* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Interventi di bonifica – Misure di messa in sicurezza d’emergenza – Proprietario incolpevole dell’area inquinata – Obbligo – Esclusione – Art. 253 d.lgs. n. 152/2006 – Onere reale – Significato.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 30 Maggio 2014
Numero: 1373
Data di udienza: 14 Maggio 2014
Presidente: Giordano
Estensore: Quadri
Premassima
* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Interventi di bonifica – Misure di messa in sicurezza d’emergenza – Proprietario incolpevole dell’area inquinata – Obbligo – Esclusione – Art. 253 d.lgs. n. 152/2006 – Onere reale – Significato.
Massima
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ – 30 maggio 2014, n. 1373
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Interventi di bonifica – Misure di messa in sicurezza d’emergenza – Proprietario incolpevole dell’area inquinata – Obbligo – Esclusione.
Le disposizioni di cui agli artt. 242 e 250 del d.lgs. n. 152/2006, in combinato disposto, non possono che essere interpretate nel senso che l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa. La norma individua, perciò, dal punto di vista soggettivo, nella responsabilità dell’autore dell’inquinamento, a titolo di dolo o di colpa, la fonte dell’obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all’eventuale bonifica del sito inquinato. (cfr., T.A.R Toscana, sez. II, 6 maggio 2009, n. 762; 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; , T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Campania, sez. V, 28 settembre 1998, n. 2988). Ne consegue che l’amministrazione non può imporre ai privati che non hanno responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320). L’enunciato è d’altronde conforme al principio cui si ispira la legislazione comunitaria “chi inquina paga” (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE) che impone a chi fa correre un rischio di inquinamento o a chi provoca un inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione. A carico del proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione, invero, non grava alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale (art. 253 d.lgs. n. 152/2006), al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale, assistite anche da privilegio speciale immobiliare. (T.A.R. Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355)
Pres. Giordano, Est. Quadri – I. s.p.a. (avv.ti Capria e Schizzerotto) c. Provincia di Pavia (avv. Bernardo)
INQUINAMENTO DEL SUOLO – Interventi di bonifica – Art. 253 d.lgs. n. 152/2006 – Proprietario incolpevole – Onere reale – Significato.
La scelta del legislatore di evocare la figura dell’onere reale (art. 253 d.lgs. n. 152/2006) può spiegarsi solo ammettendo che il proprietario incolpevole non sia tenuto ad una prestazione di facere (di cui è gravato solo il responsabile), ma sia tenuto solo a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle spese sostenute dalla p.a. che abbia eseguito direttamente gli interventi di messa in sicurezza e bonifica. E tale conclusione risulta espressa dall’art. 253, comma 4, che testualmente prevede che “il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservazione delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati all’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi”. In altre parole, si deve ritenere che il riferimento all’onere reale non valga a far diventare obbligatorio ciò che (l’intervento di bonifica) poco prima (art. 245) il legislatore abbia qualificato in termini di una mera facoltà, quanto, piuttosto, a far gravare sul fondo il rimborso delle spese sostenute dall’autorità che abbia provveduto d’ufficio all’intervento (e, quindi, semmai, a far diventare quella facoltà un onere) (Cons. Stato, A.P., ord., 13 novembre 2013, n. 25).
Pres. Giordano, Est. Quadri – I. s.p.a. (avv.ti Capria e Schizzerotto) c. Provincia di Pavia (avv. Bernardo)
Allegato
Titolo Completo
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ – 30 maggio 2014, n. 1373SENTENZA
TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ – 30 maggio 2014, n. 1373
N. 01373/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02090/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2090 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Capria e Francesco Schizzerotto, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Milano, p.zza Belgioioso n. 2;
contro
Provincia di Pavia, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanbattista Bernardo, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Melegari, 1;
nei confronti di
Comune di Pavia, rappresentato e difeso dall’avv. Bassano Baroni, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Pattari, 6;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Lombardia; Regione Lombardia;
Sogef S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Belvedere e Walter Fumagalli, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, p.zza Duse, 3;
per l’annullamento
del provvedimento del Dirigente del Settore Tutela Ambientale della Provincia di Pavia, prot. n. 39746, Class/fasc 2012.009.005/21, del 18.06.2012, nella parte in cui :
– pronuncia la decadenza della certificazione rilasciata dalla Provincia di Pavia con atto prot. n. 37351 del 21 ottobre 2004 con conseguente cessazione degli effetti dell’atto;
– diffida ai sensi del D.Lgs.152/2006, parte IV, titolo V art. 244 c.2, l’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro S.p.a. a provvedere ai sensi del D.Lgs.152/2006, parte IV, titolo V, presentando agli enti competenti per territorio il piano di Caratterizzazione entro 30 giorni dalla data di notifica del provvedimento stesso; ove occorrer possa della nota di trasmissione del provvedimento, anch’essa della Provincia di Pavia, prot. n. 39746, Class/fasc 2012.009.005/21, del 18.06.2012; nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
Con ricorso per motivi aggiunti, depositati in data 01.10.2013, per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento del Comune di Pavia, Settore Ambiente e territorio, Servizio Ecologia, prot. n. 0028472/2013 del 23.07.2013, nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pavia, del Comune di Pavia e di Sogef S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 maggio 2014 la dott.ssa Elena Quadri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il presente ricorso la società istante, che opera nel campo delle costruzioni, ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali l’amministrazione provinciale di Pavia ha disposto la decadenza della certificazione di bonifica dell’area dismessa convenzionalmente denominata “ex Chatillon” di circa 62.000 mq, sita nel comune di Pavia, località Motta San Damiano, della quale la ricorrente è proprietaria dal 1996, certificazione rilasciata il 21 ottobre 2004, con la conseguente cessazione degli effetti dell’atto, nonché l’ha diffidata, unitamente alla precedente proprietaria Sogef S.p.a. (ex SO.G.IM. S.r.l.), a provvedere, ai sensi del d.lgs. n. 152/2006, parte IV, titolo V, art. 244 c.2, a presentare agli enti competenti per territorio il piano di caratterizzazione entro 30 giorni dalla data di notifica del provvedimento.
Tali determinazioni sono state assunte dall’Amministrazione in considerazione dell’inadempimento da parte di Sogef alle prescrizioni indicate nell’atto di certificazione e dei comportamenti omissivi rilevati sia a carico di Sogef che di Maltauro, che avrebbero contribuito alla diffusione della potenziale contaminazione delle acque di falda e del permanere dello stato di potenziale contaminazione del sito, come risulterebbe evidenziato nella relazione prodotta dal CT dott. Giampaolo Sommaruga nell’ambito del procedimento penale instaurato nel 2010 davanti alla Procura di Pavia.
A sostegno del proprio ricorso l’istante ha dedotto la violazione dell’allegato V al d.M. 471/1999, degli artt. 239, 240, 242, 244, 245, 247, 250 e 253 del d.lgs. n. 152/2006, degli artt. 1, 3 e 7 della legge n. 241/90, dell’art. 5 della legge della regione Lombardia n. 30/2006, oltre all’eccesso di potere per contraddittorietà e perplessità, illogicità, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, violazione dei principi di proporzionalità, di leale collaborazione e “chi inquina paga”, sviamento di potere, incompetenza.
In particolare, la società istante ha assunto l’impossibilità di addossare sulla stessa qualsiasi obbligo di messa in sicurezza e di bonifica del sito in considerazione della sua estraneità alle responsabilità dell’inquinamento del medesimo, da attribuire ai soggetti che vi hanno esercitato l’attività produttiva nel settore delle tecnofibre, ivi producendo solfuro di carbonio, sin dal 1920 (prima Chatillon, poi Montefibre), nonché, in subordine, nel caso di mancata individuazione dell’inquinatore, la sussistenza in capo all’Amministrazione del dovere di attivarsi in sua sostituzione, salvo le conseguenti facoltà di rivalsa sulla proprietà.
Si sono costituiti in giudizio la provincia di Pavia e il comune di Pavia, che hanno chiesto la reiezione del ricorso per infondatezza nel merito controdeducendo specificamente alle singole doglianze.
Si è costituita, altresì, Sogef S.p.a., che ha insistito nell’evidenziare la propria estraneità dal presunto inquinamento del sito.
Con ordinanza n. 1326/2012 del 14 settembre 2012, la sezione ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente nel bilanciamento fra gli interessi in gioco;
Con ricorso per motivi aggiunti l’istante ha impugnato il provvedimento del 23 luglio 2013, con il quale il comune di Pavia ha approvato il piano di caratterizzazione nel frattempo presentato dalla società, nella parte in cui la contempla, peraltro in maniera esclusiva, quale proprietaria dell’area di interesse e, dunque, sottintende una sua esclusiva responsabilità, oltre che i verbali della conferenza di servizi tenutasi nel 2013 e le relazioni dell’ARPA, contestando che dai medesimi possa evincersi nei suoi confronti la prova di una qualsiasi responsabilità per la contaminazione del sito.
L’istante ha dedotto la violazione dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 1 della legge n. 241/1990, dei principi di trasparenza nell’azione amministrativa e di leale collaborazione, oltre che l’eccesso di potere per sviamento e l’illegittimità derivante dai provvedimenti impugnati in via principale.
Il comune di Pavia ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti per carenza di interesse, in considerazione della natura meramente autorizzativa e ricognitiva dell’atto impugnato e non prescrittiva, dal quale, dunque, non potrebbe derivare alcun effetto lesivo della posizione giuridica dell’istante. L’individuazione della responsabilità di Maltauro sarebbe, infatti, riconducibile esclusivamente all’ordinanza della provincia di Pavia, impugnata con il ricorso principale.
Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.
All’udienza pubblica del 14 maggio 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
La controversia all’esame del collegio concerne l’impugnazione della decadenza dalla certificazione di bonifica dell’area dismessa convenzionalmente denominata “ex Chatillon” sita nel comune di Pavia, località Motta San Damiano, nonché della diffida emessa nei confronti della società ricorrente e della precedente proprietaria Sogef a provvedere a presentare agli enti competenti per territorio, ai sensi del d.lgs. n. 152/2006, parte IV, titolo V, art. 244 c.2, il piano di caratterizzazione per l’accertamento della consistenza della contaminazione e la determinazione delle misure di sicurezza e di bonifica.
Le doglianze della società ricorrente si imperniano, essenzialmente, sul principio di derivazione europea “chi inquina paga”, dunque sull’assunta impossibilità di addossare sulla stessa qualsiasi obbligo di messa in sicurezza e di bonifica del sito in considerazione della sua estraneità alle responsabilità dell’inquinamento del medesimo, da attribuire ai soggetti che vi hanno esercitato l’attività produttiva nel settore delle tecnofibre, ivi producendo solfuro di carbonio sin dal 1920 (prima Chatillon, poi Montefibre), nonché, in subordine, nel caso di mancata individuazione dell’inquinatore, sulla sussistenza in capo all’Amministrazione del dovere di attivarsi in sua surrogazione, salvo le conseguenti facoltà di rivalsa sulla proprietà.
La difesa delle amministrazioni intimate si incentra, invece, essenzialmente, anche alla luce dei principi di precauzione e di prevenzione di matrice europea in materia ambientale, sulla corresponsabilità di Maltauro e di Sogef per l’aggravamento e l’allargamento dello stato di inquinamento dell’area attualmente esistente, accertata sulla base di un’istruttoria completa ed articolata, responsabilità che verrebbe in rilievo sotto il profilo della culpa in vigilando e dell’omissione nell’adozione delle misure di monitoraggio e di sicurezza idonee ad arginare il dilagare del fenomeno ed imposte dalla certificazione del 2004 e dal nuovo procedimento di bonifica.
Per la Provincia, invero, Sogef e Maltauro avrebbero contribuito alla diffusione della potenziale contaminazione delle acque di falda e del permanere dello stato di potenziale contaminazione del sito, come risulterebbe evidenziato nella relazione prodotta dal CT dott. Giampaolo Sommaruga nell’ambito del procedimento penale instaurato nel 2010 davanti alla Procura di Pavia.
Pare utile, dunque, riassumere per sommi capi quanto si ricava dalla lettura della relazione del tecnico incaricato dalla Procura di Pavia nel procedimento presso la stessa incardinato.
Il tecnico, alla pagina 18 della relazione succitata, descrive la storia della società Chatillon, o Società Anonima Italiana per le Fibre Tessili Artificiali S.p.a., operante nel settore delle tecnofibre sin dal 1917, ed in particolare sul sito che ci occupa mediante una sua controllata, la S.A. Carlo De Sigis, che ivi aveva uno stabilimento per la produzione di solfuro di carbonio.
Dopo lunghe vicende societarie, la Chatillon assunse negli anni ’70 la denominazione di Montefibre, continuando ad occuparsi dell’attività di produzione di fibre chimiche anche negli anni ‘80.
Alla pag. 19 il perito descrive, invece, il solfuro di carbonio e i suoi impieghi, evidenziando l’alta tossicità del medesimo e il suo largo uso in grandi quantità nell’industria produttiva di rayon viscosa (dunque proprio quella di Chatillon e Montefibre).
Alla pag. 20 è contenuta la descrizione geologica e idrogeologica del sito, con particolare riferimento alle sue caratteristiche di permeabilità delle sabbie, mentre le falde acquifere, spesso strettamente connesse fra di loro, sono protette da coltri limo-argillose che costituiscono un tetto parzialmente impermeabile.
Nelle pagg. 21 e ss., invece, è contenuta la descrizione delle indagini ambientali pregresse ed in particolare di quelle contenute nel documento: “EcoAppraisal Environmental Audit – Certificazione ambientale – Area ex-Chatillon (I-II fase) – Rapporto conclusivo” datato 27 maggio 1991, nel quale si fa riferimento anche ai risultati di precedenti indagini ed analisi sul terreno effettuate sia dall’USSL che dai proprietari di allora, evidenziando la forte contaminazione da zolfo nell’area, sino alla massima profondità indagata (5 metri dal piano di campagna), oltre che l’alto valore di acido solforico, che avrebbe causato l’alterazione delle componenti naturali del terreno e prodotto una significativa quantità di metalli altamente tossici (alluminio, ferro, manganese, nichel).
Per il perito risultava, dunque, provato in modo inequivocabile che lo stato di compromissione ambientale dell’area era conosciuto e significativo fin dal 1991, sia nella matrice terreno che nelle acque sotterranee (cfr. pag. 27 della relazione).
Sempre dalla relazione si legge che negli anni immediatamente successivi si decideva di arginare la suddetta contaminazione introducendo nel terreno un agente basico (denominato latte di calce), e di isolare il terreno e renderlo impermeabile con strati di terra argillosi e mediante le costruzioni (cfr. lo studio del 1993 e del 1995, commissionati dall’allora proprietaria Sogim S.r.l.).
Tale determinazione, però, è altamente criticata dal perito della Procura di Pavia, il quale, alla pag. 77 della sua relazione, osserva che: “Nonostante nella premessa alle conclusioni si dia importanza al ripristino delle condizioni ambientali dell’area, nel documento risulta evidente che le proposte di Parte sono finalizzate principalmente alla possibilità di valorizzare l’area mediante edificazione, senza tenere in alcun conto la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini che in tali edifici avrebbero risieduto”.
Il perito conclude evidenziando la situazione di grave inquinamento da zolfo e metalli tossici dell’area derivante dagli stabilimenti produttivi della ex Chatillon e persistente da oltre 20 anni, oltre che da macerie derivanti da ex edifici abbattuti, situazione alla quale dovrebbe rimediarsi con misure di sicurezza e bonifica da rendere operative al più presto.
Evidenzia, inoltre, che la barriera idraulica costruita per la messa in sicurezza della falda è spenta e non è mai entrata in funzione, nonostante la Maltauro sia stata autorizzata a tal fine in conferenza di servizi.
Tale misura, secondo il perito, fatta salva la bontà di progettazione del sistema di barrieramento idraulico, consentirebbe di evitare la propagazione dei contaminanti all’esterno del sito, da intendersi come intervento d’emergenza e da mantenere in esercizio continuo sino alla compiuta reale bonifica del sito. Rivestirebbe, a tal fine, utilità anche l’apposizione di un telo da discarica.
Alle pagg. 97-99 il perito evidenzia, poi, le omissioni degli enti, sia in relazione al mancato accertamento della reale situazione di contaminazione dell’area e alla conseguente illegittima certificazione di avvenuta bonifica nel 2004 che alla mancata attuazione degli obblighi di caratterizzazione e messa in sicurezza e bonifica dell’area.
Il perito conclude affermando che “avendo eseguito opere di bonifica senza autorizzazione, avendo rilasciato la Provincia una certificazione illegittima in quanto basata su presupposti errati e progetti diversi da quelli realizzati, che non hanno sanato la situazione di grave contaminazione dell’area con presenza di rifiuti speciali interrati e visibili anche in affioramento, essendo ancora attuale e comprovata la situazione di compromissione dei terreni e delle acque sotterranee e superficiali, confermata in sede di accertamenti in contraddittorio ex art. 360 c.p.p., tutti i soggetti pubblici e privati succedutisi nella trattazione e conoscenza dei fatti, compresi quelli oggi in carica, avevano ed hanno l’obbligo di attivarsi in base alle norme previgenti ed attuali al fine di caratterizzare, mettere in sicurezza e/o bonificare l’intera area” (cfr. pag. 100).
Da quanto si evince dalla relazione succitata, oltre che dalla complessiva documentazione versata in atti, risulta accertato che l’inquinamento è stato prodotto dalla produzione di solfuro di carbonio per l’esercizio dell’attività tecnotessile dagli anni ‘20 fino alla metà degli anni ‘80.
La società ricorrente, così come la precedente proprietaria, non ha esercitato sul sito alcuna attività produttiva. La Maltauro, in particolare, non ha neanche mai effettuato lavori di reinterro che coinvolgessero il sito.
La provincia e il comune di Pavia imputano, invece, sia alla ricorrente che alla Sogef una responsabilità per culpa in vigilando e per omissione per l’aggravamento e l’allargamento dello stato di inquinamento dell’area attualmente esistente che verrebbe in rilievo sotto il profilo della mancata adozione delle misure di monitoraggio e di sicurezza idonee ad arginare il dilagare del fenomeno ed imposte dalla certificazione del 2004 e dal nuovo procedimento di bonifica.
Per la Provincia e per il Comune, invero, Sogef e Maltauro avrebbero contribuito alla diffusione della potenziale contaminazione delle acque di falda e del permanere dello stato di potenziale contaminazione del sito.
Quest’affermazione, che è stata oggetto di confutazione da parte della ricorrente, non risulta, invero, provata dagli atti depositati.
Non risulta, più specificamente, dimostrato il nesso causale tra la condotta e l’evento, ossia come la condotta omissiva della società ricorrente avrebbe contribuito ad aggravare le criticità dell’inquinamento.
Non risulta neanche dimostrato come le misure cautelative che erano state decise, consistenti nella costruzione di immobili o l’impermeabilizzazione del suolo con terreno argilloso avrebbero arginato il fenomeno di contaminazione che era presente da decenni nell’area, in assenza di una preventiva efficace bonifica.
Lo stesso perito ha espresso perplessità in proposito, evidenziando possibili risvolti sulla salute di coloro che avrebbero abitato quelle case o frequentato quei terreni.
Non risulta provata neanche la sicura efficacia della barriera idraulica, autorizzata in sede di conferenza di servizi nei confronti di Maltauro nella sua mera qualità di attuale proprietaria dell’area e non di responsabile dell’inquinamento.
Dunque l’unica certezza è che la società ricorrente ha acquistato nel 1996 un sito sul quale erano in atto opere di bonifica alle quali si era impegnato il precedente proprietario e per il quale è stata rilasciata allo stesso la certificazione di avvenuta bonifica nel 2004.
Successivamente, accertata la perdurante situazione di contaminazione, in sede di conferenza di servizi la società ricorrente ha ricevuto l’autorizzazione a porre in essere ulteriori misure di sicurezza alle quali non era, peraltro, obbligata, non essendo il soggetto responsabile dell’inquinamento, ritardandone l’attivazione.
Allo stato tali misure sono in essere, come si evince dalla documentazione versata in atti (cfr. verbale di sopralluogo della provincia di Pavia del 14 gennaio 2013), ma nulla garantisce la loro efficacia.
Tanto premesso, il ricorso è fondato.
Il collegio ritiene, invero, di confermare l’orientamento già più volte espresso in proposito (cfr., ad esempio, TAR Lombardia, sez. IV, 31 gennaio 2012, n. 332; 9 gennaio 2014, n. 57), nonché condiviso da altri Tribunali (cfr., ad esempio, TAR Toscana, sez. II, 6 maggio 2009, n. 762) che si ricava dalla complessiva lettura delle norme che concernono la bonifica dei siti inquinati.
Il nuovo codice dell’ambiente riprende in tema l’impostazione già seguita dal d.lgs. n. 22/1997, il cui art. 17 stabiliva che “Chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.
Per quanto attiene ai procedimenti di bonifica, l’art. 242 del d.lgs. n. 152/2006, ai primi tre commi, dispone che: “1. Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’articolo 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
2. Il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni. Nel caso in cui l’inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo.
3. Qualora l’indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l’avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro, il responsabile dell’inquinamento ne dà immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi trenta giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 alla parte quarta del presente decreto. Entro i trenta giorni successivi la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L’autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della pubblica amministrazione”.
Secondo le disposizioni normative dell’art. 250, inoltre, “Qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l’ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.
Il combinato disposto delle disposizioni appena citate non possono che essere interpretate nel senso che l’obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe solamente a carico di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa (cfr., nello stesso senso, le disposizioni in tema di siti di interesse nazionale o di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, artt. 252 e 252 bis).
La norma individua, perciò, dal punto di vista soggettivo, nella responsabilità dell’autore dell’inquinamento, a titolo di dolo o di colpa, la fonte dell’obbligo a provvedere alla messa in sicurezza e all’eventuale bonifica del sito inquinato.
Da ciò la giurisprudenza quasi univoca, condivisa dal Collegio, deduce la mancanza di responsabilità, e quindi di obbligo a bonificare o di mettere in sicurezza, del proprietario incolpevole (cfr., T.A.R Toscana, sez. II, 6 maggio 2009, n. 762; 17 aprile 2009, n. 665; T.A.R. Veneto, sez. III, 25 maggio 2005, n. 2174; , T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 ottobre 2004, n. 5473; T.A.R. Campania, sez. V, 28 settembre 1998, n. 2988).
Ne consegue che l’amministrazione non può imporre ai privati che non hanno responsabilità diretta sull’origine del fenomeno contestato, ma che vengono individuati in quanto proprietari del bene, lo svolgimento di attività di recupero e di risanamento (T.A.R. Veneto, sez. III, 2 febbraio 2002, n. 320).
L’enunciato è d’altronde conforme al principio cui si ispira la legislazione comunitaria “chi inquina paga” (art. 174, ex art. 130/R, Trattato CE) che impone a chi fa correre un rischio di inquinamento o a chi provoca un inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
A carico del proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione, invero, non grava alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale, assistite anche da privilegio speciale immobiliare (art. 253 d.lgs. n. 152/2006).
La normativa citata prevede, infatti, che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell’inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall’amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi (T.A.R. Lombardia, Brescia, 16 marzo 2006, n. 291; T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355)”.
Deve, inoltre, darsi atto del recente intervento, sul punto, del Consiglio di Stato in adunanza plenaria (n. 21/13), che ha interpretato la normativa nazionale nel senso che: “L’Amministrazione non può imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, comma 1, lett. m) e p), d.lgs. n. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario incolpevole restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, stesso d.lgs., in tema di oneri reali e privilegio speciale immobiliare. Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, del d.lgs. n. 152/2006 (artt. da 239 a 253) operano, infatti, una chiara e netta distinzione tra la figura del responsabile dell’inquinamento e quella del proprietario del sito, che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione”.
Nella fattispecie all’esame del collegio, le responsabilità della società ricorrente rispetto alla situazione di inquinamento che si è venuta a determinare, da quanto detto, non sono affatto provate, risultando, al contrario, accertato che l’inquinamento è stato prodotto dalla produzione di solfuro di carbonio per l’esercizio dell’attività tecnotessile dagli anni ‘20 fino alla metà degli anni ‘80.
La società ricorrente, invero, non ha esercitato sul sito alcuna attività produttiva.
Non essendo possibile imputare la società ricorrente dell’inquinamento né della dilagazione del medesimo, e fatta salva in ogni caso la possibilità di una spontanea collaborazione della stessa perché certamente interessata a possedere un sito bonificato, oltre che per evitare le conseguenze di cui all’art. 253 del codice dell’ambiente, le opere di recupero ambientale devono essere eseguite dall’amministrazione competente, la quale potrà poi rivalersi sul soggetto effettivamente responsabile della contaminazione, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi ai sensi del succitato art. 253 del d.lgs. n. 152/2006.
Pare utile, in proposito, richiamare la lettera di una porzione della motivazione di un’ordinanza resa di recente dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria, per la quale: “Nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non provvedano spontaneamente il proprietario del sito o altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla p.a. competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253).
Quindi, solo dopo che gli interventi siano stati eseguiti d’ufficio dall’autorità competente, le conseguenze saranno poste a carico del proprietario anche incolpevole, posto che vi è la specifica previsione di un onere reale sulle aree, che trova giustificazione proprio nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata.
16. Queste conclusioni sono confermate dal riferimento che l’art. 253 fa alla figura (ormai in gran parte desueta) dell’onere reale rispetto a quella dell’obbligazione propter rem.
Va al riguardo evidenziato che il richiamo alla categoria dell’onere reale potrebbe, in principio, essere fonte di alcune incertezze interpretative, derivanti dalla indeterminatezza che tradizionalmente caratterizza questo istituto giuridico e dalle connesse difficoltà di tracciare una netta differenziazione da quello analogo dell’obbligazione propter rem.
L’onere reale, in realtà, al pari di quest’ultima, non trova a livello normativo né una definizione né una disciplina: l’una e l’altra figura sono caratterizzate dalla connessione con una cosa e dalla determinazione del debitore in base al suo rapporto con la cosa.
La dottrina e la giurisprudenza hanno sempre mostrato alcune incertezze non solo nel definire i caratteri dell’onere reale, che, in assenza di dati normativi, sono spesso ricavati da indagini storiche e comparatistiche, ma anche nell’individuarne ipotesi concrete nell’ordinamento vigente.
Ai concreti fini in esame, si deve sottolineare che nell’obbligazione propter rem, l’inerenza al fondo, che pure le è propria, non ne caratterizza l’intimo contenuto (a differenza di quanto avviene per gli oneri reali), ma riguarda un aspetto diverso della sua struttura: quello della individuazione della persona dell’obbligato mediante il suo riferimento alla qualità di proprietario (o di titolare di altro diritto reale) sulla res.
Per il resto l’obbligazione propter rem non si distingue da una qualsiasi altra obbligazione: l’obbligato è tenuto ad adempiere la sua prestazione nei confronti di un altro soggetto, che dal canto suo non ha un potere immediato sul fondo, ma come creditore può soltanto pretendere l’adempimento della prestazione.
Nell’onere reale, invece, il collegamento con la cosa non è tanto il mezzo per determinare la persona che deve eseguire la prestazione, ma ha soprattutto un significato di garanzia, nel senso che il creditore può sempre ricavare forzatamente dal fondo il valore della prestazione dovutagli.
Il creditore è titolare nei confronti del soggetto gravato dell’onere di un’azione reale di garanzia, (con il relativo diritto di prelazione), che si aggiunge all’azione personale contro il diretto debitore della prestazione garantita dall’onere.
La prelazione sul bene è un vero e proprio modo di essere dell’onere reale e del relativo credito, il che giustifica l’accostamento tra onere reale e privilegio, caratterizzato anch’esso dall’assenza di un titolo autonomo, sicché anche per i privilegi la prelazione è caratteristica inerente al credito, non diritto derivante da fonte autonoma.
A tal proposito è significativo evidenziare che l’art. 253, dopo aver previsto, al primo comma, che “gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati”, specifica, al comma 2, che le relative spese sono sostenute da “un privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime”.
Per questa ragione, si è anche detto, in senso figurato, che, mentre nelle obbligazioni propter rem obbligata rimane la persona individuata in base alla proprietà della res, nell’onere reale obbligata sarebbe sempre la cosa stessa, anche in considerazione del fatto che, come esplicitato nell’art. 253, il soggetto gravato dall’onere reale risponde nei limiti di valore della res.
17. Le considerazioni appena espresse in ordine alla natura ed alle caratteristiche dell’onere reale confermano le conclusioni sopra svolte in ordine alla posizione del proprietario non autore della contaminazione.
La scelta del legislatore di evocare la figura obsoleta dell’onere reale può spiegarsi solo ammettendo che il proprietario incolpevole non sia tenuto ad una prestazione di facere (di cui è gravato solo il responsabile), ma sia tenuto solo a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle spese sostenute dalla p.a. che abbia eseguito direttamente gli interventi di messa in sicurezza e bonifica.
E tale conclusione risulta espressa dall’art. 253, comma 4, che testualmente prevede che “il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l’osservazione delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati all’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi”.
In altre parole, si deve ritenere che il riferimento all’onere reale non valga a far diventare obbligatorio ciò che (l’intervento di bonifica) poco prima (art. 245) il legislatore abbia qualificato in termini di una mera facoltà, quanto, piuttosto, a far gravare sul fondo il rimborso delle spese sostenute dall’autorità che abbia provveduto d’ufficio all’intervento (e, quindi, semmai, a far diventare quella facoltà un onere)” (Cons. Stato, A.P., ord., 13 novembre 2013, n. 25).
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso principale va accolto e, per l’effetto, va disposto l’annullamento dei provvedimenti con il medesimo impugnati, che si fondano sulla responsabilità della società istante per l’aggravamento della contaminazione.
Con riferimento, invece, al ricorso per motivi aggiunti, dall’annullamento dell’ordinanza provinciale, impugnata in via principale, discende, altresì, la caducazione automatica del provvedimento comunale, emesso in diretta conseguenza dell’adozione della prima, derivandone, dunque, l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dei motivi aggiunti.
Sussistono giusti motivi, in considerazione della complessità delle questioni sottese all’esame della presente controversia, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dispone l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Dichiara improcedibile il ricorso per motivi aggiunti.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Elena Quadri, Consigliere, Estensore
Fabrizio Fornataro, Primo Referendario
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)