* DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Dichiarazione di notevole interesse pubblico – Ricorso al potere cautelare ex art. 150 d.lgs. n. 42/2004 – Limiti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Molise
Città: Campobasso
Data di pubblicazione: 6 Novembre 2014
Numero: 601
Data di udienza: 5 Giugno 2014
Presidente: Onorato
Estensore: Monteferrante
Premassima
* DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Dichiarazione di notevole interesse pubblico – Ricorso al potere cautelare ex art. 150 d.lgs. n. 42/2004 – Limiti.
Massima
TAR MOLISE, Sez. 1^ – 7 novembre 2014, n. 601
DIRITTO DELL’ENERGIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003 – Dichiarazione di notevole interesse pubblico – Ricorso al potere cautelare ex art. 150 d.lgs. n. 42/2004 – Limiti.
Non può escludersi l’esistenza di uno spazio applicativo dell’art. 150 del d. lgs. n. 42 del 2004 anche successivamente al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 del d. lg. n. 387 del 2003, ma affinchè il ricorso a tale potere cautelare non si risolva in un’inammissibile espressione postuma della verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi soggetti al regime della autorizzazione unica, in violazione della disciplina della conferenza di servizi obbligatoria prevista dalla legge e dell’effetto sostitutivo (anche dell’autorizzazione paesaggistica in caso di assenza ingiustificata) attribuito all’autorizzazione unica, è necessario che si tratti di profili di pregiudizio sopravvenuti nel tempo oppure di ragioni di pregiudizio connesse alla concrete modalità esecutive dei lavori perché, ad esempio, realizzati in difformità rispetto a quanto autorizzato in sede di rilascio dell’autorizzazione unica. Consentire agli organi periferici del MIBAC di fare ricorso a siffatto potere cautelare dopo il rilascio dell’autorizzazione unica per far valere istanze di tutela che, avrebbero dovuto essere rappresentate nella sede conferenziale, determinerebbe invece un’inammissibile regressione procedimentale, una violazione della tutela del legittimo affidamento riposto dalle imprese nel provvedimento autorizzatorio e, non ultimo, uno sviamento della causa tipica del potere in esame che, secondo la disciplina legale, è precipuamente finalizzato ad assicurare una tutela interinale del bene paesaggistico in attesa dell’avvio e del perfezionamento del procedimento impositivo del vincolo, come confermato dalla previsione relativa alla perdita di efficacia della misura, contenuta nell’art. 150, comma 2, nell’ipotesi in cui nel termine di 90 giorni non sia stata effettuata la pubblicazione all’albo pretorio della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui agli artt. 138 e 141 ovvero non sia stata ricevuta dagli interessati la comunicazione prevista dall’art. 139, comma 3.
Pres. Onorato, Est. Monteferrante –F.s.r.l. (avv.ti Di Pardo e Venditti) c. Direzione regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise (Avv. Stato) e Regione Molise (avv.ti Macchiarola e Angiolini)
Allegato
Titolo Completo
TAR MOLISE, Sez. 1^ – 7 novembre 2014, n. 601SENTENZA
TAR MOLISE, Sez. 1^ – 7 novembre 2014, n. 601
N. 00601/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00320/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 320 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Fv Pozzilli S.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore Di Pardo e Carmen Venditti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Campobasso, via Berlinguer, N. 1;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Campobasso, via Garibaldi, 124; Regione Molise in persona del Presidente P.T., rappresentato e difeso dagli avv. Annamaria Macchiarola, Maria Alessandra Fusaro, Claudia Angiolini, domiciliata in Campobasso, via Genova, 11;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali – Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Margherita Zezza e Massimo Romano, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Campobasso, C.so Vittorio Emanuele II, 23;
per l’annullamento
della nota del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise prot. n. 3556 del 23.08.13, di ogni atti presupposti, consequenziali o comunque connessi recante inibizione dei lavori autorizzati con provvedimenti regionali n. 234 e 235 del 28 giugno 2011;
nonché per l’annullamento chiesto con motivi aggiunti notificati:
del decreto n. 39/2013 adottato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Direttore Regionale – Direzione Regionale per i Beni e le Attività Culturali e Paesaggistiche del Molise del 06.11.2013 e relativi allegati, ivi inclusi la Relazione Tecnica Scientifica del 06.11.2013, nonché di tutti gli atti presupposti, consequenziali o comunque connessi anche se non conosciuti, ivi inclusi i provvedimenti di indagini geofisiche effettuati sul territorio di Pozzili a firma del Prof. Mauriello del Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione – Università degli Studi del Molise; la Relazione di Sopralluogo del 01/07/2013 della Direzione Regionale per i Beni e le Attività Culturali e Paesaggistiche del Molise; la relazione sui Risultati – Sopralluogo Ricognizione di Superficie effettuata dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise del 22.08.2013.
Nonché per l’annullamento, chiesto con ricorso incidentale del MIBAC, delle determine regionali n. 81/2012 e n. 98/2013 recanti la proroga delle autorizzazioni uniche n. 234 e 235 del 28 giugno 2011.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività culturali nonché della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise.
Visto il ricorso incidentale proposto dal Ministero per i Beni e le Attività culturali.
Visto l’atto di intervento ad opponendum della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali – Onlus.
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 giugno 2014 il dott. Luca Monteferrante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Regione Molise ha rilasciato in favore della società ricorrente due autorizzazioni uniche, la n. 234 e la n. 235 del 28 giugno 2011, ai sensi dell’art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003, per la costruzione e l’esercizio di due impianti di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica, il primo denominato Molise 01, da ubicare nel comune di Pozzilli in c.da Le Noci, il secondo denominato Molise 02, da ubicare nel comune di Pozzilli in c.da Pantano.
Nel corso dell’iter autorizzatorio la Soprintendenza peri Beni Architettonici e Paesaggistici del Molise, benché tempestivamente invitata a partecipare alla conferenza di servizi, ometteva di intervenire ma faceva successivamente pervenire un parere negativo a firma del Direttore regionale.
Il parere veniva impugnato dalla società ricorrente e il TAR Molise lo annullava con sentenza n. 803/2011 per vizio di incompetenza del Direttore regionale del MIBAC, ritenendo che dovesse essere la Soprintendenza di settore a dover esprimere in parere.
La sentenza veniva gravata in appello dal Ministero per i Beni e le Attività culturali e il Consiglio di Stato con sentenza n. 1562/2013 accoglieva l’appello in relazione al profilo della competenza (confermando pertanto la competenza in capo al Direttore regionale del MIBAC) ma confermava l’annullamento del parere in quanto reso al di fuori della conferenza di servizi aggiungendo, incidentalmente, che “Conseguenza di tale annullamento è l’obbligo delle Amministrazioni, nella riedizione del procedimento, di riprendere il procedimento stesso al fine della rinnovata manifestazione nella sede procedimentale propria, vale a dire in conferenza di servizi, del confronto dialettico di tutte le amministrazioni interessate e delle rispettive valutazioni rilevanti”.
Nel frattempo la Regione provvedeva al rilascio delle due autorizzazioni uniche con determine dirigenziali n. 234 e 235 del 28 giugno 2011 richiamate in premessa che non venivano impugnate dal MIBAC.
Il direttore regionale del MIBAC tuttavia, adducendo la nullità delle autorizzazioni uniche rilasciate (per incompetenza assoluta della Regione a decidere in una fattispecie in cui la competenza spettava al Consiglio dei ministri stante il parere negativo reso al di fuori della conferenza di servizi), adottava un provvedimento inibitorio dell’inizio dei lavori ai sensi dell’art. 150 del d. lgs. n. 42/2004 che la ricorrente provvedeva ad impugnare ed il TAR ad annullare con sentenza n. 585/2012 che, gravata dal MIBAC, non veniva sospesa negli effetti dal Consiglio di Stato (ordinanza n. 1982 del 29 maggio 2013).
Nel frattempo la Regione con provvedimento n. 81 del 11.7.2012 concedeva una proroga di un anno per l’inizio dei lavori, richiesta dalla ricorrente a motivo del contenzioso in essere con il MIBAC; con successivo provvedimento n. 98 del 6 agosto 2013 veniva concessa una ulteriore proroga di tre mesi per i medesimi motivi.
Il Direttore regionale del MIBAC con nota n. 3556 del 23 agosto 2013, avuta notizia dei provvedimenti di proroga, ribadiva l’illegittimità delle autorizzazioni uniche rilasciate e dei conseguenti atti di proroga, adducendo in particolare, quale motivo di nullità, la violazione dell’obbligo imposto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1562/2013 di riconvocare la conferenza di servizi ed adottava un ulteriore provvedimento inibitorio dell’inizio dei lavori, allegando, al contempo, la accertata rilevanza, sotto il profilo archeologico, dell’area interessata dalla localizzazione degli impianti.
Tale provvedimento inibitorio veniva tempestivamente impugnato dalla FV Pozzilli con il presente giudizio, lamentandone la illegittimità perché in contrasto con quanto già deciso dal TAR con sentenza n. 585/2012 avente per oggetto analogo ordine di inibizione dell’inizio dei lavori poi annullato dal TAR.
Il MIBAC, costituitosi in giudizio per contestare la fondatezza delle censure articolate dalla ricorrente, ha notificato un ricorso incidentale per chiedere l’annullamento dei provvedimenti regionali di proroga dell’inizio lavori, unitamente alle presupposte autorizzazioni uniche, adducendo l’elusione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato n. 1562/2013 relativa alla vicenda del parere paesaggistico espresso fuori della conferenza di servizi.
La Regione Molise si costituiva in giudizio rilevando la inammissibilità del ricorso incidentale per violazione dell’art. 42 c.p.a., la genericità dei motivi e concludendo, in ogni caso, per la sua infondatezza nel merito.
Interveniva in giudizio ad opponendum, per contrastare le ragioni della ricorrente, la Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali – Onlus che argomentava in ordine alla illegittimità dei provvedimenti regionali alla luce di quanto disposto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1562/2013.
Nella pendenza del giudizio il Direttore regionale del MIBAC adottava il decreto n. 39 del 6 novembre 2013 con il quale il comprensorio ricadente nel Comune di Pozzilli, comprensivo dei terreni destinati alla localizzazione dei due impianti fotovoltaici, veniva individuato come zona di interesse archeologico tutelata per legge ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera m) del d. lgs. n. 42/2004, inibendo conseguentemente, mediante la disciplina di prescrizioni d’uso integrative, il loro utilizzo per la realizzazione degli impianti.
Tale provvedimento veniva impugnato dalla FV Pozzilli s.r.l. con motivi aggiunti con i quali ne veniva contestata la legittimità per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, anche alla luce della sentenza del TAR n. 585/2012 e della carenza di istruttoria in relazione alla asserita rilevanza archeologica del sito, in quanto fortemente antropizzato, in buona parte coincidente con la zona industriale del Comune di Pozzilli ed interessato anche dalla localizzazione di altro impianto fotovoltaico regolarmente autorizzato dalla Soprintendenza.
Il MIBAC difendeva la legittimità del provvedimento impositivo del vincolo concludendo per la reiezione dei motivi aggiunti.
Con ordinanza n. 15 del 30 gennaio 2014 il TAR accoglieva la domanda cautelare in relazione al dedotto profilo dello sviamento di potere richiamando la propria sentenza n. 585/2012 già resa inter partes. Il Consiglio di Stato, VI, con ordinanza n. 2068 del 21 maggio 2014 ha riformato la predetta ordinanza cautelare atteso che: “le esigenze rappresentate dall’Amministrazione evidenziano profili meritevoli di tutela in sede cautelare, pur tenendo conto della prossima celebrazione dell’udienza di merito davanti al Tribunale amministrativo”.
Alla pubblica udienza del 5 giugno 2014 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie con le quali le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Il ricorso ed i motivi aggiunti sono fondati.
Torna all’attenzione del collegio la vicenda del rilascio di due autorizzazioni uniche da parte della regione Molise in favore della FV Pozzilli s.r.l. per la realizzazione di impianti fotovoltaici nel Comune di Pozzilli in zona sottoposta a vincolo paesaggistico imposto con decreto ministeriale del 11.2.1976.
Questo Tribunale si è già espresso con sentenza n. 585/2012 su numerose questioni rilevanti anche ai fini del presente giudizio.
La predetta sentenza, non sospesa con ordinanza n. 1982/2013 dal Consiglio di Stato, in ossequio al principio di sinteticità degli atti, viene in questa sede richiamata quale precedente conforme ai sensi dell’art. 74 cod. proc. amm..
Deve dunque essere ribadito, in forza dei principi di diritto esplicitati nella parte motiva della predetta sentenza, che nella presente vicenda: gli organi periferici del MIBAC, sebbene ritualmente convocati, hanno omesso di prendere parte alla conferenza di servizi convocata dalla regione per il rilascio delle autorizzazioni uniche ex art. 12 del d. lgs. n. 367 del 2003 sicchè il parere negativo espresso al di fuori della sede conferenziale è irrilevante, come confermato anche da Cons. Stato, VI, n. 1562/2013; ne segue che le autorizzazioni uniche rilasciate dalla regione, nonostante il parere negativo reso al di fuori della conferenza di servizi, sono legittime; in ogni caso, eventuali violazioni della disciplina legale della conferenza di servizi comportano la illegittimità e non la nullità della autorizzazione unica che, se non contestata nei termini di legge, diventa inoppugnabile secondo principi di consolidata e risalente tradizione richiamati con la sentenza di questo TAR n. 585/2012.
A tal proposito Cons. Stato, VI, n. 4167/2013 proprio nella materia del rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003 ha di recente affermato che “ Pervero, in un caso del tutto particolare questa Sezione ha ravvisato un’ipotesi di nullità dell’autorizzazione unica (per difetto assoluto di attribuzione o rispettivamente per difetto dell’elemento essenziale dell’assenza di dissensi qualificati nella previa conferenza di servizi), nel caso di sostanziale e radicale pretermissione delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica e ambientale, e cioè nel caso di mancata convocazione alla conferenza di servizi o di mancata applicazione del modulo previsto dall’art. 14-quater l. n. 241/1990 per il superamento del motivato dissenso dell’amministrazione preposta alla tutela degli interessi sensibili ivi indicati (v., in tal senso, Cons. St., Sez. VI, 23 maggio 2012, n. 3039). Tuttavia, nel caso di specie, è stata consentita la partecipazione della Soprintendenza statale, la quale avrebbe potuto impugnare in sede giurisdizionale o con ricorso straordinario l’autorizzazione unica regionale, qualora avesse inteso far valere vizi del procedimento. In altri termini, ritiene la Sezione che:
– l’estensione della sanzione della nullità a fattispecie non riconducibili alle tassative ipotesi previste dall’art. 21- septies l. n. 241/1990 equivarrebbe ad un inammissibile vulnus al principio di certezza del diritto pubblico;
– tranne queste ipotesi tassative, ogni violazione di legge, più o meno grave, determina la annullabilità del provvedimento, con la conseguenza che – nel caso di mancata emanazione di un atto amministrativo o di una pronuncia del giudice amministrativo che ne disponga l’annullamento o la sospensione degli effetti – il medesimo atto deve essere ritenuto efficace da ogni autorità tenuta alla sua esecuzione.
– perfino nelle ipotesi più gravi, che danno luogo ai presupposti per la proposizione di un conflitto di attribuzione, anche la Corte Costituzionale, in considerazione dei principi generali del diritto pubblico, ha costantemente rilevato la produttività di effetti (con la relativa annullabilità, e non la nullità) dell’atto che risulti invasivo delle competenze di un altro organo costituzionale”.
Nella specie la Direzione regionale del MIBAC, oltre ad essere stata ritualmente convocata alla conferenza di servizi e ad aver reso il parere al di fuori della sede conferenziale, ha anche omesso di impugnare nei termini di legge le autorizzazioni uniche n. 234 e 235 del 28 giugno 2011 rilasciate dalla regione Molise sicchè i predetti provvedimenti devono ritenersi inoppugnabili.
La Direzione regionale ritiene di poter desumere un obbligo di riconvocazione della conferenza di servizi da un obiter dictum contenuto nella sentenza del Consiglio di Stato, n. 1562 del 15 marzo 2013 che si è espresso tuttavia in via principale sulla legittimità del parere negativo di compatibilità paesaggistica reso al di fuori della conferenza di servizi, annullandolo, e non su eventuali violazioni commesse dall’autorità regionale responsabile dell’iter procedimentale.
L’affermazione contenuta in sentenza non riveste pertanto efficacia vincolante in quanto estranea ai limiti oggettivi del giudicato che aveva ad oggetto l’accertamento della legittimità del parere soprintendentizio espresso al di fuori della conferenza di servizi e non la scelta regionale di procedere con il rilascio delle autorizzazioni uniche. L’effetto conformativo, nella specie, non può che indirizzarsi esclusivamente agli organi periferici del MIBAC, parti di quel giudizio, sub specie di effetto preclusivo a rinnovare l’esercizio del potere in violazione del modulo della conferenza di servizi ma non può certo comportare alcun vincolo nei confronti della Regione Molise, titolare del potere di definire la fattispecie procedimentale complessa, che non era neppure parte di quel giudizio.
Del resto l’interesse dedotto in giudizio in quella sede era di natura oppositiva sicchè la pronuncia di annullamento deve ritenersi integralmente satisfattiva della pretesa azionata in quanto auto esecutiva; pertanto nessun obbligo conformativo può discendere dal giudicato di annullamento, dovendosi riconoscere alla sentenza mera efficacia preclusiva, ferma la possibilità di rinnovare l’esercizio del potere ma nel rispetto della disciplina legale che nella specie esclude una tale evenienza, operando l’effetto sostitutivo della determinazione conclusiva a fini di semplificazione procedimentale.
Quanto precede risulta anche in linea con la natura soggettiva della giurisdizione del giudice amministrativo che tutela la lesione delle situazioni giuridiche soggettive non la legittimità in sè delle procedure e, nel caso di specie, non era stata dedotta in giudizio la lesione delle prerogative di tutela del MIBAC che invece era parte resistente.
Deve ancora aggiungersi che, stante la natura perentoria del termine di conclusione del procedimento ex art. 12 del d. lgs. n. 387 del 2003, reiteratamente affermata dalla giurisprudenza amministrativa, il MIBAC non può pretendere che la Regione si faccia carico delle violazioni di legge in cui siano incorsi i propri organi periferici, disponendo una riconvocazione della conferenza di servizi, previo necessario avvio di un procedimento di annullamento in autotutela delle autorizzazioni nelle more rilasciate, atteso che un tale aggravamento procedimentale sarebbe foriero di evidenti conseguenze sul piano risarcitorio per i danni conseguenti al ritardo nel rilascio delle autorizzazioni (cfr. in tema TAR Lombardia – Milano, n. 2777/2012), come del resto accaduto anche nella presente fattispecie.
La natura perentoria del termine è stata di recente ribadita da Cons. Stato, V, n. 4473/2013 (ma anche da Cons. Stato, V, n. 5895/2012 e n. 2634/2013), sebbene nell’ambito della problematica della violazione dell’obbligo di provvedere, ribadendosi la sua portata di principio fondamentale della materia, non derogabile dalla legislazione regionale, con la precisazione che “deve prescindersi da ogni attività endoprocedimentale eventualmente svolta o da svolgersi, poiché rileva soltanto il decorso del termine fissato dalla legge senza che l’Amministrazione abbia concluso il procedimento mediante provvedimento espresso”; né l’inerzia di altri enti deputati al rilascio di atti destinati a confluire nell’autorizzazione unica esenta l’autorità procedente dall’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
In ogni caso il rilascio delle autorizzazioni uniche e la loro mancata impugnazione nei termini di legge riveste carattere assorbente in quanto priva i predetti organi di ogni interesse a far valere un possibile vizio procedimentale (cfr. Cons. Stato, VI, 4167/2013). Non può invero sul punto condividersi quanto incidentalmente affermato da Cons. Strato n. 1562/2013 (punto IV della motivazione) circa l’efficacia necessariamente condizionante del giudizio sulla legittimità del parere reso al di fuori della conferenza di servizi sulle autorizzazioni uniche rilasciate, tenuto conto che è proprio la legge ad escludere la sussistenza di un nesso di necessaria presupposizione tale da legittimare la tesi di una efficacia automaticamente caducante dell’atto a monte su quello a valle della serie procedimentale, laddove, da un lato, l’art. 14 quater, comma 1, della legge n. 241 del 1990 qualifica come inammissibili i pareri resi al di fuori della conferenza di servizi, dall’altro all’art. 14 ter, comma 6 bis, prevede che la determinazione motivata di conclusione del procedimento sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta, o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti “o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti alla predetta conferenza”.
Diversamente opinando avremmo che la mancata partecipazione alla conferenza di servizi anziché essere sanzionata con l’effetto di sostituzione, sortirebbe l’effetto di invalidare, peraltro con il meccanismo della caducazione automatica, il provvedimento conclusivo, in palese contrasto con la lettera e con la ratio delle disposizioni richiamate.
Inoltre accedendo a tale tesi la Regione Molise avrebbe dovuto essere considerata parte necessaria nel giudizio ed il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare la non integrità del contraddittorio, peraltro formalmente eccepita in quella sede dagli appellati, tenuto conto che la posizione sostanziale e processuale della Regione non solo non coincideva con quella del MIBAC – come invero ivi è stato pure affermato – ma è, nella specie, radicalmente antagonista anche per le conseguenze risarcitorie potenzialmente conseguenti alle condotte tenute dai due enti nella presente vicenda.
Da una lettura complessiva della sentenza del Consiglio di Stato n. 1562/2013 e per le ragioni di carattere sostanziale e processuale evidenziate, emerge dunque che nessun obbligo sussisteva in capo alla Regione di riconvocare la conferenza di servizi dovendo l’affermazione invocata dal Direttore Regionale essere qualificata quale mero obiter dictum.
Ne discende altresì che non solo le autorizzazioni uniche sono, allo stato, valide e produttive di effetti, sino alla pronuncia di merito del Consiglio di Stato sull’appello avverso la sentenza di questo TAR n. 585/2012, ma altrettanto validi devono ritenersi i provvedimenti regionali di proroga n. 81/2012 e n. 98/2012 in quanto nessuna elusione del giudicato può configurarsi onde inferirsi la loro nullità sicchè il ricorso incidentale proposto dal MIBAC, oltre che inammissibile per palese difetto del requisito della accessorietà della domanda, prescritto dall’art. 42 doc. proc. amm., è manifestamente infondato, con il che può farsi luogo all’assorbimento dei restanti profili di inammissibilità eccepiti dalla difesa regionale e dalla difesa della ricorrente, anche con riferimento alla genericità dei motivi di censura in quanto articolati per relationem, mediante rinvio alla parte motiva del provvedimento oggetto del ricorso principale.
In conclusione, non solo i provvedimenti di proroga non sono affetti da nullità ma sono anche legittimi, oltre che ragionevoli in quanto l’impossibilità per la ricorrente di dare avvio ai lavori è addebitabile proprio alla reiterate iniziative della Direzione regionale che ha adottato provvedimenti inibitori e comunque preclusivi di ogni possibile attività, pur in presenza di autorizzazioni valide ed efficaci.
Quanto alla possibilità per gli organi del MIBAC di adottare, successivamente al rilascio del provvedimento di autorizzazione unica, provvedimenti con efficacia inibitoria (nella specie ordine di sospensione ex art. 150 d. lgs. n. 42/2004) o comunque preclusiva delle attività autorizzate con provvedimento regionale (nella specie imposizione del vincolo su aree di interesse archeologico), con la sentenza n. 585/2012 questo TAR si è già espresso nei seguenti termini: “il Direttore regionale non può neppure invocare a fondamento del provvedimento cautelare adottato istanze di tutela paesaggistica che avrebbero dovuto essere fatte valere nel corso del procedimento di rilascio dell’autorizzazione unica poiché siffatto potere deve ritenersi definitivamente consumato e sostituito negli effetti dal sopravvenuto rilascio dell’autorizzazione unica secondo quanto previsto dagli artt. 14 ter, comma 6 bis e 14 quater, comma 1 della legge n. 241 del 1990.
Il collegio non intende escludere che residui uno spazio applicativo all’art. 150 del d. lgs. n. 42 del 2004 anche successivamente al rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 del d. lg. n. 42 del 2004 ma affinchè il ricorso a tale potere cautelare non si risolva in una inammissibile espressione postuma della verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi soggetti al regime della autorizzazione unica, in violazione della disciplina della conferenza di servizi obbligatoria prevista dalla legge e dell’effetto sostitutivo (anche dell’autorizzazione paesaggistica in caso di assenza ingiustificata) attribuito all’autorizzazione unica, è necessario che si tratti di profili di pregiudizio sopravvenuti nel tempo oppure di ragioni di pregiudizio connesse alla concrete modalità esecutive dei lavori perché, ad esempio, realizzati in difformità rispetto a quanto autorizzato in sede di rilascio dell’autorizzazione unica.
Consentire agli organi periferici del MIBAC di fare ricorso a siffatto potere cautelare dopo il rilascio dell’autorizzazione unica per far valere istanze di tutela che, come nel caso di specie, avrebbero dovuto essere rappresentate nella sede conferenziale, determinerebbe altresì una inammissibile regressione procedimentale, una violazione della tutela del legittimo affidamento riposto dalle imprese nel provvedimento autorizzatorio e, non ultimo, uno sviamento della causa tipica del potere in esame che, secondo la disciplina legale, è precipuamente finalizzato ad assicurare una tutela interinale del bene paesaggistico in attesa dell’avvio e del perfezionamento del procedimento impositivo del vincolo, come confermato dalla previsione relativa alla perdita di efficacia della misura, contenuta nell’art. 150, comma 2, nell’ipotesi in cui nel termine di 90 giorni non sia stata effettuata la pubblicazione all’albo pretorio della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui agli artt. 138 e 141 ovvero non sia stata ricevuta dagli interessati la comunicazione prevista dall’art. 139, comma 3 (cfr. per analoga ratio la norma di cui all’art. 28, commi 2 e 3 del d. lgs. 42/2004 in materia di tutela di beni culturali)”.
Tale impostazione ha successivamente trovato anche l’avallo del giudice di appello.
La VI sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 4167/2013 ha infatti escluso, in assenza di tempestiva impugnazione della autorizzazione unica regionale, la legittimità dell’ordine di sospensione dei lavori adottato dal Comune, su impulso della locale Soprintendenza, sul presupposto della ritenuta nullità dell’autorizzazione unica, sostenendo, al contrario, che per il principio di esecutività degli atti amministrativi, anche se illegittimi, il Comune non potesse interferire sugli effetti della predetta autorizzazione (contra Cons. Stato, VI, n. 3039/2012).
Nel caso di specie le esigenze di tutela paesaggistica della vasta area in relazione ai profili di interesse archeologico non sono emerse successivamente alla indizione della conferenza di servizi del 25 giugno 2012 ma erano certamente preesistenti tant’è che se ne fa espressa menzione con dovizia di riferimenti nel parere del Soprintendente ed in quello successivo del Direttore regionale poi annullato dal TAR con sentenza n. 803/2011 e lo stesso Consiglio di Stato nel riformare, con sentenza n. 1562/2013, la suddetta sentenza in relazione al profilo della competenza del Direttore regionale ad adottare il parere, afferma la compresenza di più competenze delle diverse soprintendenze di settore, ritenendo a tal fine non necessaria l’esistenza del vincolo archeologico bensì sufficiente “la presenza in fatto, materialmente provata, di documentate, diffuse e sufficienti emergenze (come risulta nella specie), tali da denotare nel loro insieme un’effettiva esigenza di specifico vaglio anche di quell’interesse pubblico specifico”, aggiungendo che: “Sull’area in questione, dichiarata di notevole interesse pubblico con decreto ministeriale dell’11 febbraio 1976 in ragione non solo della eccezionale bellezza paesistica, ma anche della suggestione determinata dai resti delle terme romane e delle opere difensive medievali, sono infatti presenti evidenze archeologiche che, seppure non considerate in un formale provvedimento di vincolo, nondimeno evidenziano l’interesse dello Stato ad una sollecita tutela che postula, anche prima (ed eventualmente in funzione) dell’imposizione di uno specifico vincolo, la più attenta considerazione, resa, a ben vedere, ancora più necessaria proprio dall’assenza di una tutela formalizzata con specifici provvedimenti” (cfr. altresì il punto I della narrazione in fatto della sentenza che contiene un’ampia rassegna delle emergenze archeologiche già note, come pure delle aree già vincolate dal punto di vista archeologico).
Ne discende che la tutela dell’interesse archeologico, anche nella sua valenza paesaggistica tutelata mediante l’imposizione del vincolo ex lege, avrebbe potuto e dovuto essere assicurata nella sede conferenziale e non a distanza di ben due anni dal rilascio delle autorizzazioni regionali mediante il rinnovato utilizzo del potere cautelare di cui all’art. 150 del d. lgs. n. 42/2004, già censurato dal TAR, e, successivamente, mediante l’imposizione del vincolo ex lege e ciò anche in considerazione del fatto che le nuove indagini esperite confermano la rilevanza archeologica del sito ben conosciuta almeno dagli anni 1970, anche grazie ad un importante studio condotto dalla Fondazione Lerici di Roma posta sotto l’Alta vigilanza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di cui il ricorso introduttivo dà ampio conto.
Nessuna sopravvenienza è dunque configurabile per giustificare il rinnovato esercizio della tutela.
Appare dunque evidente il vizio di eccesso di potere per sviamento atteso che il potere di tutela, nel quadro fattuale descritto, appare esercitato con l’intento di interdire l’efficacia delle autorizzazioni regionali rilasciate.
Deve ancora aggiungersi che, con specifico riferimento al tema delle sopravvenienze, la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato si è espressa in termini favorevoli alla società ricorrente accedendo alla tesi della inopponibilità dei provvedimenti di tutela alle autorizzazioni uniche già rilasciate e ciò anche nelle ipotesi di mancato avvio dei lavori allorquando l’inerzia non sia imputabile al titolare dell’autorizzazione bensì dovuta a factum principis.
La problematica, a ben vedere, riveste carattere assorbente e dirimente di ogni ulteriore profilo di censura.
In particolare con sentenza n. 3851/2010 la VI sezione del Consiglio di Stato, proprio in relazione alla imposizione di un vincolo paesaggistico ha affermato che: “7.2. Sul piano giuridico, occorre stabilire se il d.m. del 2009 costituisca una sopravvenienza normativa opponibile a chi ha ottenuto una autorizzazione unica sin dal 2007 e non ha potuto realizzare l’intervento non per fatto proprio, ma perché destinatario di un ricorso giurisdizionale, conclusosi in senso favorevole al titolare dell’autorizzazione unica.
Nell’esegesi degli artt. 139 e 146, d.lgs. n. 42/2004, si deve ritenere che il sopravvenuto vincolo paesaggistico non è opponibile, e dunque non impone la richiesta di autorizzazione paesaggistica:
a) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e di cui sia già iniziata l’esecuzione;
b) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e per i quali l’esecuzione non sia iniziata nei termini assegnati per fatto non imputabile al soggetto autorizzato.
Invece, il sopravvenuto vincolo paesaggistico è opponibile, e dunque impone la richiesta di autorizzazione paesaggistica:
a) per interventi edilizi che non siano stati ancora autorizzati nemmeno sotto il profilo edilizio;
b) per interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il solo profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime, e per i quali l’esecuzione non sia iniziata nei termini assegnati per fatto imputabile al soggetto autorizzato” precisando che “All’ipotesi di inizio dei lavori deve assimilarsi quella in cui l’inizio non vi sia stato per factum principis non imputabile all’interessato, ove risulti che i lavori sarebbero potuti legittimamente e tempestivamente iniziare”.
La sentenza ha aggiunto che: “Sul piano sistematico, l’art. 146 in commento deve coordinarsi con il principio della tutela dell’affidamento; chi ha ottenuto un titolo edilizio (del quale è condizione o presupposto il titolo paesaggistico o la non necessità di esso), non può vedere rimessa in discussione la validità ed eseguibilità del titolo edilizio per effetto del sopravvenuto vincolo paesaggistico”.
Il principio di diritto è stato riaffermato con sentenze n. 7761/2010, n. 4037/2011 e n. 210/2012 della medesima VI sezione.
Nella specie la società ricorrente, sebbene titolare delle due autorizzazioni uniche, non ha potuto iniziare i lavori in quanto destinataria di ben due provvedimenti inibitori adottati dal Direttore regionale ex art. 150 del d. lgs. n. 42/2004, il primo dei quali, tempestivamente impugnato non è stato sospeso dal TAR (cfr. ordinanza n. 94/2012).
Non può neppure opporsi in senso contrario che nel caso di specie, trattandosi di vincolo ex lege, questo sarebbe opponibile in quanto in realtà preesistente al rilascio delle autorizzazioni regionali.
E’ noto che la problematica ha portato anche il legislatore ad intervenire ripetutamente sulla disciplina in esame con particolare riferimento alla necessità o meno della preventiva adozione di provvedimenti di perimetrazione delle zone di interesse archeologico (cfr. art. 2, comma 1 lettera o) del d. lgs. 26 marzo 2008, n. 63).
Il collegio ritiene di aderire alla tesi intermedia che subordina l’operatività del vincolo ad un previo atto ricognitivo da parte dell’autorità di tutela in tutte le ipotesi in cui la “generalità delle previsioni legislative rende estremamente ardua la delimitazione del vincolo” come accade nel caso delle aree di interesse archeologico (cfr. Tar Marche, 18 dicembre 1992, n. 753; Tar Lazio, Sez. II, 8 settembre 1990, n. 1602, nonché Cons. Stato, Sez. VI, 19 maggio 1994, n. 794; contra Cons. Stato, VI, n. 5146/2013).
Si tratta del resto di orientamento da tempo recepito dallo stesso MIBAC che lo ha reiteratamente confermato nel tempo (cfr. Parere dell’Ufficio legislativo del ministero n. 8562 del 6 maggio 2011, circolare del MIBAC n. 28 del 15 dicembre 2011 e già circolare del MIBAC n. 8373 del 26 aprile 1994).
Resta salva l’ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, in cui si tratti di area già oggetto di vincolo archeologico diretto o indiretto nel quale caso deve ritenersi immediatamente efficace ed operativa, limitatamente però all’area vincolata, anche la disciplina di tutela paesaggistica ex lege prevista dall’art. 142, comma 1 lett. m) secondo quanto precisato dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, VI, n. 879/2009 e Cass. Penale, n. 7114/2010).
Tale posizione è stata motivata dal MIBAC anche “per ragioni evidenti di certezza del diritto e di proporzionalità ed esigibilità delle misure di tutela nei confronti dei cittadini” (così Parere dell’Ufficio legislativo del ministero n. 8562 del 6 maggio 2011), le stesse che questo TAR ha richiamato nella sentenza n. 585/2012 e che evitano il rischio di porre l’ordinamento nazionale in contrasto con quello comunitario tra i cui principi vi sono, come noto, quello della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento, in una materia in cui l’Italia è vincolata al rispetto di misure di salvaguardia ambientale previste e disciplinate in sede comunitaria ed internazionale.
Del resto anche nella versione dell’art. 142, comma 1 lettera m) del d. lgs. n. 42/2004 in vigore al momento del rilascio della autorizzazioni uniche regionali (che prevede l’espunzione della locuzione “individuate alla data di entrata in vigore del presente codice”) il successivo art. 143, tra i contenuti necessari del piano paesaggistico, prevede comunque alla lettera c) “la ricognizione delle aree di cui al comma 1 dell’art. 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione di prescrizioni d’uso intese ad assicurare la conservazione dei caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione”.
E’ dunque necessario un provvedimento formale di ricognizione che, in assenza del piano paesaggistico o in caso di suo mancato aggiornamento nel rispetto del principio di leale collaborazione tra MIBAC e Regioni ai sensi dell’art. 133 e 135 del d. lgs. n. 42/2004, legittimamente viene adottato con le forme del procedimento di cui all’art. 138 e ss.; in tale ipotesi, anche a voler accedere alla tesi dell’efficacia dichiarativa e non costitutiva del provvedimento ricognitivo del vincolo preesistente, in quanto direttamente posto dalla lege, resta il fatto che il vincolo resta inopponibile sino alla adozione del provvedimento ricognitivo di perimetrazione dell’area e, conseguentemente, non può interferire su provvedimenti precedentemente rilasciati sempre che vi sia stato l’avvio dei lavori (o l’avvio non vi sia stato per factum principis), secondo quanto precisato da Cons. Stato, VI, n. 3851/2010 (di contrario avviso è invece Cons. Stato, VI, n. 5146/2013).
Ne discende che le prescrizioni d’uso integrative dettate dal direttore regionale ai sensi dell’art. 141 bis del d. lgs. n. 42/2004 in relazione alla zona di interesse archeologico tutelata ex lege ai sensi dell’art. 142, comma 1 lettera m) del d. lgs. n. 42/2004, e lo stesso decreto di perimetrazione del vincolo paesaggistico, non possono ritenersi opponibili, allo stato, alla società ricorrente per le ragioni esposte, salvi gli esiti del giudizio di appello pendente avverso la sentenza di questo TAR n. 585/2012, con l’effetto che il decreto n. 39/2013 dev’essere annullato nella parte in cui estende il regime vincolistico e soprattutto le prescrizioni d’uso integrative, ai terreni oggetto dei provvedimenti autorizzatori rilasciati dalla regione Molise con determine 234 e 235 del 28 giugno 2011 e successivi provvedimenti di proroga.
Nei sensi che precedono il ricorso ed i motivi aggiunti devono pertanto essere accolti mentre il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile e comunque respinto nel merito.
Può dunque farsi luogo all’assorbimento dell’ulteriore motivo di censura con il quale la società ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 138 del d. lgs. n. 42/2004 per lesione del principio di leale collaborazione avendo il Direttore regionale omesso di coinvolgere la Regione Molise nel procedimento di vincolo.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo nei rapporti tra ricorrente e MIBAC mentre possono essere compensate nei rapporti tra ricorrente ed interventore ad opponendum.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, e previa declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale notificato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, annulla la nota del Direttore regionale del MIBAC n. 3556 del 23 agosto 2013 e, in parte qua, il decreto del medesimo Direttore regionale n. 39 del 6 novembre 2013.
Condanna il Ministero dei Beni e delle Attività culturali alla rifusione in favore della società ricorrente delle spese di lite che si liquidano complessivamente in euro 5000,00 oltre accessori di legge, con distrazione in favore dei difensori antistatari.
Compensa le spese di giudizio nei rapporti tra la società ricorrente e l’interventore in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Campobasso nelle camere di consiglio del 5 giugno 2014 e del 3 luglio 2014 con l’intervento dei magistrati:
Antonio Onorato, Presidente
Orazio Ciliberti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)