PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Responsabilità per danni da attività procedientale – Riconducibilità alla responsabilità ex art. 2043 c.c. – APPALTI – Pericolo di infiltrazione mafiosa – Eventuale statuizione di illegittimità – Automatica illiceità ed automatica responsabilità risarcitoria – Non è configurabile – Responsailità oggettiva della P.A. per provvedimenti inerenti la prevenzione antimafia – Inconfigurabilità – Diversità rispetto alla materia degli appalti sopra-soglia – Valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa – Ampio apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa – Bilanciamento degli interessi in gioco – Misura della diligenza esigibile da parte delle Prefetture (si ringrazia il dott. Lorenzo Ieva per la segnalazione)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Puglia
Città: Bari
Data di pubblicazione: 16 Dicembre 2022
Numero: 1738
Data di udienza: 4 Ottobre 2022
Presidente: Tricarico
Estensore: Ieva
Premassima
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Responsabilità per danni da attività procedientale – Riconducibilità alla responsabilità ex art. 2043 c.c. – APPALTI – Pericolo di infiltrazione mafiosa – Eventuale statuizione di illegittimità – Automatica illiceità ed automatica responsabilità risarcitoria – Non è configurabile – Responsailità oggettiva della P.A. per provvedimenti inerenti la prevenzione antimafia – Inconfigurabilità – Diversità rispetto alla materia degli appalti sopra-soglia – Valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa – Ampio apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa – Bilanciamento degli interessi in gioco – Misura della diligenza esigibile da parte delle Prefetture (si ringrazia il dott. Lorenzo Ieva per la segnalazione)
Massima
TAR PUGLIA, BARI, Sez. 2^- 16 dicembre 2022 n. 1738
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Responsabilità per danni da attività procedientale – Riconducibilità alla responsabilità ex art. 2043 c.c.
La responsabilità della pubblica amministrazione per danni, in ragione dell’attività procedimentale e da provvedimento posta in essere, in adesione a quanto statuito dal Cons. St., Ad. Plen. 23 aprile 2021, è da ricondursi alla responsabilità da fatto illecito extra-contrattuale, alla stregua dell’art. 2043 c.c., in quanto non si rintraccia nell’attività jure imperii svolta per la tutela di interessi pubblici, alcun inadempimento negoziale dell’amministrazione.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Pericolo di infiltrazione mafiosa – Eventuale statuizione di illegittimità – Automatica illiceità ed automatica responsabilità risarcitoria – Non è configurabile
E’ stato rilevato in giurisprudenza, specificamente con riguardo ai provvedimenti di prevenzione dal pericolo della c.d. infiltrazione mafiosa, che l’eventuale statuizione di illegittimità non comporta l’automatica illiceità dell’operato dell’Autorità di pubblica sicurezza e non si traduce automaticamente nella responsabilità risarcitoria dell’Autorità prefettizia che la ha adottata, dovendo sempre essere dimostrata la colpa in concreto (Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751). Dunque, tra statuizione sull’illegittimità dell’atto e giudizio sul risarcimento del danno v’è soluzione di continuità. Non v’è alcun automatismo tra l’illegittimità dell’atto e l’illiceità risarcibile (Cons. St., sez. II, 18 gennaio 2022 n. 330).
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Responsabilità oggettiva della P.A. per provvedimenti inerenti la prevenzione antimafia – Inconfigurabilità – Diversità rispetto alla materia degli appalti sopra-soglia
Non può ammettersi alcuna responsabilità oggettiva, estensibile dalla materia degli appalti sopra-soglia, anche alla materia, in toto diversa, che rileva nel caso di specie, della prevenzione antimafia. D’altro canto, le ipotesi di “responsabilità oggettiva”, per communis opinio, sono “eccezionali” (e di conseguenza sono previste da norme speciali) e non sono suscettibili “di applicazione oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art. 14 c.d. prel.), in quanto salvaguardano particolari interessi per come questi sono assunti dalla norma regolatrice della fattispecie, tal da giustificare il trasferimento del “rischio” di talune attività dal danneggiato al soggetto agente. Non v’è alcuna norma né ragione per una simile inversione né nella materia degli appalti sotto-soglia, né nell’attività jure imperii di prevenzione. Sopra tutto, v’è che la considerazione per cui la prevenzione antimafia risponde ad esigenze peculiari dello Stato e non è in contrasto con principi costituzionali o della convenzione CEDU (Cons. St., sez. III, 20 aprile 2021 n. 3182). Sul punto, claris verbis, è stato escluso che l’informativa possa collocarsi all’interno della disciplina dei contratti pubblici (ex multis: Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751). Una procedura di gara sopra-soglia tutela gli interessi alla libera concorrenza nel mercato U.E. ed è assoggettata alla disciplina di maggior dettaglio ivi prevista. La materia della prevenzione della pubblica sicurezza (in gran parte racchiuso nel d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 recante il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione […]”) non si confonde con quella che regolamenta i contratti e gli appalti pubblici.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – APPALTI – Valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa – Ampio apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa – Bilanciamento degli interessi in gioco – Misura della diligenza esigibile da parte delle Prefetture.
La valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa è rimessa all’ampio apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, chiamata a bilanciare prudentemente gli interessi in gioco, ovverosia la libertà d’iniziativa economica (peraltro concernente solo il versante dei rapporti con la P.A.), da un lato, e la tutela dell’ordine pubblico economico, dall’altro. Questi due interessi devono trovare armonica composizione nell’emanazione di un provvedimento sempre dotato di “motivazione accurata”. La Corte costituzionale, richiamando un proprio precedente in materia di misure di prevenzione, ha precisato che l’informazione antimafia in materia di prevenzione è in nuce fondata su elementi fattuali “più sfumati”, rispetto a quelli richiesti in sede giudiziaria penale, purché siano sintomatici e indiziari (sent. 26 marzo 2020 n. 57). Ergo, la misura della diligenza esigibile da parte delle Prefetture chiamate ad effettuare una prognosi di pericolo di c.d. infiltrazione mafiosa, sulla base del paradigma del “più probabile che non”, talvolta definito in alternativa come verosimiglianza o probabilità cruciale, deve considerare l’endemica difficoltà sussistente in una siffatta operazione prognostica, specie laddove taluno tenti di “appuntare” una responsabilità risarcitoria all’attività di polizia di prevenzione. Questa (attività di prevenzione) infatti è chiamata dall’ordinamento ad utilizzare elementi sintomatici ed indiziari, anche a prescindere dalle statuizioni finali di proscioglimento in sede penale (attività di repressione), trattandosi di funzioni pubbliche diverse, che richiedono un grado di accertamento loro peculiare e giammai sovrapponibile o confondibile. L’attività di prevenzione è orientata a prevenire pericoli di commissione di fatti antisociali; mentre, l’attività di repressione è finalizzata a raggiungere certezze nel reprimere reati (ex multis: Cons. St., sez. III, 13 agosto 2018 n. 4938; T.A.R. Lombardia, sez. I, 22 novembre 2019 n. 2480; T.A.R. Toscana, sez. II, 25 giugno 2018 n. 910).
Pres. f.f Tricarico, Est. Ieva – omissis (avv.ti Manzi, Mangieri e Miccolis) c. Ministero dell’Interno e altro (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
TAR PUGLIA, BARI, Sez. 2^- 16 dicembre 2022 n. 1738SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1593 del 2018, proposto dalla -OMISSIS- s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Manzi, Felice Mangieri e Giuseppe Miccolis, con domicili digitali come da P.E.C. iscritte al registro generale degli indirizzi elettronici (ReGIndE);
contro
Ministero dell’Interno, U.T.G. Prefettura di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari alla via Melo n. 97;
per il risarcimento dei danni
causati alla -OMISSIS- s.p.a., in conseguenza dei provvedimenti della Prefettura di Bari di: (1) informativa interdittiva antimafia del 23 dicembre 2016; (2) diniego di iscrizione nella c.d. white list del 29 dicembre 2016; (3) di ammissione alla straordinaria e temporanea gestione dei contratti in essere con taluni comuni del 23 febbraio 2017; stante l’annullamento dei predetti tre provvedimenti ad opera della sentenza del Cons. St., sez. III, 25 maggio 2018 -OMISSIS- (passata in giudicato).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – U.T.G. Prefettura di Bari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2022 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avvocati Andrea Manzi e Angelantonio Majorano, anche su delega dell’avv. Giuseppe Miccolis, e Francesco Silvio Dodaro, su delega dell’avv. Felice Mangieri, per la società ricorrente, e l’avv. dello stato Fabiola Roccotelli, per la difesa erariale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso depositato come previsto in rito, la società istante agiva nei termini consentiti dal codice del processo amministrativo per il risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla stessa in conseguenza dell’adozione del provvedimento di interdittiva antimafia del 23 dicembre 2016 (art. 84, comma 4, e 91, comma 6, d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159), del diniego di iscrizione alla c.d. white list del 29 dicembre 2016 (d.P.C.M. del 18 aprile 2013, in applicazione dell’art. 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012 n. 190) e del provvedimento di ammissione alla straordinaria e temporanea gestione dei rapporti contrattuali pubblici in essere con taluni comuni del 23 febbraio 2017 (art. 32, comma 1, lett. b), e comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90 conv., con mod., dalla legge 11 agosto 2014 n. 114), previa acquisizione del conforme parere A.N.aC. (Autorità nazionale anti-corruzione) avvenuta in data del 14 febbraio 2017.
Deduceva in particolare la ricorrente che, subentrata ad altra storica azienda operante nel campo dell’ecologia e dell’ambiente, dall’anno 2007 ha sviluppato l’attività di gestione delle utilities ambientali e, all’inizio del 2013, ha perfezionato l’acquisto di un ramo di azienda nel campo della “igiene urbana”, con l’ampliamento del business aziendale nella raccolta e valorizzazione dei rifiuti urbani.
Richiesta nell’anno 2014 l’iscrizione nella c.d. white list indispensabile per poter operare nel campo della raccolta dei rifiuti (art. 1, commi 52 e 53, lett. i-quater), della legge 6 novembre 2012 n. 190), vedeva la propria istanza non accolta a fine anno 2016; la Società risultava anche destinataria del provvedimento succitato della Prefettura di Bari di informazione interdittiva.
Quindi veniva adottato il 23 febbraio 2017 il provvedimento prefettizio di ammissione alla straordinaria e temporanea gestione dei rapporti contrattuali pubblici in essere con taluni comuni.
Tali provvedimenti venivano impugnati nei termini davanti al T.A.R. Puglia. Tuttavia, con ordinanza della sez. III del 1° febbraio 2017 -OMISSIS-, l’istanza cautelare di sospensione veniva rigettata. Indi, appellata, il Consiglio di Stato, sez. III, con ordinanza del 24 febbraio 2017 -OMISSIS-, rigettava il gravame cautelare, osservando come “non vi siano – all’attuale stato dell’istruttoria – elementi tali da formulare una piana prognosi di accoglimento” e mancando vieppiù alcun periculum di danno, per come in quel processo dedotto dal ricorrente.
Giunti alla delibazione di merito, il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado venivano respinti dalla sentenza del T.A.R. Puglia, sez. III, 28 luglio 2017 -OMISSIS-. Indi, appellata, il Consiglio di Stato, sez. III, 1° giugno 2018 -OMISSIS-, riformava la sentenza di primo grado, annullando gli atti impugnati.
Giudicati in via definitiva come illegittimi i provvedimenti, che si assumono aver provocato danni alla società ricorrente, la stessa, con l’odierno giudizio, agisce in giudizio, chiedendo il risarcimento dei danni. In particolare, veniva più volte evocata la “responsabilità oggettiva” della Prefettura, la mancanza di diligenza nella conduzione della istruttoria e segnatamente l’aver ignorato una sentenza assolutoria del Tribunale penale di Reggio Calabria del 2 ottobre 2016 (dalla numerazione non nota), asserita quindi come conosciuta circa due mesi prima dei provvedimenti sfavorevoli adottati a fine dicembre 2016.
Conclude parte ricorrente chiedendo il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificandone l’ammontare in via promiscua per mancata realizzazione di fatturato, maggiori costi sostenuti, “blocco” di liquidità, danni all’immagine e mancati utili percepiti in oltre 17.000.000,00 di euro e/o nella somma maggiore o minore di giustizia.
2.- Si è costituito l’intimato Ministero dell’interno, il quale, con memoria, ha contestato in radice la sussistenza di alcuna responsabilità della Prefettura, evidenziando nella fattispecie concreta come in particolare l’elemento soggettivo della colpa sia insussistente, avendo l’amministrazione proceduto ad adottare provvedimenti pluri-motivati, esenti da qualsiasi errore.
Ciò nell’esercizio delle prerogative normative riconosciute, nel campo della prevenzione in materia antimafia; anzi cautelando l’impresa societaria – previa conferenza di servizi tra gli enti interessati e acquisito conforme parere dell’ANaC in data 14 febbraio 2017 – con l’ammissione alla straordinaria e temporanea gestione dei contratti in essere (e quindi assicurando la continuità aziendale), non già precedentemente risolti o rescissi, com’è avvenuto, anche per profili di inadempimento negoziale, nel caso dell’appalto presso il Comune di Bisceglie, per il quale pende in merito separato contenzioso civilistico.
Ha poi respinto ogni configurabilità di responsabilità oggettiva.
Ha evidenziato infine come la tutela annullatoria, assicurata dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 1° giugno 2018 -OMISSIS-, abbia consentito alla società ricorrente di riprendere l’attività, essendo stata reintegrata la propria posizione giudica e aziendale provvedendo alle iscrizioni ex lege previste, onde consentirne l’operatività già prima di metà anno 2018 (come da produzione documentale in atti). E, difatti, per risarcimento del danno, si intende sia la sua rimozione diretta (c.d. risarcimento in forma specifica), sia la sua compensazione pecuniaria (c.d. risarcimento per equivalente).
Mai sarebbe stato inibito lo svolgimento di attività per conto di privati, con il conseguimento dei relativi introiti.
In dettaglio, la Prefettura di Bari (con proprie distinte note tutte datate 6 giugno 2018) procedeva alla iscrizione nell’anelata c.d. white list, nonché a disporre la restituzione alla società delle somme giacenti su apposito conto corrente dedicato, infine a notiziare gli enti appaltatori circa l’annullamento dei provvedimenti interdittivi e di diniego adottati a fine anno 2016. Talché la società è stata incisa, in qualche modo, ma non necessariamente danneggiata, dai provvedimenti sfavorevoli all’incirca per l’anno 2017 e, al più, per meno di metà anno 2018.
3.- Scambiati ulteriori documenti, memorie e repliche, alla fissata udienza pubblica del 4 ottobre 2022, dopo breve discussione, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4.- In limine, è altresì opportuno precisare, che hanno proposto azione di risarcimento dei danni, con ulteriori separati ricorsi, chiedendo “poste” di danno in parte comuni e in parte differenziate, sia, invero in parte reclamando danni in proprio, il socio di maggioranza nonché amministratore delegato e legale rappresentante non più in carica (R.G.-OMISSIS- del 2018), sia il socio di minoranza (R. G. -OMISSIS- del 2018).
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.- Si premette in via generale che la responsabilità della pubblica amministrazione per danni, in ragione dell’attività procedimentale e da provvedimento posta in essere, in adesione a quanto statuito dal Cons. St., Ad. Plen. 23 aprile 2021 -OMISSIS-, è da ricondursi alla responsabilità da fatto illecito extra-contrattuale, alla stregua dell’art. 2043 c.c., in quanto non si rintraccia nell’attività jure imperii svolta per la tutela di interessi pubblici, alcun inadempimento negoziale dell’amministrazione.
L’azione di risarcimento è pur sempre un’azione autonoma, rispetto all’azione di annullamento, per cui ne vanno, con precisione, ricostruiti i requisiti e la fattispecie di danno rilevante nel caso concreto. Diversi sono tutti o gran parte degli elementi distintivi delle due dette azioni, concernenti i soggetti (personae), l’oggetto (petitum) e la ragione (causa petendi). Motivo per cui la delibazione dell’azione di danno è da condursi con consueto rigore, specie quando la tutela in forma specifica di annullamento sia stata già disposta e, dunque, parte ricorrente tenti di dimostrare ulteriori e differenziali danni da risarcirsi in forma equivalente pecuniaria.
La peculiarità del risarcimento sta tutta nella circostanza che esso è finalizzato a riparare le perdite patite da colui che abbia subito il danno ingiusto (c.d. funzione riparatoria) e non tanto a sanzionare il fatto illecito in se stesso considerato (c.d. funzione sanzionatoria).
Per aversi risarcimento, alla stregua dell’art. 2043 c.c., va rilevata la presenza: a) del fatto doloso o colposo; b) del danno ingiusto; c) del nesso di causalità tra fatto, evento e danni (così Cons. St., sez. V, 30 gennaio 2017 n. 370). Ragion per cui la presenza di un provvedimento giudicato dal giudice amministrativo come illegittimo (alla stregua dei particolari motivi dedotti con ricorso) rappresenta la condizione sì necessaria, ma non sufficiente ad integrare la fattispecie dell’illecito civile (Cons. St., sez. II, 4 maggio 2022 n. 3481; Cons. St. sez. II, 20 maggio 2019 n. 3217; Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482), che concerne la lesione materiale conseguente all’attività amministrativa, dovendosi dimostrare in merito, tra l’altro, la colpa in concreto (Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751; Cons. St., sez. III, 20 giugno 2022 n. 5076) dell’apparato (Cons. St., sez. V, 25 agosto 2021 n. 6042), da circoscriversi peraltro alla rilevanza della sola colpa grave (Cons. St., sez. VI, 31 marzo 2014 n. 1508; Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5012).
A chiare lettere, è stato rilevato in giurisprudenza, specificamente con riguardo ai provvedimenti di prevenzione dal pericolo della c.d. infiltrazione mafiosa, che l’eventuale statuizione di: “illegittimità non comporta l’automatica illiceità dell’operato dell’Autorità di pubblica sicurezza e non si traduce automaticamente nella responsabilità risarcitoria dell’Autorità prefettizia che la ha adottata, dovendo sempre essere dimostrata la colpa in concreto” (Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751).
Dunque, tra statuizione sull’illegittimità dell’atto e giudizio sul risarcimento del danno v’è soluzione di continuità. Non v’è alcun automatismo tra l’illegittimità dell’atto e l’illiceità risarcibile (Cons. St., sez. II, 18 gennaio 2022 n. 330).
Rammenta il Cons. St., Ad. Plen. 23 aprile 2021 -OMISSIS-, come la quantificazione del danno risarcibile vada effettuata alla stregua dei principi posti dall’art. 2056 c.c., applicandosi dunque le coordinate limitative ivi previste, per cui danni risarcibili sono solo quelli che siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (art. 1223 c.c.) e, qualora vi sia concorso del creditore nello stesso fatto illecito, il danno risarcibile va diminuito in proporzione ed è finanche escluso, se il creditore avrebbe potuto evitare ogni conseguenza, adoperandosi anch’egli con la dovuta diligenza (art. 1227 c.c.).
2.- Tanto premesso in linea sistematica, il Collegio, in adesione alla tesi sostenuta dall’Avvocatura erariale, evidenzia, in via preliminare, come non possa ammettersi alcuna responsabilità oggettiva, estensibile dalla materia degli appalti sopra-soglia (Corte giustizia UE, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, caso Stadt Graz), anche alla materia, in toto diversa, che rileva nel caso di specie, della prevenzione antimafia (in tal senso: Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751; Cons. St., sez. III, 5 marzo 2018 n.1401; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743; 9 maggio 2012 n. 2678).
D’altro canto, le ipotesi di “responsabilità oggettiva”, per communis opinio, sono “eccezionali” (e di conseguenza sono previste da norme speciali) e non sono suscettibili “di applicazione oltre i casi e i tempi in esse considerati” (art. 14 c.d. prel.), in quanto salvaguardano particolari interessi per come questi sono assunti dalla norma regolatrice della fattispecie, tal da giustificare il trasferimento del “rischio” di talune attività dal danneggiato al soggetto agente. Non v’è alcuna norma né ragione per una simile inversione né nella materia degli appalti sotto-soglia, né nell’attività jure imperii di prevenzione.
Sopra tutto, v’è che la considerazione per cui la prevenzione antimafia risponde ad esigenze peculiari dello Stato e non è in contrasto con principi costituzionali o della convenzione CEDU (Cons. St., sez. III, 20 aprile 2021 n. 3182). Sul punto, claris verbis, è stato escluso che l’informativa possa collocarsi all’interno della disciplina dei contratti pubblici (ex multis: Cons. St., sez. V, 12 novembre 2019 -OMISSIS-751).
Una procedura di gara sopra-soglia tutela gli interessi alla libera concorrenza nel mercato U.E. ed è assoggettata alla disciplina di maggior dettaglio ivi prevista. La materia della prevenzione della pubblica sicurezza (in gran parte racchiuso nel d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159 recante il “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione […]”) non si confonde con quella che regolamenta i contratti e gli appalti pubblici.
La giurisprudenza amministrativa (Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482), con riferimento alla portata della sentenza della Corte di giustizia UE (sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09 cit.), ha rimarcato come sia da escludere: “che possa pervenirsi a una semplicistica dicotomia tra il sistema comunitario, nel quale detta responsabilità avrebbe carattere oggettivo, e il sistema italiano, nel quale invece sarebbe sempre essenziale l’elemento psicologico dell’illecito”, ed ha affermato come, fermo restando il carattere aquiliano della responsabilità, possa trovare ingresso il concetto di “errore scusabile” o di c.d. “inesigibilità” di una condotta alternativa, nella ricostruzione del c.d. elemento soggettivo della responsabilità dello Stato (Cons. St., sez. VI, 31 marzo 2014 n. 1508; Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 483).
Talché l’illegittimità del provvedimento, quand’anche sia acclarata, costituisce invero solo uno degli indici (presuntivi) della colpa, da considerarsi unitamente agli altri indici (qualificanti), quali sono: il grado di chiarezza della normativa, la semplicità della fattispecie, il carattere pacifico della questione esaminata, il carattere vincolato o a bassa discrezionalità dell’azione amministrativa (Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2012 n. 482) o pure il grado di gravità della violazione, la comprensibilità della portata precettiva della disposizione e la sua o meno univocità interpretativa, nonché la qualità dell’apporto profuso al procedimento dal danneggiato (Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2021 n. 8746; Cons. St., sez. III, 7 dicembre 2021 n. 8165; Cons. St., sez. IV, 6 luglio 2004 n. 5012). In un contesto di incertezza del quadro normativo di riferimento o di oggettiva complessità della situazione di fatto, la risarcibilità del danno è stata esclusa (Cons. St., sez. III, 7 marzo 2022 n. 1624).
Non assume pure alcun rilievo in punto di responsabilità della P.A. – come invece sostenuto da parte ricorrente – l’omesso contraddittorio, previsto dalle norme ratione temporis applicabili solo come eventuale, e giudicato conforme al diritto UE (Corte Giustizia UE, sez. IX, ord. 28 maggio 2020, C-17/2020).
Anche la Corte costituzionale, con puntuale sentenza del 26 marzo 2020 n. 57, ha affermato come la valutazione del pericolo di infiltrazione mafiosa sia rimessa all’ampio apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, chiamata a bilanciare prudentemente gli interessi in gioco, ovverosia la libertà d’iniziativa economica (peraltro concernente solo il versante dei rapporti con la P.A.), da un lato, e la tutela dell’ordine pubblico economico, dall’altro.
Questi due interessi devono trovare armonica composizione nell’emanazione di un provvedimento sempre dotato di “motivazione accurata”. La stessa Corte costituzionale, poi, richiamando un proprio precedente in materia di misure di prevenzione, ha precisato che l’informazione antimafia in materia di prevenzione è in nuce fondata su elementi fattuali “più sfumati”, rispetto a quelli richiesti in sede giudiziaria penale, purché siano sintomatici e indiziari (sent. 26 marzo 2020 n. 57).
Ergo, la misura della diligenza esigibile da parte delle Prefetture chiamate ad effettuare una prognosi di pericolo di c.d. infiltrazione mafiosa, sulla base del paradigma del “più probabile che non”, talvolta definito in alternativa come verosimiglianza o probabilità cruciale (Cons. St., sez. III, 13 agosto 2018 n. 4938; Cons. St., sez. III, 14 settembre 2018 n. 5410; T.A.R. Puglia, sez. II, 18 febbraio 2020 n. 275), deve considerare l’endemica difficoltà sussistente in una siffatta operazione prognostica, specie laddove taluno tenti di “appuntare” una responsabilità risarcitoria all’attività di polizia di prevenzione.
Questa (attività di prevenzione) infatti è chiamata dall’ordinamento ad utilizzare elementi sintomatici ed indiziari, anche a prescindere dalle statuizioni finali di proscioglimento in sede penale (attività di repressione), trattandosi di funzioni pubbliche diverse, che richiedono un grado di accertamento loro peculiare e giammai sovrapponibile o confondibile. L’attività di prevenzione è orientata a prevenire pericoli di commissione di fatti antisociali; mentre, l’attività di repressione è finalizzata a raggiungere certezze nel reprimere reati (ex multis: Cons. St., sez. III, 13 agosto 2018 n. 4938; T.A.R. Lombardia, sez. I, 22 novembre 2019 n. 2480; T.A.R. Toscana, sez. II, 25 giugno 2018 n. 910).
Natura, contenuto e limiti degli strumenti della comunicazione e dell’interdittiva antimafia sono stati compendiati dalla pronuncia del Cons. St., Ad. plen., 6 aprile 2018 n. 3, alla quale, per quanto occorra, può rimandarsi. Rimarca la Plenaria, in detta pronuncia, la peculiarità della funzione di prevenzione dai pericoli della c.d. infiltrazione mafiosa.
Con specifico riguardo al caso in esame, – stante l’autonomia dell’azione giudiziale risarcitoria, rispetto all’azione di annullamento – può sinteticamente evincersi come il provvedimento interdittivo in questione, quanto al profilo della responsabilità, sia conseguente ad una attività istruttoria idonea e sia munito di motivazione accurata e soprattutto non è incorsa in alcun grave errore, indicativo di un comportamento colpevole dell’Amministrazione.
Vi sono invero citate (punti n. 2, 3 e 4 dell’interdittiva) copiose risultanze di polizia e giudiziarie, tra cui elementi di fatto indiziari scaturenti da ben n. 4 ordinanze di custodia cautelare in carcere (tre emanate dal GIP di Trani e una dal GIP di Bari), relative a plurime indagini penali, che hanno implicato, nella città di Bisceglie (BT), n. 13 dipendenti, per gravi reati in materia di stupefacenti, nella città di Bari n. 4 dipendenti, indagati per reati anche associativi, e nella città di Valenzano (BA) n. 1 dipendente condannato e con numerosi precedenti di polizia e/o penali per reati (elencati in circa tre pagine dell’interdittiva) in materia di stupefacenti e reati associativi, ritenuto contiguo a noto clan mafioso barese.
Mentre, ai fini della decisione della odierna causa, può vieppiù prescindersi da quanto è emerso in sede processuale penale, in ordine agli elementi indiziari di P.S., evincibili dalla “vicenda calabrese” (menzionata al primo punto del provvedimento interdittivo), oggetto di sentenza penale del Tribunale di Reggio Calabria del 2 ottobre 2016 peraltro non provata come divenuta irrevocabile (non prodotta), dalla numerazione non nota, né si comprende se la data citata faccia riferimento alla pronunzia della sentenza in udienza, ex art. 545, comma 1, c.p.p., o al successivo deposito delle motivazioni in diritto, ex art. 544, comma 2-3, c.p.p. e art. 548 c.p.p.
Pertanto, dovendosi tener conto del quadro normativo esistente all’atto del fatto asserito come illecito civile, per come interpretato dall’orientamento giurisprudenziale all’epoca prevalente (e tale rimasto costante in seguito), secondo cui la legittimità dell’interdittiva va verificata alla stregua degli elementi esistenti al momento della sua adozione e l’infiltrazione può emergere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato” o “controindicato” (così Cons. St., sez. III, 14 settembre 2018 n. 5410) e può avere anche indole c.d. “soggiacente”, sotto lo stretto profilo della responsabilità civile, che qui rileva, la Prefettura di Bari ha istruito l’affare nei limiti in cui ha potuto, con la diligenza esigibile, ne ha fornito motivazione accurata e, quindi, ha adottato i conseguenti provvedimenti.
Non emerge dunque alcun fatto illecito imputabile alla Prefettura per colpa o errore e suscettibile di aver generato danni risarcibili.
D’altronde l’iter processuale che ha accompagnato l’impugnativa proposta avverso l’interdittiva antimafia, con alterni esiti nelle due fasi – cautelare e di merito – e nei due gradi di giudizio, non può che suffragare tale convincimento.
Sotto il profilo del danno, va sottolineato come, a seguito dell’interdittiva e del diniego di iscrizione alla c.d. white list, su iniziativa della stessa Prefettura di Bari, sia stata comunque data alla società ricorrente la possibilità di continuare, nei mesi seguenti, l’esecuzione di tutti i contratti di appalti già stipulati e “attivi”, ad eccezione di quello intercorrente con il Comune di Bisceglie (BT), laddove è però insorta parallela controversia in materia di contestati inadempimenti.
In tal modo, come pur ammette parte ricorrente, i rapporti contrattuali in corso di esecuzione (con gli enti comunali di Anzio, Cerveteri, Lanuvio, Rosarno, San Ferdinando, Cinquefrondi e San Giorgio Morgeto) sono proseguiti, in virtù della straordinaria e temporanea gestione disposta, ai sensi dell’art. 32, comma 1, lett. b), e comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90 conv., con mod., dalla legge 11 agosto 2014 n. 114, per la: “urgente necessità di assicurare il completamento dell’esecuzione del contratto, ovvero la sua prosecuzione al fine di garantire la continuità di funzioni e servizi indifferibili per la tutela di diritti fondamentali, nonché per la salvaguardia dei livelli occupazionali o dell’integrità dei bilanci pubblici, ancorché ricorrano i presupposti di cui all’art. 94, comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.
Va poi rilevato che non ha pregio l’argomentazione svolta dalla società in ordine alla circostanza che la continuità aziendale sia stata assicurata soltanto con riguardo agli appalti già sottoscritti, senza poterne acquisire degli altri, perché questo rientra in una deliberata scelta dell’amministratore legale della società.
La società ha preferito subire la più invasiva straordinaria e temporanea gestione (art. 32, comma 1 lett. b), e comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90 conv., con mod., dalla legge 11 agosto 2014 n. 114), che ex lege ha comportato la nomina di un collegio di amministratori straordinari per la continuità dei soli contratti in essere; mentre, non ha volontariamente scelto di chiedere la misura meno invasiva del c.d. controllo giudiziario (art. 34-bis d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159), che invece avrebbe consentito la piena continuità aziendale, con la nomina di un amministratore, che esercitasse meri poteri di “sorveglianza” sull’attività societaria, senza la sostituzione degli organi sociali.
3.- Ma quel che più importa è che né i provvedimenti gravati, né la propedeutica attività istruttoria dell’amministrazione, sono tali da aver causato alla parte ricorrente in concreto alcun danno ingiusto risarcibile. Va infatti considerato come la preminente funzione della responsabilità civile sia quella di ripristinare lo status quo ante, ossia di riportare il danneggiato nella stessa situazione in cui versava prima di subire il pregiudizio lamentato. A tale funzione ha già adempiuto – come detto – la tutela di annullamento (Cons. St., sez. V, 21 maggio 2013 n. 2776), ragion per cui va verificato se vi siano altri differenziali danni risarcibili per equivalente. Va poi avvertito che, a mezzo del risarcimento del danno, non può giammai conseguirsi alcuna locupletazione; il risarcimento cioè sortisce solo l’effetto compensativo con riguardo alla perdita subita (c.d. funzione riparatoria).
Parte ricorrente, dopo aver assunto di aver iniziato l’attività nel campo della raccolta dei rifiuti, con l’acquisizione di un ramo d’azienda nel 2013, ha documentato di aver realizzato buoni fatturati, per l’attività d’impresa svolta, ma con utili di esercizio annuali discreti, invero altalenanti (ossia nell’anno 2013 pari €. 129.093, nell’anno 2014 pari a €. 477.978 e nell’anno 2015 pari a €. 312.884). Dette cifre corrispondono ai bilanci (compresivi della relazione dei revisori dei conti) depositati come documenti nell’odierno processo. Tuttavia, sottace la ricorrente come, in base al bilancio depositato relativo all’anno 2016, abbia realizzato una notevole perdita di esercizio (pari a ben €. 2.954.425,00), che costituisce ex se grave vulnus alla operatività aziendale.
Vale a dire che, nell’anno 2016, la società è passata da un utile di esercizio (di poco oltre trecentomila euro) a una perdita di esercizio (di quasi tre milioni di euro), pari a quasi dieci volte in negativo l’utile dell’anno prima. Una situazione questa che è consolidata, pur a fronte dei contratti di appalto in corso, nell’arco dell’intero anno 2016, in quanto sia l’interdittiva sia il diniego di iscrizione alla c.d. white list sono stati adottati a fine dicembre 2016, ossia rispettivamente poco prima di Natale e poco prima dell’ultimo giorno dell’anno.
Deduce parte ricorrente che gli utili non percepiti, per mancata aggiudicazione degli appalti in itinere, sarebbero stati pari a €. 63.750,00 per il comune di Minervino Murge; mentre per l’ARO LE/11 i mancati utili per l’intera durata del contratto settennale, in via assertiva, ammonterebbero a presunti € 581.768,65 (ma agli atti v’è solo un’aggiudicazione provvisoria, con invito a giustificare l’anomalia dell’offerta, null’altro).
Rappresenta inoltre possibili subentri in altri appalti relativi alle ARO BA/8 e BA/5 (ma trattasi di mere congetture di parte indimostrate). Deduce ancora la maturata preclusione di ottenere modeste piccole proroghe dei contratti di appalto (nelle more dell’espletamento di apposita gara per l’ARO BA/7) con due comuni (Valenzano e Noicattaro) del barese (ma invero trattasi di ricavi marginali e incerti). Si lamenta dell’interrotto rapporto con tale multinazionale tedesca -OMISSIS-, per un utile di €. 51.000,00 (epperò non meglio circostanziato e in sé modesto).
Asserisce infine di aver dovuto far fronte a svariate spese e sopportato costi aggiuntivi e chiede pure i costi di partecipazione alle gare (tutti costi che però rientrano nella fisiologia della conduzione di una impresa e che vengono posti a carico del bilancio); peraltro, la società, a causa della riduzione dell’attività, ha potuto evitare esose voci di costo (a pag. 39 del bilancio di esercizio 2017 si legge: “Costi per godimento beni di terzi di cui alla voce B/8: ammontano nel 2017 ad € 1.427.443,53 con un decremento di € 1.020.193,57 rispetto all’anno precedente […] dovuto principalmente dal fatto che, durante l’anno, la nostra società, non ha dovuto ricorrere al nolo temporaneo di automezzi […] per la chiusura di alcune commesse a causa del provvedimento prefettizio interdittivo”).
Lamenta in ultimo di aver subito un danno non patrimoniale all’immagine (però non meglio descritto e provato) e quindi inaccoglibile (T.A.R. Lazio, sez. IV, 2 maggio 2022 n. 5398) e la generica perdita di chance di acquisire futuri contratti di appalto con sintetica illazione (indeterminata e sommaria) e soprattutto priva di prova (Cons. St., sez. V, 11 luglio 2018 n. 4225).
In ultima analisi, un simile quadro di deduzioni di danni asseriti come subiti è sfornito di prova (art. 2697 c.c.). Non è cioè provato in modo irrefutabile che i succitati appalti in corso di definizione sarebbero stati aggiudicati (anche all’esito della verifica dei requisiti e dei controlli ex lege). E anche a contabilizzare i fatturati di tali appalti, non è affatto certo che, dalla redazione dei bilanci, riferiti all’anno e mezzo circa (2017 e metà 2018) della subita limitazione operativa dell’attività, a causa dei provvedimenti prefettizi, sarebbero emersi utili in concreto (e non già meramente sperati) distribuibili ai soci.
A tutto voler concedere, ma trattasi di operazione contabile scorretta, secondo i principi di redazione dei bilanci, oltreché ipotesi di danno presunto e non certo e dunque non risarcibile, neanche la mera somma aritmetica degli utili sperati, per singolo appalto dedotto, riesce ad abbattere l’enorme perdita di esercizio maturata nell’anno 2016 (pari a circa tre milioni di euro) e ancor più incrementatasi l’anno seguente (quasi triplicatasi).
Vero è, invece, che la grave situazione deficitaria di bilancio di esercizio ha consentito alla società di concludere un concordato fallimentare (con continuità aziendale), ai sensi dell’art. 124 ss.gg. della legge fall., come dalla stessa dedotto (ma senza produrne copia come documento), al punto che è stato possibile – com’è previsto dalla normativa di settore – ristrutturare e finanche elidere il gravame di svariati debiti. Tale circostanza vale, almeno in parte, a costituire sopravvenienza, che ha attenuato l’esposizione debitoria e contribuito a risanare i deficit di bilancio, tal da rafforzare la tutela specifica già ottenuta con l’azione di annullamento e rendere evanescente la permanenza di residuali danni risarcibili per equivalente.
Ciò rilevato, sotto il profilo del risarcimento domandato, per come formulato dalla parte ricorrente, ovverosia involgente l’attività in generale della società, va invece osservato come, sotto il profilo giuridico, il danno ingiusto risarcibile, alla stregua dell’art. 2043 c.c., per costante giurisprudenza in materia, debba connotarsi per essere contra ius, ossia lesivo di una situazione giuridica soggettiva, e non iure, ossia giammai giustificato da una qualche norma dell’ordinamento (ex pluris: T.A.R. Lazio, sez. III, 3 gennaio 2022 n. 8; Cass., sez. III civ., 13 dicembre 2012 n. 22890; Cons. St., sez. V, 8 marzo 2006 n. 1228), e quindi dev’esser tale da aver compromesso un “bene della vita” (Cass., sez. un. civ., 22 luglio 1999 n. 500; Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2011 n. 3; Cons. St., sez. IV, 27 febbraio 2020 n. 1437), essendo esclusa nel sistema della responsabilità alcuna fattispecie di danno in re ipsa (ex multis: Cass., sez. III civ., 13 dicembre 2012 n. 22890).
Né può predicarsi alcun risarcimento in caso d’illegittimità di natura formale e procedurale e non già di natura sostanziale, cioè attinenti al “bene della vita” ovverosia al bene giudico leso (Cons. St., sez. V, 22 gennaio 2015 n. 252; Cons. St., sez. V, 27 maggio 2022 n. 4279).
È danno risarcibile quella lesione avente un risvolto patrimoniale, che sussiste in concreto – dev’esser cioè certo e non ipotetico (Cons. St., Ad. plen., 12 maggio 2017 n. 2) – e che scaturisce da un fatto illecito, cui sia legato da un nesso di causalità. Il momento centrale del sistema della responsabilità civile è rappresentato proprio dal danno, inteso come perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva. Esclusivamente a seguito della causazione del danno, sorge l’obbligazione (art. 1173 c.c.) del risarcimento (art. 2043 c.c.) in favore del danneggiato (ex multis: Cass., sez. un. civ., 22 luglio 2015 n. 15350). Il risarcimento presuppone cioè l’effettiva esistenza del danno.
Alla luce di quanto sinora evidenziato, nella specie il danno non è stato affatto provato.
4.- Dirimente è appurare inoltre se la fattispecie abbia costituito causa efficiente di un qualche danno prodottosi, ovverosia se vi sia un nesso di causalità. Tant’è che non è sufficiente che il fatto illecito sia accaduto, occorrendo che vi sia stata la produzione di un danno concreto “collegato” causalmente al fatto illecito generatore in via immediata e diretta (art. 1223, richiamato dall’art. 2056 c.c.), perché sorga l’obbligazione di risarcire.
L’insieme delle considerazioni fin qui svolte contribuisce ad escludere qualsiasi nesso di causalità tra il predicato fatto illecito, l’evento lesivo e i vantati danni, dei quali si richiede ristoro.
Non è stato dimostrato che tra la condotta (attiva od omissiva) e il danno-evento sussista il nesso di causalità materiale, che quale condicio sine qua non, in assenza del concorso di altri fattori esterni causatrici soverchianti, determini che l’illecito (ricondotto “in ipotesi” al provvedimento) sia stato da solo o in via prevalente causa efficiente del danno-evento, tal da poterne ascrivere la responsabilità alla Prefettura (ossia l’an della responsabilità).
Non è stato altresì dimostrato “in tesi” il nesso di causalità giuridica, che secondo il parametro di giudizio dell’id quod plerumque accidit, rappresenta la conseguenza immediata e diretta tra la l’evento lesivo e gli assunti, ma anch’essi indimostrati (come sopra rilevato), danni-conseguenza (art. 1223, richiamato dall’art. 2056 c.c.) per come procurati in concreto, tal da consentire la delimitazione dell’area del risarcibile (ossia il quantum della responsabilità).
Ciò in quanto la società istante, in considerazione del suo bilancio largamente in perdita nell’anno 2016, anche qualora si fosse aggiudicata una parte delle procedure di evidenza in itinere – come sopra visto – non avrebbe mai potuto “risollevarsi”, al punto tale da conseguire utili di esercizio, che quindi possano assumersi esser andati persi nell’anno 2017 e/o all’inizio del seguente anno, a causa esclusiva dell’intervenuta interdittiva e, quindi, al punto tale da poter sostenere di aver subito danni, ossia una perdita economica.
Avendo poi la responsabilità – come visto – prevalente funzione riparatoria e non potendosi accordare alcuna tutela alla locupletazione, va obiettivamente rilevato come non sia stata addotta nell’esperita azione risarcitoria alcuna indicazione sull’aliunde perceptum (ex multis: Cons. St., sez. VI, 17 ottobre 2017 n. 4803; Cons. St., sez. IV, 14 marzo 2016 n. 992; Cons. St., sez. III, 10 aprile 2015 n. 1839), elemento che di consueto è quanto meno precisato. In poche parole, non è stato riportato quanto altro il presunto danneggiato abbia percepito, svolgendo attività alternative, nel caso di specie in favore di soggetti privati, considerato che i provvedimenti prefettizi sfavorevoli hanno inibito esclusivamente di poter svolgere attività per la pubblica amministrazione. Invero, nell’atto di ricorso, v’è un fugace cenno, ma non si comprende il motivo per cui l’attività aziendale (avente oggetto sociale più ampio) non sia potuta continuare, seppure in via presuntivamente più modesta, in favore di soggetti privati.
Peraltro, alla stregua di quanto previsto dal combinato disposto di cui agli art. 1227 e 2056 c.c., la società ricorrente ha assunto un comportamento compartecipe al (presunto) fatto illecito, che ad ogni modo – per quanto fin qui esaminato – non ha procurato alcun danno risarcibile. La giurisprudenza (Cons. St., Ad. plen., 23 marzo 2011 n. 3) ha in tema ben sottolineato come l’omessa attivazione dei svariati strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, alla stregua dei canoni di buona fede (art. 1375 c.c.) e di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), nel caso concreto più proficuamente esperibili, costituisca sicuro dato valutabile ai fini della esclusione e/o della mitigazione del danno. E ciò vale non solo con riguardo al ricorso al rimedio giudiziale, ma abbraccia anche altre iniziative facilmente accessibili, tra cui può annoverarsi il ricorso per l’ammissione al “controllo giudiziario”, ai sensi dell’art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159.
Difatti, parte ricorrente ha preferito lasciar operare la straordinaria e temporanea gestione disposta d’ufficio (art. 32, comma 1 lett. b), e comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90 conv., con mod., dalla legge 11 agosto 2014 n. 114), che però è valsa soltanto a consentire la prosecuzione degli appalti già affidati e in itinere; mentre, non ha fatto ricorso all’istituto del “controllo giudiziario” (art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159), che avrebbe invece contribuito a salvaguardare la posizione e continuità aziendale, nel senso di consentire all’amministratore di essere semplicemente affiancato da un commissario deputato (soltanto) a “sorvegliare” l’azienda circa gli emersi fattori di pericolo da infiltrazione mafiosa.
In ultima analisi, non sussiste alcun comportamento scarsamente diligente da parte della Prefettura di Bari, perché l’istruttoria amministrativa è completa, almeno sotto il profilo dell’illiceità civile e non è stato commesso alcun errore; non alcun fatto illecito, avendo la Prefettura fatto uso di prerogative ex lege riconosciute, senza travalicarne i limiti dati, ma seguendo linee guida vigenti e la illo tempore giurisprudenza prevalente; non alcun danno, non avendo, anche a causa dello stato deficitario di bilancio della società, quest’ultima subito ripercussioni economiche apprezzabili nell’anno 2017 (e poi nel 2018); né nesso di causalità adeguata, in quanto non è affatto dimostrato che i provvedimenti sfavorevoli abbiano inciso sulla situazione economica della società, invero ex se già precaria fin dall’inizio dell’esercizio finanziario 2016, come sta ben a testimoniare il bilancio di esercizio dalla stessa redatto e approvato dai revisori dei conti.
5.- In conclusione, l’azione risarcitoria, per le sopra esposte motivazioni, si appalesa infondata sia in fatto sia in diritto e va dunque rigettata.
6.- Le spese del giudizio, in considerazione della peculiarità e notevole complessità delle questioni poste, possono essere compensate.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (sezione seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità del ricorrente, anche se contenute nel testo della sentenza, senza alcun’altra alterazione.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Rita Tricarico, Presidente FF
Donatella Testini, Primo Referendario
Lorenzo Ieva, Primo Referendario, Estensore