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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 422 | Data di udienza: 5 Maggio 2021

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Curatela fallimentare – Legittimazione passiva – Sussistenza.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 10 Maggio 2021
Numero: 422
Data di udienza: 5 Maggio 2021
Presidente: Massari
Estensore: Bertagnolli


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Curatela fallimentare – Legittimazione passiva – Sussistenza.



Massima

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 10 maggio 2021, n. 422

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Ordine di demolizione – Curatela fallimentare – Legittimazione passiva – Sussistenza.

L’ordine di demolizione può essere legittimamente rivolto anche alla curatela fallimentare che è nelle condizioni di eseguirla, in quanto, anche se non ha realizzato l’abuso, è tuttavia la detentrice dell’immobile di cui ha la materiale disponibilità ed è nelle condizioni di poter restaurare il corretto assetto urbanistico del territorio (ex pluribus cfr. Tar Basilicata, 24 marzo 2016, n. 280; Tar Sicilia, Palermo, 5 marzo 2015, n. 606; id. 5 marzo 2015, n. 56). Gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono infatti dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato.

Pres. Massari, Est. Bertagnolli – Fallimento C. s.r.l. (avv. Fiore) c. Comune di Palazzolo Sull’Oglio (avv. Bezzi)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ - 10 maggio 2021, n. 422

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 447 del 2018, proposto da
Fallimento C.M.T. Due S.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fulvio Fiore, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Palazzolo Sull’Oglio, rappresentato e difeso dall’avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Brescia, via Diaz 13/C;

per l’annullamento

– dell’ordinanza n. 10/2018, di data 30 gennaio 2018, notificata il 9 marzo 2018, con cui il Comune di Palazzolo ha ordinato la demolizione dell’opera realizzata, consistente in una piscina coperta e oggetto già di richiesta di permesso di costruire in sanatoria rigettata in data 30 giugno 2008;

– di ogni altro atto o provvedimento, presupposto, consequenziale o comunque connesso.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Palazzolo Sull’Oglio;

Visti tutti gli atti della causa;

Dato atto che la controversia è stata trattenuta in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ai sensi del combinato disposto dell’art. 25 del d.l. 137/2020 e dell’art. 4 del d.l. 28/2020, ivi richiamato;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 maggio 2021 la dott.ssa Mara Bertagnolli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società CMT, dopo aver realizzato, nel 2007, una piscina senza il necessario titolo edilizio, ha chiesto il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, che, però, gli è stato negato dal Comune.

Il ricorso presentato avanti a questo Tribunale avverso tale provvedimento è stato definito con la sentenza n. 1354/2017, che lo ha respinto, non potendosi ravvisare la condizione necessaria della doppia conformità: al momento della presentazione dell’istanza, infatti, risultava adottato (e, dunque, in salvaguardia) un piano attuativo che rendeva incompatibile l’opera rispetto alla previsione urbanistica.

La sentenza è stata appellata e alla camera di consiglio del 21 giugno 2018 l’istanza di sospensione è stata rigettata, in quanto si è ritenuto che il reale pericolo non fosse determinato dall’efficacia della sentenza, ma dagli effetti dell’ordine di rimozione del manufatto, già impugnato con il ricorso in esame, con il quale il Fallimento (intervenuto nel 2016) della società costruttrice ha dedotto:

1. violazione dell’art. 31, comma 2 del DPR 380/2001, in quanto l’ordinanza sarebbe stata notificata solo al curatore fallimentare e non anche alla proprietà e al responsabile materiale dell’abuso;

2. travisamento ed erronea valutazione dei fatti: secondo il ricorrente il Responsabile del procedimento avrebbe confuso l’autore dell’abuso, il proprietario del manufatto e del fondo e il mero detentore;

3. erronea individuazione del soggetto passivo dell’ordine di demolizione, insussistenza di legittimazione della curatela fallimentare, in quanto quest’ultima non avrebbe avuto la disponibilità giuridica del compendio immobiliare;

4. violazione della par condicio creditoria, nella parte in cui il provvedimento prevede l’immissione nel possesso gratuita da parte del Comune in caso di inottemperanza all’ordine di abbattimento;

5. errata applicazione dell’art. 650 c.p. nella parte in cui il provvedimento prevede la denuncia del Curatore inadempiente all’Autorità giudiziaria.

Si è costituito il Comune, precisando che esso non ha mai ostacolato la procedura fallimentare, essendosi solo limitato a prescrivere che nel bando di vendita del compendio immobiliare cui accede la piscina fosse specificata l’esistenza di una sanzione sostitutiva irrogata ai sensi dell’art. 33 del DPR 380/2001 soggetta ad accollo da parte dell’acquirente.

Nel merito, il fallimento sarebbe stato correttamente individuato come il soggetto tenuto all’adempimento dell’ordine di ripristino, in conformità al principio affermato nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017, in cui si legge che “Gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato.”.

Nessuna par condicio creditorum potrebbe ritenersi violata ove un bene abusivamente realizzato fosse sottratto dall’attivo fallimentare a causa della legittima ed inderogabile demolizione del medesimo.

Infine, la questione relativa all’applicazione dell’art. 650 per violazione dell’ordine di demolizione da parte del curatore fallimentare riguarderebbe la giurisdizione del giudice penale.

L’istanza cautelare è stata, quindi, rigettata.

In vista dell’udienza pubblica solo il Comune ha depositato una memoria nella quale ha richiamato le proprie difese, dando atto di aver rinunciato all’esecuzione in danno dell’ordinanza di demolizione in ragione del costo della stessa, pari a 200.000 euro, considerato come valore negativo nella procedura di fallimento e della ravvisata opportunità di attendere la vendita all’asta del compendio per onerare della spesa l’acquirente (reso edotto proprio dagli atti della procedura della necessità di intervenire sul compendio per l’eliminazione dell’abuso).

All’udienza pubblica del 5 maggio 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso, volto ad ottenere la caducazione di un ordine di demolizione di un’opera già ritenuta abusiva con una precedente sentenza di questo Tribunale, sub judice in appello, ma non sospesa, non può trovare positivo apprezzamento.

In primo luogo, considerato che i primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente in quanto aventi a oggetto la non corretta individuazione del Fallimento come destinatario dell’ordine di demolizione e delle conseguenze della sua mancata esecuzione, la doglianza risulta essere infondata.

L’ordine di demolizione deve essere rivolto a colui che abbia la disponibilità materiale dell’opera abusiva indipendentemente dal fatto che l’abbia concretamente realizzata.

La notifica, dunque, deve ritenersi andata a buon fine nei confronti del soggetto che, al momento dell’adozione del provvedimento, deteneva l’immobile, non responsabile dell’abuso, ma non di meno tenuto a dare corso al provvedimento di natura ripristinatoria, ancor prima che sanzionatoria.

Tale conclusione appare conforme all’orientamento costante e uniforme della giurisprudenza ben rappresentato nella sentenza del TAR Veneto, n. 45/2017, in cui si legge: “l’abusività dell’opera legittima il provvedimento di rimozione dell’abuso che è di regola atto dovuto che prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso medesimo, in quanto l’abusività dell’opera ha una connotazione di natura reale che segue l’immobile anche nei trasferimenti del medesimo.

Diversamente opinando, sarebbe sufficiente l’alienazione dell’immobile abusivo successivamente alla perpetrazione dell’abuso per eludere le esigenze di tutela dell’ordinato sviluppo urbanistico del territorio e dell’ambiente che sono sottese all’ordine di rimozione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 agosto 2015, n. 3933). Ciò premesso, la trasposizione di tali principi alle fattispecie nelle quali tra la commissione dell’abuso e l’irrogazione delle misure sanzionatorie e repressive sia stato dichiarato fallito il proprietario dell’immobile abusivo, comporta che l’ordine di demolizione possa essere legittimamente rivolto anche alla curatela fallimentare che è nelle condizioni di eseguirla, in quanto, anche se non ha realizzato l’abuso, è tuttavia la detentrice dell’immobile di cui ha la materiale disponibilità ed è nelle condizioni di poter restaurare il corretto assetto urbanistico del territorio (ex pluribus cfr. Tar Basilicata, 24 marzo 2016, n. 280; Tar Sicilia, Palermo, 5 marzo 2015, n. 606; id. 5 marzo 2015, n. 56).”.

Legittimamente, dunque, il Comune ha notificato l’ordine avversato all’unico soggetto che era nelle condizioni di provvedere all’adempimento dello stesso, in quanto detentore dell’immobile.

Né ciò può rappresentare (come dedotto alla quarta censura) una lesione della par condicio creditorum, in quanto l’ordine riguarda un bene illegittimamente costruito, che, quindi, giuridicamente non esiste e, conseguentemente, non può essere considerato un cespite del patrimonio della società fallita, perché destinato ad essere demolito.

Ogni censura attinente all’applicazione dell’art. 650 esula, infine, dalla giurisdizione di questo Tribunale.

Così respinto il ricorso, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida, a favore dell’Amministrazione resistente, in misura pari a euro 3.000,00 (tremila/00), oltre ad accessori di legge, se dovuti

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio svoltasi con collegamento da remoto ai sensi del comma 2 dell’art. 25 del d. l. 137/2020 nel giorno 5 maggio 2021 con l’intervento dei magistrati:

Bernardo Massari, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Mara Bertagnolli

IL PRESIDENTE
Bernardo Massari

IL SEGRETARIO

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