di una norma nazionale che vieti la commercializzazione di sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali non biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE o se le ulteriori norme tecniche stabilite dalla normativa nazionale possano trovare giustificazione in base alla finalità di assicurare una più alta tutela dell’ambiente, tenuto conto, eventualmente, della particolarità delle problematiche della raccolta dei rifiuti nello Stato membro e della necessità dello Stato stesso di dare attuazione anche agli obblighi comunitari previsti in tale connesso ambito;

3) “se gli articoli 1, 2, 9, par. 1, e 18 della Direttiva 94/62/CE, completati dalle norme degli articoli 1, 2 e 3 dell’Allegato II alla Direttiva vadano interpretati nel senso di costituire una norma chiara e precisa, atta a vietare qualsiasi ostacolo alla commercializzazione dei sacchetti conformi ai requisiti stabiliti dalla direttiva e a comportare la necessaria disapplicazione della normativa nazionale eventualmente difforme ad opera di tutti gli organi dello Stato, ivi incluse le amministrazioni pubbliche”;

4) “se, infine, l’adozione di una normativa nazionale di divieto di commercializzazione di sacchetti da asporto monouso non biodegradabili, ma fabbricati nel rispetto degli dei requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE, ove non giustificata dalla finalità di assicurare una più alta tutela dell’ambiente, dalla particolarità delle problematiche della raccolta dei rifiuti nello Stato membro e della necessità dello Stato stesso di dare attuazione anche agli obblighi comunitari previsti in tale connesso ambito, possa costituire violazione grave e manifesta dell’art. 18 della Direttiva 94/62/CE”

Pres. Stanizzi, Est. Fratamico – P. s.r.l. (avv.ti Cannizzaro, Zischg e Iannacci) c. Ministero della Transizione Ecologica e altro (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 7 febbraio 2022, ord. n. 1440

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 5747 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da

Papier Mettler Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vincenzo Cannizzaro, Dietmar Zischg e Marco Iannacci, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vincenzo Cannizzaro in Roma, corso d’Italia, 106;

contro

Ministero della Transizione Ecologica (già Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) e Ministero dello Sviluppo Economico, ciascuno in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

e con l’intervento di

ad opponendum:
Associazione Italiana delle Bioplastiche e dei Materiali Biodegradabili e Compostabili – Assobioplastiche, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco De Leonardis e Simone Micono, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. De Leonardis in Roma, via Cola di Rienzo 212;

per l’annullamento

– del Decreto ministeriale del 18 marzo 2013 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico, di individuazione delle caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 marzo 2013;

– di ogni altro atto eventualmente dallo stesso presupposto, connesso o conseguente;

nonchè per l’accertamento e condanna

al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi come quantificati nel ricorso per motivi aggiunti, in conseguenza dell’illegittimo comportamento dell’Amministrazione

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo Economico;

Visto l’intervento ad opponendum di Assobioplastiche;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2021 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

L’oggetto del procedimento principale e i fatti pertinenti

1.Con il ricorso introduttivo la Papier Mettler Italia s.r.l. ha agito dinanzi al Tribunale per l’annullamento del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del Ministero dello Sviluppo economico di individuazione delle caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci, adottato in data 18.03.2013 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27.03.2013, e di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso e per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni cagionati dal provvedimento.

La Papier Mettler s.r.l., società operante nell’ambito della distribuzione di confezioni ed imballaggi di carta e di materia sintetica, oltre che di prodotti affini, come parte di una rete europea nel mercato della produzione di imballaggi in carta e in plastica, oltre che di film industriali, contenitori MAP ed articoli per la ristorazione, impegnata anche ad assicurare un’alta capacità di riciclaggio delle materie prime attraverso l’impegno alla raccolta differenziata e al riciclo dei rifiuti interni ed esterni, ha dedotto di aver incentrato la propria attività sullo sviluppo e sulla produzione di imballaggi in polietilene, tra cui anche i comuni sacchetti e borse in plastica per la spesa, le c.d. shopping bags, e di essere stata gravemente lesa nei propri diritti ed interessi dal decreto ministeriale suddetto, che stabiliva il divieto di fabbricazione e di commercializzazione di sacchetti di plastica per l’asporto delle merci che non fossero in possesso di alcuni requisiti analiticamente indicati all’art. 2, ritenendo tale provvedimento contrario a norme e principi dell’Unione Europea e, in particolare, alla direttiva 94/62/CE sugli imballaggi ed i rifiuti da imballaggio del Parlamento e del Consiglio del 20.12.1994 ed alla direttiva 98/34/CE del Parlamento e del Consiglio del 22.06.1998.

La ricorrente ha lamentato l’illegittimità del decreto adottato dal Ministero dell’Ambiente per i seguenti motivi: 1) violazione di legge, dell’obbligo di preventiva comunicazione alla Commissione, della direttiva 98/34/CE e dell’art. 16 della direttiva 94/62/CE, in quanto tale ultima direttiva era stata emanata dal Parlamento e dal Consiglio come direttiva di semplice armonizzazione e le regole tecniche stabilite dall’Autorità Nazionale per una più alta tutela dell’ambiente, che finivano per vietare la commercializzazione di sacchetti di plastica pur conformi rispetto ai requisiti fissati dalla direttiva 94/62/CE, avrebbero dovuto essere preventivamente notificate alla Commissione, non potendo essere adottate se non a seguito dello specifico procedimento previsto dalle norme comunitarie né essere sottoposte alle Commissioni parlamentari senza la suddetta preventiva notificazione; 2) violazione di legge, della direttiva 94/62/CE e, in particolare, degli artt. 1, 9 par 1 e 18 completati dagli artt. 1, 2 e 3 all. II, e violazione dell’obbligo di disapplicazione di norme di legge contrarie al diritto dell’Unione Europea, poiché le disposizioni del decreto che vietavano l’immissione in commercio di sacchi da imballaggio pur conformi ad uno dei requisiti di recuperabilità stabiliti dall’art. 3 all. II della direttiva dovevano considerarsi contrarie a quest’ultima ed approvate in violazione dell’espresso divieto stabilito in modo chiaro e preciso, nonché immediatamente applicabile, dall’art. 18 della stessa, per tutti gli Stati membri, di ostacolare la commercializzazione di imballaggi prodotti in conformità con le disposizioni essenziali stabilite dalla direttiva stessa; 3) violazione di legge, violazione del diritto dell’Unione Europea e della libertà di circolazione delle merci, perché la norma del decreto impugnato, che imponeva che tutti i sacchetti di plastica in commercio in Italia riportassero – al fine di informare i consumatori circa la tipologia e le caratteristiche dell’imballaggio – una certa dicitura in lingua italiana, avrebbe integrato un ostacolo all’importazione da altro Stato membro, determinando un onere supplementare per quelle imprese che, come la ricorrente, importavano da altri Paesi europei le merci da commercializzare in Italia.

Alla luce di tali censure, la ricorrente, con il ricorso introduttivo, ha chiesto, come anticipato, l’annullamento del provvedimento impugnato e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento di tutti i danni cagionati.

2.Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ed il Ministero dello Sviluppo Economico, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con memoria depositata il 18.06.2021 la ricorrente ha avanzato espressamente domanda di proposizione di questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Con motivi aggiunti, depositati in data 16.07.2021, la ricorrente ha inteso meglio caratterizzare, alla luce della pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 23.04.2021 sulla natura della responsabilità della p.a. da provvedimento illegittimo, la propria domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.

3.Con atto depositato il 3.11.2021 è intervenuta ad opponendum l’Associazione Italiana delle bioplastiche e dei materiali biodegradabili e compostabili, Assobioplastiche, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità del ricorso e, nel merito, l’infondatezza di tutte le domande avversarie

Le parti hanno articolato ulteriormente le loro argomentazioni e difese nelle memorie depositate in vista dell’udienza di trattazione del merito ex art. 73 c.p.a.

All’udienza pubblica del 17.12.2021 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.

Il quadro normativo

4.La notevole diffusione degli imballaggi, conseguente allo sviluppo e al cambiamento dei consumi, ha reso necessaria una disciplina che ne uniformasse a livello comunitario la gestione, sia sotto il profilo della tutela ambientale, in conformità alle politiche dello sviluppo sostenibile delineate dai Programmi d’azione comunitaria, sia sul versante delle misure a tutela del mercato e della concorrenza.

In un quadro europeo fortemente disomogeneo sotto il profilo delle legislazioni esistenti nei diversi Paesi è stata adottata, nel 1994, la “Direttiva Imballaggi” (Direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 1994 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio) con l’obiettivo di armonizzare le misure nazionali sulla gestione degli imballaggi, assicurare il corretto funzionamento del mercato comunitario e garantire un alto livello di protezione ambientale.

Con tale direttiva agli Stati membri veniva imposto, per la prima volta, il raggiungimento di obiettivi quantitativi di recupero e riciclo di tutti gli imballaggi in relazione al peso complessivamente immesso al consumo nei rispettivi mercati nazionali. La direttiva del 1994 non prevedeva obiettivi di riciclo per i singoli materiali, ma un obiettivo complessivo compreso tra il 25% e il 45% degli imballaggi immessi al consumo con una soglia minima del 15% per ciascun materiale. Il primo termine per raggiungere gli obiettivi era il 30 giugno 2001. Nel 2004, con la direttiva 2004/12/Ce del 18 febbraio 2004, sono stati, poi, introdotti gli obiettivi per singolo materiale da raggiugere entro il 31.12.2008

5.La prima direttiva sugli imballaggi del 1994, in altri termini, traduceva in misure e obiettivi concreti i principi della politica ambientale tracciata a livello comunitario, con particolare riferimento al principio della “responsabilità condivisa” di tutte le parti interessate (industria, commercio, distribuzione, consumatori e pubbliche amministrazioni) e del “chi inquina paga” (che trova la sua base giuridica nel Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea, che fu integrato nel 1985 con un Titolo appositamente dedicato all’Ambiente e con il quale veniva delineato l’obiettivo della Comunità: salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; contribuire alla protezione della salute umana; garantire un utilizzo accorto e razionale delle risorse naturali).

Anche nel caso della direttiva sugli imballaggi, il legislatore comunitario ha fissato i principi e gli orientamenti generali, delegando ai singoli Stati membri l’individuazione e la scelta delle soluzioni operative più adatte ad attuare tali principi sul proprio territorio, in considerazione della relativa realtà socio-economica. Gli Stati membri, in altri termini, venivano chiamati ad adottare le misure ritenute più idonee per istituire sistemi di restituzione e raccolta degli imballaggi usati e dei rifiuti di imballaggio per il loro reimpiego, riciclo e recupero. Alcuni Paesi risultavano, infatti, già parzialmente organizzati, altri partivano da zero. In Italia non vi era stata fino ad allora una disciplina organica riguardante la restituzione, la raccolta ed il recupero degli imballaggi usati immessi sul mercato, fatta eccezione per il settore degli imballaggi per liquidi.

Da una parte erano stabiliti alcuni principi cardine per gli operatori economici, cioè le aziende produttrici e quelle utilizzatrici di imballaggi; dall’altra i consumatori finali erano chiamati a “completare” il loro atto d’acquisto con il corretto conferimento del rifiuto nei circuiti di raccolta; infine, gli amministratori pubblici erano individuati come responsabili dell’organizzazione sul proprio territorio di adeguati sistemi di raccolta urbana. Il fine ultimo di ogni Stato membro doveva essere quello di garantire, attraverso i sistemi e le misure individuate, il raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclo degli imballaggi immessi al consumo previsti dalla Direttiva.

6.Nel sistema della direttiva 94/62 due disposizioni in particolare assumono valenza decisiva per il contemperamento tra le esigenze ambientali e quelle di tutela del mercato comune:

– l’art. 9 che, prevedendo che imballaggi che non siano prodotti secondo i requisiti della direttiva stessa non possano essere immessi nel mercato comune, stabilisce, come “Requisiti essenziali”, che “Entro tre anni dall’entrata in vigore della presente direttiva, gli Stati membri provvedono a che siano immessi sul mercato soltanto gli imballaggi conformi a tutti i requisiti essenziali definiti dalla presente direttiva, compreso l’allegato II”;

– l’art. 18 che, invece, fissa il principio per il quale imballaggi prodotti secondo i requisiti previsti dalla direttiva stessa devono poter circolare liberamente nel mercato comune, indicando sotto il titolo “Libertà di immissione sul mercato” che “Gli Stati membri non possono ostacolare l’immissione sul mercato nel loro territorio di imballaggi conformi alle disposizioni della presente direttiva.”

Quanto alle effettive modalità con le quali assicurare il perseguimento dell’elevato grado di tutela sia dell’ambiente che del mercato comune, obiettivo del diritto comunitario, l’art. 9, par. 1 della direttiva impone che siano messi in commercio imballaggi conformi ai requisiti essenziali stabiliti nella direttiva, compreso l’allegato II della stessa.

Tale allegato prevede diversi requisiti dell’imballaggio, di fabbricazione e di composizione (art. 1), di riutilizzabilità (art. 2) e di recuperabilità (art. 3). In relazione alla recuperabilità, la norma prevede quattro criteri tra loro alternativi: la recuperabilità dell’imballaggio può infatti essere garantita o per mezzo del riciclaggio del materiale, o attraverso il recupero di energia, o sotto forma di compost, ovvero per mezzo della sua biodegradabilità.

L’utilizzo di una qualunque di queste tecnologie di recupero dell’imballaggio ne garantisce, comunque, la commerciabilità nel mercato interno dell’Unione europea.

7.In Italia la Direttiva 94/62/Ce è stata recepita dapprima dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, (cd. Decreto Ronchi) con il quale veniva data attuazione anche ad altre due direttive, la 91/156/Cee sui rifiuti e la 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi. Il Decreto Ronchi, che abrogava le precedenti normative che avevano attuato le direttive comunitarie degli anni 70, diventava, così, nel nostro Paese la “legge quadro” in tema di rifiuti e di rifiuti di imballaggio.

Il passaggio dal D.P.R. 915/82 al Decreto Ronchi segnava una svolta strategica nelle politiche di gestione dei rifiuti: da un approccio incentrato sullo smaltimento, ed espresso dalle normative degli anni 70-80, si passava ad un approccio incentrato sul concetto di “gestione integrata” che vede lo smaltimento come soluzione residuale in favore di altre forme gestionali ritenute prioritarie: prevenzione nella produzione dei rifiuti, riutilizzo, riciclo e recupero.

Successivamente, con la legge 27.12.2006 n. 296, paragrafi 1129 e 1130 dell’art. 1, ha avuto inizio “un programma sperimentale” finalizzato “ad individuare le misure da introdurre progressivamente nell’ordinamento interno al fine di giungere al definitivo diniego, a decorrere dal 1°gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci”.

Il suddetto termine ha, però, subito varie proroghe, entrando in vigore in seguito all’adozione del d.l. n. 2/2012 (come convertito dalla l.n. 28/2012) il cui art. 2 stabiliva un divieto generale di commercializzazione dei sacchetti di plastica, disponendo una ulteriore proroga solo limitatamente alla commercializzazione di alcune categorie di sacchetti, fino all’adozione di un “decreto non regolamentare” dei Ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo, che avrebbe dovuto identificare “eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della loro commercializzazione”.

8.Il suddetto decreto è stato adottato il 18.03.2013 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27.03.2013 e costituisce il provvedimento impugnato.

Esso, per assicurare un’efficace tutela ambientale e una più efficiente raccolta dei rifiuti, tra i requisiti previsti dalla normativa comunitaria per gli imballaggi commerciabili, esprime una decisa opzione a favore delle metodologie della compostabilità e della biodegradabilità, imponendo, tra l’altro, un divieto di messa in commercio di sacchetti che non rispondano alle specifiche della UNI EN 13432:2002 (normativa tecnica diretta, appunto, a individuare i requisiti per imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione). In base alla disciplina nazionale del DM impugnato, i sacchetti non conformi a tale normativa tecnica – nell’eventualità anche conformi agli altri requisiti di recuperabilità previsti dall’art. 3 dell’allegato II della direttiva imballaggi – non possono, dunque, essere commercializzati in Italia, a meno che non rispondano a ulteriori specifiche tecniche di spessore e forma, anch’esse, però, non previste dalla norma europea.

L’oggetto della controversia

9.La ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l’illegittimità del decreto impugnato per la violazione di una serie di obblighi procedurali riconnessi alla possibilità per uno Stato membro di derogare alle prescrizioni imposte da una direttiva di (sola) armonizzazione, come doveva essere considerata la direttiva 94/62/CE: a norma dell’art. 114 par. 5 del TFUE, infatti, “allorché dopo l’adozione di una misura di armonizzazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, da parte del Consiglio o da parte della Commissione, uno Stato membro ritenga necessario introdurre disposizioni nazionali fondate su nuove prove scientifiche inerenti la protezione dell’ambiente o dell’ambiente di lavoro, giustificate da un problema specifico a detto Stato membro, insorto dopo l’adozione della misura di armonizzazione, esso notifica le disposizioni previste alla Commissione precisando i motivi dell’introduzione elle stesse”. A seguito di tale notifica, a norma del par. 6 del medesimo articolo, la Commissione, entro sei mesi, “approva o respinge le disposizioni nazionali in questione, dopo aver verificato se esse costituiscano o no uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra gli Stati membri e se rappresentino o no un ostacolo al funzionamento del mercato interno”.

La direttiva 94/62/CE stabilisce, a sua volta, un autonomo meccanismo di notifica – sempre preventiva – da parte degli Stati alla Commissione dei “progetti delle misure che (essi) prevedono di adottare… affinché la Commissione possa esaminarli alla luce delle disposizioni vigenti…” (art. 16 della dir.); un sistema analogo è previsto dalla direttiva 98/34/CE, per la quale “ogni progetto di regola tecnica”, nonché “i motivi che rendono necessario adottare tale regola tecnica”, devono essere comunicati alla Commissione anteriormente all’adozione della regola stessa.

Alla luce di tali norme, la ricorrente ha, dunque, evidenziato che il decreto impugnato, contenendo disposizioni di applicazione del divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili per il trasporto di merci più restrittive di quanto consentito dalla direttiva di armonizzazione 94/62/CE, avrebbe dovuto essere oggetto di una preventiva notifica alla Commissione e non avrebbe potuto essere neppure sottoposto alle Commissioni parlamentari, né, tantomeno, adottato prima dell’esperimento di tale procedura, senza che una notifica successiva potesse, poi, sanare tale originaria mancanza, tanto più che la contrarietà della disciplina più restrittiva progettata dall’Italia rispetto a quanto stabilito dalla direttiva 94/62/CE era stata già stata in precedenza accertata dalla Commissione, in occasione della notifica di una precedente norma di legge.

10.Oltre alla violazione di regole procedurali, la ricorrente ha anche lamentato l’illegittimità sostanziale del provvedimento impugnato per contrarietà alla disciplina dettata dalla direttiva 94/62/CE, nella parte in cui vieta la commercializzazione di sacchetti da imballaggio (sacchetti in polietilene con maniglia cd. “a canottiera” o con maniglia cd. “incisa”) pur conformi ad uno dei requisiti di recuperabilità stabiliti dall’art. 3 All. II della direttiva.

Tali disposizioni nazionali violerebbero l’art. 18 della direttiva stessa, che pone un divieto chiaro ed incondizionato agli Stati membri di ostacolare la commercializzazione di imballaggi prodotti in conformità con le disposizioni stabilite dalla fonte comunitaria.

11.La ricorrente ha, inoltre, evidenziato che anche ove il DM avesse inteso riprodurre e specificare la disciplina già prevista dalla fonte legislativa di cui al d.l. 2/2012, anch’essa illegittimamente più restrittiva rispetto al diritto comunitario (come accertato dalla Commissione nel procedimento n. 2011/0174/1), “con l’adozione del decreto… il Ministero dell’Ambiente e del Mare… (sarebbe) venuto meno al proprio obbligo di applicare direttamente la direttiva 94/62/CE e di disapplicare l’art. 2 del d.l. n. 2/2012”, e, dunque, di dare diretta applicazione al diritto comunitario, disapplicando la normativa nazionale difforme da esso, obbligo gravante anche sulla pubblica amministrazione di ciascuno Stato membro e più volte affermato dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza 9.09.2003 causa C-198/01 CIF; 19.01.1993 causa C-101/91 Commissione contro Italia; 28.06.2001 causa C-118/00 Larsy).

La condotta dell’Amministrazione non avrebbe, poi, potuto, secondo la ricorrente, essere legittimata da alcuna causa di giustificazione, avendo anche la Corte di Giustizia chiarito che, in presenza di una normativa dell’Unione che dispone un’armonizzazione completa, la conformità di misure statali va valutata solo rispetto a tale normativa (cfr. sentenze 13.12.2001 causa C-324/99; 17.04.2007 causa C-470/03 A.G.M. – Cos.Met s.r.l. c. Suomen valtio e Tarmo Lehtinen).

La ricorrente ha, infine, sostenuto che il decreto impugnato, soprattutto nella parte in cui disponeva che tutti i sacchetti di plastica in commercio in Italia dovessero riportare una certa dicitura in Italiano per informare il consumatore sulle loro caratteristiche, si ponesse in contrasto con il principio della libertà di circolazione delle merci, risolvendosi in un ostacolo all’importazione e in un onere supplementare per le imprese che, come nel suo caso, importavano da altri Stati europei le merci da commercializzare.

12.Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (ora Ministero della Transizione Ecologica) ed il Ministero dello Sviluppo Economico, costituendosi in giudizio, hanno dedotto che le regole tecniche di cui al DM si erano rese necessarie per contrastare il problema della contaminazione della frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU), dovuta all’abitudine dei consumatori italiani di utilizzare shoppers monouso in plastica per la raccolta di rifiuti organici e per l’esigenza di incentivare l’utilizzo di buste di plastica biodegradabili e compostabili, che permettessero la corretta raccolta della FORSU, rendendo possibile la sottoposizione anche di tale frazione di rifiuti al processo di compostaggio e disincentivando lo smaltimento in discarica “in ossequio alle disposizioni della direttiva 1999/31/CE” (relativa alle discariche di rifiuti).

Quanto alla notifica alle questioni procedimentali, l’Amministrazione ha esposto che il decreto interministeriale era stato ritualmente comunicato alla Commissione europea in data 12 marzo 2013 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Italiana il 27 marzo 2013, con l’espressa previsione dell’entrata in vigore subordinatamente alla conclusione, con esito favorevole, della procedura di comunicazione di cui alla Direttiva 98/34/CE e che la procedura di notifica, che avrebbe dovuto concludersi il 13 giugno 2013, si era chiusa formalmente, a seguito dei rilievi espressi dalla Gran Bretagna, solo in data 13 settembre 2013.

13.Ha, inoltre, evidenziato che il decreto impugnato aveva individuato le seguenti tipologie di shoppers commercializzabili: a) sacchi monouso biodegradabili e compostabili, conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002; b) sacchi in plastica tradizionale con un certo spessore, e, dunque, riutilizzabili; c) sacchi riutilizzabili per l’asporto delle merci realizzati in carta, in tessuti di fibre naturali, in fibre di poliammide e in materiali diversi dai polimeri e non aveva introdotto un divieto assoluto di commercializzazione dei sacchi di plastica, bensì un divieto relativo/selettivo, non consentendo la circolazione solo di sacchi di plastica inferiori a certi spessori; perciò non proibiva in modo assoluto la commercializzazione di qualsivoglia shopper in plastica convenzionale, bensì solo di quelli che presentavano uno spessore inferiore a quello previsto dall’art. 2 e che, dunque non garantivano una significativa possibilità di essere riutilizzati. A ciò l’Amministrazione ha aggiunto la considerazione per la quale la disciplina più restrittiva da subito introdotta in ambito nazionale, lungi dall’essere sproporzionata, ben si giustificava alla luce del fatto che il divieto valeva solo per gli shoppers monouso in quanto destinati a divenire rapidamente rifiuti di plastica, mentre non operava per quelli in plastica riutilizzabili. La messa al bando dei sacchetti non biodegradabili, dunque, lungi dall’essere indiscriminata, aveva avuto negli anni una natura eminentemente selettiva, poiché aveva riguardato solo ed esclusivamente quegli shoppers in plastica che rappresentavano un concreto problema per l’ambiente e non aveva fatto che anticipare per molti aspetti le misure di tutela ambientali ancor più decisamente orientate verso l’uso dei soli sacchetti biodegradabili e compostabili adottate successivamente anche a livello comunitario.

14.A tali argomentazioni svolte nel merito dall’Amministrazione a sostegno della legittimità dell’atto impugnato, devono aggiungersi quelle articolate dall’interveniente ad opponendum che, sottolineando che il DM 18.03.2013 era “venuto meno sin dal 2017 per intervenuta abrogazione dell’atto legislativo fonte, su cui tale DM poggiava”, ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per tale motivo, in quanto l’art. 9 bis comma 3 lett. b) del D.L. 20.06.2017 n. 91, convertito con modificazioni dalla l.n. 123 del 3.08.2017, aveva abrogato l’art. 2 del D.L. n. 2/2012, ridisciplinando l’intera materia ed introducendo nel TUA gli artt. 226 bis e ter, peraltro in attuazione della nuova direttiva UE 2015/720.

Altre ragioni di inammissibilità/improcedibilità del ricorso avrebbero riguardato, secondo l’interveniente, la avvenuta proposizione da parte della ricorrente delle medesime censure anche dinanzi al Tribunale di Roma, che, a seguito dell’esperimento di una CTU sul danno lamentato, le aveva respinte con sentenza del 17.05.2018 n. 10076 (sia pure appellata dalla Papier Mettel e pendente dinanzi alla Corte di Appello di Roma – Sez. II civile RG n. 8001/2018).

15.Tali eccezioni, formulate da un interveniente il cui intervento almeno ad un primo esame appare del tutto ammissibile, provenendo dall’“associazione nazionale di categoria che promuove la produzione la distribuzione e l’utilizzazione delle bioplastiche biodegradabili e compostabili e dei manufatti con esse realizzati”, dotata dunque di un concreto interesse a sostenere la legittimità di un provvedimento come il DM 18.03.2013 di netto favore dell’ordinamento per l’utilizzo di tale tipologia di materiali nella produzione degli imballaggi, non risultano, però, ostative all’esame del merito del ricorso e dei motivi aggiunti, avendo la ricorrente evidenziato, in replica alle memorie delle controparti, sia le differenze di petitum e di causa petendi tra il presente giudizio e quello incardinato dinanzi al Giudice ordinario (vertendo la controversia dinanzi al TAR sull’impugnazione di un provvedimento amministrativo ben preciso, il DM 18.03.2013 e sulla richiesta dei danni per il divieto di commercializzazione di alcuni sacchetti in plastica da esso introdotto e non su una domanda di accertamento della responsabilità dello Stato Italiano per violazione del diritto comunitario per effetto dell’adozione di provvedimenti di rango legislativo, per di più riferita ad anni diversi 2011-2012 come quella proposta dinanzi al G.O.) sia la permanenza del proprio interesse a far constare l’illegittimità del provvedimento impugnato ora per allora ed ottenere il risarcimento del danno subito nel periodo dal 2013 al 2017.

Le questioni pregiudiziali

Così esposte le principali problematiche poste dalla presente controversia e le posizioni assunte su ciascun motivo di ricorso dalle parti, vertendosi in tema di interpretazione del diritto comunitario, si ritiene, per la rilevanza degli interessi coinvolti e per la complessità dei valori in gioco, di sottoporre al Giudice Comunitario i seguenti quesiti:

1) “se l’art. 114, par. 5 e 6, del TFUE, nonché l’art. 16, par. 1 della Direttiva 94/62/CE, nonché l’art. 8 della Direttiva 98/34/CE, ostino all’applicazione di una disposizione nazionale come quella prevista dal decreto interministeriale impugnato, che vieti la commercializzazione di sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali non biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE, quando tale disciplina nazionale contenente regole tecniche più restrittive rispetto alla normativa comunitaria non sia stata previamente notificata dallo Stato membro alla Commissione europea, ma solo comunicata successivamente all’adozione e prima della pubblicazione del provvedimento”;

2) “se gli articoli 1, 2, 9, par. 1, e 18 della Direttiva 94/62/CE, completati dalle norme degli articoli 1, 2 e 3 dell’Allegato II alla Direttiva vadano interpretati nel senso che ostino all’adozione di una norma nazionale che vieti la commercializzazione di sacchi da asporto monouso fabbricati con materiali non biodegradabili, ma rispondenti agli altri requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE o se le ulteriori norme tecniche stabilite dalla normativa nazionale possano trovare giustificazione in base alla finalità di assicurare una più alta tutela dell’ambiente, tenuto conto, eventualmente, della particolarità delle problematiche della raccolta dei rifiuti nello Stato membro e della necessità dello Stato stesso di dare attuazione anche agli obblighi comunitari previsti in tale connesso ambito;

3) “se gli articoli 1, 2, 9, par. 1, e 18 della Direttiva 94/62/CE, completati dalle norme degli articoli 1, 2 e 3 dell’Allegato II alla Direttiva vadano interpretati nel senso di costituire una norma chiara e precisa, atta a vietare qualsiasi ostacolo alla commercializzazione dei sacchetti conformi ai requisiti stabiliti dalla direttiva e a comportare la necessaria disapplicazione della normativa nazionale eventualmente difforme ad opera di tutti gli organi dello Stato, ivi incluse le amministrazioni pubbliche”;

4) “se, infine, l’adozione di una normativa nazionale di divieto di commercializzazione di sacchetti da asporto monouso non biodegradabili, ma fabbricati nel rispetto degli dei requisiti stabiliti dalla Direttiva 94/62/CE, ove non giustificata dalla finalità di assicurare una più alta tutela dell’ambiente, dalla particolarità delle problematiche della raccolta dei rifiuti nello Stato membro e della necessità dello Stato stesso di dare attuazione anche agli obblighi comunitari previsti in tale connesso ambito, possa costituire violazione grave e manifesta dell’art. 18 della Direttiva 94/62/CE”

Ai sensi della Nota informativa riguardante la proposizione di domande di pronuncia pregiudiziale da parte dei giudici nazionali» 2011/C 160/01 in G.U.C.E. 28 maggio 2011 e delle nuove Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale 2016/C 439/01 in G.U.C.E. 25.11.2016, vanno trasmessi alla Cancelleria della Corte mediante plico raccomandato gli atti del giudizio in copia, comprensivi della presente ordinanza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis)

1) rimette, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;

2) dispone che, a cura della Segreteria, siano trasmessi gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

3) sospende il processo fino alla definizione del giudizio sulle questioni pregiudiziali e con riserva, all’esito, di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Brunella Bruno, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Ofelia Fratamico

IL PRESIDENTE
Elena Stanizzi

IL SEGRETARIO

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