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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1257 | Data di udienza: 10 Ottobre 2013

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 146, c. 6 d.lgs. n. 42/2004 – Differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia – Norma programmatoria – Automatica condizione di incompatibilità – Esclusione – fattispecie: autorizzazione paesaggistica rilasciata dal medesimo soggetto che aveva sottoscritto il permesso di costruire.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Liguria
Città: Genova
Data di pubblicazione: 30 Ottobre 2013
Numero: 1257
Data di udienza: 10 Ottobre 2013
Presidente: Balba
Estensore: Ponte


Premassima

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 146, c. 6 d.lgs. n. 42/2004 – Differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia – Norma programmatoria – Automatica condizione di incompatibilità – Esclusione – fattispecie: autorizzazione paesaggistica rilasciata dal medesimo soggetto che aveva sottoscritto il permesso di costruire.



Massima

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 30 ottobre 2013, n.1257


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Art. 146, c. 6 d.lgs. n. 42/2004 – Differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia – Norma programmatoria – Automatica condizione di incompatibilità – Esclusione – fattispecie: autorizzazione paesaggistica rilasciata dal medesimo soggetto che aveva sottoscritto il permesso di costruire.

In linea generale, in assenza di una specifica tipologia di incompatibilità, prevale l’autonomia delle attività e delle valutazioni, garantita dal diverso iter procedimentale nonché dai diversi presupposti oggetto di esame. Pertanto, a fronte di una valutazione basata su tali differenti presupposti (per un verso urbanistico edilizi e per l’altro di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico esistente) nonché di iter presso organi anche consultivi diversi, ed in assenza di specifici elementi da cui desumere una specifica incompatibilità, non è possibile inferire automaticamente che la stessa persona non possa partecipare, laddove ne abbia le competenze, a differenti valutazioni (nella specie, il medesimo soggetto aveva sottoscritto il permesso di costruire e rilasciato l’autorizzazione paesaggistica). In tale contesto, pertanto, l’art. 146 comma 6 d.lgs. 422004, la quale in termini di indicazione programmatoria a monte, prevede che “gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia” va interpretata nel senso di dover assicurare la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico nonché la differenziazione oggettiva di valutazione e della relativa attività.

Pres. Balba, Est. Ponte – A.F. e altro (avv. Crucioli) c. Comune Di Sarzana (avv. Sozzani), Soprintendenza Per I Beni Architettonici E Paesaggistici Della Liguria (Avv. Stato) e altri (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 30 ottobre 2013, n.1257

SENTENZA

 

TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 30 ottobre 2013, n.1257

N. 01257/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00707/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 707 del 2012, proposto da:
Andrea Forcieri, Lucia Fregoso, rappresentati e difesi dall’avv. Mattia Crucioli, con domicilio eletto presso Mattia Crucioli in Genova, V.Mameli 3 -Anzi V. Assarotti 11/9;

contro

Comune Di Sarzana in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall’avv. Fabio Cozzani, con domicilio eletto presso Vittorio Corte in Genova, via G.Mameli 1; Commissione Edilizia c/o Comune Di Sarzana, Commissione Per Il Paesaggio Locale c/o Comune Di Sarzana; Soprintendenza Per I Beni Architettonici E Paesaggistici Della Liguria, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Genova, v.le Brigate Partigiane 2;

nei confronti di

Manrico Bonci, Donatella Casella, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Massa, con domicilio eletto presso Francesco Massa in Genova, via Roma 11/1;

per l’annullamento

provvedimenti recanti permesso di costruire datato 4\6\2012 ed autorizzazione paesaggistica datata 11\4\2012.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune Di Sarzana in Persona del Sindaco P.T. e di Soprintendenza Per I Beni Architettonici E Paesaggistici Della Liguria e di Manrico Bonci e di Donatella Casella;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il ricorso in esame le odierne parti ricorrenti, nella qualità di proprietari di – nonchè residenti in – immobile limitrofo a quello oggetto di contestazione, esponevano di aver già impugnato i provvedimenti recanti permesso di costruire ed autorizzazione paesaggistica di approvazione di un intervento di ristrutturazione, cambio di destinazione d’uso, frazionamento ed ampliamento di immobile di proprietà degli odierni controinteressati. Tale permesso veniva poi a scadere, cosicchè il progetto era oggetto di riproposizione ed approvazione con i provvedimenti di cui in epigrafe, impugnati nella presente sede.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda e gli atti procedimentali che hanno portato ai provvedimenti contestati, venivano quindi, in questa sede, dedotte le seguenti censure:

– violazione degli artt. 7 l. 241\1990 e 146 comma 7 d.lgs. 42\2004, difetto di istruttoria e di motivazione, per mancato coinvolgimento nell’iter approvativo dei contro interessati ben noti in quanto già impugnanti gli analoghi precedenti atti;

– violazione dell’art. 146 comma 6 d.lgs. 42\2004, in quanto l’autorizzazione paesaggistica risulta rilasciata dal medesimo soggetto che ha sottoscritto il permesso di costruire, per violazione della necessaria differenziazione;

– violazione degli artt. 3 e 10 l. 241\1990, difetto di istruttoria e di motivazione, per mancata valutazione delle osservazioni presentate dai ricorrenti in sede procedimentale;

– eccesso di potere e sviamento in quanto, nonostante il mutamento del nome da ristrutturazione a recupero, l’intervento assentito va qualificato come ristrutturazione;

– violazione degli artt. 30 e 22 nta prg, nonché dell’all. A punto 6, eccesso di potere per difetto di istruttoria di presupposti e di motivazione, che consente mutamento di destinazione d’uso solo all’interno delle categorie residenza direzionale e ricettivo mentre nella specie un manufatto palesemente agricolo (magazzino) diviene residenza con ampliamento, oltretutto in violazione dell’obiettivo fondamentale, per la zona in questione, di salvaguardare le caratteristiche specifiche del tipo di manufatto e degli elementi architettonici e stilistici dei quali è composto;

– violazione degli artt. 5 e 30 punto 4 nta cit., difetto di istruttoria e motivazione, avendo assentito non solo il 20 % in più ma altresì un ulteriore 10 % di piano interrato e un garage di 30 mq;

– in subordine, rispetto al motivo precedente, violazione dell’all.A ed analoghi profili di eccesso di potere in quanto box e cantina non erano assentibili non essendo a servizio di abitazioni già censite;

– violazione dell’art. 30 reg edil, eccesso di potere per difetto di istruttoria di presupposti e di motivazione, in tema di misure dei lati degli ambienti e dell’altezza media inferiori ai minimi consentiti;

– violazione dell’art. 3 l. 241 cit., eccesso di potere per difetto di istruttoria di presupposti e di motivazione, per carenza nella motivazione dei pareri sia edilizi che paesaggistici, specie laddove si ritiene che un intervento che consente di realizzare due edifici residenziali in luogo di un unico manufatto agricolo siano rispettosi delle caratteristiche dell’edificio originario;

– travisamento, perplessità, contraddittorietà, per la totale confusione nei pareri richiamati.

L’amministrazione comunale intimata e parte controinteressata si costituivano in giudizio e, controdeducendo punto per punto, chiedevano la declaratoria di inammissibilità per carenza di interesse o acquiescenza ed il rigetto del gravame.

Con ordinanza n. 331\2012 veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati e fissata udienza di merito.

In sede di appello cautelare, con ordinanza n.4563\2012 veniva unicamente consentito di ultimare i lavori di copertura del fabbricato rurale in questione.

Alla pubblica udienza del 10\10\2013 la causa passava in decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, parte resistente ha sollevato eccezione di inammissibilità per carenza di interesse o comunque per acquiescenza.

L’eccezione è infondata sotto entrambi i profili.

1.1 Per ciò concerne la contestata vicinitas e l’assenza di pregiudizio per i ricorrenti, l’eccezione appare all’evidenza pretestuosa: se in linea di fatto è incontestato come gli immobili siano distanti solo 15 metri e collocati nel medesimo contesto urbanistico territoriale, in linea di diritto costituisce jus receptum, ribadito dalla sezione e dalla prevalente giurisprudenza, che i proprietari di immobili posti in zone confinanti o limitrofe con quelle interessate da un permesso di costruzione sono sempre legittimati ad impugnare i titoli edilizi che, incidendo sulle condizioni dell’area, possono pregiudicare la loro proprietà e, più in generale, possono modificare l’assetto edilizio, urbanistico ed ambientale della zona, nè è necessaria la prova di un danno specifico, in quanto il danno a tutti i membri di quella collettività è insito nella violazione edilizia (cfr. ad es. Consiglio di Stato n. 3055\2013 e 2488\2013, Tar Liguria n. 34\2013). Nel caso di specie la vicinanza e l’identità del contesto territoriale ed urbanistico, invero riconosciuta anche dalla pianificazione vigente oggetto di applicazione, è indiscussa, come emerge dalla documentazione cartografica, fotografica e anche progettuale versata in atti.

1.2 Per ciò che concerne la presunta acquiescenza che deriverebbe dalla servitù esistente in via privatistica fra le parti o i rispettivi danti causa, la stessa appare del tutto priva di effetti ai fini in esame, sia per la natura meramente civilistica – non immediatamente vincolante in ordine alla legittimità degli atti di governo del territorio adottati dal Comune – sia, in particolare, per la limitata consistenza della stessa. Infatti, a quest’ultimo proposito, dall’analisi della documentazione versata in atti emerge chiaramente come la servitù invocata riguardi solo l’assenso al superamento delle distanze dal confine fino a 4 metri lineari, non potendo estendersi quindi al presunto assenso a qualsiasi modifica dell’immobile confinante; quest’ultimo nel caso de quo viene trasformato, a prescindere dalle distanze, con un ampliamento rilevante, accompagnato da un mutamento di destinazione d’uso parimenti rilevante, in quanto trasforma un manufatto agricolo ad uso magazzino, dai connotati tipici di tale tipologia di manufatti anche in termini di aperture e di conformazione, in doppio edificio residenziale con scale esterne e finestre adeguate a tale nuovo utilizzo. Pertanto, del tutto irrilevante è il precedente assenso, sotto forma di diritto reale di servitù, a modifiche concernenti le sole distanze, che peraltro neppure vengono in rilievo nel caso di specie.

2. Nel merito ricorso appare all’evidenza fondato sotto alcuni profili assorbenti, in specie per ciò che concerne il mancato rispetto della disciplina urbanistica vigente.

2.1 L’esame delle censure va preceduto dalla disamina della situazione dei luoghi, nello stato attuale ed in quello derivante dalla trasformazione assentita con gli atti impugnati. Al riguardo, l’esame delle foto dell’esistente nonché dei progetti approvati rende evidente la consistenza dell’intervento, oltre al mutamento di uso ed alle complesse modifiche che interessano l’aspetto e la consistenza dell’edificio, palesemente connesse alla trasformazione della destinazione, cui pertanto consegue anche un aumento del carico urbanistico, tale di per sé da integrare un pregiudizio anche nella non creduta ipotesi in cui si reputasse di aderire alla tesi riduttiva della vicinitas propugnata da parte controinteressata in sede di eccezione preliminare.

3. Fatta questa necessaria premessa, occorre passare all’esame delle censure dedotte.

3.1 Con il primo motivo gli odierni ricorrenti lamentano la violazione delle garanzie partecipative, in quanto la precedente impugnazione li rendeva controinteressati di immediata individuazione rispetto all’iter di nuova approvazione.

La censura non è suscettibile di accoglimento. La sezione in materia si è già espressa ribadendo il principio a mente del quale il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento avviato per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti occasioni all’attività edilizia dell’altro soggetto confinante (cfr. Tar Liguria n. 1736\2009).

3.2 Con il secondo ordine di censure, viene dedotta la violazione dell’art. 146 comma 6 d.lgs. 42\2004, in quanto l’autorizzazione paesaggistica risulta rilasciata dal medesimo soggetto che ha sottoscritto il permesso di costruire, con conseguente commistione di valutazioni palesemente differenti da cui discende l’incompatibilità del funzionario.

Invero, in linea generale, in assenza di una specifica tipologia di incompatibilità, prevale l’autonomia delle attività e delle valutazioni, garantita dal diverso iter procedimentale nonché dai diversi presupposti oggetto di esame. Pertanto, a fronte di una valutazione basata su tali differenti presupposti (per un verso urbanistico edilizi e per l’altro di compatibilità rispetto al vincolo paesaggistico esistente) nonché di iter presso organi anche consultivi diversi, ed in assenza di specifici elementi da cui desumere una specifica incompatibilità, non è possibile inferire automaticamente che la stessa persona non possa partecipare, laddove ne abbia le competenze, a differenti valutazioni. E’ pur vero che proprio la diversità di valutazioni renderebbe opportuno, nell’interesse della stessa amministrazione, la divaricazione soggettiva dei funzionari responsabili; peraltro, la scarsità di risorse degli enti locali, specie di piccole dimensioni, rende di non facile raggiungimento tale auspicabile obiettivo; anche su tali considerazioni si fonda, presumibilmente, la stessa formulazione della norma invocata, che parla di garantire la differenziazione di attività. Ciò non toglie che il sindacato delle diverse valutazioni debba essere svolto con i dovuti specifici approfondimenti, pur nell’identità del progetto, distinguendo i presupposti di ammissibilità edilizia da quelli, ben distinti, della compatibilità col vincolo paesaggistico.

E’ in tale contesto che va quindi interpretata la norma invocata, la quale, in termini di indicazione programmatoria a monte, prevede che “gli enti destinatari della delega dispongano di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”. In assenza della necessaria formalizzazione di una incompatibilità soggettiva, ciò che deve essere assicurato è la sussistenza di un adeguato livello tecnico scientifico nonché la differenziazione oggettiva di valutazione e della relativa attività. E’ evidente che tale differenziazione sia meglio perseguibile in caso di divaricazione soggettiva dei soggetti titolari delle rispettive competenze; tuttavia, in assenza di una specifica regola di incompatibilità soggettiva si impone un’esegesi conforme all’autonomia ed alle carenze organizzative dei Comuni, salva ovviamente, a valle, l’attenta analisi delle censure dedotte avverso il provvedimento conclusivo e l’iter istruttorio, al fine di verificare la sussistenza nella specie delle adeguate cognizioni, della autonoma valutazione e della specifica esplicazione delle ragioni sottese alla decisione amministrativa, che la giurisprudenza impone sia per l’accoglimento del progetto che per il diniego.

Invero, in linea ordinaria l’esercizio del potere valutativo comunale è vincolato dal parere del Soprintendente, cosicchè la questione in esame perde di particolare rilievo nel caso normale disciplinato dal comma 6 dell’art. 146. Nel caso di specie, invece, è stato esercitato il potere – dovere di cui al comma 9, in assenza del parere dell’organo statale.

In tale contesto, la disposizione invocata col motivo in esame – come emerge dalla sua stessa formulazione – è nata all’evidenza come norma di carattere programmatorio, il cui destinatario primario è la Regione la quale, nel valutare la tipologia di organo cui eventualmente delegare la funzione in parola, deve valutare gli elementi indicati dal legislatore; al riguardo, è possibile, come fatto in altre in altre Regioni, individuare elenchi di comuni aventi le necessarie caratteristiche, ovvero incentivare forme di associazione e cooperazione fra comuni per l’esercizio di tale funzione. Nel caso in esame, in assenza di tali adempimenti regionali, valgono le considerazioni predette, non potendo farsi cadere a carico dei singoli comuni, in termini di illegittimità di singoli atti per mera incompatibilità soggettiva, un previsione programmatoria quale quella invocata.

3.3 Con il terzo ordine di censure, si deduce la mancata valutazione delle osservazioni presentate dai ricorrenti in sede procedimentale. Al riguardo, nessuna osservazioni risulta essere stata formulata nel corso dell’iter, autonomo rispetto al precedente, conclusosi con i provvedimenti in epigrafe. Di conseguenza, gli oneri valutativi di considerazioni svolte su di un precedente progetto rientravano nella sfera dell’opportunità della p.a., che avrebbe dovuto spingere gli uffici comunali ad un più attento esame d’ufficio della compatibilità dell’intervento, e non dell’obbligo giuridico formalizzato.

3.4.1 Prima facie fondate invece appaiono le censure di carattere urbanistico, sviluppate nei motivi da 4 a 7.

Indiscussa la consistenza e la qualificazione del progetto – ristrutturazione con ampliamento e mutamento di destinazione d’uso da agricolo a residenziale -, l’ammissibilità dell’intervento parte da un errato presupposto, cioè la considerazione in base alla quale l’art. 30 del piano consentirebbe la variazione d’uso anche verso le destinazioni residenza, direzionale e ricettivo.

Tale opzione ermeneutica appare all’evidenza contrastante con la disciplina urbanistica vigente, sia dal punto di vista del tenore letterale del piano, sia dal punto di vista dell’interpretazione funzionale, svolta sulla scorta degli obiettivi resi palesi del piano stesso.

Sotto il primo versante, la norma di piano invocata statuisce che “le destinazioni d’uso consentite sono di norma quelle in atto: sono ammesse variazioni all’interno di residenza, direzionale e ricettivo”; in tale contesto, pertanto, è evidente che il mutamento di destinazione può avvenire da una di queste tre ad un’altra delle stesse tre, non certo dall’esterno verso di esse, come pretenderebbero le difese resistenti.

Sotto il secondo versante, tale formulazione appare l’unica compatibile con l’obiettivo di mantenimento dei caratteri dell’area; il regime di conservazione, dettato quale obiettivo dell’area in questione, comporta quindi coerentemente il mantenimento dei caratteri e degli elementi architettonici, con la salvaguardia specifica delle caratteristiche del manufatto. Il mutamento di destinazione d’uso, consentito unicamente fra le predette categorie, appare conforme a tale obiettivo, con il limite del mantenimento dei caratteri del singolo edificio rispetto al connesso pur se distinto uso (residenziale piuttosto che ricettivo e direzionale), rispetto al quale invece appare scontrarsi la trasformazione da magazzino agricolo a edificio residenziale, accompagnato fra l’altro (a conferma della predetta lettura del piano) da evidenti e palesi mutamenti dei caratteri e degli stili architettonici, come emerge ad esempio dalle nuove bucature destinate a finestre e le scale esterne di accesso.

A conferma di tale opzione ermeneutica, l’unica in grado di dare una coerente sistematica al piano anche rispetto al suo tenore letterale, la nozione di ristrutturazione invocata dalle parti resistenti risulta ben diversamente utilizzata e descritta in altri ambiti territoriali del medesimo piano, in cui gli invocati mutamenti ed ampliamenti risultano consentiti.

Inoltre, la norma invocata prescrive il rispetto di elementi di valore, quali ad esempio dimensioni delle aperture e scale di accesso esterne; orbene, nel caso de quo l’intervento incide pacificamente e palesemente su entrambi gli aspetti, che invece andrebbero rispettati, creando nuove ampie aperture quali finestre per rendere abitabile il manufatto, nonché inserendo nuove scale di accesso esterne.

3.4.2 La consistenza del progetto assentito, come emergente dalle relazioni tecniche, e l’esame della disciplina di piano confermano altresì la fondatezza degli ulteriori rilievi di carattere urbanistico edilizio. Il previsto mutamento di destinazione, da agricolo a residenziale, esclude in radice la possibilità di invocare la norma di piano di cui al settimo motivo (art. 74 zona Bradia) che consente la realizzazione di nuovi accessori di unità edilizie già esistenti come abitazioni, in quanto il manufatto in questione è pacificamente non un’abitazione ma un magazzino agricolo.

Inoltre, la stessa disciplina generale di piano (art. 5) impone, negli ammessi casi di ristrutturazione (e tale è la consistenza per la stessa difesa resistente), che il calcolo della superficie debba essere comprensivo di box e cantine; applicando tale regola generale della pianificazione vigente gli stessi dati tecnici di parte proponente del progetto conferma lo sforamento del limite ammesso per l’ampliamento. Invero, a conferma dell’inammissibilità del progetto, lo sforamento rispetto al limite del 20 % vi è anche senza considerare le superfici accessorie.

Prima facie destituite di fondamento appaiono le contestazioni circa l’assenza di interesse alle censure su tali elementi accessori: oltre a quanto già ricordato in generale sul punto, va evidenziato come superfici di tale natura comportano in ogni modo un aumento del carico urbanistico, in confronto al quale è certa la sussistenza dell’interesse del titolare della vicinitas alla verifica del rispetto della disciplina urbanistica vigente.

3.5 Ad analoghe conclusioni positive deve giungersi rispetto all’ottavo motivo di gravame, concernente la violazione dell’art. 30 reg edil, in tema di misure dei lati degli ambienti e dell’altezza media, nel caso di specie inferiori ai minimi consentiti. Infatti, se nella specie la violazione in termini numerici neppure appare contestata, la contestazione circa l’interesse è superata da quanto sin qui evidenziato in merito alla piena legittimazione dei titolari della vicinitas al rispetto della normativa edilizia ed urbanistica vigente anche, e soprattutto, laddove la stessa abbia altresì valenza igienico ambientale (in specie per ciò che concerne, nel caso de quo, la cucina).

3.6 Infine, parimenti fondati appaiono i vizi dedotti con il nono ordine di motivi, in specie relativamente al difetto di motivazione ed errore sui presupposti della necessaria valutazione edilizia e paesaggistica laddove si ritiene che un intervento che consente di realizzare due edifici residenziali in luogo di un unico manufatto agricolo siano rispettosi delle caratteristiche dell’edificio originario. In proposito, anche a prescindere dalla confusione e dagli errori nel richiamo dei pareri acquisiti – che già di per sé comunque evidenziano una palese carenza nell’approfondimento seguito dagli organi comunali, oltre ai già rilevati dubbi sulla adeguata differenziazione – gli atti definitivi si fondano su presupposti (mantenimento dei volumi e delle caratteristiche tipiche dell’edificio rurale) smentiti dall’analisi del progetto (che comporta aumento del volume e della superficie nonché mutamento dei caratteri tipici). Con riferimento ai caratteri tipici, il vizio appare ancor più evidente laddove, rispetto al riconosciuto obiettivo del necessario mantenimento, la p.a. si accontenta del fatto che il nuovo intervento ne mantiene qualcuno in più di quello precedente, con ciò evidenziando l’assenza globale del mantenimento.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso è fondato sotto i profili indicati, con conseguente accoglimento dello stesso ed annullamento degli atti impugnati.

Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna le parti resistenti in solido al pagamento delle spese di lite in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila\00), oltre accessori dovuti per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Santo Balba, Presidente
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Luca Morbelli, Consigliere

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
        

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/10/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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