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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento del suolo Numero: 964 | Data di udienza: 3 Ottobre 2018

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Misure di prevenzione – Artt. 242 e 245, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 – Miglioramento delle condizioni ambientali – Onere motivazionale aggravato – Proprietario dell’area contaminata – Adozione delle misure di messa in sicurezza – Obbligo – Esclusione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 9 Ottobre 2018
Numero: 964
Data di udienza: 3 Ottobre 2018
Presidente: Politi
Estensore: Tenca


Premassima

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Misure di prevenzione – Artt. 242 e 245, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 – Miglioramento delle condizioni ambientali – Onere motivazionale aggravato – Proprietario dell’area contaminata – Adozione delle misure di messa in sicurezza – Obbligo – Esclusione.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 9 ottobre 2018, n. 964


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Misure di prevenzione – Artt. 242 e 245, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 – Miglioramento delle condizioni ambientali – Onere motivazionale aggravato.

Le misure di prevenzione di cui agli artt. 242 e 245, c. 2 d.lgs. n. 152/2006 si connotano per la loro immediatezza rispetto alla scoperta dell’evento inquinante. Le medesime sono dovute anche per evitare i “rischi di aggravamento” della situazione di contaminazione, i quali devono essere tuttavia dimostrati o quanto meno ipotizzati come verosimili o probabili. Viceversa, a fronte del dedotto miglioramento delle condizioni ambientali, sussiste a carico dell’autorità preposta un onere motivazionale aggravato a sostegno delle misure di prevenzione poste a carico della proprietà.
 

INQUNAMENTO DEL SUOLO – Proprietario dell’area contaminata – Adozione delle misure di messa in sicurezza – Obbligo – Esclusione.

La pubblica amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, che non sia (anche) l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di attuare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) e p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II – 19/6/2018 n. 882 e la giurisprudenza richiamata).


Pres. Politi, Est. Tenca – I. s.p.a. (avv.ti Lugodoroff e Aliberti) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altro (Avv. Stato), Regione Lombardia (avv. Schiena), Provincia di Brescia (avv.ti Poli, Donati e Rizzardi), Comune di Brescia (avv.ti Moniga e Orlandi) e altri (n.c.)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 9 ottobre 2018, n. 964

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 9 ottobre 2018, n. 964

Pubblicato il 09/10/2018

N. 00964/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00714/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 714 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Iveco S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Lugodoroff e Vilma Aliberti, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi e domicilio “fisico” presso lo studio dell’avv.to Giovanni Onofri in Brescia, Via Ferramola n. 14;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio “fisico” presso la sua sede in Brescia, Via S. Caterina, 6;
Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.to Raffaela Antonietta Maria Schiena, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio “fisico” presso lo studio dell’avv.to Donatella Mento in Brescia, Via Cipro n. 30;
Provincia di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Magda Poli, Gisella Donati e Raffaella Rizzardi, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio “fisico” presso la sede dell’Avvocatura provinciale in Brescia, Piazza Paolo VI n. 6;
Comune di Brescia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesca Moniga e Andrea Orlandi, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata negli scritti difensivi, e domicilio “fisico” presso la sede dell’Avvocatura civica in Brescia, Corsetto S. Agata n. 11/b;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) – Lombardia, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) – Lombardia Dipartimento di Brescia, non costituitesi in giudizio;

per l’annullamento

Ricorso introduttivo =

– DEL DECRETO 15/3/2011 DELLA DIREZIONE GENERALE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO E DELLE RISORSE IDRICHE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE, RECANTE L’APPROVAZIONE DELLE PRESCRIZIONI INTRODOTTE DAL VERBALE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA DELL’1/2/2011, LIMITATAMENTE ALLA PREVISIONE, PER LO STABILIMENTO DI PROPRIETA’ NEL SIN BRESCIA-CAFFARO, DELL’OBBLIGO DI AVVIO DEGLI INTERVENTI DI MESSA IN SICUREZZA DI EMERGENZA E DI TRASMISSIONE DEL PROGETTO DI BONIFICA DELLE ACQUE DI FALDA;

– DI OGNI ALTRO ATTO PRESUPPOSTO, CONSEQUENZIALE E CONNESSO, COMPRESO IL VERBALE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI PREDETTA IN PARTE QUA.

Primi motivi aggiunti =

– DEL DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA CONFERENZA DI SERVIZI ISTRUTTORIA DEL 18/10/2012 RELATIVA AL SIN BRESCIA-CAFFARO, NELLA PARTE IN CUI IMPONE DI AVVIARE (PAG. 79 PUNTO A N. 1) – ENTRO 15 GIORNI – IDONEI INTERVENTI DI MESSA IN SICUREZZA DI EMERGENZA DELLE ACQUE DI FALDA CONTAMINATE IN CORRISPONDENZA DEI PUNTI DI MONITORAGGIO PER I QUALI LE CONTAMINAZIONI SUPERANO DI 10 VOLTE IL VALORE DELLA CSC, NONCHÉ (PAG. 79 PUNTO C N. 8) LA TRASMISSIONE DELL’ANALISI DEL RISCHIO SPECIFICA AI SENSI DEL D. LGS. 152/2006 E DEI CRITERI METODOLOGICI ELABORATI DA ISPRA, E INFINE (PAG. 79 PUNTO C N. 9) LA TRASMISSIONE DEL PROGETTO DI BONIFICA DELLE ACQUE DI FALDA SECONDO GLI OBIETTIVI ELENCATI;

Secondi motivi aggiunti:

– DEL DECRETO DELLA DIREZIONE GENERALE PER LA TUTELA DEL TERRITORIO E DELLE RISORSE IDRICHE DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE DEL 10/7/2013, CHE APPROVA LE PRESCRIZIONI DEL VERBALE DELLA CONFERENZA DI SERVIZI DECISORIA DEL 26/6/2013 RELATIVE AL SIN DI BRESCIA CAFFARO, NELLA PARTE IN CUI IMPONE:

• DI TRASMETTERE LE INDAGINI DI CARATTERIZZAZIONE SULLE MATRICI AMBIENTALI SUOLO E SOTTOSUOLO (PER VERIFICARE SE I SUPERAMENTI DEI VALORI DELLE ACQUE DI FALDA SI SONO PROPAGATI);

• DI ATTIVARE IDONEI INTERVENTI DI PREVENZIONE EX ART. 242 DEL D. LGS. 152/2006, ANCHE MEDIANTE EMUNGIMENTO DELLE ACQUE DI FALDA E SUCCESSIVO TRATTAMENTO, LADDOVE LA STIMA DEL RISCHIO CONDOTTA SECONDO I CRITERI METODOLOGICI SULL’ANALISI DEL RISCHIO DISPONIBILE SUL SITO ISPRA EVIDENZI RISCHIO SANITARIO O AMBIENTALE PROVOCATO DALLA CONTAMINAZIONE;

• DI TRASMETTERE AL MATTM UN ELABORATO RELATIVO ALLA STIMA DI RISCHIO SANITARIO E AMBIENTALE ENTRO 30 GIORNI DAL RICEVIMENTO DEL VERBALE.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero della Salute e del Ministero dello Sviluppo Economico, della Regione Lombardia, della Provincia di Brescia e del Comune di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2018 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

A. La ricorrente svolge attività di produzione di veicoli commerciali in un compendio a Brescia, in Via Volturno n. 52. Il terreno che ospita l’attività è inserito in una più vasta area occupata da insediamenti industriali denominata “Brescia-Caffaro”, sottoposta a procedimento di bonifica e collocata tra i siti di interesse nazionale (di seguito: SIN), sotto il controllo del Ministero dell’Ambiente (art. 14 della L. 179/2002 e DM 24/2/2003).

B. Riferisce in punto di fatto che, fin dai primi anni 90, ha disposto il monitoraggio delle acque di falda “a monte” e “a valle” dei propri impianti (con una rete di piezometri incrementata nel tempo), e dalle misurazioni commissionate è emersa una situazione di inquinamento di tipo diffuso, con maggiore concentrazione “a monte” idrogeologico, e sono state escluse fonti di contaminazione interne. Le indagini svolte dall’ASL già nel 2001 hanno permesso di appurare che l’inquinamento della falda non è ricollegabile ai processi produttivi dello stabilimento IVECO, per cui il Comune di Brescia (all’epoca competente) aveva chiuso il procedimento amministrativo con nota 21/5/2002.

C. Dopo l’inserimento dell’area nel SIN Brescia-Caffaro, il 17/11/2009 il Ministero dell’Ambiente ha chiesto alla ricorrente di trasmettere informazioni sui punti di prelievo, misura e monitoraggio delle acque sotterranee, compresi nell’area appartenente a Iveco. Quest’ultima ha prodotto i dati dell’ultima campagna di misurazione disponibile, compiuta da Fenice Spa nell’ottobre del 2008.

D. La Conferenza di Servizi decisoria ha deliberato “di richiedere all’Azienda di avviare, entro 20 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza in corrispondenza dei piezometri per i quali è stata rilevata la contaminazione da Tetracloroetilene, Dicloroetilene (SP9) e Tetracloroetilene (SP2, SP11, SP12, SP13, SP15) in forma di hot spot, dove per hot spot deve intendersi il superamento di oltre 10 volte i limiti fissati dalla vigente normativa per le sostanze ritenute molto tossiche, persistenti e cancerogene, indicate nel parere ISS prot. 51321 del 22.10.04, allegato al presente verbale sotto la lettera I) onde parte integrante e sostanziale”.

La Conferenza medesima ha poi prescritto la trasmissione di informazioni sulla superficie dello stabilimento, sulle vicende pregresse del sito (attività svolte nel corso degli anni), sulla classificazione urbanistica, sulle caratteristiche, tenuta e stato di conservazione dei serbatoi ove presenti, sui limiti di rilevabilità delle metodiche analitiche adottate (1/10 delle concentrazioni limite, ad eccezione di alcune sostanze indicate nei pareri ISS). Ha statuito di verificare “lo stato qualitativo delle acque di falda mediante campionamento delle acque di falda medesime a valle e a monte idrogeologico” chiarendo i dubbi sulla condizione di asciutto presso nove piezometri (SP1, SP3, SP4, SP5, SP10, SP14, SP16, SP18, SP19) nel monitoraggio di ottobre 2008 (in ipotesi di malfunzionamento, si doveva provvedere al loro ripristino ovvero alla realizzazione di nuovi in posizioni adiacenti ai precedenti) e trasmettendo i bollettini analitici di monitoraggio delle acque di falda del dicembre 2009 e, di seguito, con cadenza semestrale e in contraddittorio con l’Ente locale competente.

Infine ha deliberato “di chiedere all’Azienda di trasmettere, entro 90 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, il Progetto di bonifica delle acque di falda, che tenga conto della situazione di contaminazione riscontrata, basato sulle migliori tecnologie di bonifica disponibili a costi sostenibili” mentre ARPA Lombardia — Dipartimento di Brescia dovrà “…trasmettere la validazione dei risultati dei monitoraggi delle acque di falda effettuati dall’Azienda”.

E. Il decreto direttoriale 15/3/2001 ha validato le prescrizioni predette.

F. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, la ricorrente impugna i provvedimenti in epigrafe, deducendo in diritto i seguenti motivi:

a) Violazione degli artt. 242, 243, 244, 252 del D. Lgs. 152/2006, dell’art. 3 della L. 241/90, inosservanza dei principi comunitari in materia di inquinamento e bonifica, eccesso di potere per carenza di istruttoria e dei presupposti, contraddittorietà con le precedenti determinazioni dell’amministrazione, in quanto l’inquinamento diffuso della falda non è imputabile allo stabilimento Iveco, dato che i solventi clorurati derivano da aree – anche esterne al SIN – ubicate a nord idrogeologico (come attestano le indagini dell’ASL e di Fenice Spa nella campagna 2008, registrando una contaminazione sostanzialmente equivalente a monte e a valle); nel 2009 si è riscontrato un miglioramento generale, con soli 2 hot spot (SP9 e SP12) in luogo dei 6 accertati nella campagna 2008; un ulteriore approfondimento effettuato nel sottosuolo del fabbricato 15 di Iveco non ha fornito riscontri di sorgenti primarie né secondarie da terreni contaminati, mentre per l’acquifero nel punto SP9 emerge una riduzione delle concentrazioni di tetracloroetilene, quando da monte le acque di falda giungono contaminate da solventi clorurati e cromo VI, a conferma dell’estraneità della ricorrente; gli unici approfondimenti necessari erano per il piezometro SP9, anche se l’istruttoria ha escluso ogni contributo dello stabilimento; si registra la lesione il principio “chi inquina paga”, essendo Iveco estranea alla contaminazione riscontrata;

b) Violazione degli artt. 242, 243, 244, 252 del D. Lgs. 152/2006 sotto altro profilo, eccesso di potere per errore essenziale, carenza dei presupposti e di istruttoria, irrazionalità manifesta, visto che se la fonte della contaminazione – pregressa e diffusa – è rintracciabile nei siti “a monte”, ogni intervento non avrebbe alcuna efficacia sulla situazione, mentre gli interventi in emergenza investono solo le contaminazioni repentine e non “storiche”, come quella di cui si discorre;

c) Violazione degli artt. 242 e 252 del D. Lgs. 152/2006 sotto diverso profilo, eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza, in quanto il progetto di bonifica deve essere preceduto dall’analisi del rischio;

d) Violazione degli artt. 242, 244 e 252 del D. Lgs. 152/2006 per incompetenza del Ministero, in quanto le misure di prevenzione e messa in sicurezza devono essere adottate dalla Provincia.

G. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente, il Ministero della Salute e il Ministero dello Sviluppo Economico, la Provincia di Brescia e il Comune di Brescia, chiedendo la reiezione del gravame.

H. Con motivi aggiunti depositati il 29/11/2012 Iveco Spa impugna il documento preparatorio della Conferenza di Servizi istruttoria del 18/10/2012 relativa al SIN Brescia-Caffaro, nella parte in cui impone di avviare (pag. 79 punto C n. 1) – entro 15 giorni – idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda contaminate in corrispondenza dei punti di monitoraggio per i quali le contaminazioni superano di 10 volte il valore della CSC, nonché (pag. 79 punto C n. 8) la trasmissione dell’analisi del rischio specifica ai sensi del D. Lgs. 152/2006 e dei criteri metodologici elaborati da ISPRA, e infine (pag. 79 punto C n. 9) la trasmissione del progetto di bonifica delle acque di falda secondo gli obiettivi elencati.

I. In punto di fatto, la ricorrente chiarisce di aver ottemperato alle richieste di informazioni e ad altri adempimenti (punti 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 delle richieste pregresse), e di aver effettuato un’ulteriore campagna di monitoraggio il 16/11/2011, la quale ha rivelato un significativo miglioramento delle condizioni ambientali, con regressioni delle concentrazioni dei composti organoclorurati e assenza di cd. hot spots in tutti e 22 i piezometri compreso l’SP9. Ha esposto i dati nella Conferenza di Servizi istruttoria del 18/10/2012, ove si è convenuta un’ulteriore attività di misurazione con ARPA. Lo svolgimento è stato programmato per il 5-7/12/2012.

Avendo ricevuto, nel corso della Conferenza appena evocata, uno stralcio del documento preparatorio, nel quale si dispone l’avvio di idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza, nonché l’elaborazione dell’analisi del rischio e la presentazione del progetto di bonifica, ritiene di impugnarlo in via cautelativa.

In diritto, solleva le censure già svolte ai precedenti paragrafi F.a, F.b e F.d, con la precisazione dell’andamento recessivo dell’inquinamento alla luce delle recenti indagini di Fenice Spa nella campagna di misurazione del 16/11/2011, per cui il miglioramento generalizzato non giustifica le misure di messa in sicurezza di emergenza.

L. Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate e la Regione Lombardia.

M. Con ulteriori motivi aggiunti depositati il 6/11/2013, Iveco Spa impugna il decreto della Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche del Ministero dell’Ambiente del 10/7/2013, che approva le prescrizioni del verbale della Conferenza di Servizi decisoria del 26/6/2013 relative al SIN di Brescia Caffaro, nella parte in cui impone:

– di trasmettere le indagini di caratterizzazione sulle matrici ambientali suolo e sottosuolo (per verificare se i superamenti dei valori delle acque di falda si sono propagati);

– di attivare idonei interventi di prevenzione ex art. 242 del D. Lgs. 152/2006 anche mediante emungimento delle acque di falda e successivo trattamento, laddove la stima del rischio condotta secondo i criteri metodologici indicati da ISPRA evidenzi un pericolo sanitario o ambientale provocato dalla contaminazione;

– di trasmettere al MATTM un elaborato relativo alla stima di rischio sanitario e ambientale, entro 30 giorni dal ricevimento del verbale.

N. In fatto, chiarisce che è stata condotta un’ulteriore campagna di monitoraggio di concerto con ARPA, nei giorni 5, 6 e 7/12/2012. I risultati sono stati validati dall’autorità pubblica l’11/4/2013, salvo il mercurio (successivamente approvato il 16/6/2013). Anche questi risultati avrebbero confermato l’insussistenza di sorgenti inquinanti interne allo stabilimento e la provenienza dei contaminanti dalle aree poste “a monte” idrogeologico. Ciononostante, l’autorità ha impartito le prescrizioni sopra enunciate, che parte ricorrente assume illegittime per i seguenti motivi:

SULLA TRASMISSIONE DEI RISULTATI DELLE INDAGINI ESEGUITE SULLE MATRICI AMBIENTALI SUOLO E SOTTOSUOLO

e) Violazione del titolo V della parte IV del D. Lgs. 152/2006, con riferimento all’art. 252, incompetenza, erronea applicazione degli artt. 14, 14-bis e 14-ter della L. 241/90, eccesso di potere per errore essenziale e carenza dei presupposti, in quanto la perimetrazione investe solo la matrice dell’acqua di falda e non ha senso una richiesta per le componenti di suolo e sottosuolo per le quali non sussiste competenza del Ministero, tenuto conto che il tema non era stato trattato in Conferenza ed è mancato il contraddittorio; infine, i dati a disposizione di Iveco su dette matrici non evidenziano alcun superamento;

SULL’ATTIVAZIONE DELL’ANALISI DI RISCHIO E DEGLI INTERVENTI DI PREVENZIONE

f) Violazione della direttiva UE 2004/35 e del principio “chi inquina paga”, inosservanza del titolo V parte IV del D. Lgs. 152/2006, eccesso di potere per errore essenziale e carenza dei presupposti, lesione dell’art. 3 della L. 241/90, in quanto gli obblighi di riparazione presuppongono la sussistenza del nesso causale, visto che è solo il responsabile dell’inquinamento che è tenuto ad assolvere agli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale; sono salve le misure di prevenzione da adottare nell’imminenza di un evento (24 ore) potenzialmente in grado di inquinare il sito, mentre tutto il resto è a carico del responsabile; per il resto Iveco ribadisce le censure precedenti.

O. Nella relazione del 7/6/2011 depositata il 6/7/2018, il Ministero dell’Ambiente ha rappresentato quanto segue:

– le aree di proprietà della ricorrente sono ubicate all’interno del SIN Brescia Caffaro, interessato da un gravissimo stato di inquinamento fin dagli anni ’90;

– nel 2001 il Comune di Brescia, dopo i campionamenti ARPA che avevano rivelato un superamento dei parametri per solventi organo clorurati, avviava un procedimento di verifica e accertamento di responsabilità;

– dopo l’istituzione del SIN e l’avocazione delle competenze al Ministero dell’Ambiente, quest’ultimo chiedeva informazioni, e nella Conferenza istruttoria 22/7/2010 venivano prescritti interventi di messa in sicurezza di emergenza, dopo il monitoraggio 2008 che aveva rivelato inquinamento nelle acque di falda sottostanti (6 piezometri su 10) con superamenti anche di 10 volte dei limiti stabiliti per le sostanze molto tossiche e cancerogene (tali da qualificarsi come hot spot);

– la Conferenza di Servizi decisoria dell’1/2/2011 ha inteso impedire la migrazione della contaminazione fuori dall’area di proprietà (con la richiesta di chiarimenti sulla totale assenza di acqua nella campagna di monitoraggio 2008);

– in diritto, l’art. 2051 del c.c. contempla la responsabilità per danni da cose in custodia, che si correla al dinamismo connaturato alla “cosa” e all’esistenza di un potere fisico sulla medesima;

– il rinvenimento di sostanze altamente pericolose all’interno dell’insediamento produttivo integra a tutti gli effetti la responsabilità civilistica del custode;

– il fondamento della responsabilità riposa sul criterio economico-giuridico di internalizzazione dei costi derivanti dai danni all’ambiente a carico dei soggetti comunque responsabili, anche senza il riscontro del dolo o della colpa, e si configura una responsabilità oggettiva da rischio d’impresa (chi fruisce dei vantaggi dell’attività industriale è tenuto a porre in essere le misure per garantire la sua “non nocività”);

– in caso di subentro nella gestione, la mancata effettuazione di interventi mitigativi accresce l’entità del danno, da porre a carico del nuovo gestore per l’omessa adozione delle dovute azioni di preventiva bonifica;

– fermo restando il principio comunitario “chi inquina paga”, la Società proprietaria è tenuta a porre in essere le misure di messa in sicurezza in emergenza sin dal momento in cui si registra un superamento, per impedire la propagazione in aree limitrofe;

– i proprietari che siano anche utilizzatori del sito rivestono una posizione di garanzia fondata sulla conoscenza dello stato di pericolo, dell’evitabilità dell’evento e del protrarsi di esso, nonché dell’omesso intervento per la sua eliminazione;

– in materia di danno ambientale opera un criterio di solidarietà passiva, per cui se l’evento dannoso è imputabile a più soggetti (come nel caso di specie) è sufficiente, ai fini della configurazione della responsabilità, che le azioni ed omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento;

– la giurisprudenza (C.G.A. Sicilia – ordinanza 28/4/2006 n. 321) ha individuato il punto di equilibrio tra gli interessi coinvolti, che non va ricercato in un meccanismo di graduazione delle obbligazioni ma in un criterio di oggettiva responsabilità imprenditoriale, per cui chi ritrae profitto dall’attività pericolosa ex se inquinante è tenuto a sostenere integralmente gli oneri necessari per garantire la tutela dell’ambiente;

– l’obiettivo del legislatore è il risanamento ambientale di aree particolarmente contaminate, secondo il valore comunitario della massima salvaguardia in materia;

– deve in ogni caso essere applicato il principio di precauzione di cui all’art. 174 del Trattato, canone fondamentale del diritto alla salute.

P. Nell’ulteriore relazione del 7/2/2013, prodotta a mezzo PAT il 6/8/2018, il Ministero eccepisce l’inammissibilità dei primi motivi aggiunti per carenza di lesività degli atti impugnati, mentre nel merito segnala che sussistono i presupposti per attivare la messa in sicurezza di emergenza, per evitare un incremento repentino e potenzialmente immediato e incontrollabile dell’inquinamento. Invoca l’applicazione del principio di precauzione e la necessità di un elevato livello di tutela ambientale, ed afferma che è inaccettabile una suddivisione di competenze tra Provincia e Ministero nell’articolazione del procedimento di bonifica ex art. 244 del T.U.

Q. L’Avvocatura dello Stato ha replicato ai secondi motivi aggiunti, evidenziando che le misure disposte nella Conferenza di servizi sono rispettose dei limiti stabiliti dalla giurisprudenza per la “messa in sicurezza d’emergenza” ai sensi dell’art. 240 lett. m) del Codice dell’Ambiente (e risultano legittimate dall’art. 253, alla luce del principio di precauzione).

R. Nella memoria finale, parte ricorrente dà conto dell’evoluzione della vicenda. Successivamente ai secondi motivi aggiunti, non sono state dettate ulteriori prescrizioni cogenti a carico di Iveco, mentre la Società ha comunque proseguito nei monitoraggi in contraddittorio con ARPA, i cui esiti sino al marzo 2018 sono riportati nella relazione prodotta in data 23/7/2018. Detti monitoraggi hanno costantemente confermato il dato già comprovato all’inizio degli anni 2000, ovvero la provenienza “esterna” del contaminante.

S. Alla pubblica udienza del 3/10/2018, il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione.

DIRITTO

La ricorrente censura i provvedimenti con i quali il Ministero dell’Ambiente ha recepito le statuizioni della Conferenza di servizi decisoria dell’1/2/2011 relativamente all’area di proprietà (ubicata nel SIN Brescia-Caffaro), oltre al documento preparatorio della Conferenza di servizi istruttoria del 18/10/2012 e al verbale della Conferenza di servizi del 26/6/2013.

1. Devono essere preliminarmente disattesi i motivi terzo e quarto del ricorso introduttivo (lettere c) e d) dell’esposizione in fatto).

1.1 Anzitutto l’esponente sostiene che il progetto di bonifica deve essere preceduto dall’analisi del rischio, e che dunque non può essere emesso l’ordine di elaborare in primo senza essersi preventivamente pronunciati sul secondo.

In proposito, ai sensi dell’art. 242 comma 4 del D. Lgs. 152/2006 per tempo vigente “Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR). I criteri per l’applicazione della procedura di analisi di rischio sono stabiliti con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e della salute entro il 30 giugno 2008. Nelle more dell’emanazione del predetto decreto, i criteri per l’applicazione della procedura di analisi di rischio sono riportati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto. Entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla regione i risultati dell’analisi di rischio …”. Secondo l’art. 240 comma 1 lett. e) del Codice dell’Ambiente in tanto è possibile definire un’area come “sito contaminato” in quanto essa sia stata fatta oggetto di una preventiva caratterizzazione, formalmente approvata dalla Autorità competente, avente le caratteristiche indicate nell’allegato 2 alla Parte V del D. L.vo 152/2006, in attuazione della quale siano state pertanto effettuate delle campionature le cui analisi (condotte in base ai criteri di analisi di rischio indicati all’Allegato 1 alla Parte V del D. L.vo 152/2006) abbiano consentito di rilevare il superamento dei valori di CSR ed abbiano altresì consentito di delimitare l’area contaminata (T.A.R. Piemonte, sez. I – 14/6/2017 n. 734). Pertanto, l’analisi del rischio è un adempimento obbligatorio ex lege posto a carico del soggetto responsabile dell’inquinamento (questione che sarà esaminata in seguito). Il rilievo sollevato appare rivestire natura formale, in quanto dai risultati della caratterizzazione insorge, proprio in capo al soggetto privato responsabile, l’obbligo di predisporre e presentare all’Ente pubblico competente – nel termine indicato dalla norma – l’analisi del rischio.

1.2 Quanto all’ulteriore profilo, ritiene il Collegio che l’attrazione della competenza in capo allo Stato per le aree ricomprese nei SIN (proprio per l’interesse nazionale ad affrontare queste tipologie di inquinamento) investa l’intero procedimento, comprendente anche le fasi di emergenza e ogni stadio intermedio. Del resto, l’art. 252 comma 4 del D. Lgs. 152/2006 per tempo vigente attribuisce al Ministero dell’Ambiente (di concerto con il Ministero delle Attività Produttive) la titolarità della procedura di bonifica di cui all’art. 242. Come ha messo di recente in evidenza il Consiglio di Stato (sez. II – 9/7/2018 n. 1762), “la norma attributiva del potere in materia di siti di interesse nazionale conferisce anche il potere di adottare le misure di prevenzione e quindi degli strumenti necessari per tutelare l’ambiente. La ratio del rapporto tra la disposizione dell’art. 244 e dell’art. 252 è assicurare che l’ente più vicino al luogo della contaminazione possa agire tempestivamente, non quella di sottrarre al Ministero dell’Ambiente la competenza ad agire attribuendola alla provincia. Il fondamento della disposizione dell’art. 244 d.lgs. 152/06 è dunque attributivo di poteri alla provincia non sottrattivo di poteri al Ministero”.

Si ritiene, di conseguenza, che sussista la competenza del Ministero a statuire sulle misure di prevenzione.

2. Per il resto, il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti sono fondati e meritano accoglimento, potendosi prescindere dall’esame dell’eccezione di inammissibilità, irritualmente sollevata nella relazione ministeriale con riferimento ai primi motivi aggiunti.

Il Collegio richiama a questo punto le analitiche riflessioni sviluppate della propria recente pronuncia 24/9/2018 n. 897, che vengono di seguito riportate.

SUI PROFILI DI RESPONSABILITA’ DEL PROPRIETARIO

2.1 E’ opinione consolidata in giurisprudenza quella per cui non sussiste (in via automatica, come responsabilità oggettiva o per fatto altrui) una responsabilità in capo al proprietario dell’area inquinata e da bonificare per il sol fatto di tal sua qualità, ove non si dimostri che questi abbia provocato o contribuito a provocare il danno ambientale: è necessario che l’autorità competente accerti il nesso causale tra l’azione d’uno o più agenti individuabili ed il danno ambientale concreto e quantificabile, onde sia possibile imporre loro misure di riparazione, a prescindere dal tipo d’inquinamento di cui trattasi (Consiglio di Stato, sez. VI – 21/3/2017 n. 1260). In altri termini, la mera qualifica di proprietario del suolo non determina, di per sé sola, alcuna responsabilità conseguente al ritrovamento di rifiuti e il loro smaltimento nell’area di appartenenza: è insufficiente, per configurare gli obblighi di rimozione e smaltimento, la sola titolarità del diritto reale o di godimento sulle aree interessate dall’abbandono dei rifiuti, atteso che il legislatore richiede la sussistenza dell’elemento psicologico, e la necessità dell’accertamento della responsabilità soggettiva, in contraddittorio con i soggetti interessati, da parte degli organi preposti al controllo (cfr. Consiglio di Stato, sez. V – 9/5/2018 n. 2786).

Nell’attuale assetto degli obblighi di messa in sicurezza di emergenza, bonifica e ripristino ambientale (Parte IV – Titolo V del D. Lgs. 152/2006 – Testo Unico dell’Ambiente), la giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria sono sostanzialmente concordi nel riconoscerne l’insussistenza nei confronti del proprietario dell’area che risulti incolpevole rispetto alle condotte generative della contaminazione. E’ così stato chiarito che l’amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’articolo 240 comma 1, lettere m) e p), del D. Lgs. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del titolare incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo D. Lgs. in tema di onere reale e privilegio speciale immobiliare (Consiglio di Stato, sez. V – 21/11/2016 n. 4875 e l’ampia giurisprudenza citata).

2.2 Sul piano normativo, il D. Lgs. 152/2006 ha in effetti confermato la disciplina introdotta in precedenza dall’art. 17 del D. Lgs. 22/97 sull’addebito degli oneri di riparazione del danno, nel senso della responsabilità solo patrimoniale del proprietario incolpevole, salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale. In particolare, a norma dell’art. 244 comma 2, gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento. Se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi necessari sono adottati dall’amministrazione competente (art. 244 comma 4), e le spese sostenute per effettuare tali interventi potranno essere eventualmente recuperate in rivalsa verso il proprietario, che risponderà nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253 comma 4): per tale ragione, a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253 comma 2).

2.3 La scelta del legislatore nazionale è stata conforme ai canoni comunitari in materia. Secondo l’art. 191 paragrafo 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea la politica dell’Unione in materia ambientale “mira a un elevato livello di tutela” e si fonda tra l’altro <<sul principio "chi inquina paga">> (oltre che sui principi di precauzione, azione preventiva, correzione prioritaria dei danni alla fonte). L’art. 1 della direttiva 2004/35/CE parimenti statuisce che “La presente direttiva istituisce un quadro per la responsabilità ambientale, basato sul principio "chi inquina paga" per la prevenzione e la riparazione del danno ambientale”.

La Corte di Giustizia UE (grande Sezione) nella sentenza 9/3/2010 causa 378/08, ha statuito (par. 52) che, “come afferma il tredicesimo ‘considerando’ della direttiva 2004/35, a non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile e, affinché quest’ultima sia efficace, è necessario in particolare accertare nessi causali tra uno o più inquinatori individuabili e danni ambientali concreti e quantificabili”. La direttiva non indica la modalità di accertamento del nesso di causalità, per cui la definizione rientra nella competenza degli Stati membri e, a tale proposito, essi dispongono di un ampio potere discrezionale affinché sia concretizzato il principio «chi inquina paga». Tuttavia, la Corte di Giustizia ha puntualizzato (par. 57 e 58 della sentenza predetta) quanto segue: “dato che, conformemente al principio «chi inquina paga», l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento (v., per analogia, sentenza 24 giugno 2008, causa C-188/07, Commune de Mesquer, Racc. pag. I-4501, punto 77), per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato ….”.

2.4 Come ha ricordato il Consiglio di Stato (sez. VI – 28/12/2017 n. 6138) <<Sul problema del rapporto con i principi comunitari di precauzione, di prevenzione e di correzione prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, e sull’ammissibilità dell’imputazione al proprietario di una responsabilità di tipo oggettivo in caso di inquinamento della sua area – per la relazione speciale con la cosa immobile strumentale all’esercizio della sua attività, ed anche in ragione degli oneri di custodia e di particolare diligenza esigibili nei confronti del titolare di beni suscettibili di arrecare danno ad interessi particolarmente sensibili – l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 25 settembre 2013 n. 21, ha rimesso alla Corte di Giustizia UE uno specifico quesito. Con sentenza del 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), la Corte di Lussemburgo ha confermato il proprio orientamento (già espresso nella sentenza 9 marzo 2010, C- 378/08), non diverso da quello preponderante emerso nell’ordinamento italiano e richiamato dalla stessa ordinanza di rinvio dell’Adunanza plenaria, secondo cui “la direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”>> (si veda anche analoga riflessione del Consiglio di Stato, sez. VI – 16/7/2015 n. 3544; per un’ulteriore applicazione Consiglio di Stato, sez. VI – 17/5/2018 n. 2991).

2.5 Anche questo T.A.R. (cfr. sez. I – 31/7/2018 n. 766) ha recentemente riepilogato i principi fondamentali elaborati dalla giurisprudenza sulla base dell’art. 192 del D. Lgs. 152/2006:

“a) a carico del proprietario o di coloro che a qualunque titolo abbiano la disponibilità dell’area interessata dall’abbandono dei rifiuti, non è configurabile una responsabilità oggettiva o per fatto altrui (in solido con l’autore materiale del fatto), occorrendo che la violazione sia a questi imputabile a titolo di dolo o colpa in base agli accertamenti effettuati dagli organi ed Enti preposti al controllo (T.A.R. Puglia Bari, sez. I – 30/8/2016 n. 1089, che risulta appellata);

b) per quanto riguarda l’attuale assetto degli obblighi di messa in sicurezza di emergenza, bonifica e ripristino ambientale (Parte IV – Titolo V del D. Lgs. menzionato), la giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria sono ormai sostanzialmente concordi nel riconoscerne l’insussistenza nei confronti del proprietario dell’area che risulti incolpevole delle condotte generative della contaminazione (Consiglio di Stato, sez. V – 21/11/2016 n. 4875);

c) l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenza 25/9/2013 n. 21) ha chiarito che l’amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica – di cui all’articolo 240, comma 1, lettere m) e p) del D. Lgs. 152/2006 – in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo D. Lgs. in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III – 22/2/2017 n. 325);

d) tale sistema di ripartizione dei compiti e delle responsabilità è stato ritenuto compatibile con le regole comunitarie in materia (cfr. sentenza Corte di Giustizia 4/3/2015 nella causa C-534/13), e al più il proprietario non responsabile dell’inquinamento “potrà essere chiamato, nel caso, a rispondere sul piano patrimoniale e a tale titolo potrà essere tenuto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal contenuto dell’art. 253 del codice dell’ambiente” (Consiglio di Stato, sez. VI – 5/10/2016 n. 4100);

e) in definitiva, gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile l’inquinamento (cfr. art. 242, commi 2 e seguenti del D. Lgs. 152/2006);

f) il proprietario non responsabile dell’inquinamento, ai sensi dell’art. 245 comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, comma 1, lett. i), ovvero “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia” (T.A.R. Piemonte, sez. I – 12/9/2016 n. 1142, che risulta appellata; Consiglio di Stato, sez. VI – 5/10/2016 n. 4119)”.

2.6 Un filone giurisprudenziale, valorizzando la funzione sociale della proprietà al fine di contrastare il fenomeno dell’abbandono incontrollato dei rifiuti, ha ampliato il contenuto del dovere di diligenza esigibile dal proprietario dell’area interessata, giungendo a configurare una responsabilità di tipo colposo omissivo nella trascuratezza o incuria nella gestione del proprio bene (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III – 27/9/2016 n. 1074). Ma anche in quel caso, come messo in evidenza da T.A.R. Veneto, sez. II – 23/1/2018 n. 60, “Tuttavia costituisce requisito indefettibile per poter configurare una tale responsabilità la dimostrazione, anche mediante elementi logici meramente presuntivi, purché precisi e concordanti, della consapevolezza del proprietario dello svolgimento dell’attività di illecito abbandono dei rifiuti ….”, per cui occorre reperire elementi per poter ritenere che vi fosse una consapevolezza da parte della proprietà delle modalità illecite con le quali una certa attività veniva in concreto svolta (ad esempio, in modo difforme dalle autorizzazioni al trattamento di rifiuti ovvero in assenza delle stesse).

2.7 Sulla questione della “responsabilità ambientale” fondata sul principio del “chi inquina paga”, la giurisprudenza amministrativa ha dunque precisato l’esigenza – ai fini dell’imputabilità di un evento a un soggetto – che vi sia un nesso di causalità tra azione (od omissione) dell’autore della contaminazione e superamento – o il pericolo di superamento – dei limiti di contaminazione (T.A.R. Sicilia Catania, sez. I – 9/6/2017 n. 1381, che risulta appellata). Ha affermato il Consiglio di Stato che <<f) la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C-188/07), nell‘interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell‘addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l‘inquinamento prodotto), fornisce una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell‘inquinamento; la giurisprudenza nazionale, di converso, ha a più riprese (T.A.R. Torino, Piemonte, sez. I, 24 marzo 2010, n. 1575, Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885) rilevato che il suo positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, quali la tipica riconducibilità dell‘inquinamento rilevato all‘attività industriale condotta sul fondo in quanto “la prova può essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest‘ultimo caso, l‘amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all‘art. 2727 c.c.” (Consiglio di Stato, sez. V – 16/6/2009 n. 3885)>> (Consiglio di Stato, sez. II – 27/7/2018 n. 1947, che richiama sez. VI – 4/12/2017 n. 5668). La pronuncia da ultimo evocata ha nello specifico sostenuto che, in punto di accertamento della sussistenza del predetto rapporto eziologico tra attività industriale svolta nell’area ed inquinamento della medesima è applicabile il canone – elaborato in ambito civilistico – del "più probabile che non", secondo il quale per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà, cioè del 50% (Consiglio di Stato, sez. IV – 4/12/2017 n. 5668). Anche T.A.R. Puglia Bari, sez. I – 6/4/2017 n. 346 (che risulta appellata, con ampia citazione di precedenti conformi) ha recepito il criterio civilistico del “più probabile che non”, per cui è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività.

IL FATTO CONCRETO: L’IMPUTABILITA’ DELLA RESPONSABILITA’ ALLA RICORRENTE

2.8. Sulla base dell’approccio sostanzialistico privilegiato dal giudice comunitario, il Collegio non rinviene riscontri suscettibili di avallare l’addebito dell’inquinamento alla Società ricorrente, la quale lavora materiali estranei (incontestatamente) alla contaminazione individuata presso la zona produttiva. Nella propria relazione, l’amministrazione non ha smentito la circostanza per cui le sostanze rinvenute nelle acque di falda – ossia tetracloroetilene e dicloroetilene – non coincidono con le componenti adoperate nel ciclo produttivo dell’azienda.

Sostiene parte ricorrente nella memoria finale depositata il 31/8/2018 che le campagne di misurazione hanno escluso l’esistenza di fonti di contaminazione interne ed hanno evidenziato una situazione di inquinamento della falda di tipo diffuso, con concentrazioni anche maggiori sul territorio “a monte” (in senso idrogeologico) dell’area industriale IVECO: anche in esito alle indagini avviate dal Comune di Brescia nel 2001 è stato accertato che il riscontrato inquinamento della falda “non è ricollegabile ai processi produttivi passati ed attuali dello stabilimento IVECO”.

Il fatto che parte ricorrente non sia stata autrice dell’inquinamento in questione è circostanza dunque adeguatamente comprovata (anche con il richiamo ai pareri degli organi tecnici), non essendo controverso il fatto che l’origine della contaminazione è collegata alle attività industriali esercitate nell’ampio SIN da altre Società. Né, appunto, il Ministero contesta l’argomento per cui i residui dell’attività commerciale di Iveco non hanno attinenza alcuna con gli agenti inquinanti rinvenuti nelle acque di falda.

2.9 In aggiunta, risulta difettare nella specie anche la prossimità temporale (tra momento della scoperta dell’esistenza di uno stato di inquinamento e momento di adozione di misure emergenziali per il suo contenimento ovvero per il suo “non aggravamento”) che logicamente e giuridicamente giustificano, in termini di presupposto, l’adozione di misure a carico del proprietario. Ciò discende dall’apprezzabile risalenza dell’origine dell’inquinamento rispetto al tempo dell’adozione dei provvedimenti per cui è causa. Il legislatore contempla, a carico del proprietario incolpevole, l’obbligo di eseguire misure di prevenzione “secondo la procedura di cui all’articolo 242” (art. 245 comma 2). La disposizione evocata così recita: “Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione”. Dunque, le misure di prevenzione si connotano per la loro immediatezza rispetto alla scoperta dell’evento inquinante. E’ pur vero che le medesime sono dovute anche per evitare i “rischi di aggravamento” della situazione di contaminazione, i quali devono essere tuttavia dimostrati o quanto meno ipotizzati come verosimili o probabili. Nel caso di specie parte ricorrente ha dato conto, viceversa, dell’andamento recessivo dell’inquinamento, per cui le misure di prevenzione non appaiono sufficientemente giustificate. A fronte del dedotto miglioramento delle condizioni ambientali, sussisteva a carico dell’autorità preposta un onere motivazionale aggravato a sostegno delle misure di prevenzione poste a carico della proprietà.

2.10 In definitiva, non essendo imputabile alla Società ricorrente la responsabilità dell’inquinamento del sito (eziologicamente addebitabile all’attività di altri soggetti), la medesima non può essere destinataria delle prescrizioni imposte dall’amministrazione statale all’esito delle Conferenze richiamate.

2.11 Da ultimo, va dato atto della sentenza della sez. I di questo T.A.R. 9/8/2018 n. 802 (emessa sul SIN Laghi di Mantova), la quale ha rilevato come la giurisprudenza comunitaria circoscriva l’applicazione della direttiva 2004/35/CE alle attività svolte o ultimate dopo il 30 aprile 2007 (v. C.Giust. GS 9 marzo 2010 C-378/08, ERG, punto 46; C.Giust. Sez. VIII 9 marzo 2010 C-478/08, Buzzi, punto 36). Ebbene, da un lato si è già osservato (paragrafo 1.2) che il T.U. dell’ambiente (Lgs. 152/2006) ha confermato la disciplina introdotta in precedenza dall’art. 17 del D. Lgs. 22/97 nel senso della responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile (cfr. commi 2 e 9), salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale. Per le fattispecie anteriori nel tempo questo T.A.R. – con la sentenza appena evocata – ha applicato il parametro della responsabilità presunta ex art. 2050 c.c. addossando al soggetto che ha svolto l’attività pericolosa l’onere di dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, una volta accertata la pericolosità e ricostruito il nesso causale. Nel caso di specie, come ampiamente illustrato, difetta la relazione eziologica tra l’evento e l’attività di produzione di veicoli commerciali.

SUGLI OBBLIGHI A CARICO DEL PROPRIETARIO INCOLPEVOLE

2.12 Va ribadito che la pubblica amministrazione non può imporre al proprietario di un’area contaminata, che non sia (anche) l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di attuare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica di cui all’art. 240 comma 1 lett. m) e p), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II – 19/6/2018 n. 882 e la giurisprudenza richiamata). Come evidenziato da T.A.R. Veneto, sez. III – 22/3/2018 n. 333, “Da una piana lettura degli articoli 240, lettere i), m) ed n), 242 e 245, comma 2, del D.Lgs. n.152/2006, alla luce del principio “chi inquina paga” espresso dall’art. 191, par. 2, del TFUE e ribadito dall’art. 239, comma 1, del medesimo D.Lgs. n.152/2006, emerge infatti che il solo soggetto responsabile dell’inquinamento è tenuto, ai sensi del citato 242, ad eseguire (oltre alle misure di prevenzione, la cui definizione è contenuta nella lettera i) del citato articolo 240) anche le misure di messa in sicurezza di emergenza e le opere di bonifica. Il proprietario dell’area che non sia responsabile dell’inquinamento deve invece provvedere, ai sensi del menzionato comma 2 dell’art. 245, a dare comunicazione dell’inquinamento alla Regione, alla Provincia ed al Comune territorialmente competente, nonché ad attuare unicamente le “misure di prevenzione”, con esclusione delle più gravose misure costituite dalla messa in sicurezza d’emergenza e dalla bonifica (il cui obbligo di attuazione grava, in entrambi i casi, solamente sul soggetto responsabile dell’inquinamento)”. Anche il T.A.R. Palermo, sez. I – 11/5/2018 n. 1061, nell’esaminare la portata dell’art. 245 comma 2 del T.U. ha statuito che “…. letta alla stregua del principio giurisprudenziale comunitario sopra richiamato, il Collegio condivide quanto sostenuto da parte ricorrente in ordine al fatto che in capo ai soggetti non responsabili del fatto causativo del potenziale inquinamento non possa essere addebitato alcun obbligo di intervento al di fuori dell’invio della comunicazione ex art. 245 e della implementazione di eventuali misure di prevenzione; agli stessi, nondimeno, è riconosciuta una mera facoltà di intervenire spontaneamente nel procedimento per evitare di perdere la proprietà/disponibilità dell’area a seguito dell’esercizio dell’onere reale da parte della P.a.: facoltà che, anche ove manifestata (per l’area in proprietà), tuttavia non può costituire il presupposto per l’emanazione di un obbligo per interventi urgenti e di ripristino anche nelle aree limitrofe”.

2.13 L’esponente, in qualità di proprietaria dell’area, sarà se del caso responsabile sul piano patrimoniale e a tale titolo sarà tenuta, ove occorra, al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi, secondo quanto desumibile dal già citato quadro normativo.

3. In conclusione il gravame introduttivo e i motivi aggiunti sono fondati e meritano accoglimento nei termini sopra precisati, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Sussistono giusti motivi per compensare eccezionalmente le spese di lite tra le parti in causa, alla luce della mancata formazione di un orientamento chiaro in materia all’epoca dei fatti di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), accoglie il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti in epigrafe nei limiti di cui in motivazione, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata in forma telematica, e la Segreteria della Sezione provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Stefano Tenca
        
IL PRESIDENTE
Roberto Politi
        
        
IL SEGRETARIO
 

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