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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento del suolo, Rifiuti Numero: 755 | Data di udienza: 3 Aprile 2019

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabilità per inquinamento – Accertamento – Presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.  – Indizi gravi, precisi e concordanti – Ipotetica esistenza di altrei concorrenti fattori causativi – Non esclude la responsabilità – RIFIUTI – Inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica – Contestazione degli esiti dell’istruttoria – Mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità – Teoria del più probabile che non – Principio chi inquina paga – Aumento del rischio – Contribuzione del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento – Fatti risalenti nel tempo.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Puglia
Città: Lecce
Data di pubblicazione: 9 Maggio 2019
Numero: 755
Data di udienza: 3 Aprile 2019
Presidente: Pasca
Estensore: Moro


Premassima

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabilità per inquinamento – Accertamento – Presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.  – Indizi gravi, precisi e concordanti – Ipotetica esistenza di altrei concorrenti fattori causativi – Non esclude la responsabilità – RIFIUTI – Inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica – Contestazione degli esiti dell’istruttoria – Mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità – Teoria del più probabile che non – Principio chi inquina paga – Aumento del rischio – Contribuzione del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento – Fatti risalenti nel tempo.



Massima

 

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ – 9 maggio 2019, n. 755


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Responsabilità per inquinamento – Accertamento – Presunzioni semplici ex art. 2727 c.c.  – Indizi gravi, precisi e concordanti – Ipotetica esistenza di altrei concorrenti fattori causativi – Non esclude la responsabilità.

L’accertamento della responsabilità per inquinamento deve basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti (prova per presunzioni semplici: art. 2727 c.c.). L’ipotetica esistenza di altri concorrenti fattori causativi dell’inquinamento dell’area non esclude di per sé la responsabilità dimostrata dagli esiti dell’istruttoria compiuta, in cui convergano elementi plurimi, gravi, precisi e concordanti.
 

INQUINAMENTO DEL SUOLO – RIFIUTI – Inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica – Contestazione degli esiti dell’istruttoria – Principio chi inquina paga.

Nell’ipotesi di inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica, per contestare gli esiti dell’istruttoria, pervenuta alla dimostrazione della responsabilità, deve essere precisato, con sufficiente specificazione, quale sia stata – diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni – la reale, diversa dinamica degli avvenimenti e a quale diverso soggetto dovesse addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento.  Questa conclusione è coerente con la normativa europea, in particolare con il principio “chi inquina paga”, introdotto dal Trattato di Maastricht (1992) e poi stabilito dalla direttiva 2004/35/CE (e oggi recepito all’art. 3-ter d.lgs. n. 152 del 2006). Come ha rilevato la Corte di giustizia europea con la sentenza 9 marzo 2010, n. 378/08, la normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento, oltre che la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e l’attività
 


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità – Teoria del più probabile che non – Principio chi inquina paga – Aumento del rischio – Contribuzione del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento – Fatti risalenti nel tempo.

 In mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità, la giurisprudenza ha elaborato la teoria del "più probabile che non", applicata anche nella materia della responsabilità per inquinamento (cfr.: TAR Abruzzo – Pescara, I, n. 2014/2014). Secondo tale impostazione, per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%). La Corte di Giustizia Europea (C-188/07), nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), fornisce una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento. Per cui, soprattutto in relazione a fatti risalenti nel tempo, acquistano rilievo ai fini dell’individuazione del responsabile della contaminazione, elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, sent. n. 2569/2015; n.3885/2009; n. 6055/2008; Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2010, causa C-378/08).

Pres. Pasca, Est. Moro – M. s.r.l. (avv. Paladini) c. Provincia di Lecce (avv.ti Angelastri e Capoccia), Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Puglia (avv.ti Chiapperini e De Palma) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ - 9 maggio 2019, n. 755

SENTENZA

 

TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ – 9 maggio 2019, n. 755

Pubblicato il 09/05/2019

N. 00755/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00160/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 160 del 2016, proposto da
Mediterranea Castelnuovo 2 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Salvatore Paladini, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, viale De Pietro, 23;

contro

Provincia di Lecce, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuditta Angelastri, Maria Giovanna Capoccia, con domicilio eletto presso lo studio Maria Giovanna Capoccia in Lecce, Ufficio Legale C/ Amm.Ne Prov.Le;
Regione Puglia, Comune di Nardo’, Azienda Sanitaria Locale Lecce, Agenzia Regionale per la Prevenzione e La Protezione dell’Ambiente non costituiti in giudizio;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Laura Chiapperini, Sabrina De Palma, con domicilio eletto presso lo studio Arpa Dipartimento Provinciale in Lecce, via Miglietta n. 2;

nei confronti

Cave Marra Ecologia S.r.l. non costituita in giudizio;

per l’annullamento

dell’Atto di Determinazione del Dirigente del Servizio Ambiente e Tutela Venatoria della Provincia di Lecce n. 601 del 10/11/2015, notificata a mezzo pec il 13/11/2015; di tutti gli atti presupposti, connessi e/o consequenziali, ivi incluso il verbale della riunione del tavolo tecnico riunito presso la Provincia di Lecce il 22/10/2015 e mai notificato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Provincia di Lecce e Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 aprile 2019 la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per le parti i difensori come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso introduttivo del presente giudizio, la società ricorrente impugna l’epigrafata determinazione del Dirigente del Servizio Ambiente e Tutela Venatoria n.601 del 10.11.2015, avente ad oggetto "Diffida a provvedere mediante ordinanza ai sensi dell’art. 244 del D.Lgs. 152, nei confronti della Mediterranea Castelnuovo 2 s.r.l., gestore della discarica in località Castellino di Nardò”.

A sostegno del ricorso sono dedotte le censure di seguito sintetizzate:

I. Violazione dei principi di trasparenza, buon andamento e correttezza del procedimento – violazione artt. 7 e segg. L.24171990 – violazione del principio di leale collaborazione – violazione del diritto di difesa art.24 Cost.

II. Violazione del principio “chi inquina paga”, violazione dei principi in tema di onere della prova in relazione all’art.191 del TFUE e agli artt. 239,242 e 244 del d.lgs. 152/2006.

III. Eccesso di potere contraddittorietà e perplessità manifesta –illogicità dell’azione amministrativa – travisamento dei fatti – superficialità e incompletezza dell’istruttoria.

IV. Violazione e falsa applicazione artt.242 e 244 d.lgs.152/2006 – falsa ed erronea presupposizione di fatto e di diritto –carente e insufficiente motivazione – eccesso di potere per travisamento dei fatti – omessa istruttoria – sviamento.

In data 29 gennaio 2016 si è costituita in giudizio l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente della Puglia insistendo per il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n.164/2016 (confermata in sede di appello con ordinanza n.3079/2016 del Consiglio di Stato) la Sezione ha respinto l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente.

Nella pubblica udienza del 3 aprile 2019 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2.Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2.1.Con un primo ordine di censure la ricorrente lamenta la violazione delle regole procedimentali, stante la mancata partecipazione del soggetto a cui viene attribuita la responsabilità.

L’assunto è infondato.

Al contrario, come rilevato dalla Sezione nell’ordinanza cautelare citata, dagli atti di causa emerge che alla ricorrente è stato consentito di partecipare al procedimento amministrativo conclusosi con l’emanazione dell’ordinanza impugnata, avendo la Provincia inviato alla Mediterranea numerose note per comunicarle gli stadi del procedimento ed avendo la stessa preso parte al tavolo del tecnico del 12.03.2015; peraltro, come risulta dai documenti esibiti da ARPA, nel tavolo tecnico tenutosi presso la Provincia di Lecce il 22.10.2015, si rileva che: “il gestore della discarica di Castellino non ha trasmesso la relazione tecnica sull’inquinamento rilevato, nonostante gli impegni assunti nel tavolo tecnico del 12 marzo 2014 e nonostante sia abbondantemente trascorso il termine ordinatorio assegnatoli dalla Provincia con nota prot n. 18390 del 19.03.2015….”

2.2.Con un secondo ordine di censure la ricorrente lamenta la violazione del principio “chi inquina paga” non risultando accertata la responsabilità della Mediterranea Castelnuovo nella produzione dell’inquinamento.

L’assunto è infondato.

Giova una breve ricostruzione degli antecedenti fattuali.

La ricorrente gestisce l’impianto di discarica controllata di I^ categoria ubicata in Nardò in C.da Castellino, entrata in esercizio nel giugno 1992 al servizio dei Comuni facenti parte degli allora bacini LE/2 e LE/3. La fase di gestione operativa della discarica è cessata nel gennaio 2007.

Con nota del 18.11.2014, il Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Lecce ha comunicato alla ricorrente di aver acquisito, in data 17 ottobre, una relazione del Dipartimento provinciale dell’Arpa sui controlli periodici effettuati per valutare la qualità delle acque dei pozzi spia della discarica, dalla quale è emerso un trend di crescita della concentrazione del parametro NI-nichel e il superamento del parametro Ni rispetto alle concentrazioni do soglia di contaminazione per le acque sotterranee.

In particolare, come risulta dalla relazione del 15.10.2014 di ARPA prot n. 56253 “ […]in assenza di dati conoscitivi sulla qualità delle acque sotterranee nell’area oggetto di analisi precedentemente alla realizzazione della discarica, non è possibile ricostruire la situazione ex ante. Si è proceduto, dunque, alla raccolta e sistematizzazione in tabella dei dati disponibili dal 2003 al 2013, seguendo la sopra indicata Tab. 1 (cfr.relazione), per ricostruire il trend degli analiti nel decennio che comprende sia un periodo in cui la discarica era ancora in attività, sia alcuni anni post dismissione (2007-2013). Per effettuare anche una valutazione della qualità delle acque sotterranee analizzate, si è ritenuto utile inserire una colonna di confronto con i valori limite delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione nelle acque sotterranee previste nella Tab. 2 dell’All. 5 parte IV del D.Lgs. 152/06.

Sulla base di questa comparazione con le CSC, indicativamente, si è rilevato che per il parametro Nichel i valori negli ultimi monitoraggi eseguiti presentano un trend crescente, in alcuni casi con quantitativi superiori al valore limite […] (20 μg/l, come riportato nella relazione già allegata, nella tabella a pag. 4)”.

Con l’ordinanza impugnata, pertanto, la Provincia di Lecce ha richiamato i rilievi di ARPA, secondo cui “ allo stato attuale delle conoscenze, anche sulla base delle considerazioni esposte nel precedente verbale, volte a significare che il pozzo n.2 non è effettivamente a monte dell’impianto che la contaminazione riscontrata sia, ragionevolmente, attribuibile alla discarica gestita dalla Mediterranea Castelnuovo”, rilevando quanto segue:

“secondo consolidata giurisprudenza l’imputazione dell’inquinamento a un determinato soggetto può avvenire sia per condotte attive che per condotte omissive e la relativa prova può essere data in forma diretta o indiretta, potendo in quest’ultimo caso la pubblica amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici ex art.2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto da cui si traggano indizi gravi, precisi e concordanti: sulla base di tali indizi deve risultare verosimile che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori. Nel caso di specie, posto che non può seriamente dubitarsi dell’effettiva sussistenza dello stato di contaminazione del sito, come emerso da adeguate analisi del campionamento della falsa tramite possi di monitoraggio, deve rilevarsi che nessun adeguato elemento probatorio, inequivoco ed oggettivo, è stato fornito dalla Mediterranea Castelnuovo 2 per escludere la correttezza e la coerenza dell’operato di ARPA, da cui è stato fatto conseguire, del tutto logicamente, secondo l’id quod plerunque accidit, la riferibilità della contaminazione esclusivamente all’attività di discarica svolta. Sono state infatti confutate da Arpa, con puntuali riscontri, come risulta dal verbale del tavolo tecnico del 12.3.2015, le argomentazioni addotte dal gestore miranti a escludere la responsabilità nella contaminazione riscontrata.”

Conseguentemente, ai sensi e per gli effetti dell’art.244 d.lgs.152/2006, l’A.P. ha ordinato di attuare le procedure di cui all’art.242 del d.lgs. 152/2006, attuando le necessarie misure di prevenzione ivi compresa la riduzione e il mantenimento, al minimo consentito dei sistemi di pompaggio, del battente di percolato nei pozzi di raccolta della discarica.

2.3. Precisato ciò, sono del tutto inconferenti le censure espresse dalla ricorrente in ordine alla mancanza di un accertamento rigoroso circa l’effettivo responsabile dell’inquinamento atteso che, al contrario:

-L’area in questione è pacificamente a servizio della discarica gestita dalla ricorrente;

– L’aumento del rilevato fattore di inquinamento risulta esponenziale, atteso che i superamenti delle CSC e l’aggravamento della contaminazione è dimostrabile con il trend crescente dei valori della concentrazione di Nichel;

-La presenza della contaminazione anche nel pozzo a monte trova una razionale giustificazione (non smentita dalla ricorrente) dalla prossimità del pozzo di “monte” alla discarica; invero, come risulta nella nota del 26 febbraio 2015 della Provincia di Lecce, “circa la posizione dei pozzi di monitoraggio questo servizio deve tuttavia rammentare che già il Commissario delegato, nell’approvare, con proprio decreto n.207 del 13.11.2006 il Piano di Adeguamento al d.lgs. 36/2003, rilevava come, causa la prossimità del pozzo di monte alla discarica, lo stesso non potesse ritenersi scevro da influenze dirette dell’impianto”;

-Non vi sono ragioni per dubitare dell’attendibilità scientifica delle ricerche sulle quali si è basata la individuazione della ricorrente come responsabile del fenomeno inquinante oggetto di controversia.

-La circostanza, rilevata nella relazione del dott. Mazzotta, dell’assenza di altri metalli pesanti non risulta di per sé esaustiva al fine di escludere il rilevato nesso causale;

– La stessa relazione conferma la presenza di concentrazioni di nichel nel percolato della discarica ( con conseguente conferma della affinità della contaminazione rispetto all’attività esercitata), mentre la ritenuta non verosimile perdita di parti rilevanti di percolato nella falda non risulta suffragata da sufficienti argomentazioni.

Può quindi affermarsi che risultano indizi gravi, precisi e concordanti (prova per presunzioni semplici: art. 2727 c.c.) sui quali basare l’accertamento della responsabilità della Mediterranea Castelnuovo.

In ogni caso, l’ipotetica esistenza di altri concorrenti fattori causativi dell’inquinamento dell’area in questione non escluderebbe di per sé la responsabilità della ricorrente, ampiamente dimostrata dagli esiti dell’istruttoria compiuta, convergendo in tal senso elementi plurimi, gravi, precisi e concordanti.

2.4.Trattandosi di un inquinamento riconducibile alla gestione di una discarica, come ha precisato il Consiglio di Stato ( sent. 3165/2014) la ricorrente non avrebbe dovuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, dovendo piuttosto precisare, e con sufficiente specificazione, quale fosse stata – diversamente da quanto opinato dalle amministrazioni – la reale, diversa dinamica degli avvenimenti e a quale diverso soggetto dovesse addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento.

Questa conclusione è coerente con la normativa europea, in particolare con il principio “chi inquina paga”, introdotto dal Trattato di Maastricht (1992) e poi stabilito dalla direttiva 2004/35/CE (e oggi recepito all’art. 3-ter d.lgs. n. 152 del 2006). Come ha rilevato la Corte di giustizia europea con la sentenza 9 marzo 2010, n. 378/08, la normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento, oltre che la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e l’attività

2.5.Con riferimento al nesso di causalità, la giurisprudenza ha da tempo elaborato, in mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità, la teoria del "più probabile che non", applicata anche nella materia de qua (cfr.: TAR Abruzzo – Pescara, I, n. 2014/2014).

Secondo tale impostazione, per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%).

La Corte di Giustizia Europea (C-188/07), nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), fornisce una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento.

Per cui, soprattutto in relazione a fatti risalenti nel tempo, acquistano rilevo ai fini dell’individuazione del responsabile della contaminazione, elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi, precisi e concordanti che inducano a ritenere verosimile, secondo l’id quod plerumque accidit, che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori (Cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, sent. n. 2569/2015; n.3885/2009; n. 6055/2008).Questa giurisprudenza è stata avallata anche dalla Corte di Giustizia, secondo la quale la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consenta all’autorità competente, in sede di esecuzione della direttiva, di presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta di determinati operatori e un inquinamento accertato, allorquando la presunzione sia fondata su indizi plausibili quali la vicinanza al luogo ove insiste l’attività che ha causato l’inquinamento e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate nell’area limitrofa e le sostanze utilizzate per svolgere l’attività che si reputa abbia determinato l’inquinamento (Cfr. Corte di Giustizia UE, 9 marzo 2010, causa C-378/08).

2.6.Non risulta conferente neppure il rilevato deficit istruttorio stante la copiosa documentazione prodotta da ARPA comprovante i vari rilievi effettuati.

In ogni caso, va rilevato che i campionamenti effettuati da ARPA riguardano proprio i pozzi di monitoraggio della discarica gestita dalla ricorrente, sicchè la stessa non può addebitare ad altri attività che essa stessa avrebbe dovuto compiere.

Con riferimento al metodo di campionamento seguito da ARPA, trattasi di rilevi di carattere tecnico che la ricorrente contesta genericamente senza addivenire ad alcuna concreta confutazione.

In ogni caso, le valutazioni di ARPA, frutto di accertamenti tecnici complessi, non sono illogici né frutto di erronea applicazione delle regole tecniche; del resto, la stessa ricorrente ha omesso di confutare efficacemente i rilievi espressi in ordine alle contaminazioni esistenti.

Alle considerazioni citate, deve aggiungersi che, come rilevato dal Direttore del Dipartimento provinciale di Lecce ARPA Puglia, ing. Bucci, nel tavolo tecnico tenutosi presso la Provincia di Lecce il 22.10.2015 : “ il gestore della discarica di Castellino non ha trasmesso la relazione tecnica sull’inquinamento rilevato, nonostante gli impegni assunti nel tavolo tecnico del 12 marzo 2014 e nonostante sia abbondantemente trascorso il termine ordinatorio assegnatoli dalla Provincia con nota prt n. 18390 del 19.03.2015…[…] Abbiamo un superamento del parametro Nichel nei pozzi n.2 (circa 25 micro grammi/ litro= e n. 3 (circa 30 micro grammi/litro) a fronte di un limite di 20 micro grammi/litro, con valori che sono sostanzialmente rimasti stabili anche nel prelievo dell’ottobre 2014”…. il campionamento a cura dei tecnici dell’Agenzia è stato eseguito con la periodicità definita dalle attività istituzionali dell’Agenzia presso i pozzi spia delle discariche, seguendo le procedure previste per tale tipologia di campionamenti. Nel caso specifico, infatti, i contenitori utilizzati sono quelli previsti per i campionamenti di genere, boccioni in vetro scuro di proprietà del Dipartimento; gli stessi sono scrupolosamente avvinati con l’acqua del pozzo da prelevare, prima del prelievo stesso; vengono poi sigillati con piombino e cartellino, come per legge, e trasportati in frigo automontato a temperatura di 4°C. La stabilizzazione non si rende necessaria in quanto i campioni vengono puntualmente processati entro le 24 ore”.

Il contegno tenuto dalla ricorrente la quale, nonostante l’impegno assunto all’esito del predetto tavolo di produrre una dettagliata relazione tecnica per dimostrare la propria estraneità ai fatti, non ha tempestivamente provveduto a fornire la documentazione promessa, giustifica ulteriormente l’ordinanza impugnata avendo la Provincia, sulla base dei nuovi accertamenti nelle more espletati dagli enti competenti ed in forza del principio di precauzione sotteso alle misure in discussione, correttamente ordinato al soggetto che appariva il responsabile dell’inquinamento (secondo il principio del “più probabile che non”), l’adozione delle necessarie misure di prevenzione.

3.In definitiva, il provvedimento impugnato risulta esente dalle censure rassegnate nel ricorso, il quale deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore di ARPA Puglia, liquidate in complessive €2000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 3 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:

Antonio Pasca, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Patrizia Moro, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Patrizia Moro
        
IL PRESIDENTE
Antonio Pasca
        
        
IL SEGRETARIO
 

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