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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali, Diritto urbanistico - edilizia Numero: 844 | Data di udienza: 15 Maggio 2024

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatto realizzato negli anni ‘50 – Art. 26 l. n. 1150/1942 – Procedimento di repressione degli abusi edilizi – Evoluzione normativa – Stato legittimo dell’immobile – Nozione – Art. 9-bis, c. 1-bis, d.P.R. n. 380/2001 – Vincolo indiretto – Apprezzamento tecnico-discrezionale – Funzione strumentale (Si ringrazia per la segnalazione il dott. Lorenzo Ieva)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Puglia
Città: Bari
Data di pubblicazione: 12 Luglio 2024
Numero: 844
Data di udienza: 15 Maggio 2024
Presidente: Dibella
Estensore: Ieva


Premassima

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatto realizzato negli anni ‘50 – Art. 26 l. n. 1150/1942 – Procedimento di repressione degli abusi edilizi – Evoluzione normativa – Stato legittimo dell’immobile – Nozione – Art. 9-bis, c. 1-bis, d.P.R. n. 380/2001 – Vincolo indiretto – Apprezzamento tecnico-discrezionale – Funzione strumentale (Si ringrazia per la segnalazione il dott. Lorenzo Ieva)



Massima

TAR PUGLIA, Sez. 3^ – 12 luglio 2024, n. 844

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Manufatto realizzato negli anni ‘50 – Art. 26 l. n. 1150/1942 – Procedimento di repressione degli abusi edilizi – Evoluzione normativa

Tutte le disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nella loro interezza e contemporaneità, si applicano a partire dal 1° gennaio 2002; mentre, per le epoche precedenti, deve aversi riguardo al regime giuridico vigente e per come si è successivamente evoluto nel tempo, fino a giungere al predetto testo unico “compilativo” e alle successive modificazioni apportate (così già T.A.R. Puglia, sez. II, 24 febbraio 2023, n. 368). Relativamente ad un manufatto realizzato negli anni 50, l’art. 26 della legge n. 1150/1942 prevedeva un procedimento di repressione dei c.d. “abusi edilizi”, secondo cui le diverse autorità preposte potessero (e non già dovessero) disporre la sospensione e/o la demolizione delle opere; mentre, lo jus aedificandi era ritenuto un carattere immanente del diritto di proprietà, fino alla legge 8 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi). È poi solo con la legge 28 febbraio 1985, n. 47 che i poteri repressivi assumeranno una configurazione imperativa, che è rimasta pressoché invariata fino all’attuale testo unico costituito dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Stato legittimo dell’immobile – Nozione – Art. 9-bis, c. 1-bis, d.P.R. n. 380/2001.

Per gli immobili risalenti nel tempo, dal coacervo dei titoli e atti di assenso o documenti, amministrativi e tecnici, coevi alla costruzione, non già atomisticamente considerati, bensì complessivamente apprezzati, deve ricavarsi, anche in via indiziaria, il c.d. stato legittimo dell’immobile. La nozione è stata – da ultimo – precisata nel contenuto dal legislatore, con l’art. 9-bis, comma 1-bis, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. d), legge 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui “lo stato legittimo dell’immobile” è quello ricavabile dal titolo legittimante la costruzione e/o relativo all’ultimo intervento edilizio, anche integrativo, ovvero da una pluralità di documenti o elementi di fatto coevi, quando vi sia solo un principio di prova del titolo abilitativo. Più specificamente, lo stato legittimo, sempre in virtù dell’art. 9-bis, comma 1-bis, ultima parte, del d.P.R. succitato, è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza; detta disposizione, per espressa previsione, si applica non solo alle ipotesi in cui non era in tempi molto risalenti obbligatorio acquisire il titolo edilizio, ma anche tutte le volte in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo, del quale non sia ricostruibile una più precisa contezza. Dunque, sia in carenza di titolo edilizio, sia nel caso di rinvenimento soltanto parziale del titolo o di altri titoli correlati all’intervento edilizio, specie se pubblici (o comunque sia prodotti al tempo ad autorità pubbliche in data certa), che descrivano, con la tecnica e la prassi dell’epoca, l’immobile in discussione nelle sue fattezze e consistenze essenziali, deve potersene ricavare lo “stato legittimo”.

DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo indiretto – Apprezzamento tecnico-discrezionale – Funzione strumentale.

Il c.d. vincolo indiretto non presenta un contenuto prescrittivo standard ex lege, poiché la disposizione normativa astratta affida all’amministrazione titolare del potere ampio apprezzamento tecnico-discrezionale, quanto alla determinazione concreta delle disposizioni, idonee a tutelare il bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se del caso e se ciò è richiesto per prevenire danni ai valori che devono essere salvaguardati; una simile caratteristica del potere – a ben vedere – si riflette nel testo dei pareri, che gli organi competenti vengono chiamati ad esprimere, in consimili fattispecie, che indicano le “attenzioni” da osservare e non dettano quasi mai preclusioni assolute. Peraltro, l’imposizione di un simile vincolo indiretto è espressione della potestà tecnico-discrezionale dell’amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale, soltanto in caso di istruttoria insufficiente, motivazione inadeguata, o incongruenze, o carenza di proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico; un simile vincolo ha, dunque, natura giuridica accessoria e secondaria e ha una funzione meramente strumentale, ovverosia quella di offrire una tutela ambientale al bene culturale protetto, mediante prescrizioni, divieti e limiti all’utilizzo degli spazi adiacenti, che ingenerano la c.d. fascia di rispetto.

Pres. f.f. Dibella, Est. Ieva – omissis e altri (avv. Paccione) c. Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale (avv.ti Mezzina e Sgura), Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Provveditorato interregionale delle opere pubbliche Campania-Molise-Puglia-Basilicata – sede di Bari (Avv. Stato), Comune di Bari (avv.ti Farnelli e Lonero Baldassarra) e altri (n.cc.)


Allegato


Titolo Completo

TAR PUGLIA, Sez. 3^ - 12 luglio 2024, n. 844

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 60 del 2020, proposto da:
i signori -OMISSIS- (in qualità di erede subentrato al padre -OMISSIS-);
nonché dalle seguenti associazioni: Comitato parco del Castello di Bari, ADIRT (Associazione per la difesa degli insediamenti rupestri e del territorio), AmbientePuglia, ARCA-centro di iniziativa democratica, Archeoclub Bari “Italo Rizzi” a.p.s., Associazione sviluppo sostenibile, Circolo Acli Dalfino, Comitato FAI di Bari e Capo delegazione FAI di Bari, Convochiamoci per Bari, Effetto Terra, Eugema o.n.l.u.s., Fiab Bari-Ruotalibera, WWF Levante Adriatico, Abap a.p.s., Gruppo educhiamoci alla pace ODV GEP, Associazione Masseria dei Monelli-Ortocircuito,
tutti rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Paccione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ignazio Fulvio Mezzina e Cinzia Sgura, con domicili digitali come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Provveditorato interregionale delle opere pubbliche Campania-Molise-Puglia-Basilicata – sede di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Bari, via Melo, 97;
Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Augusto Farnelli e Chiara Lonero Baldassarra, con domicili digitali come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Soprintendenza per beni architettonici e paesaggistici delle province di Bari e Foggia, Regione Puglia, Capitaneria di Porto di Bari, Conferenza di servizi decisoria, Agenzia del Demanio, non costituiti in giudizio;

nei confronti

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

– del decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata, prot. n. 485 del 30.10.2019 avente ad oggetto: “Nuova sede del Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata – Sede Coordinata di Bari in Corso Sen. Antonio De Tullio, n. 1 – Valutazione della compatibilità con il vincolo monumentale indiretto (D.M. del 15/5/1930) e rideterminazioni in merito, in ottemperanza alla sentenza n. 4474/2018 del Consiglio di Stato. Conferenza di Servizi decisoria in forma semplificata ex art. 14 bis della Legge n. 241/1990”,

– del verbale della Conferenza dei servizi decisoria convocata dal Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata;

– dei pareri resi dagli enti pubblici nella predetta Conferenza dei servizi e in particolare: • del parere confermativo immotivato reso dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la Città metropolitana di Bari con nota prot. n. 10958-P del 30.8.2019, • del parere reso dalla Regione Puglia – sezione urbanistica con nota n. 7763 del 4.9.2019, • del parere reso dal Comune di Bari, ripartizione urbanistica ed edilizia privata, con nota prot. n. 268080728 del 24.9.2019, • del parere reso dalla Capitaneria di porto di Bari con nota prot. n. 42305 del 3.9.2019, • del parere reso dall’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale con nota prot. n. 20523 del 4.9.2019;

– previo accertamento e declaratoria del carattere “abusivo” dell’edificio costruito dall’Ufficio del Genio civile per le opere marittime negli anni ’50 dello scorso secolo in Bari al c.so A. De Tullio 1;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità del sistema portuale del mare Adriatico meridionale, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Provveditorato interregionale delle opere pubbliche di Campania Molise Puglia e Basilicata – sede di Bari e del Comune di Bari;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 maggio 2024 il dott. Lorenzo Ieva e uditi per le parti i difensori avv. Luigi Paccione, per la parte ricorrente, l’avv. dello Stato Valter Campanile, per il Provveditorato, l’avv. Fulvio Ignazio Mezzina, per l’Autorità portuale; nessuno comparso per il Comune intimato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con ricorso depositato come in rito taluni residenti nelle vicinanze del Castello di Bari e numerose associazioni e comitati operanti nel campo della tutela ambientale, paesaggistica e dei beni culturali, hanno impugnato il decreto del competente Provveditorato alle opere pubbliche, recante valutazione – in sede di riedizione del potere, a valle della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474 – della compatibilità del progetto di costruzione del nuovo plesso adiacente all’edificio dell’ex ufficio del Genio civile per le opere marittime, eretto in area demaniale negli anni ’50 del XX sec. in Bari al corso De Tullio, in zona con vincolo di tutela monumentale indiretta, imposto con d. m. 15 maggio 1930, per finalità di ampliamento organizzativo e funzionale della sede di Bari.

Veniva formulata unitamente alle puntuali censure di legittimità inerente l’edificazione del nuovo plesso, una connessa domanda di accertamento e di declaratoria del carattere abusivo del vecchio edificio oggetto del progetto di ampliamento.

2.- Invero la sentenza parziale del Consiglio di Stato, sez. VI, 16 gennaio 2017, n. 105 riformava in parte la sentenza del T.A.R. Puglia, sez. III, 29 luglio 2015, n. 1158 d’irricevibilità, inammissibilità e infondatezza; inoltre, la successiva sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474, a seguito di consulenza tecnica d’ufficio, accertava come esistente, per una marginale porzione, il vincolo indiretto – con difficoltà tecnica nella sua esatta ricostruzione – di cui al d. m. 15 maggio 1930, facendo concludere il supremo consesso della giustizia amministrativa nel senso che l’omessa disamina del vincolo, in seno all’indetta illo tempore conferenza di servizi, finisse ineluttabilmente per viziare in modo insanabile l’autorizzazione data all’edificazione del nuovo plesso (adiacente al vecchio plesso) e, inoltre, che: “Non può sanare tale carenza il successivo parere del 19 agosto 2014 n. 11206, con il quale […] la Soprintendenza si è espressa per la compatibilità dell’opera con il vincolo”; avendo vieppiù cura di precisare che: “[l]’inefficacia del parere esclude la necessità di esaminare le censure specificatamente svolte nei confronti delle valutazioni in esso contenute”; inoltre, la sentenza poneva pure in evidenza che: “l’acclarata illegittimità del provvedimento che ha autorizzato l’opera […] non esclude la possibilità per l’amministrazione di rideterminarsi sul progetto ora per allora, tenendo conto della “circostanza sopravvenuta”, e cioè che l’area è interessata dal predetto vincolo di cui al decreto del 15 maggio 1930, tanto più che lo stesso non prevede affatto l’inedificabilità assoluta dell’area”, palesandosi in tal modo un difetto di istruttoria con conseguente carente motivazione del provvedimento finale, tanto più che il vincolo in questione posto con decreto che risale al 1930 “non risulta essere stato mai recepito negli strumenti urbanistici riguardanti il territorio comunale di Bari che si sono avvicendati negli anni”, ragion per cui non era stato immediatamente colto nei lavori della conferenza di servizi indetta e dalle autorità intervenute.

Talché, nel precisare l’effetto conformativo, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474 puntualizzava: “Nel rinnovare la valutazione del progetto, nel rispetto del principio di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), che non può trascurare le implicazioni anche economiche di ogni scelta pubblica, le amministrazioni coinvolte, nell’ambito della discrezionalità che è loro propria nel perseguire l’interesse al quale sono preposte, non potranno non tenere conto delle già più volte evidenziate peculiarità della vicenda, tra cui la circostanza che il vincolo di cui si è omessa la considerazione è comunque un vincolo indiretto, che non preclude l’edificazione nell’area, e che l’opera edificata è già stata vagliata positivamente sia alla luce della disciplina urbanistica ed edilizia, sia da ogni ulteriore punto di vista”, ragion per cui: “residuando […] da valutare il solo aspetto legato alla compatibilità con il vincolo, in omaggio al principio di non aggravio del procedimento […] ben si potranno adottare anche forme semplificate di decisione, anche avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, quale, ove concretamente applicabile, l’istituto della conferenza di servizi semplificata, di cui all’art. 14-bis della l. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 127 del 2016”.

3.- Si costituiva l’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale, resistendo.

4.- Si costituiva inoltre il Provveditorato interregionale opere pubbliche competente, sede di Bari, il quale produceva gli atti del procedimento e altri documenti a comprova della legittimità dei manufatti e resisteva, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

5.- Si costituiva infine il Comune di Bari, il quale depositava nota del competente ufficio tecnico, attestante la regolarità urbanistica ed edilizia, e resisteva.

6.- Veniva respinta la domanda cautelare per insussistenza di alcun periculum di danno grave e irreparabile e successivamente disposta integrazione del contraddittorio.

7.- Scambiati ulteriori documenti e memorie, alla fissata udienza pubblica, dopo ampia discussione, il ricorso veniva introitato in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato, nei termini che seguono.

Deducono i ricorrenti, in tre sostanziali parti della spiegata impugnazione, ripetutamente esposti, la violazione del principio costituzionale di legalità, buon andamento e imparzialità (art. 97 Cost.), dell’art. 9, comma 2, Cost., in relazione all’art. 1 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, del vincolo di tutela imposto con d. m. 15 maggio 1930, degli artt. 45, 172 e 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione all’art. 44, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, degli artt. 27-28 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dell’art. 3 d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, in relazione all’art. 25 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, dell’art. 45 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione agli artt. 14 ss., della legge 7 agosto 1990, n 241, dell’art. 18 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, nonché l’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria, erronea presupposizione, carente motivazione, violazione del giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474; la nullità della conferenza dei servizi e del provvedimento finale del Provveditorato per le opere pubbliche per la Campania, Molise, Puglia e Basilicata.

Concludono indi il ricorso, chiedendo di accertare e dichiarare che l’edificio in Bari al corso de Tullio al numero civico 1 fu costruito negli anni ’50 dello XX secolo su area di sedime interessata dal vincolo di tutela indiretta imposto con il d. m. 15 maggio 1930, a protezione della cornice paesaggistica del Castello medioevale di Bari, in violazione del diniego di nulla-osta dell’allora competente Ministero della Pubblica istruzione, reso con parere del 31 luglio 1954, al fine di disporre la demolizione del vecchio edificio (abusivo) e delle successive opere di ampliamento illegittimamente autorizzate, e di annullare il decreto del Provveditorato interregionale del 30 ottobre 2019, unitamente ai sottostanti atti della conferenza dei servizi decisoria, ivi compresi i pareri tutti positivi, resi dagli enti coinvolti nella riedizione del procedimento autorizzatorio, per come sollecitato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474.

Ciò posto, osserva il Collegio quanto segue.

1.1.- La domanda giudiziale di accertamento dell’abusività, con la conseguente richiesta di condanna alla demolizione sia del vecchio edificio, risalente agli anni ’50 del XX sec., sia del nuovo plesso di ampliamento funzionale, si appalesa inammissibile per una pluralità di considerazioni.

In primis, va rilevato che, in fatto, i lavori non hanno interessato il manufatto già insistente sull’area che, dunque, non ha subito alcun “ampliamento” in senso tecnico (ossia di volumetria, nuovi piani, redistribuzione degli spazi con aumento della superfice o di volume), bensì si è proceduto alla realizzazione di un distinto e autonomo manufatto, dotato di impianti tecnologici autonomi, che lo rendono indipendente dal preesistente fabbricato, con il quale risulta collegato tramite un essenziale “corpo ponte”, onde consentire al personale in servizio maggiore agibilità all’interno degli uffici.

Viene quindi – come evidenziato dall’Avvocatura erariale – a palesarsi un ampliamento funzionale dell’ufficio e degli spazi a disposizione del personale ivi impiegato, non già alcun ampliamento strutturale dell’edificio; ciò si evince chiaramente dall’interpretazione sistematica e teleologica di tutti gli atti adottati dalle diverse amministrazioni intervenute e dagli atti progettuali.

In secundis, va rilevato che il manufatto esistente e risalente agli anni ‘50 del XX secolo, già sede dell’Ufficio del genio civile per le opere marittime, non è affatto abusivo. Realizzato, con le tecniche progettistiche e di rilievo dei luoghi dell’epoca, che possedevano una capacità di precisione, evidentemente minore rispetto a quella della strumentazione più evoluta oggi comunemente a disposizione dei tecnici nel campo dell’edilizia, dalla approfondita ricerca della documentazione operata dall’amministrazione – nient’affatto agevole data l’antichità dell’edificazione – è emerso come risulti in toto confutata la tesi dei ricorrenti in ordine alla più volte asserita abusività, supposta con riferimento a quanto risulterebbe da un solo documento rinvenuto e in possesso degli stessi (il noto parere negativo del Ministero della pubblica istruzione del 31 luglio 1954).

Dalla ricerca negli archivi, invece, sono stati rinvenuti i seguenti documenti illustrativi dell’opera, depositati nel processo dall’Avvocatura erariale:

a) nota del Comandante del Porto n. 29252 di prot. del 13 novembre 1953, indirizzata alla Direzione generale del demanio del Ministero della marina mercantile (che trovava il suo presupposto proprio nel diniego di nulla-osta, del Ministero della pubblica istruzione del 31 luglio 1954), ove si legge «In relazione al dispaccio n. 4347/L.18.50 in data 21 luglio u.s., si informa che la Sovraintendenza ai Monumenti di Bari si è espressa sfavorevolmente nei riguardi della costruzione del fabbricato progettato dall’Ufficio del Genio Civile sull’area di rispetto al Casello Svevo, in quanto si verrebbe a disambientare il Castello stesso. In dipendenza di tale parere contrario, a cura dell’Ufficio del Genio Civile interessato e sulla scorta della pianta che determina l’area di rispetto, annessa al D.M. 15.51930, è stata accertata l’esistenza di una piccola zona esterna all’attuale recinto doganale ma ricadente al di fuori dell’area asservita al Casello Svevo. Trattasi della zona indicata con le lettere A – B – C sulla planimetria presentata dall’Ente richiedente che si unisce alla presente in copia fotografica. Essendo la zona libera, l’Ufficio del Genio Civile ne ha fatto quindi regolare richiesta di consegna per mq. 1620 allo scopo di costruire ivi la propria sede, unitamente ad altra contigua di mq. 4500 tratteggiata in blu da lasciarsi, quest’ultima, nelle attuali condizioni di giardino, in osservanza al D.M. 15.5.1930. Tutta la zona chiesta in consegna fa parte di quella più vasta adattata a giardino pubblico dal Comune, come da autorizzazione di codesto Ministero contenuta nel dispaccio n. 364/L.1850 dell’11/9/1952. Poiché trattasi di consegna nell’interesse diretto della pubblica Amministrazione che ha specifica attribuzione di carattere marittimo, questo Comando è del parere che sia opportuno procedere alla consegna della zona di cui trattasi sottraendola dalla concessione ad uso giardino pubblico in corso con il Comune di Bari e con obbligo di limitare le costruzioni alla parte libera del rispetto sancito dal D.M. 15.5.1930. Si prega pertanto autorizzare la consegna stessa ai sensi dell’art. 36 del Regolamento»;

b) verbale del 23 settembre 1954, redatto dal Comandante del Porto di Bari, nel quale, alla presenza dell’allora dirigente della Sovraintendenza ai monumenti, si dà atto dell’intervenuta modifica del progetto e sulla diversa collocazione del fabbricato, nonché del fatto che «non sussistono difficoltà né in ordine alla area di rispetto del Castello Svevo, né in ordine al parere della Commissione Comunale per Bari Vecchia alla erezione del citato fabbricato […] come da progetto presentato»;

c) nota dell’Ufficio del Genio civile per le opere marittime di Bari prot. n. 8692 del 7 dicembre 1954, indirizzata al Sindaco di Bari, ai fini della verifica volumetrica e di accesso dell’erigendo manufatto, nella quale si legge «Il progetto è stato già sottoposto all’esame preventivo de[l] […] Sovraintendente Regionale ai Monumenti e Gallerie, il quale ha espresso parere favorevole per la sua realizzazione»;

d) nota del Comandante del Porto di Bari prot. n. 24863 dell’11 novembre 1954, inviata la Ministero della Marina mercantile, nella quale viene ribadito l’iter seguito per la verifica di regolarità del progetto e richiamato il contenuto del verbale d’incontro del 23 settembre 1954;

e) nota 6679/L.18.50 del Ministero della Marina mercantile, indirizzata alla Capitaneria di Porto di Bari, di autorizzazione alla consegna dell’area demaniale marittima all’Ufficio del genio civile per le opere marittime di Bari, ai fini della realizzazione del fabbricato da destinare a sede dell’Ufficio;

f) successivo verbale di consegna del 9 gennaio 1955, con le allegate planimetrie delle aree.

Dunque, dopo un primo parere non favorevole del 31 luglio 1954, in realtà la costruzione fu arretrata; l’Ufficio del Genio civile per le opere marittime di Bari presentò un nuovo progetto, in relazione al quale venne quindi acclarata dall’allora Sovraintendenza regionale ai monumenti e alle gallerie la piena compatibilità con il vincolo di cui al d. m. 15 maggio 1930.

Ulteriore considerazione è quella più direttamente riconnessa al regime urbanistico-edilizio, vigente il quale l’opera tacciata di “abusività” è stata realizzata, che è collocata negli anni ’50 del XX secolo.

Orbene, va posto in chiara evidenza che il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, è stato redatto sulla base dell’art. 7 (Testi unici), comma 1, e dell’allegato III, lett. b), della legge 8 marzo 1999, n. 50, recante “Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998”, tra i cui criteri direttivi v’era il “coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo”. Il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ai sensi dell’art. 138, è entrato in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2002.

Ergo, tutte le disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nella loro interezza e contemporaneità, si applicano a partire dal 1° gennaio 2002; mentre, per le epoche precedenti, deve aversi riguardo al regime giuridico vigente e per come si è successivamente evoluto nel tempo, fino a giungere al predetto testo unico “compilativo” e alle successive modificazioni apportate (così già T.A.R. Puglia, sez. II, 24 febbraio 2023, n. 368).

Realizzato il manufatto in questione negli anni 50 del XX secolo, vigente illo tempore era la legge 17 agosto 1942, n. 1150 (legge urbanistica) nel suo testo pressoché originario. L’art. 26 della legge n. 1150 citata prevedeva un procedimento di repressione dei c.d. “abusi edilizi”, secondo cui le diverse autorità preposte potessero (e non già dovessero) disporre la sospensione e/o la demolizione delle opere; mentre, lo jus aedificandi era ritenuto un carattere immanente del diritto di proprietà, fino alla legge 8 gennaio 1977, n. 10 (c.d. legge Bucalossi). È poi solo con la legge 28 febbraio 1985, n. 47 che i poteri repressivi assumeranno una configurazione imperativa, che è rimasta pressoché invariata fino all’attuale testo unico costituito dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Più specificamente, l’art. 26 (Sospensione o demolizione di opere difformi dal piano regolatore), comma 1, legge 17 agosto 1942, n. 1150 recitava (nel testo originario): “Quando vengono eseguite opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore comunale, il Ministro dei lavori pubblici, ove il Comune non provveda, potrà, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, disporre la sospensione o demolizione delle opere stesse”. Ergo, il potere officioso di repressione demolitoria era riconnesso alla presenza di un P.R.G. e veniva per lo più interpretato all’epoca come discrezionale. E, d’altro canto, in tal senso depone pure il tenore delle disposizioni, di cui al testo originario dell’art. 32 (“Attribuzione del podestà per la vigilanza sulle costruzioni”) sempre della legge 17 agosto 1942 n. 1150, specie con riferimento al potere officioso di demolizione e ripristino.

Mentre, l’art. 6 legge 6 agosto 1967 n. 765, nel modificare l’art. 26, comma 1, legge 17 agosto 1942 n. 1150, disponeva (nel testo originario): “Quando siano eseguite, senza la licenza di costruzione o in contrasto con questa, opere non rispondenti alle prescrizioni del piano regolatore, del programma di fabbricazione od alle norme del regolamento edilizio, il Ministro per i lavori pubblici per i Comuni capoluoghi di Provincia, o il provveditore regionale alle opere pubbliche, per gli altri Comuni, possono disporre la sospensione o la demolizione delle opere, ove il Comune non provveda nel termine all’uopo fissato. I provvedimenti di demolizione sono emessi, previo parere rispettivamente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Comitato tecnico amministrativo, entro cinque anni dalla dichiarazione di abitabilità o di agibilità e per le opere eseguite prima dell’entrata in vigore della presente legge entro cinque anni da quest’ultima data”. Di conseguenza, il potere di repressione fu “allargato” anche alle difformità rispetto ai (semplici) programmi di fabbricazione o ai regolamenti edilizi, ma, per le opere realizzate antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge 6 agosto 1967 n. 765, poteva procedersi “entro cinque anni”.

La giurisprudenza del tempo (Cons. St., Ad. plen., 17 maggio 1974 n. 5) fin da subito ebbe modo di chiarire che vige in materia il fondamentale principio del tempus regit actum e che, quindi, i regimi “repressivi” dell’attività edilizia non già assentita, nelle forme di legge, per come via via “rafforzati” nella legislazione succedutasi nel tempo, valessero per il futuro (art. 11 disp. prel. cod. civ.) e non già per le opere realizzate antecedentemente alla loro introduzione. Ciò nella specie coerentemente alla natura amministrativa sanzionatoria di siffatte misure repressive (art. 25, comma 2, Cost.; art. 1 legge 24 novembre 1981 n. 689; art. 2, comma 1, c.p.).

Tali considerazioni poi si annodano a doppio filo con la giurisprudenza (ex multis: Cons. St., sez. II, 15 settembre 2023, n. 8339) sul c.d. stato legittimo dell’immobile (T.A.R. Emilia-Romagna, sez. II, 20 marzo 2023, n. 155; T.A.R. Puglia, sez. III, 26 febbraio 2024, n. 231; Idem 5 aprile 2024, n. 431; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 31 maggio 2021, n. 1358), secondo la quale, per gli immobili risalenti nel tempo, dal coacervo dei titoli e atti di assenso o documenti, amministrativi e tecnici, coevi alla costruzione, non già atomisticamente considerati, bensì complessivamente apprezzati, deve ricavarsi, anche in via indiziaria, il c.d. stato legittimo dell’immobile.

Nozione già nota nella giurisprudenza più attenta, lo stato legittimo dell’immobile è stato – da ultimo – precisato nel contenuto, per l’appunto, dallo stesso legislatore, con l’art. 9-bis, comma 1-bis, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. d), legge 11 settembre 2020, n. 120), secondo cui “lo stato legittimo dell’immobile” è quello ricavabile dal titolo legittimante la costruzione e/o relativo all’ultimo intervento edilizio, anche integrativo, ovvero da una pluralità di documenti o elementi di fatto coevi, quando vi sia solo un principio di prova del titolo abilitativo.

Più specificamente, lo stato legittimo, sempre in virtù dell’art. 9-bis, comma 1-bis, ultima parte, del d.P.R. succitato, è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, ovvero da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza; detta disposizione, per espressa previsione della disposizione normativa, si applica non solo alle ipotesi in cui non era in tempi molto risalenti obbligatorio acquisire il titolo edilizio, ma anche tutte le volte in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo, del quale non sia ricostruibile una più precisa contezza.

Dunque, sia in carenza di titolo edilizio, sia nel caso di rinvenimento soltanto parziale del titolo o di altri titoli correlati all’intervento edilizio, specie se pubblici (o comunque sia prodotti al tempo ad autorità pubbliche in data certa), che descrivano, con la tecnica e la prassi dell’epoca, l’immobile in discussione nelle sue fattezze e consistenze essenziali, deve potersene ricavare lo “stato legittimo”.

Sul punto, per completezza, va rammentato che la sentenza della Corte costituzionale 21 ottobre 2022, n. 217, ha ravvisato nella disposizione di cui all’art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. d), n. 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120), concernente lo stato legittimo dell’immobile “un principio fondamentale della materia”, i cui criteri di determinazione richiedono una disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale tracciata nel t. u. edilizia; talché “La previsione statale individua, dunque, in termini generali, la documentazione idonea ad attestare lo «stato legittimo dell’immobile», definendo i tratti di un paradigma le cui funzioni […] sono quelle di semplificare l’azione amministrativa nel settore edilizio, di agevolare i controlli pubblici sulla regolarità dell’attività edilizio-urbanistica e di assicurare la certezza nella circolazione dei diritti su beni immobili. Il contenuto prescrittivo di ampio respiro e le finalità generali perseguite dalla norma depongono a favore della sua qualifica in termini di principio fondamentale della materia, ciò che trova conferma nella sua stessa collocazione topografica nell’ambito delle «Disposizioni generali» del Titolo II della Parte I t. u. edilizia, dedicato ai «Titoli abilitativi»” (cfr. punto 5.2. della sentenza).

Quanto al caso in evidenza, va in via dirimente rimarcato che, a seguito alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474, il parere della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Bari – che era la sola amministrazione competente ad esprimersi sulla compatibilità dell’edificio sede del Provveditorato interregionale con il vincolo indiretto – è stato reso in senso ampiamente positivo con la nota prot. n. 10958 del 30 agosto 2019, la cui motivazione integrale è da compenetrarsi con quella contenuta nella precedente nota prot. n. 11206 del 18 agosto 2014, che è stata in termini richiamata per relationem.

In siffatti pareri, sono illustrate tutte le motivazioni, che hanno informato le valutazioni tecniche, che sono state discrezionalmente compiute, con riferimento alle discipline tecnico-scientifiche proprie della materia, pervenendo ad un esito positivo di compatibilità, che peraltro non è nel merito oggetto di alcuna contestazione specifica da parte dei ricorrenti.

In ultima analisi, non sussiste alcun abuso, con riferimento all’antico plesso dell’Ufficio del genio civile per le opere marittime di Bari, che fu realizzato in loco individuato, con elementari tecniche di misurazione dell’epoca, in zona al margine estremo della zona sottoposta al vincolo solo indiretto (e cioè non preclusivo in assoluto), posto dal d. m. 15 maggio 1930, e comunque insistente, per quanto concerne il caso di specie, su spazi aperti. In ogni caso, il manufatto è stato realizzato in obbedienza al regime urbanistico-edilizio del tempo, per come consolidatosi, e se ne è data sufficiente contezza quanto al suo c.d. stato legittimo.

Pertanto, la succitata domanda giudiziale va dichiarata inammissibile e comunque nel merito risulta priva di fondamento.

1.2.- La domanda giudiziale costitutiva di annullamento del decreto del Provveditorato interregionale del 30 ottobre 2019, unitamente ai sottostanti atti della conferenza dei servizi decisoria, ivi compresi i pareri tutti positivi va invece rigettata.

Ed, infatti, a seguito della citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474, che ha annullato, per ritenuti vizi procedurali – ossia per non aver in seno all’indetta conferenza di servizi esaminato la sussistenza del vincolo, risultando indi inutiliter datum il parere successivo reso fuori conferenza di servizi dalla Soprintendenza, ancorché espresso in senso ampiamente positivo – tutte le amministrazioni si sono rideterminate in toto adempiendo all’effetto conformativo della sentenza, rieditando il potere nella forma della conferenza di servizi asincrona.

In omaggio al principio di semplificazione e di divieto di aggravio del procedimento tutti i pareri sono stati reiterati, o con richiamo per relationem ai precedenti resi (ai quali nulla si doveva aggiungere), oppure riemanandoli ex novo, secondo la tecnica linguistico-lessicale ritenuta dalle distinte autorità più confacente, rispetto alla fattispecie concreta e alla portata della potestà pubblica, che andava ad esplicarsi. Ragion per cui, fallace è il tentativo di sminuirne la portata, ove le autorità amministrative si siano limitate a confermare e/o a ripetere pareri già resi, quando alcun altro elemento rientrante nella propria valutazione giustificasse un diverso orientamento o un appesantimento del testo.

Quanto al nuovo parere espresso dalla Soprintendenza, va evidenziato che esso risulta articolato in ampie dieci pagine di motivazione e contiene una approfondita disamina amministrativa e tecnica del contesto, concludendo nel senso che “deve ritenersi accertata […] la compatibilità con il vincolo monumentale indiretto della nuova sede del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche” in discussione.

Difatti, il c.d. vincolo indiretto non presenta affatto un contenuto prescrittivo standard ex lege, poiché la disposizione normativa astratta affida all’amministrazione titolare del potere ampio apprezzamento tecnico-discrezionale, quanto alla determinazione concreta delle disposizioni, idonee a tutelare il bene principale, fino all’inedificabilità assoluta, se del caso e se ciò è richiesto per prevenire danni ai valori che devono essere salvaguardati (ex multis: T.A.R. Lombardia, sez. III, 13 maggio 2024, n. 1429; Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2021, n. 6253; Cons. St., sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923); una simile caratteristica del potere – a ben vedere – si riflette nel testo dei pareri, che gli organi competenti vengono chiamati ad esprimere, in consimili fattispecie, che indicano le “attenzioni” da osservare e non dettano quasi mai preclusioni assolute.

Peraltro, l’imposizione di un simile vincolo indiretto è espressione della potestà tecnico-discrezionale dell’amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale, soltanto in caso di istruttoria insufficiente, motivazione inadeguata, o incongruenze, o carenza di proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico (Cons. St., sez. VI, 8 gennaio 2024, n. 276; Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2021, n. 6253; Cons. St., sez. VI, 10 maggio 2021 , n. 3663; Cons. St., sez. VI, 3 ottobre 2018, n. 5668); un simile vincolo ha, dunque, natura giuridica accessoria e secondaria e ha una funzione meramente strumentale, ovverosia quella di offrire una tutela ambientale al bene culturale protetto, mediante prescrizioni, divieti e limiti all’utilizzo degli spazi adiacenti, che ingenerano la c.d. fascia di rispetto (T.A.R. Lazio, sez. II, 3 febbraio 2020, n. 1367).

Nel ricorso proposto non si rintraccia alcuna specifica censura, in ordine al merito tecnico della valutazione esperita dalla Soprintendenza. E, invero, va ben apprezzata la portata effettiva del c.d. vincolo indiretto impresso dal d. m. 15 maggio 1930. Mentre il c.d. vincolo diretto (storico, artistico) riguarda, beni o aree, nei quali sono stati rinvenuti beni di tale valenza (o in relazione ai quali vi sia la certezza della loro esistenza), il c.d. vincolo indiretto viene imposto sui beni e sulle aree circostanti, a quelli sottoposti al vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro (così: Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2021, n. 6253).

Di conseguenza, la conferenza dei servizi decisoria, riunitasi in modalità asincrona, a valle della citata sentenza del Consiglio di Stato e del nuovo parere della Soprintendenza, ha infine espresso avviso favorevole di compatibilità, con la particolare cornice del Castello medioevale di Bari, quanto alla costruzione del contestato secondo plesso, necessario ai fini dell’ampliamento funzionale degli spazi fruibili dagli uffici degli impiegati pubblici del Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per la Campania, il Molise, la Puglia e la Basilicata, sede di Bari.

Sono dunque sanati, ora per allora, come peraltro preconizzato in sede di riedizione del potere dalla stessa sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 23 luglio 2018, n. 4474, i ritenuti vizi procedurali della precedente conferenza di servizi. Talché non sussiste alcuna violazione di giudicato.

Né sussiste alcuna questione, in ordine alla c.d. ineusaribilità del potere repressivo dell’abuso edilizio, sancito segnatamente dal Consiglio di Stato, Ad. plen., 17 ottobre 2017, n. 9, perché – per quanto esaminato fino ad ora – non v’è de facto et de iure alcun abuso da reprimere, né in relazione al vecchio plesso, né relativamente al nuovo.

In definitiva, la domanda giudiziale di annullamento del nuovo provvedimento di autorizzazione va respinta.

2.- In conclusione, per le sopra esposte ragioni, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile non potendosi domandare al giudice amministrativo di svolgere un’attività di accertamento primario dell’abusività, che è attribuita ex lege all’amministrazione attiva del Comune, che nulla consta abbia mai obiettato circa la legittimità del manufatto, e in altra parte va respinto, nei sensi in motivazione.

3.- Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti per la peculiarità e complessità delle questioni trattate e della controversia.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (sezione terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e in altra parte va respinto, nei sensi in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Dibello, Presidente FF

Lorenzo Ieva, Primo Referendario, Estensore

Silvio Giancaspro, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Lorenzo Ieva

IL PRESIDENTE
Carlo Dibello

IL SEGRETARIO

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