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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 15 | Data di udienza: 15 Dicembre 2017

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ristrutturazione edilizia – Requisito dell’identità di sagoma – Novella di cui all’art. 30 d.l. n. 69/2013 – Normativa locale – Possibilità di disciplinare diversamente la specifica materia – Esclusione – Artt. 1, 2 e 3 d.P.R. n. 380/2001 – Distanza – Metodo di misurazione – Modo radiale (veduta) e metodo lineare (distacchi tra edifici).


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Liguria
Città: Genova
Data di pubblicazione: 11 Gennaio 2018
Numero: 15
Data di udienza: 15 Dicembre 2017
Presidente: Daniele
Estensore: Peruggia


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ristrutturazione edilizia – Requisito dell’identità di sagoma – Novella di cui all’art. 30 d.l. n. 69/2013 – Normativa locale – Possibilità di disciplinare diversamente la specifica materia – Esclusione – Artt. 1, 2 e 3 d.P.R. n. 380/2001 – Distanza – Metodo di misurazione – Modo radiale (veduta) e metodo lineare (distacchi tra edifici).



Massima

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 11 gennaio 2018, n. 15


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ristrutturazione edilizia – Requisito dell’identità di sagoma – Novella di cui all’art. 30 d.l. n. 69/2013 – Normativa locale – Possibilità di disciplinare diversamente la specifica materia – Esclusione – Artt. 1, 2 e 3 d.P.R. n. 380/2001.

L’art. 30 comma 1 lett. a) del d.l. 21.6.2013, n. 69 (convertito dall’art. 1 della legge 2013, n. 98) ha reso irrilevante il requisito dell’identità di sagoma ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, che può essere integrato anche dalla demolizione e dalla ricostruzione di un edificio in difformità dalla sagoma precedente, limitando la restrizione del rispetto della sagoma agli immobili vincolati ai sensi del d.lvo 2004, n. 42. La novella del 2013 è intervenuta sul testo dell’art. 3 del dpr 6.6.2001, n. 380, una norma che il comma 1 dell’art. 1 qualifica come principio fondamentale e generale dell’ordinamento per quel che attiene all’attività edilizia. Va tenuto altresì conto che l’art. 2 comma 1 del dpr 380/2001 subordina l’operatività delle leggi regionali ai principi generali: ne deriva che la normativa locale non ha la possibilità di disciplinare diversamente la specifica materia, tenuto altresì conto che il comma 3 dell’art. 3 del testo unico attribuisce, in caso di antinomia, la prevalenza dei principi generali relativi alla definizione degli interventi edilizi rispetto alle qualificazioni eventualmente differenti date dagli strumenti urbanistici generali o dai regolamenti edilizi.
 

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Distanza – Metodo di misurazione – Modo radiale (veduta) e metodo lineare (distacchi tra edifici).

Il metodo di misurazione legale del distacco che deve ammettersi per la veduta da una finestra si calcola in modo radiale, mentre i distacchi tra gli edifici vanno misurati con il metodo lineare (cass. 2016, n. 9649, tar Liguria, 2015, n. 1002, cons. Stato 2005, n. 5348; nella specie, la distanza tra lo spigolo assunto come base di calcolo e la parete opposta era stata ottenuta dalla traslazione, in modo omogeneo, della fronte dell’immobile in progetto verso la facciata della casa dei ricorrenti, utilizzando la metodologia ortogonale o lineare)

Pres. Daniele, Est. Peruggia – R. s.r.l. (avv. Granara) c. Comune di Diano Marina (avv. Borello)


Allegato


Titolo Completo

TAR LIGURIA, Sez. 1^ - 11 gennaio 2018, n. 15

SENTENZA

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 11 gennaio 2018, n. 15

Pubblicato il 11/01/2018

N. 00015/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00023/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 23 del 2017, proposto dalla Residence Villa Marina srl con sede ad Alassio in persona del legale rappresentante in carica e dalla signora Anna Garibaldi
entrambe rappresentate e difese dall’avvocato professor Daniele Granara presso il quale hanno eletto domicilio a Genova in via Bosco 31/4;

contro

Comune di Diano Marina in persona del sindaco in carica rappresentato e difeso dall’avvocato Matteo Borello presso il quale ha eletto domicilio a Genova in via Roma 10 3/B;

nei confronti di

Sterio di Abbo Giorgio & C snc con sede a Diano Marina in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Saguato presso il quale domicilia a Genova in via Roma 11.1;

per l’annullamento

del permesso di costruire 4.1.2017, n. 5228 del comune di Diano Marina

dell’autorizzazione paesistica 18.4.2016, n. 926 del comune di Diano Marina

della qualificazione tecnico-giuridica e della valutazione di conformità dell’intervento

del parere 26.1.2016, n. 7 della commissione locale per il paesaggio

Visti il ricorso e i relativi allegati;
visto il decreto presidenziale 19.1.2017, n. 25
visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Diano Marina e della controinteressata
viste le proprie ordinanze 15.2.2017, n. 48 e 18.7.2017, n. 616
visti gli atti e le memorie depositati;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2017 il dott. Paolo Peruggia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Residence Villa Marina srl e la signora Anna Garibaldi si ritengono lese dagli atti riportati per il cui annullamento hanno notificato il ricorso in trattazione affidato a censure in fatto e diritto.

Con decreto 19.1.2017, n. 25 il presidente del tribunale amministrativo ha sospeso interinalmente l’esecuzione degli atti impugnati: costituitisi in giudizio con distinte memorie il comune di Diano Marina e la controinteressata, il tribunale amministrativo ha pronunciato l’ordinanza 15.2.2017, n. 48 con cui ha accolto la domanda cautelare proposta dalle interessate.

Si è successivamente aperto un procedimento volto all’accertamento ex art. 52 cpc dell’idoneità del relatore designato alla partecipazione alla decisione: tale fase endoprocessuale si è conclusa con la pronuncia dell’ordinanza 18.7.2017, n. 616.

La controinteressata ha poi proposto istanza di fissazione della lite, le parti hanno depositato memorie e documenti e la causa è stata assunta in decisione all’odierna udienza.

A tale riguardo il collegio non ritiene di poter aderire all’istanza di rinvio presentata dalla ricorrente il 24.11.2017 fondata sulla richiesta inoltrata al consiglio di Stato perché ponga in sollecita decisione l’appello proposto per l’annullamento della precedente sentenza di questo tribunale amministrativo regionale 996/2015, resa tra le parti anche oggi in causa e relativa ad argomenti consimili.

L’interessata osserva che la decisione del giudice d’appello è ormai prossima, sì che dovrebbe rivelarsi prevalente l’interesse a che l’istanza di primo grado non decida, nell’attesa della pronuncia richiesta nella sede indicata.

Il collegio deve notare che, vista l’opposizione palesata al riguardo dalle controparti, non può obliterarsi il contrario interesse della controinteressata e del comune di Diano Marina, che dopo la pronuncia 996/2015 citata hanno rivisitato la vicenda accedendo al nuovo atto qui gravato: ne deriva che la causa può essere decisa, atteso anche il tempo trascorso a far data dalla pronuncia cautelare del febbraio 2017, che ha già allontanato nel tempo la possibilità per le parte controinteressata di dare esecuzione al titolo ottenuto.

La causa va pertanto decisa in questa sede.

1 L’impugnazione così proposta è volta a conseguire l’annullamento dei titoli edilizio e paesistico con cui l’amministrazione civica ha assentito il progetto predisposto dalla controinteressata per “… la demolizione e la ricostruzione del fabbricato…” sito in via G. Ardoino 74 a Diano Marina. Si tratta di una residenza per religiose che la precedente proprietà ritenne di alienare a terzi, e che la controinteressata ha progettato di demolire e ricostruire traslando in parte la volumetria sul sedime di pertinenza.

Nella ricordata vicenda definita nel primo grado dalla sentenza 996/2015 di questo tribunale amministrativo venne accolto un motivo con cui le ricorrenti avevano denunciato la violazione delle distanze della nuova fabbrica in progetto rispetto ad un manufatto esistente nella proprietà di una di loro: il comune ha stimato la nuova richiesta della controinteressata in grado di emendare il vizio accolto nella precedente causa, sì che il titolo gravato è stato assentito.

2 Le censure proposte sono molte e riguardano gli aspetti edilizio, paesistico e ambientale della vicenda, anche se la parte interessata mostra di insistere particolarmente sulla questione del mancato rispetto del distacco della fabbrica in progetto dalla parete finestrata frontistante. Tale opinione deriva in particolare dalla lettura della memoria conclusionale che l’interessata ha depositato, e che tratta con particolare attenzione detto profilo senza che sia tuttavia evidenziabile una rinuncia della parte alla decisione sugli altri profili proposti; dal che la necessità di esaminare tutte le doglianze secondo l’ordine della loro allegazione in ricorso.

3 La prima doglianza denuncia l’errore commesso dall’amministrazione comunale che ha ritenuto corretta la qualificazione di ristrutturazione data dalla controinteressata all’intervento, quando si tratterebbe invece di un’ipotesi di nuova costruzione che l’art. 44 del PUC vieta per l’ambito in questione.

Il collegio prende atto delle contestazioni mosse al riguardo dalle parti resistenti e osserva che per l’area di che trattasi lo strumento consente la ristrutturazione edilizia e urbanistica, ma non la nuova costruzione.

E’ pertanto necessario riesaminare le nozioni indicate, così da pervenire all’inquadramento del progetto.

4 Al tempo del rilascio del titolo impugnato l’art. 10 comma 2 lett. e) della legge regione Liguria 6.6.2008, n. 16 (norma ora abrogata dalla legge regionale 2017/15) definiva la ristrutturazione edilizia come l’intervento che ammette la modificazione di un edificio in un altro di ugual volume, fatto salvo il rispetto della sagoma precedente.

Sempre avendo riguardo alla data di rilascio del titolo si osserva che la legislazione dello Stato era stata innovata sul punto dall’art. 30 comma 1 lett. a) del d.l. 21.6.2013, n. 69 (convertito dall’art. 1 della legge 2013, n. 98), che aveva limitato agli immobili vincolati ai sensi del d.lvo 2004, n. 42 la restrizione del rispetto della sagoma per la sussunzione dell’intervento nell’ambito della ristrutturazione edilizia. La novella del 2013 ora citata è intervenuta sul testo dell’art. 3 del dpr 6.6.2001, n. 380, una norma che il comma 1 dell’art. 1 qualifica come principio fondamentale e generale dell’ordinamento per quel che attiene all’attività edilizia. Va tenuto altresì conto che l’art. 2 comma 1 del dpr 380/2001 subordina l’operatività delle leggi regionali ai principi generali: ne deriva che la normativa locale non ha la possibilità di disciplinare diversamente la specifica materia, tenuto altresì conto che il comma 3 dell’art. 3 del testo unico attribuisce, in caso di antinomia, la prevalenza dei principi generali relativi alla definizione degli interventi edilizi rispetto alle qualificazioni eventualmente differenti date dagli strumenti urbanistici generali o dai regolamenti edilizi.

Ne consegue che la novella del 2013 ha reso irrilevante il requisito dell’identità di sagoma ai fini della qualificazione di un intervento come ristrutturazione edilizia, che può essere integrato anche dalla demolizione e dalla ricostruzione di un edificio in difformità dalla sagoma precedente, posto che l’area su cui sono previste la demolizione e la ricostruzione non rientra tra quelle vincolate ai sensi del d.lvo 2004/42.

Va osservato infatti che il documento ventiquattro delle produzioni comunali sulla relazione intercorrente tra il PUC e il PTCP chiarisce che il sedime su cui insiste la casa di riposo per religiose e quello su cui dovrebbe essere edificato il nuovo fabbricato non sono sottoposti ai vincoli di cui al testo unico citato (2004/42): tale limite riguarda infatti la porzione del parco annesso all’immobile che si protende verso il mare.

Ne consegue che le deduzioni delle parti ricorrenti non sono in grado di inficiare la tesi accolta dall’amministrazione, secondo cui il progetto in questione va qualificato alla stregua di una ristrutturazione edilizia, derivando da ciò l’infondatezza del motivo in esame.

5 Viene poi censurata la difformità dalle norme vigenti ravvisabile nel titolo impugnato, nella parte in cui esso ammette la trasformazione di una casa di riposo per religiose in un fabbricato di otto unità, cosa che comporterà un rilevante effetto negativo sul territorio, integrando la violazione del PUC.

L’area in questione è qualificata dal PUC come B satura, sì che non è chiaro in quale misura una demolizione con successiva ricostruzione del solo volume preesistente potrà apportare la perturbazione dell’esistente che è inibita dalle norme dello strumento che vietano le nuove costruzioni. E ciò senza considerare che l’art. 44 comma 13 della ncc dello strumento ammette l’incremento volumetrico del venti per cento nell’ambito di che si tratta, il che comporta una maggiore presenza dell’attività dell’uomo nel sito di che si tratta; dal che l’impossibilità di ritenere che quanto in progetto arrecherà un impatto non sostenibile al territorio delimitato dal PUC.

Va considerato in fine che l’amministrazione comunale ha raccolto dei pareri favorevoli relativamente alla possibilità di inserire il fabbricato in progetto nella zona di che si tratta, posto che i parcheggi al servizio degli appartamenti saranno ubicati all’interno del fondo di pertinenza e che il parco che contorna l’immobile sarà salvaguardato.

Ne consegue che non è possibile individuare in quanto in progetto una nuova costruzione o comunque un elemento perturbante i parametri edilizi, dal che l’infondatezza della censura.

6 Il secondo articolato motivo denuncia innanzitutto la violazione delle norme del PUC (artt. 97 comma 8 e 10 delle norme di conformità e congruenza) che distinguono la ristrutturazione edilizia dalla nuova costruzione, individuando il discrimine tra le due ipotesi nella conformità sostanziale del nuovo volume a quello preesistente.

Al riguardo il collegio deve richiamare le osservazioni svolte in precedenza circa la valenza novativa dell’art. 30 comma 1 lett. a) del d.l. 2013, n. 69 che ai fini della qualificazione dell’intervento come ristrutturazione ha costituito una soluzione della continuità in precedenza disposta circa la conformità della sagoma del nuovo manufatto rispetto a quello preesistente. Si ribadisce allora che la norma statuale ha inciso sui principi generali della normativa urbanistica, sì che le disposizioni del PUC che sono denunciate non possono più essere lette nel senso di cui all’atto di impugnazione.

Le considerazioni ora riassunte permettono di ritenere infondate anche le censure (sub A) con cui le ricorrenti denunciano la ricorrenza nella specie dell’illegittima nuova costruzione, avendo riguardo alla parziale occupazione di suoli in oggi liberi che deriverà dall’attuazione dell’intervento: la tesi è nel senso che ciò comporterà la censurata violazione del requisito dell’immodificabilità della sagoma che è invece richiesto dall’art. 97 delle ncc del PUC e dall’art. 3 del dpr 6.6.2001, n. 380.

Il tribunale amministrativo ribadisce a questo riguardo che l’intervento del legislatore statale ha reso entro certi limiti irrilevante la modificazione progettuale rispetto alle regole novate nel senso indicato: la doglianza non ha pertanto fondamento

Il punto B) della censura lamenta l’illegittimità della trasformazione che deriverà nel caso in cui sarà data attuazione al progetto, cosa che comporterà il già denunciato impatto sul territorio, così da comportare una trasformazione urbanistica dell’ambito, e con ciò una nuova costruzione.

La censura non appare tuttavia ben comprensibile, posto che l’art. 44 comma 13 sub a) delle ncc del PUC ammette espressamente al ristrutturazione urbanistica dell’area (RU), sì che l’allegata trasformazione urbanistica non sembra configurare una nozione riconosciuta dall’art. 3 del dpr 6.6.2008, n. 380, avendo riguardo all’espressa natura di numero chiuso delle definizioni degli interventi che è prevista dalla norma.

In conclusione anche il secondo motivo è infondato e va respinto.

7 La terza censura riguarda la ricomprensione del titolo assentito tra quelli assentibili in forza della legge regionale 49 del 2009, denominata ‘piano casa’, che invece non avrebbe potuto essere posta a base dell’attività amministrativa contestata. In particolare il comune di Diano Marina avrebbe recepito senza istruttoria la relazione del tecnico che provvide alla stesura del progetto poi assentito, in ciò non avvedendosi che l’immobile oggetto dell’intervento non era meritevole della riqualificazione urbanistica, architettonica e ambientale richiesta dall’art. 2 comma 1 lett c) della norma regionale applicata.

Oltre a ciò l’eventuale realizzazione del progetto apporterà un incremento del rischio idraulico, ponendosi con ciò in collisione con il PTCP e il piano di bacino vigente nella zona.

Il tribunale amministrativo nota che lo studio organico d’insieme (SOI) allegato alla domanda per il titolo edilizio rappresenta in modo incontestato che il sedime oggetto del previsto intervento è soggetto al ritorno di piena entro cinquant’anni, sì che gli accorgimenti adottati in sede progettuale appaiono tali da mitigare il rischio, con l’elevazione del piano di calpestio della casa a metri 1,70 dal suolo, un espediente che dovrebbe permettere alle acque di inondazione di defluire più agevolmente verso il mare.

Ne consegue che la provata sussistenza del rischio idraulico nella area oggetto del progetto approvato non permette di escludere l’applicabilità delle norme sul c.d. piano-casa che sono denunciate proprio in conseguenza degli accorgimenti progettati, dal che l’infondatezza della censura.

8 Il quarto motivo riguarda la già ricordata deduzione dell’illegittimità del titolo impugnato a causa della violazione della norma introdotta dall’art. 9 comma 1 punto 2) del dm 1444 del 1968 in relazione alla distanza minima assoluta tra le pareti finestrate e le pareti di edifici antistanti.

Assumono le ricorrenti che, una volta di più, il progetto approvato dall’amministrazione civica collide con le disposizioni denunciate, posto che l’eventuale nuova fabbrica si porrà a distanza di metri 7,70 (settevirgolasettanta) dalla parete finestrata dell’immobile di proprietà di una delle ricorrenti, e così in violazione della fondamentale norma menzionata.

All’esame del motivo il collegio deve premettere il richiamo alla consolidata giurisprudenza civile e amministrativa (ad esempio cass. 2016, n. 9649, tar Liguria, 2015, n. 1002, cons. Stato 2005, n. 5348) secondo cui il metodo di misurazione legale del distacco che deve ammettersi per la veduta da una finestra si calcola in modo radiale, mentre i distacchi tra gli edifici vanno misurati con il metodo lineare.

In tal senso l’indicazione rilevabile dalla tavola undici (di produzione comunale) del progetto riporta la ricordata distanza (metri 7,70) muovendo da una considerazione non ortogonale, e quindi radiale, del distacco tra i punti indicati.

A fianco di tale indicazione si legge il più corretto computo della separazione tra lo spigolo assunto come base di calcolo e la parete opposta che risulta superiore ai dieci metri lineari: il risultato così ottenuto deriva dalla traslazione in modo omogeneo della fronte dell’immobile in progetto verso la facciata della casa delle ricorrenti, utilizzando la metodologia ortogonale o lineare.

La correttezza di tale procedimento deriva dalla ricordata adesione ai principi riportati, dal che segue l’infondatezza della censura.

9 Il quinto motivo denuncia la violazione delle norme del piano che riguardano le caratteristiche che devono avere gli edifici nella zona TUL1 del PUC, dove non sono ammesse nuove costruzioni, ma solo interventi sul patrimonio esistente. Anche questi ultimi devono conformarsi ai caratteri storico-ambientali vigenti nella porzione del territorio del comune tendendo “… di necessità ad inserirsi nel tessuto circostante, con altezze e allineamenti congruenti, migliorando le condizioni di soleggiamento, di prospettazione, la dotazione degli standard, salvaguardano e incrementando il verde…”, sì che nella settore sarebbero ammissibili soltanto interventi capaci di garantire la preservazione dei caratteri degli edifici circostanti, cosa che il progetto non assicura. L’immobile assentito ha infatti grandi vetrate incongrue rispetto al contorno, riduce gli standard con l’inurbamento che sarà apportato dalla modificazione della costruzione e dalla mancanza di un equilibrato rapporto tra gli edifici e i percorsi veicolari e pedonali.

La contestazione si articola pertanto in due profili che vanno esaminati partitamente.

Con la prima deduzione si censura l’incongruità del manufatto in progetto con la situazione esistente in zona, ma il collegio nota che lo SOI depositato è assai diffuso nei dettagli, soprattutto per quanto attiene alla versatilità dell’immobile in progetto ad integrarsi con quelli circostanti. La correttezza di tale assunto si deriva dalla previsione della congruità delle altezze degli edifici, da quella dei distacchi che vengono mantenuti tra gli stessi e dalla presenza delle alberature che tendono ad ingentilire la zona.

Va poi notato che, sul punto, soprattutto le difese della parte controinteressata hanno opposto argomenti alle tesi delle ricorrenti, rilevando che le immagini prodotte documentano la possibilità di un’armonica coesistenza tra l’immobile in questione quelli circostanti.

Oltre a ciò, e in assenza di più specifiche indicazioni sui singoli profili di contrasto tra il progetto e le norme applicabili nella zona TUL1, sembra che molte delle contestazioni dedotte attengano al merito, risultando per ciò inammissibili.

L’altra doglianza proposta con il quinto motivo appare iterativa della censura che si legge nel primo mezzo, nella parte in cui si lamentavano l’assenza di spazi a parcheggio, e altri beni destinati a standard.

Il collegio ribadisce a tale riguardo che il progetto alloca i parcheggi su parte dell’ampia zona adibita a giardino, che l’accesso alla viabilità principale (la via Aurelia, localmente denominata via Ardoino) è garantito così come esso era in precedenza, e che nulla verrà mutato nel passaggio tra la proprietà e il mare.

Per tali ragioni la complessa censura non merita condivisione.

10 Il sesto motivo deduce tra l’altro la violazione dell’art. 12 del dpr 6.6.2001, n. 380, in quanto il progetto non darebbe conto dell’esistenza delle opere di urbanizzazione che devono presidiare la vivibilità di un’area in relazione alle costruzioni ed alle attività umane insediate.

La doglianza si articola sulla considerazione dell’impatto che avrà sul sito la trasformazione del luogo di riposo delle monache in un complesso con otto unità immobiliari, a fronte del quale si appalesano insufficienti i lavori in progetto su un marciapiede e la monetizzazione accordata dal comune alla società costruttrice.

La denunciata manchevolezza delle opere di urbanizzazione è stata considerata esaminando le pregresse censure, allorché venne notato che tutti i servizi sono assicurati all’immobile in questione.

La contestazione relativa alla monetizzazione è invece generica, posto che le ricorrenti lamentano l’impossibilità di ammettere il costruttore al supposto beneficio se non in base ad un’attenta valutazione della situazione dei fondi, ma non si diffondono sulle ragioni addotte per tale motivo dal provvedimento comunale, sì che la contestazione di una motivazione che si assume insufficiente deve innanzitutto procedere dal suo esame, una profilo che nella specie è mancante.

In tal senso, e senza esorbitare dalla domanda proposta, il collegio nota che non appare incongrua la prevalenza assegnata dall’amministrazione alla conservazione degli spazi soprattutto di quelli alberati, rispetto alla diversa esigenza di creare stalli a parcheggio esterni al sedime di pertinenza.

Il complesso motivo è pertanto infondato e va respinto.

11 Il settimo mezzo censura la violazione delle norme del testo unico dell’edilizia in relazione a quelle del PTCP, che destinano il sito in questione al mantenimento: il progetto approvato disattende l’intendimento della norma, in quanto ammette la realizzazione di una struttura incongrua rispetto alle preesistenze.

La censura ripercorre in larga misura aspetti dedotti in precedenza, e restando ai profili di stretta legittimità, nota che le relazioni paesistiche depositate e non analiticamente contestate danno conto della solo parziale correttezza dell’assunto secondo cui gli immobili circostanti quello in progetto conservano le finestre tipiche dei borghi liguri: sembra allora che la doglianza come dedotta sia carente nell’allegazione degli elementi di prova a corredo, così come non sono enunciate le norme che sarebbero state violate nella previsione delle aree a standard.

Ne deriva che anche questo motivo non può ricevere favorevole considerazione.

12 L’ottava censura è la prima rubricata con riguardo alla violazione delle norme paesistiche, e lamenta la mancanza della motivazione a corredo del titolo assentito a tale riguardo.

Il collegio nota che l’autorizzazione gravata (926/2016) è derivata dall’esame operato dall’amministrazione del parere della CLP 26.1.2016, che non suscitò alcun riscontro da parte della competente sopraintendenza.

In tale contesto il collegio nota che l’atto consultivo citato attribuisce scarso rilievo alla trasformazione del sedime in progetto, sì che esso è stato ritenuto compatibile con il vincolo imposto in zona dal dm del 1962.

Oltre a ciò la stesura della prevista costruzione contestata dalle ricorrenti risulta sostanzialmente modificata rispetto a come essa appariva nell’assentimento dell’amministrazione secondo gli atti oggetto della cognizione di cui alla ricordata sentenza 996/2015 di questo tribunale amministrativo.

In questo frattempo l’amministrazione comunale e la parte controinteressata hanno dato corso ad un’opera di ricomposizione del progetto che ha previsto la contrazione degli spazi abitabili offerti e una più ampia tutela del verde esistente. Anche su questo profilo il ricorso non è diffuso, sì che la motivazione comunale che ha ammesso il progetto in via paesistica resiste alle censure in esame.

Esse vanno pertanto disattese.

13 La successiva (nona) doglianza riguarda la violazione del piano di bacino che deriverebbe dall’attuazione del progetto ammesso dal comune.

Al riguardo la provincia di Imperia ha approvato lo strumento idrogeologico 30.1.2001 con la deliberazione consiliare n. 9 che individua il sito in questione con il regime di inondabilità “A”; la successiva deliberazione del consiglio provinciale 10.4.2014, n. 29 ha ricondotto le aree in questione al regime di massima tutela, vietando le nuove edificazioni e quant’altro sia capace di ostacolare il libero deflusso delle acque del torrente san Pietro verso il mare.

Il collegio nota a tale riguardo che, visti i vincoli derivanti dal piano di bacino così delineato, l’amministrazione comunale ha apprezzato che il progetto abbia previsto la già ricordata sopraelevazione del piano di calpestio rispetto a quello di campagna, la realizzazione di muri confinari con scarse aperture capaci di favorire il deflusso delle acque torrentizie verso il mare e l’inerbimento delle aree interne al lotto così da rallentare i flussi alluvionali.

E’ poi dedotta la violazione dell’art. 23 comma 5 del piano di bacino che limita gli interventi ammissibili in fascia “A” di inondabilità a quanto ammesso dall’art. 31 comma 1 lett d) della legge 457 del 1978, ossia alla ristrutturazione rispettosa della fedele conformità tra il demolito e il realizzato.

Anche a questo riguardo il collegio richiama le osservazioni svolte sul rilievo che ha avuto sulla sistematica delle norme in questione l’entrata in vigore dell’art. 30 del d.l. 69 del 2013, dal che l’irrilevanza della fedeltà del manufatto in progetto alla sagoma di quello preesistente.

Anche il nono motivo è pertanto infondato e va disatteso.

14 La decima doglianza denuncia la violazione delle norme del testo unico dell’edilizia in combinato con quelle dell’art. 27 del PUC nella parte in cui nella zona di inondabilità “A” ammettono interventi più limitati di quelli in progetto.

Al riguardo il collegio deve convenire con le difese resistenti nella parte in cui queste hanno notato che la norma in questione (art. 25 PUC) si riferisce ai soli fondi limitrofi alla riva del torrente san Pietro, mentre il sedime in questione dista da esso oltre cento metri. Dal che l’infondatezza in fatto della censura.

15 L’undicesima doglianza denuncia l’omesso apprezzamento del rischio sismico da parte dell’amministrazione comunale: tuttavia dagli atti risulta che il territorio in questione è attualmente classificato come 3 S a bassa sismicità, per cui non era necessario prevedere particolari accorgimenti per l’edificazione.

Anche questo motivo è pertanto infondato.

16 L’ultima doglianza riguarda l’omesso invio della comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe dovuto precedere l’adozione degli atti impugnati.

La tesi esposta è nel senso della non applicabilità alla specie dell’orientamento secondo cui, in questa materia, non vi sarebbe spazio per l’operatività della disposizione prevista dall’art. 7 della legge 7.8.1990, n. 241, posto che all’amministrazione comunale è rimessa una mera attività accertativa della compatibilità tra il progetto e lo strumento vigente.

Il collegio nota che una pronuncia al riguardo non è necessaria, posto che dopo il deposito della precedente e più volte citata sentenza 996/2015 le parti oggi ricorrenti hanno avuto modo di interloquire sulla successiva domanda della controinteressata (esposto 4.1.2017), sì che la doglianza non ha chiarito quale sia l’effettiva rilevanza dell’omissione denunciata.

17 In conclusione il ricorso è infondato e va respinto: le spese seguono la soccombenza e sono equamente liquidate in dispositivo, tenendo conto del valore dei beni oggetti di lite e della natura dell’attività defensionale resasi necessaria.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima),

Respinge il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese di causa sostenute dalle controparti costituitesi, importi che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per ciascuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Daniele, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere, Estensore
Richard Goso, Consigliere

L’ESTENSORE
Paolo Peruggia
        
IL PRESIDENTE
Giuseppe Daniele
        
        
IL SEGRETARIO

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