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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1766 | Data di udienza: 24 Ottobre 2012

* DIRITTO URBANISTICO – Distanze legali tra edifici – Sporgenze esterne – Computabilità – Esempi.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 7 Novembre 2012
Numero: 1766
Data di udienza: 24 Ottobre 2012
Presidente: Calderoni
Estensore: Bertagnolli


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – Distanze legali tra edifici – Sporgenze esterne – Computabilità – Esempi.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 7 novembre 2012, n. 1766


DIRITTO URBANISTICO – Distanze legali tra edifici – Sporgenze esterne – Computabilità – Esempi.

Ai fini della verifica del rispetto delle distanze legali tra edifici, non sono computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità (come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili); sono, invece, computabili, rientrando nel concetto civilistico di costruzione, le parti dell’edificio (quali scale, terrazze e corpi avanzati) che, benché non corrispondano a volumi abitativi coperti, siano destinati a estendere e ampliare la consistenza del fabbricato. (Consiglio Stato, sez. IV, 27 gennaio 2010, n. 424; Corte appello Brescia, sez. II, 18 maggio 2009; Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3539).  (Fattispecie relativa a box esterni, destinati ad allevamento di cani, realizzati in rete metallica).

Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli – M.S. (avv.ti Fiaccamento e Vasta) c. Comune di Montichiari (avv. Ballerini) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ - 7 novembre 2012, n. 1766

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 7 novembre 2012, n. 1766

N. 01766/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00213/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 213 del 2012, proposto da:
Maurizio Salanitro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Fiaccamento e Stefania Vasta, con domicilio eletto presso Stefania Vasta in Brescia, via Vittorio Emanuele II, 1;

contro

Comune di Montichiari, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37;
Asl 302 – A.S.L. della Provincia di Brescia, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Allevamento Cani “Michela” di Beatini Sergio, rappresentato e difeso dall’avv. Monia Rodolfi, con domicilio eletto presso Monia Rodolfi in Brescia, via Solferino, 26;

per l’annullamento

del provvedimento prot. n. 31566/2011 del 27/10/2011 di autorizzazione allo svolgimento dell’attività di allevamento e pensionamento cani, nonchè di ogni altro atto connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Montichiari e di Allevamento Cani “Michela” di Beatini Sergio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2012 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Nel ricorso, ritualmente notificato e depositato, il sig. Maurizio Salanitro espone di risiedere nel Comune di Montichiari, al civico 41 di via della Madonnina, dirimpetto al civico 148 presso cui ha sede l’attività di allevamento e pensionamento cani denominata “Allevamento cani Michela di Beatini Sergio”.

La distanza dell’abitazione dall’allevamento varia tra i 27,35 e i 38,25 mt ed è questa la ragione per cui, nel 2000, l’ASL di Brescia aveva espresso parere negativo alla trasformazione della preesistente stalla in allevamento di cani, mancando la distanza minima dall’abitazione individuata dalla vigente normativa in 50 metri. Tale parere è stato, però, successivamente superato (così da condurre al rilascio dell’autorizzazione prot. 1202 del 17 gennaio 2001) sulla scorta della (erronea secondo il ricorrente) considerazione del fatto che non si trattava di un allevamento nuovo, ma della riconversione di attività preesistente. Peraltro l’autorizzazione è stata rilasciata prescrivendo il divieto di utilizzo dei box contraddistinti dai nr. 1, 2, 3 e 4, in quanto collocati a distanza inferiore a 50 mt, l’obbligo di copertura della concimaia, l’obbligo di creare una barriera alberata e di ricoverare non più di 91 cani.

A seguito dell’entrata in vigore della legge regionale n. 16/2006 il sig. Beatini ha presentato (il 28 ottobre 2008) una “richiesta di rinnovo dell’autorizzazione ex regolamento Regione Lombardia n. 2 del 5 maggio 2008”. Dopo copiosa corrispondenza intercorsa per ottenere l’integrazione della documentazione, il 13 maggio 2009 il Comune, con nota prot. 14921 ha assegnato un termine di sessanta giorni per consegnare i documenti richiesti, pena la revoca dell’autorizzazione. Il 31 luglio 2009 è stato, quindi, concesso un ulteriore termine di trenta giorni e il 23 dicembre 2009, accertata l’assenza di rispetto dei parametri di legge (già evidenziata il 15 ottobre 2009), il Comune ha assegnato il termine ultimo del 31 dicembre 2010 per l’adeguamento della struttura. Il 22 dicembre 2010, con provvedimento prot. 37548 è stata concessa un’ulteriore proroga di 180 giorni.

Solo il 5 settembre 2011 il Comune ha dichiarato la decadenza dall’autorizzazione n. 1201/2001.

Il sig. Beatini ha, però, il 15 settembre 2011, con denominazione sociale diversa (essendo sopravvenuta la denominazione “allevamento cani Michela di Beatini Sergio”) richiesto una nuova autorizzazione, rilasciata dal Comune e oggetto di censura da parte del ricorrente, per le seguenti ragioni di diritto:

1. violazione del regolamento locale d’igiene che imporrebbe la distanza minima, per i nuovi allevamenti o ampliamenti degli esistenti, di 50 metri da case isolate abitate da terzi. In ragione del permesso di costruire n. 40/11 e della variante n. 104/11, sono stati realizzati box e recinti per la detenzione degli animali proprio nella parte antistante l’immobile, ovvero nella zona prospiciente l’abitazione del ricorrente;

2. violazione della l.r. n. 16/06 e del regolamento regionale n. 2/08, nonché eccesso di potere per illogicità, insufficiente ed errata istruttoria, in ragione del fatto che l’Amministrazione ha omesso di considerare l’esistenza di un’altra abitazione a distanza inferiore a quella consentita, di istruire un adeguato procedimento, di sanzionare l’attività svolta in assenza di autorizzazione (tra la scadenza della vecchia e il rilascio della nuova), di definire il numero massimo di capi che possono essere allevati e di imporre misure di mitigazione;

3. eccesso di potere per travisamento ed illogicità, in quanto, premesso che anche l’autorizzazione n. 120/2001 sarebbe stata rilasciata sulla base di un parere negativo, nel caso in esame si sarebbe in presenza di un ampliamento che avrebbe, a sua volta, imposto il rispetto delle distanze. Tanto più che l’allevamento avrebbe potuto espandersi sul lato opposto.

Il Comune, costituitosi in giudizio, ha depositato una memoria nella quale, ricostruita in termini analoghi a quelli già descritti la vicenda (salvo precisare che il rilascio dell’autorizzazione è avvenuto sulla scorta del parere positivo e non condizionato dell’ASL n. 134105 del 30 settembre 2011), ha sostenuto l’infondatezza del ricorso. A tale fine ha sottolineato come l’allevamento in questione sia esistente sin dal 1995, con la conseguenza che l’eventuale violazione della distanza minima potrebbe giustificare solo provvedimenti repressivi, laddove fosse dimostrata l’esistenza di una situazione di danno o pericolo che, nel caso di specie, è solo lamentata, ma non supportata da alcun principio di prova. Il provvedimento impugnato sarebbe comunque frutto di una compiuta istruttoria, adottato nel rispetto delle indicazioni dell’ASL a prescindere dall’indicazione del nr massimo di capi allevabili. Né sarebbe ammissibile, in quanto tardiva, la censura relativa alla pretesa illegittimità derivata dell’autorizzazione in questione da quella originaria rilasciata nel 2001.

Parte ricorrente si è soffermata sul fatto che l’autorizzazione rilasciata sarebbe comunque “nuova”, rendendo applicabili le distanze imposte dal regolamento di igiene ed ontologicamente illogica, in quanto sarebbe stato sufficiente a contemperare i contrapposti interessi che l’autorizzazione fosse rilasciata con riferimento alla parte retrostante della cascina, anziché a quella che si protende verso le finestre del ricorrente.

Il controinteressato ha prodotto una relazione tecnica nella quale si è dato conto che l’intervento sul canile esistente non ha comportato alcun ampliamento della struttura, ma solo il suo adeguamento igienico sanitario alla sopravvenuta normativa. Sono stati, inoltre, realizzati dei box esterni in rete metallica, che, non costituendo superficie coperta non necessiterebbero del rispetto della distanza tra edifici. I relativi lavori, peraltro, sono stati terminati prima della revoca dell’originaria autorizzazione (come attestato dal certificato di agibilità del 16 settembre 2011).

Alla pubblica udienza del 24 ottobre 2012 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Al fine della definizione della controversia in esame, attinente al lamentato mancato rispetto delle distanze minime intercorrenti tra l’abitazione del ricorrente e l’allevamento controinteressato, deve, in primo luogo, risolversi la querelle se si sia, nel caso di specie, in presenza di una nuova attività di allevamento, soggetta all’obbligo del rispetto delle distanze minime imposto dal regolamento di igiene, ovvero all’adeguamento, previo rilascio di una nuova autorizzazione, di un’attività già esistente, legittimata a continuare il suo esercizio anche in deroga all’obbligo delle distanze minime.

A tal fine viene in soccorso il regolamento di igiene comunale. Esso ammette gli ampliamenti di allevamenti esistenti e dismessi da meno di tre anni, purché nel rispetto delle distanze preesistenti. Se, dunque, la deroga all’obbligo delle distanze minime è ammessa nel caso di ampliamenti di stabilimenti già esistenti, purché entro il termine massimo di tre anni dalla loro chiusura e a condizione che non intervengano variazioni nelle distanze già esistenti, deve presumersi che la stessa possa, a maggior ragione, trovare applicazione anche nel caso in cui lo stabilimento non sia stato ampliato, ma solo adeguato alla sopravvenuta normativa attraverso un complesso iter che ha conosciuto una molteplice serie di solleciti e proroghe di termini e la successiva declaratoria di decadenza dall’originaria autorizzazione, cui ha fatto seguito, però, il rilascio di una nuova autorizzazione al suo esercizio.

Invero, nel caso di specie, appare ragionevole ritenere che un ampliamento vi sia in concreto stato, dal momento che sono stati realizzati ex novo quattro box esterni in sostituzione di quelli preesistenti e il cui utilizzo era stato negato dall’autorizzazione del 2001. Peraltro, a prescindere dal fatto che vi sia stato, o meno, nel caso di specie, un ampliamento (accertamento di per sé irrilevante, dal momento che la norma comunque lo ammetterebbe) ciò che appare determinante è che dal regolamento richiamato si deve desumere che, per quanto di rilievo, un’autorizzazione non può essere considerata “nuova” se non dopo almeno tre anni dalla dismissione del precedente allevamento.

In altre parole, il fatto che l’edificio fosse già adibito ad allevamento è sufficiente a rendere possibile la ripresa dell’attività, nel rispetto delle distanza preesistenti ed entro il termine massimo di tre anni dalla dismissione, a prescindere dal fatto che l’esercizio dell’attività sia stato continuativamente autorizzato o, al contrario, interrotto.

Nel caso di specie risulta rispettata la prima condizione, essendo stata rilasciata la nuova dichiarazione a pochi giorni di distanza dalla decadenza della originaria. Né può rilevare in senso contrario il cambio di denominazione subito dall’azienda agricola esercitante l’attività di allevamento in questione.

Chiarito, dunque, che ci si trova in presenza di un allevamento “esistente”, si rende allora necessario verificare il rispetto della seconda condizione e cioè se la preesistente distanza dall’abitazione del ricorrente sia stata rispettata e non anche ulteriormente ridotta, come invece lamentato da parte ricorrente.

Nell’ottica di tale verifica viene in rilievo il par. 3.10.5 del regolamento d’igiene, il quale prevede che, ai fini del rispetto delle distanze minime, l’allevamento debba essere considerato come il perimetro dei fabbricati adibiti a ricovero.

Ci si deve, però, allora, interrogare sul concetto di “perimetro”.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, “ai fini della verifica del rispetto delle distanze legali tra edifici, non sono computabili le sporgenze estreme del fabbricato che abbiano una funzione meramente ornamentale, di rifinitura o accessoria di limitata entità (come le mensole, i cornicioni, le grondaie e simili); sono, invece, computabili, rientrando nel concetto civilistico di costruzione, le parti dell’edificio (quali scale, terrazze e corpi avanzati) che, benché non corrispondano a volumi abitativi coperti, siano destinati a estendere e ampliare la consistenza del fabbricato” (Consiglio Stato, sez. IV, 27 gennaio 2010, n. 424; Corte appello Brescia, sez. II, 18 maggio 2009; Consiglio Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3539). Ne deriva che anche il lato esterno del portico deve, pertanto, essere considerato al fine della verifica del rispetto della distanza minima.

Peraltro deve tenersi in debito conto il concetto generale in materia edilizia, in ragione del quale, per la sua natura e consistenza costituisce “nuova costruzione” ex art. 3 lettera e5) d.p.r. n. 380/01 che esclude dall’ambito applicativo della norma i soli manufatti che, indipendentemente dalla loro amovibilità, “non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Il Collegio ritiene, pertanto, che sia escluso che i box esterni, per il solo fatto di essere stati realizzati in rete metallica, non debbano essere considerati ai fini del rispetto delle distanze minime o non possano essere, in linea di principio, riconducibili al concetto di ampliamento.

Tutto ciò chiarito in termini generali, nel caso di specie dalla documentazione depositata si evince come la realizzazione di “parchetti esterni” sia avvenuta, nella porzione di proprietà che fronteggia quella del ricorrente, sotto un portico già esistente. Considerato che al fine della distanza deve, per quanto sopra già esplicitato, essere valutato il perimetro del fabbricato e che questo non è stato, dunque, modificato, non può essere ravvisata alcuna situazione peggiorativa rispetto al pregresso.

Per quanto riguarda, infine, i quattro box esterni all’edificio principale, la prima autorizzazione ne vietava l’utilizzo (in ragione del fatto che essi si trovavano a distanza inferiore a 50 metri). Nell’autorizzazione oggetto di impugnazione, invece, non è fatta menzione, così come nulla si rinviene nel parere dell’ASL del 2011. Si deve presumere, dunque, in assenza di qualsiasi principio di prova contrario (la stessa relazione tecnica prodotta dal tecnico di fiducia di parte ricorrente non fa menzione di tali box), che essendo stata prevista la collocazione dei box rinnovati all’estremo confine sud-ovest della proprietà Beatini e, quindi, alla maggior distanza possibile dalla proprietà del ricorrente, il parametro di legge risulti oggi confermato per quanto riguarda gli stessi, collocati a distanza superiore rispetto al resto dell’edificio.

Ne discende che il provvedimento autorizzatorio, così come il presupposto parere dell’ASL, non risultano essere affetti dai vizi dedotti, mentre del tutto inammissibile appare la censura volta all’accertamento, tardivo, della illegittimità dell’originaria autorizzazione risalente al 2001.

Sussistono giustificati motivi, data la particolarità della fattispecie, per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Consigliere

Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
              

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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