* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Termine di diciotto mesi – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Applicabilità ai soli provvedimenti successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 3 Ottobre 2018
Numero: 2200
Data di udienza: 25 Settembre 2018
Presidente: Caso
Estensore: Cordì
Premassima
* PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Termine di diciotto mesi – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Applicabilità ai soli provvedimenti successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Massima
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ – 3 ottobre 2018, n. 2200
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Termine di diciotto mesi – Art. 21 nonies l. n. 241/1990 – Applicabilità ai soli provvedimenti successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione.
Il termine di diciotto mesi di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 trova applicazione solo nei confronti dei provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione. Tale interpretazione appare maggiormente acconcia al dato letterale e alla specifica ratio legis e appare confermata dalla circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido parametro temporale di riferimento ora previsto dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
Pres. Caso, Est. Cordì – M.R. e altro (avv. Rimoldi) c. Comune di Besozzo (avv. De Marini)
Allegato
Titolo Completo
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ - 3 ottobre 2018, n. 2200SENTENZA
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 2^ – 3 ottobre 2018, n. 2200
Pubblicato il 03/10/2018
N. 02200/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01272/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1272 del 2017, proposto da:
Massimo Robba, Beatrice Robba, rappresentati e difesi dall’avvocato Alberto Rimoldi, con domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Patane’ in Milano, corso Magenta, 85;
contro
Comune di Besozzo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco De Marini, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via E. Visconti Venosta 7;
per l’annullamento
– dell’ordinanza n. 17 del 21 marzo 2017, notificata in pari data, con la quale il Comune di Besozzo ha parzialmente annullato, ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990, il permesso di costruire n. 143/2014 e successivi permessi in variante (n. 42/2015 e n. 92/2015), e per l’effetto ordinato ai ricorrenti di provvedere, entro i successivi 90 giorni, “alla integrale restituzione in pristino dell’altezza originaria dell’edificio come prevista prima degli interventi di cui ai titoli annullati”, con l’avvertenza che, in difetto, il bene e l’area di sedime verranno acquisite di diritto al patrimonio dell’Amministrazione, per tutte le conseguenze di legge;
– di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Besozzo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 settembre 2018 il dott. Lorenzo Cordi’ e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato in data 22 maggio 2017 i signori Massimo Robba e Beatrice Robba impugnano l’ordinanza n. 17 del 21 marzo 2017, con la quale il Comune di Besozzo annulla parzialmente, ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990, il permesso di costruire n. 143/2014 e successivi permessi in variante (n. 42/2015 e n. 92/2015), e per l’effetto ordina ai ricorrenti di provvedere, entro i successivi 90 giorni, “alla integrale restituzione in pristino dell’altezza originaria dell’edificio come prevista prima degli interventi di cui ai titoli annullati”, con l’avvertenza che, in difetto, il bene e l’area di sedime verranno acquisite di diritto al patrimonio dell’Amministrazione, per tutte le conseguenze di legge, nonché ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
1.1. In punto di fatto, i ricorrenti espongono:
– di essere proprietari, a far data dal 7 dicembre 2015, di un immobile a destinazione residenziale ubicato in Besozzo, via Monte Bianco n. 23, catastalmente identificato al N.C.E.U. al foglio n. 6, mappali n. 3917 e 3921, costituito da piano seminterrato, piano terra e primo piano, e classificato all’interno del vigente piano di governo del territorio in “ambito territoriale T3 – sistemi insediativi di rilevanza paesaggistica”, che si caratterizza per una morfologia urbana tipica delle zone di recente espansione abitativa (così l’articolo 97 del piano delle regole);
– che, in relazione a tale immobile, viene rilasciato ai loro danti causa permesso di costruire n. 143/2014, con il quale è autorizzata la ristrutturazione del fabbricato, e con essa, “il sopralzo della parte centrale del tetto come descritto nelle tavole progettuali”;
– che, successivamente sono emanati due titoli in variante costituiti dal permesso di costruire n. 42/2015 con il quale è assentita l’eliminazione della scala interna di collegamento al piano sottotetto e la formazione di nuovo ingresso pedonale su via Pordoi, e il permesso di costruire n. 92/2015, avente ad oggetto, oltre ad alcune opere interne, l’abbassamento, rispettivamente, di 20 e 40 centimetri delle quote di imposta e di colmo del tetto;
– che, con nota del 12 dicembre 2016, il Comune comunica ai danti causa l’avvio del procedimento finalizzato all’accertamento di eventuali violazioni alle regole urbanistiche, in particolare, in ordine all’altezza della costruzione;
– che, in relazione a questo punto, i ricorrenti chiedono e ottengono la sanatoria delle difformità riscontrate nel corso del sopralluogo, ad eccezione di quelle relative al tetto;
– che l’Amministrazione, nonostante le osservazione formulate dai ricorrenti in sede procedimentale, annulla i titoli edilizi rilasciati ordinando ai ricorrenti il ripristino dell’altezza originaria dell’edificio.
2. I ricorrenti articolano cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo (rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell’articolo21-noniesdella legge n. 241/1990, per decorrenza del termine di diciotto mesi (relativamente al P.C. n. 143/2014 e al P.C. n. 42/2015) e/o comunque del termine ragionevole e per assenza di profili di illegittimità”), i ricorrenti ritengono che il potere amministrativo di annullamento degli atti debba ritenersi precluso dal decorso del termine di 18 mesi di cui all’articolo 21 nonies l. 241/1990 nella versione attuale, ritenuta vigente ratione temporis anche in considerazione dell’impossibilità di far decorrente il dies a quo dalla data di emanazione dell’ultimo permesso in variante.
2.2. Con il secondo motivo (rubricato: “Violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per violazione del principio di partecipazione e trasparenza”), i ricorrenti lamentano: a) la mancata comunicazione di avvio del procedimento; b) l’adozione dell’ordinanza di demolizione contestualmente all’annullamento dei titoli edilizi, con conseguente impossibilità di partecipazione al procedimento.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso (rubricato: “Violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e21-nonies della legge n. 241/1990, per carenza di motivazione in punto di interesse pubblico e di mancata comparazione con l’interesse privato e di ragionevolezza del termine; violazione e falsa applicazione dell’articolo 10 della legge n. 241/1990; violazione del principio di legittimo affidamento, di buon andamento e di imparziali; eccesso di potere per carenza di istruttoria, carenza di motivazione e motivazione apparente”), i ricorrenti lamentano l’insussistenza di motivazione sulle ragioni di interesse pubblico e la mancata comparazione tra tale interesse e quello dei privati al mantenimento dei titoli, derivante dall’affidamento generato dal rilascio dei medesimi.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso (rubricato: “Violazione dell’articolo e falsa applicazione dell’articolo21-nonies della legge n. 241/1990; eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione”), i ricorrenti lamentano l’erroneità del computo dell’altezza dell’edificio misurata dal piano seminterrato e non dal piano terra, come accaduto in sede di rilascio dei titoli oggetto di annullamento.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso (rubricato: “Violazione dell’articolo 1227 codice civile”), i ricorrenti eccepiscono il concorso colposo dell’Amministrazione nel patrocinare un’interpretazione dell’articolo 32 del piano delle regole, successivamente smentita dal provvedimento di annullamento in autotutela.
3. Le parti ricorrenti chiedono, inoltre, il risarcimento di tutti i danni patiti e patiendi, nella misura che sarà quantificata in corso di giudizio, “sussistendo tutti gli altri presupposti previsti dall’art. 2043 c.c. per il riconoscimento della responsabilità del Comune, stante l’evidente colpa da cui è connotato l’operato di quest’ultimo”.
3. Si costituisce in giudizio il Comune resistente chiedendo che il ricorso sia dichiarato irricevibile, inammissibile e/o improcedibile ovvero rigettato nel merito siccome infondato, e che sia rigettata, inoltre, l’istanza cautelare proposta.
4. Con decreto n. 758/2017 il Presidente di questa sezione sospende l’efficacia dei provvedimenti impugnati sulla base della seguente motivazione:
“Considerato che:
– impregiudicata o meno la fondatezza dei motivi di ricorso – l’ordine di restituzione in pristino qui impugnato deve essere eseguito entro novanta giorni dalla notifica del provvedimento stesso (21 marzo 2017) e che la prima camera di consiglio utile è quella fissata per il 29 giungo 2017;
Rilevata esclusivamente l’incombenza – medio tempore – di un danno grave ed irreparabile ed il fatto che, ove l’istanza cautelare collegiale risultasse priva di presupposti, l’opposto interesse pubblico potrebbe comunque essere soddisfatto, anche materialmente, già in tale medesima sede”.
4.1. All’esito dell’udienza in camera di consiglio del 29 giugno 2017, la sezione conferma la sospensione dell’efficacia dei provvedimenti impugnati, osservando che “dall’esecuzione del provvedimento impugnato po[trebbe] derivare un pregiudizio grave e irreparabile ai ricorrenti e che, d’altro canto, la sospensione degli effetti di tale provvedimento, nelle more della definizione del giudizio, non comport[a] un apprezzabile sacrificio dell’interesse pubblico”.
5. In vista dell’udienza pubblica del 25 settembre 2018, parte ricorrente deposita memoria difensiva unitamente ai documenti nn. 11 – 15, insistendo nei motivi di ricorso articolati. In data 4 settembre 2018 deposita, inoltre, memoria di replica.
5.1. Il Comune deposita memoria finale in data 25 luglio 2018 e successiva memoria di replica in data 4 settembre 2018.
6. All’udienza del 25 settembre 2018 la causa è trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le parti ricorrenti impugnano:
a) l’ordinanza n. 17 del 21 marzo 2017, con la quale il Comune di Besozzo annulla parzialmente, ai sensi dell’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990, il permesso di costruire n. 143/2014 e successivi permessi in variante (n. 42/2015 e n. 92/2015), e per l’effetto ordina ai ricorrenti di provvedere, entro i successivi 90 giorni, “alla integrale restituzione in pristino dell’altezza originaria dell’edificio come prevista prima degli interventi di cui ai titoli annullati”, con l’avvertenza che, in difetto, il bene e l’area di sedime verranno acquisite di diritto al patrimonio dell’Amministrazione, per tutte le conseguenze di legge,
b) ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
2. Preliminarmente occorre dichiarare l’inammissibilità della produzione documentale di parte ricorrente del 24 luglio 2018 e, in particolare, dei documenti nn. 12 – 15 (rilievo fotografico; scheda progettuale; rilievo fotografico; scheda progettuale). Tale produzione è effettuata oltre il termine di cui all’articolo 73 c.p.a. che consente alle parti di produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, i termini fissati dall’art. 73 c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti hanno carattere perentorio, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell’ordinato lavoro del giudice, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 13 marzo 2015, n. 1335, TAR Campania, Napoli, Sezione VI, 11 ottobre 2016, n. 4661).
2.1. La giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, puntualizza che, sebbene in generale i termini previsti dall’art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito in giudizio di documenti e memorie siano perentori e, in quanto tali, non possono essere superati neanche ove sussistesse accordo delle parti, tuttavia, il loro deposito tardivo deve ritenersi ammesso in via del tutto eccezionale nei casi di dimostrazione dell’estrema difficoltà di produrre l’atto nei termini di legge, così come previsto dall’art. 54, comma 1, dello stesso codice del processo amministrativo (cfr., TAR per la Campania, Napoli, Sezione VIII, 23 gennaio 2017, n. 450).
2.2. Nel caso di specie, constatata l’insussistenza dei presupposti di cui all’articolo 54 c.p.a., deve dichiararsi la tardività della documentazione versata in atti che la parte avrebbe dovuto produrre entro il 16 luglio 2018.
2.3. Non si procede, al contrario, allo stralcio del documento n. 11 in quanto non costituente un documento nuovo ma un mero particolare di un documento già ritualmente prodotto in giudizio.
3. Venendo al merito del ricorso deve procedersi all’esame del primo motivo con il quale i ricorrenti ritengono che il potere amministrativo di annullamento degli atti debba ritenersi precluso dal decorso del termine di 18 mesi di cui all’articolo 21 nonies l. 241/1990 nella versione attuale, ritenuta vigente ratione temporis anche in considerazione dell’impossibilità di far decorrente il dies a quo dalla data di emanazione dell’ultimo permesso in variante. Replica il Comune osservando che il termine in esame non decorre in caso di falsa rappresentazione delle circostanze di fatto poste a fondamento del titolo, da individuarsi nel fatto che “le domande presentate per ottenere i titoli edilizi rilasciati […] evidenzia[no] circostanze non coerenti con quanto effettivamente progettato, non fosse altro per il fatto che l’altezza dell’edificio in progetto era indicata in mt. 8 (oppure non era neppure indicata)”.
3.1. Entrando in medias res, il Collegio osserva, in primo luogo, come la previsione di cui all’articolo 21 nonies della l. 241/1990 segni il definitivo superamento dell’originaria teorica dell’inconsumabilità del potere di autotutela (o di quella che un risalente orientamento definisce “la perennità della potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti invalidi” – in tal senso: Consiglio di Stato, sez. II, 7 giugno 1995, n. 2917/94), invero, già ampiamente rivisitata dall’evoluzione dell’ordinamento pubblicistico che, come evidenziato da Consiglio di Stato, ad. plen. 17 ottobre 2017, n. 8, si muove in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi dall’esplicazione del potere di autotutela temperando il richiamato principio di perennità e predicando, invece, la necessità che l’annullamento e la revoca intervengano entro un termine ragionevole (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 novembre 1999, n. 1812; id., sez. V, 20 agosto 1996, n. 939).
3.2. La previsione normativa che, come spiegato, recepisce in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza, prevede testualmente:
“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l’applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.
3.3. Con specifico riferimento ai titoli edilizi, la giurisprudenza declina il dato normativo sopra riportato evidenziando come i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio devono individuarsi nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità, da compararsi con i contrapposti interessi dei privati, entro un termine ragionevole (che l’articolo 6 della l. 7 agosto 2015, n. 124 fissa, da ultimo, in diciotto mesi) (T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, sez. VIII, 28 agosto 2018, n. 5276).
3.4. In relazione alla questione relativa al termine di 18 mesi in ultimo richiamato si pone una questione di diritto intertemporale atteso che il provvedimento di annullamento in autotutela – adottato nella vigenza della nuova disposizione – si riferisce a due permessi emessi nella vigenza della precedente disposizione. In particolare, sia il permesso di costruire n. 143/2014 che il permesso n. 4272015 sono adottati prima dell’entrata in vigore della modifica apportata dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1) della legge 7 agosto 2015, n. 124. E’, invece, emanato dopo l’entrata in vigore della modifica normativa in esame il permesso di costruire n. 92/2015 del 23 settembre 2015, anch’esso annullato dal provvedimento in esame.
3.5. Sul punto, si evidenzia che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 è applicabile in ogni caso in cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente (ex plurimis: T.A.R. per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, 17 marzo 2016, n. 351; T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sez. III, 22 settembre 2016, n. 4373; T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 4 gennaio 2017, n. 65; T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sez. I-bis, 21 febbraio 2017, n. 2670; T.A.R. per la Sardegna, Sez. I, 7 febbraio 2017, n. 92).
3.6. Secondo un indirizzo di segno opposto, ai fini dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art. 11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado, con conseguente insensibilità del procedimento amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo sopravvenute. A sostegno della tesi in esame si osserva che la “modifica non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’amministrazione entro 18 mesi: mentre, invece, nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine. Ma nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della l. n. 124 del 2015). La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica solo ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che la disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come evidenziato, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione – che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo – non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge. Depone in favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo diciotto mesi dal momento dell’adozione – momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore – del provvedimento di autorizzazione (di primo grado)” (T.A.R per la Campania – sede di Napoli, sez. II, 12 settembre 2016, n. 4229).
3.7. La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato – inaugurata dalla sentenza della V sezione, del 19 gennaio 2017, n. 250 – evidenzia che il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
3.7. Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione “solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch’essi, successivi all’entrata in vigore della nuova disposizione” (T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, sez. I bis, 2 luglio 2018, n. 7272). Va, infatti, considerato che la nuova disposizione ancora l’esercizio del potere al momento di emanazione del primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo grado rimuove. La generalizzata applicazione del termine dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela – per i provvedimenti già emessi prima del 28 agosto 2015 – necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la stessa in un termine generale di definizione di tutti i provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già adottati prima della novella. Aderendo alla tesi pur autorevolmente patrocinata da parte della giurisprudenza, l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal modo, però, per gli atti adottati prima della novella il termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi sulla data di emanazione del singolo atto – come espressamente disposto dalla norma – ma, al contrario, sulla data di entrata in vigore della legge. Si perviene, così, al risultato di negare la ratio della previsione che, come detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge. Conclusione che, del resto, appare confermata dalla circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido parametro temporale di riferimento ora previsto dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
3.8. Declinando il principio esposto al caso di specie, deve ritenersi che l’atto di annullamento in autotutela relativo al primo permesso di costruire non può ritenersi illegittimo per intervenuto superamento del termine di 18 mesi, non potendosi applicare, per le ragioni spiegate, la previsione introdotta dalla legge 124 del 2015.
3.9. Permane, ovviamente, la necessità che l’atto di annullamento sia adottato in un termine ragionevole. Circostanza, invero, non contestata da parte dei ricorrenti che fondano il primo motivo esclusivamente sulla ritenuta violazione del termine di 18 mesi. In ogni caso, osserva il Collegio che il richiamo alla ragionevolezza del termine, non comporta che, decorso un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, sia eliso il potere di annullamento, ma si traduce nella necessità di verificare con peculiare attenzione se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale anche in considerazione al complesso delle circostanze e degli interessi rilevanti. Inoltre, come autorevolmente insegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2017, la locuzione “termine ragionevole” richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie. Si intende con ciò rappresentare che la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione “ragionevole”) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto.
3.9. Nel caso di specie, l’intervento dell’Amministrazione può ritenersi esercitato in tempo ragionevole tenuto conto dell’opacità delle richieste di permesso di costruire e della documentazione ivi allegata che non chiariscono, in modo inequivoco, come l’intervento consista effettivamente nel superamento dell’altezza di 8 metri. Infatti, che l’altezza dell’edificio esistente sia pari già ad 8 metri è un dato indicato esclusivamente nella tavola n. 3 con l’apposizione di un rigo di misura accanto alla sagoma dell’edificio. Non si espone, invece, nulla nella relazione tecnica al progetto non chiarendo, pertanto, all’Amministrazione che l’intervento che si intende realizzare comporta un’altezza complessiva superiore a tale limite. Si affida, così, ad una deduzione dell’Amministrazione l’individuazione dell’effettiva consistenza dell’intervento, da effettuarsi sulla base, come detto, di un’indicazione accennata accanto al disegno della sagoma. Circostanze che rendono, quindi, “esigibile” l’intervento dell’Amministrazione solo all’esito di un’analitica verifica non agevolata dalla parte privata che, al contrario, omette di chiarire in modo espresso (come sarebbe imposto da quei doveri di buona fede e correttezza che permeano i rapporti con l’Amministrazione anche dal lato del privato) l’altezza che l’edifico complessivo raggiunge in caso di accoglimento delle proprie istanze.
3.10. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve rigettarsi in quanto infondato.
4. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso con il quale i ricorrenti lamentano: a) la mancata comunicazione del procedimento di avvio del procedimento; b) l’adozione dell’ordinanza di demolizione contestualmente all’annullamento dei titoli edilizi, con conseguente impossibilità di partecipazione al procedimento.
4.1. Il motivo è infondato tenuto conto che l’istanza di permesso di costruire in sanatoria si fonda espressamente sul verbale di sopralluogo prot. 17920 in data 29/11/2016 e sulla comunicazione di avvio del procedimento amministrativo prot. 18597 in data 12/12/2016. I ricorrenti si mostrano, quindi, pienamente a conoscenza della comunicazione di avvio del procedimento inviati ai loro genitori e danti causa che, tra l’altro, depositano un’apposita memoria difensiva. Pertanto, i ricorrenti erano nella possibilità di articolare una loro memoria difensiva essendo a conoscenza del procedimento e, inoltre, non deducono in sede giurisdizionale questioni sostanzialmente diverse da quelle indicate nella memoria difensiva dei danti causa, dimostrando, in tal modo, l’irrilevanza di un loro ipotetico ulteriore apporto procedimentale.
4.2. Parimenti infondata è la seconda censura ove si tenga conto che il provvedimento sanzionatorio è consequenziale alla rimozione parziale del titolo. Opera, pertanto, il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui gli atti volti a sanzionare gli abusi di edilizi non debbono essere preceduti dall’avviso di avvio del procedimento, e ciò in quanto l’attività di repressione di tali abusi si caratterizza per essere urgente e strettamente vincolata (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 18 gennaio 2018, n. 289; T.A.R. per la Campania – sede di Napoli, sez. IV, 3 maggio 2017, n. 2320; nella giurisprudenza di questa sezione v., da ultimo, T.A.R. Lombardia, sede di Milano, sez. II, 15 marzo 2018, n. 732).
5. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’insussistenza di motivazione sulle ragioni di interesse pubblico e la mancata comparazione tra tale interesse e quello dei privati al mantenimento dei titoli, derivante dall’affidamento generato dal rilascio dei medesimi.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. L’Amministrazione espone le ragioni di interesse pubblico in considerazione del fatto che la relazione descrittiva in sede di domanda indica un’altezza massima di metri 8, in tal modo, evidenziando la difformità tra la dichiarazione e l’effettiva utilizzazione del titolo da parte dei privati. Osserva che la necessità di rimozione del titolo si impone in ragione del vizio di carattere sostanziale dell’intervento. Argomentazioni che, lungi dal risultare assiomatici, sorreggono correttamente il provvedimento impugnato anche in ragione di quanto in precedenza ove si stigmatizza quell’opacità delle richieste della parte privata che impongono un intervento da parte del Comune resistente.
5.3. Inammissibile e, comunque, infondata risulta la deduzione secondo cui l’Amministrazione avrebbe omesso di considerare le memorie presentate dai danti causa degli attuali ricorrenti. Infatti, una simile censura pare proponibile esclusivamente da coloro che hanno presentato le osservazioni, non potendosi lamentare della loro omessa considerazione una parte estranea alla formazione delle stesse. In ogni caso, si evidenzia come, per costante giurisprudenza, l’obbligo di esame delle memorie e dei documenti difensivi presentati dagli interessati nel corso dell’iter procedimentale, non impone all’amministrazione una formale ed analitica confutazione di ogni argomento utilizzato, essendo sufficiente, alla luce dell’art. 3 della l. 241/1990, un’esternazione motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni partecipative dei privati, come puntualmente avvenuto nella fattispecie (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 maggio 2012, n. 3210; Consiglio di Stato, Sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7472; T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sez. III, 8 giugno 2016. n. 2885; T.A.R. per la Campania, sede di Napoli, Sez. IV, 15 settembre 2011, n. 4402).
6. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano l’erroneità del computo dell’altezza dell’edifico misurata dal piano seminterrato e non dal piano terra, come accaduto in sede di rilascio dei titoli oggetto di annullamento. Il motivo può esaminarsi congiuntamente al quinto con il quale si eccepisce il concorso colposo dell’Amministrazione nel patrocinare un’interpretazione dell’articolo 32 del piano delle regole, successivamente smentita dal provvedimento di annullamento in autotutela.
6.1. I motivi sono infondati.
6.2. La previsione di cui all’articolo 32 del Piano delle regole del P.G.T. stabilisce che l’altezza massima sia la misura verticale fra il piede dell’edificio e la sua sommità, dove per piede di edificio si intende l’intersezione fra l’involucro esterno ed il suolo (escluse solo scale esterne e rampe) e per sommità l’imposta del tetto a falde inclinate. Del pari l’art. 24 del Regolamento Edilizio prevede che l’altezza sia misurata dal piano di spiccato dell’edificio. Nel caso in esame, la misurazione è determinata dalla base dell’edificio posta sulla via Monte Bianco, cui si accede all’edificio esistente, e comporta una altezza che la stessa parte ricorrente, nella relazione tecnica che accompagna la richiesta di permesso di costruire in sanatoria, indica in metri 8,70 (in luogo di mt. 9,33 secondo le misurazioni effettuate dal Comune in sede di sopralluogo). Diviene, irrilevante, verificare l’effettiva altezza tenuto conto che, in entrambi i casi, risulta superato il limite vigente.
6.3. Non pare, in ultimo, sostenibile la tesi di un concorso colposo dell’Amministrazione che, secondo i ricorrenti, patrocina un’interpretazione dell’articolo 32 diversa da quella posta a fondamento dell’atto di annullamento in autotutela. Infatti, il provvedimento di rimozione non si fonda su una diversa interpretazione ma sulla constatazione di un edificio in altezza superiore al limite consentito. Non si tratta, quindi, di un diverso criterio di misurazione ma dell’accertamento di un dato relativo al titolo non consentito dalla legge.
7. Il ricorso deve essere, pertanto, respinto,
8. Va, in ultimo, respinta la domanda di risarcimento del danno sia in ragione della legittimità del provvedimento che per l’integrale mancanza di allegazioni ed evidenze a sostegno della sussistenza dell’asserito danno in capo alle parti ricorrenti.
9. Le spese di lite possono essere compensate ai sensi degli articolo 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, 19 aprile 2018, n. 77 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quest’ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, da individuarsi nella sussistenza di differenti orientamenti giurisprudenziali in relazione alla portata intertemporale del nuovo articolo 21 nonies della l. 241/1990.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Italo Caso, Presidente
Silvana Bini, Consigliere
Lorenzo Cordi’, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Lorenzo Cordi’
IL PRESIDENTE
Italo Caso
IL SEGRETARIO