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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Cave e miniere, VIA VAS AIA Numero: 236 | Data di udienza: 6 Novembre 2013

* CAVE E MINIERE – VIA, VAS E AIA – Cave o miniere con più di 500.000 mc/a da estrarre – Rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione – Acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale – Sentenza CGCE C-201/02 – Art. 2 l.r. Sicilia n. 10/2004 – Disapplicazione.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Sicilia
Città: Catania
Data di pubblicazione: 23 Gennaio 2014
Numero: 236
Data di udienza: 6 Novembre 2013
Presidente: Veneziano
Estensore: Milana


Premassima

* CAVE E MINIERE – VIA, VAS E AIA – Cave o miniere con più di 500.000 mc/a da estrarre – Rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione – Acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale – Sentenza CGCE C-201/02 – Art. 2 l.r. Sicilia n. 10/2004 – Disapplicazione.



Massima

 

TAR SICILIA, Catania, Sez. 2^- 23 gennaio 2014, n. 236


CAVE E MINIERE – Cave o miniere con più di 500.000 mc/a da estrarre – Rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione – Acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale – Sentenza CGCE C-201/02 – Art. 2 l.r. Sicilia n. 10/2004 – Disapplicazione.

Il rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di un cava dalla quale sono da estrarre oltre 500.000 mc/a di materiale non può prescindere dall’acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale. Detta conclusione è rispettosa dei principi espressi della Corte di Giustizia CE, Sez. V. del 7/1/2004, C-201/02, la quale ha chiarito che snaturerebbe e frustrerebbe la ratio della Direttiva 85/337/CEE una interpretazione della Direttiva che escludesse dalla sottoposizione alla VIA i provvedimenti che, prescindendo della terminologia usata, avessero come effetto sostanziale la ripresa di attività estrattiva in assenza di parere di compatibilità.  La normativa nazionale, come pure l’art. 91 delle L.R. Siciliana n.6/2001 che recepisce nell’ordinamento della Regione le disposizioni in materia di impatto ambientale, costituiscono doverosa applicazione nell’ordinamento interno delle direttive del Consiglio del 27 giugno 1985. 85/337/CEE concernente la VIA. Pertanto una normativa regionale – come l’art. 2 l.r. Sicilia n. 10/2004 – che, sia pure surrettiziamente, derogasse da quanto stabilito da dette disposizioni deve essere disapplicata, sia dall’Amministrazione che dal Giudice, in quanto in contrasto con l’ordinamento comunitario e, pertanto, non applicabile nell’ordinamento interno regionale (T.a.r. Sicilia, Palermo, III, 11 maggio 2010, n. 6878; e 18 marzo 2010, n. 2023).

Pres. Veneziano, Est. Milana – S. s.r.l. (avv.ti Scuderi e Sciuto) c. Distretto Minerario di Catania e altro (Avv. Stato) e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR SICILIA, Catania, Sez. 2^- 23 gennaio 2014, n. 236

SENTENZA

 

TAR SICILIA, Catania, Sez. 2^- 23 gennaio 2014, n. 236

N. 00236/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00661/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 661 del 2013, proposto da:
Si.Co.Bit. Società a r.l. Unipersonale, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dagli avv. Andrea Scuderi e Giuseppe Sciuto, con domicilio eletto presso lo studio del predetto difensore in Catania, Via V. Giuffrida, n. 37;

contro

Distretto Minerario di Catania in persona del legale rappresentante p.t. e Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità delle Regione Siciliana in persona dell’Assessore p.t. rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria per legge in Catania, Via Vecchia Ognina,n.149;
Dirigente Generale del Dipartimento dell’Energia dell’Assessorato Energia e dei Servizi di P.U. della Regione Siciliana quale Commissario ad acta;

per l’annullamento

– del provvedimento dirigenziale dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, Dipartimento dell’Energia, del 7 febbraio 2013 n. 39 con cui è stata rigettata la richiesta della società ricorrente di rinnovo della autorizzazione alla coltivazione della cava di gneiss, sita in c/da Mandrazzi del Comune di Savoca;

– di ogni ulteriore atto o provvedimento antecedente o successivo comunque presupposto, connesso o consequenziale.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Distretto Minerario di Catania e dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità delle Regione Siciliana;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 novembre 2013 il dott. Giovanni Milana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con nota dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità, Dipartimento dell’Energia, del 7 febbraio 2013 n. 39 è stata rigettata la richiesta della Si.Co.Bit. Società a r.l. Unipersonale di rinnovo della autorizzazione alla coltivazione della cava di gneiss, sita in c/da Mandrazzi del Comune di Savoca.

Detto provvedimento di diniego si fonda sulla considerazione che sia necessario, in forza ed ai sensi dell’art. 29 del Decreto Legislativo n.152/2006, ai fini del rinnovo dell’autorizzazione richiesta, il giudizio di compatibilità ambientale sul progetto di rinnovo della cava , giudizio non acquisito dalla Società ricorrente.

Avverso il provvedimento di diniego la Si.Co.Bit. Società a r.l. propone il ricorso in epigrafe, esponendo quanto segue:

1.- La società GEICO, a cui è subentrata la società ricorrente, con istanza del 22 maggio 1990 chiedeva all’Assessorato al Territorio ed Ambiente della Regione Siciliana, il rilascio di nulla-osta ambientale all’apertura di un nuovo impianto di cava di “gneiss” in contrada Mandrazzi, nel Comune di Savoca (ME); l’Assessorato, acquisiti i preventivi pareri, con decreto del 13 novembre 1993 numero 881 concedeva il richiesto nulla-osta ambientale; nella fattispecie il parere di compatibilità ambientale reso con decorrenza dal Decreto Presidente Regione Siciliana del 12 aprile 1996 sarebbe stato sostanzialmente riclassificato come valutazione di impatto ambientale.

2.- La GEICO, ottenuto il nulla-osta di compatibilità ambientale, con istanza dell’1 agosto 1994, chiedeva al Distretto Minerario di Catania, l’autorizzazione all’esercizio della cava. Il Distretto Minerario di Catania, acquisiti i preventivi pareri (tra i quali quello dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Messina del 19 dicembre 1994 prot. 30401 di rilascio di “..nulla –osta ai soli fini idrogeoligici..”), con provvedimento del 20 febbraio 1996 numero 4 autorizzava ai sensi dell’articolo 9 della legge regionale 127/1980, l’esercizio dell’attività di cava per la durata di quindici anni scadenti il 26.02.2011. La società quindi avviava l’attività di coltivazione della cava.

3.- Il Comune di Savoca, decorsi circa dodici anni dall’esercizio dell’attività di cava, con atto del 3 luglio 2008 ha comunicato al Distretto Minerario di Catania che sulla base di una perizia eseguita da un tecnico privato , si sarebbe accertato da un lato che “..il confine ovest della cava e il centro urbano di Savoca come delimitato con linea pallinata nel PdF, distano 221,96 mt, molto meno quindi dei 500 mt. di legge”, dall’altro una presunta situazione di pericolo per l’accesso alla cava. Il Distretto Minerario in tale contesto, col provvedimento del 13 agosto 2008 visto l’atto del Comune del 3 luglio 2008, ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione di cava n. 4/1996, con sospensione immediata dei lavori di estrazione. La società SICOBIT ha impugnato i sopradetti provvedimenti di annullamento delle autorizzazioni alla cava, innanzi a questo Tribunale Amministrativo di Catania che con sentenza del 12 febbraio 2010 numero 205, passata in giudicato, ha accolto il ricorso, annullando tutti gli atti impeditivi alla prosecuzione dell’esercizio della coltivazione.

4. – La società ricorrente essendo prossima la scadenza dell’autorizzazione di cava fissata per il 26 febbraio 2011 e non essendo riuscita a completare il programma di coltivazione autorizzato in quanto impedita alla regolare attività estrattiva anche dai sopraddetti atti di annullamento dell’autorizzazione n. 4/1996 (atti successivamente annullati con la sentenza 12 febbraio 2010 n. 205), con istanza del 30 luglio 2010, pervenuta al Distretto Minerario l’11 agosto 2010 prot. 5828, ha chiesto il rinnovo dell’autorizzazione di cava per il completamento del programma di coltivazione.

5.- Nelle more della definizione della procedura di rinnovo l’odierna ricorrente con istanza dell’11 febbraio 2011 prot. 1494, ha avviato l’autonomo e differente procedimento per la proroga dell’efficacia dell’autorizzazione rilasciata nel 1996. Il Distretto Minerario di Catania con provvedimento del 25 febbraio 2011 ha autorizzato la proroga fino alla data del 30 maggio 2011, “..subordinata alle seguenti condizioni:..- la Ditta esercente è tenuta a comunicare a questo Distretto l’avvenuto inoltro del progetto di coltivazione all’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, ai fini dell’acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale ai sensi delle norme vigenti, nonché lo stato dell’istruttoria..”.

La società ricorrente con nota del 21 marzo 2011 ha trasmesso all’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente il progetto per le eventuali valutazioni di competenza sulla verifica di assoggettabilità, precisando che il Distretto Minerario di Catania con atto del 25 febbraio 2011 n. 01/PEA, aveva concesso ad essa società una brevissima proroga dell’efficacia dell’autorizzazione sino al 30 maggio 2011, richiedendo l’inoltro del progetto di coltivazione all’Assessorato per l’acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale”.

6. -. Per quanto invece attiene al diverso ed autonomo procedimento di rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di cava, la società ricorrente con nota del 21 febbraio 2011, non essendo mutato il regime vincolistico sull’area, ha integrato l’istanza presentata il 30 luglio 2010, precisando di volersi avvalere della procedura semplificata di cui all’articolo 2 della legge regionale del 5 luglio 2004 numero 10, producendo la documentazione tecnica.

7. – Il Distretto Minerario di Catania con nota del 28 aprile 2011 prot. 3364, ha precisato che la proroga dell’autorizzazione è stata rilasciata per la durata di tre mesi “..nelle more dell’iter istruttorio di rinnovo della stessa”. La società Si.Co.Bit. srl ha inoltrato istanza ai fini del rinnovo dell’autorizzazione ai sensi dell’art. 22 della L.R. 09/12/1980 n. 127, pervenuta il 11/08/2010 prot. n. 5828, e con successiva istanza del 21/02/2011 ha richiesto di usufruire delle agevolazioni previste dall’art. 2 comma 1 della L.R. 10 del 5 luglio 2004. Tale normativa consente, sebbene a condizioni, il rilascio dell’autorizzazione in deroga alla procedura di cui all’art. 9 della L.R. 9/12/1980 n. 127, nonché di altre leggi. La società Si.Co.Bit srl, ha ancora, inoltrato istanza ai sensi del D.Lgs 4/08 presso l’Assessorato regionale Territorio ed Ambiente ai fini dell’acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale, il cui iter istruttorio è ancora in corso.

8.- Lo stesso Distretto Minerario tuttavia, successivamente a tale nota riepilogativa e decorsi i termini di legge per provvedere, non ha esitato la richiesta di autorizzazione al rinnovo della autorizzazione n. 4/1996 alla coltivazione della cava di gneiss in c\da Mandrazzi del Comune di Savoca. La società ricorrente ha quindi impugnato il silenzio inadempimento del Distretto Minerario di Catania sull’istanza di rinnovo dell’autorizzazione alla cava con ricorso innanzi a questo Tribunale che con sentenza del 19 ottobre 2012 numero 2472 lo ha accolto ordinando all’amministrazione soccombente di esitare le istanze proposte dal soggetto ricorrente. Per l’ipotesi di perdurante inerzia dell’amministrazione soccombente è stato nominato quale commissario ad acta il Dirigente generale preposto al Dipartimento dell’Energia dell’Assessorato Reg.le dell’energia.

In particolare con la sopradetta sentenza si è affermato che “..a norma delle legge regionale n. 10/2004 il termine massimo di durata del procedimento finalizzato ad esitare ogni proposta domanda di rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione di cava è pari a novanta giorni..” (c.d. procedimento semplificato ai sensi dell’art. 2 della legge regionale 1072004), “..risultando pertanto illegittima la perdurante inerzia dell’amministrazione”. La società ricorrente ha notificato la superiore sentenza al Distretto Minerario di Catania il 7 dicembre 2012.

9.- Il Distretto Minerario di Catania con nota dell’8 gennaio 2013 numero 108, ha quindi dichiarato di ottemperare alla sopradetta sentenza di Codesto Ecc.mo Tribunale n. 2472/2012, senza tuttavia esitare la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di cava asserendo una impossibilità di istruire la relativa pratica a seguito della mancanza del parere preliminare dell’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente sulla compatibilità ambientale.

10.- Il Dipartimento dell’Energia , con provvedimento dirigenziale del 7 febbraio 2013 numero 39, è infine intervenuto rigettando la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione per le motivazioni contenute nella richiamata nota del Distretto Minerario di Catania dell’8 gennaio 2013 numero 108 con cui si asserisce “..la necessità di acquisire il Giudizio di compatibilità ambientale sul progetto di rinnovo della cava..”.

11.-Ciò premesso la società ricorrente propone avverso i provvedimenti impugnati i seguenti motivi di ricorso:

I) Violazione dell’articolo 21 septies della legge 241/1990 – nullità.

Il provvedimento impugnato sarebbe stato reso in violazione ed elusione del giudicato scaturente dalla sentenza del 19 ottobre 2012 numero 2472 con la quale il TAR ha ordinato all’amministrazione mineraria di esitare l’istanza della ricorrente di rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di cava “..nell’osservanza dei canoni procedurali prefigurati dalla L.R. n. 10/2004” e specificatamente del procedimento semplificato di cui all’articolo 2 della legge regionale 10/2004. Tale sentenza, passata in giudicato, avrebbe pertanto affermato l’obbligo di applicazione della c.d. procedura semplificata.

I provvedimenti impugnati avrebbero eluso il giudicato formatosi sulla sopradetta sentenza atteso che il primo ha sostanzialmente sospeso il procedimento di definizione della richiesta di rinnovo ritenendo necessaria l’acquisizione preventiva del parere di compatibilità ambientale da parte dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, mentre il secondo ha denegato la richiesta di rinnovo vista la nota del Distretto Minerario di Catania con cui si manifesta “..la necessità di acquisire il giudizio di compatibilità ambientale.”.

Ciò sebbene l’articolo 2 comma 1 della legge regionale 10/2004 c.d. procedura semplificata per il rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione di cava prescriverebbe espressamente che i rinnovi per completare il programma di coltivazione non ultimato nel termine concesso sono rilasciate “..in deroga alla procedura di cui..all’articolo 91 della legge regionale 3 maggio 2001 n. 6..”.

L’articolo 91 della legge regionale 6/2001, per altro, escluderebbe l’acquisizione del preventivo parere di compatibilità ambientale da parte dell’Assessorato Regionale al Territorio ed Ambiente, tenuto conto che trattasi di semplice prosecuzione per il completamento di una attività già autorizzata.

In via subordinata la ricorrente, nell’ipotesi in cui i provvedimenti impugnati non si ritenessero elusivi del giudicato, ne postula comunque l’ illegittimità per:

II) Violazione degli articoli 2 comma 3 della Legge regionale 1 marzo 1995 numero 19 e 2 della Legge regionale 5 luglio 2004 numero 10 – violazione dell’articolo 10 bis della Legge 241/1990 – violazione per errata applicazione del decreto legislativo 152/2006 – eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento e difetto di motivazione

Il Distretto Minerario di Catania con la nota dell’8 gennaio 2013, avrebbe sostanzialmente sospeso la procedura di definizione dell’istanza di rinnovo dell’autorizzazione di cava motivando detta sospensione con la necessità di acquisire il parere dell’Assessorato Territorio ed Ambiente sulla compatibilità ambientale, mentre il Dirigente del Dipartimento Regionale dell’Energia col provvedimento del 7 febbraio 2013 numero 39 ha rigettato tale istanza di rinnovo dell’autorizzazione.

Le amministrazioni intimate pertanto, con i provvedimenti impugnati, per un primo aspetto, confonderebbero i due autonomi procedimenti sulla proroga e sul rinnovo, estendendo al secondo l’inoltro della società ricorrente dell’istanza di compatibilità ambientale riguardante il primo.

Sicchè il richiamo nei provvedimenti impugnati, inerenti al rinnovo, della sub procedura di valutazione di compatibilità ambientale inoltrata il 21 marzo 2011 e ad oggi non conclusa decorsi due anni, sarebbe errato in quanto riguardante il diverso ed autonomo procedimento della proroga conclusosi il 30 maggio 2011.

I provvedimenti impugnati pertanto, per un primo aspetto sarebbero viziati per travisamento e contraddittorietà laddove si tenta di confondere i due diversi ed autonomi procedimenti della proroga e del rinnovo.

B) I provvedimenti impugnati sarebbero, inoltre, illegittimi per ulteriori motivi; sarebbero stati violati l’articolo 2, comma 3, della legge regionale 19/1995 e l ’articolo 2 della legge regionale 10/2004, norme introdotte dal legislatore Regionale al fine di semplificare la procedura di rinnovo delle autorizzazioni alla coltivazione di cava finalizzata al completamento del programma di coltivazione precedentemente autorizzato, quale è quella in esame, che escluderebbero espressamente sia la ripetizione dell’attività istruttoria per la conferma dei pareri ed attestazioni preventive di compatibilità già rese in sede di rilascio dell’originaria autorizzazione che la procedura di valutazione di impatto ambientale.

Il rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione finalizzata al completamento del programma di coltivazione costituirebbe una sorta di modifica del solo termine di validità ed efficacia dell’originaria autorizzazione scaduta, senza necessità di preventivi nulla-osta e\o pareri da parte di altri enti.

Nè la procedura per il rinnovo della autorizzazione alla coltivazione, in base alla procedura “semplificata”, potrebbe trovare un ostacolo nella normativa Comunitaria atteso che il Legislatore Regionale, nell’esercizio delle proprie competenze esclusive in materia, ha semplificato la procedura di rinnovo delle autorizzazione di coltivazione di cava per il completamento del programma di coltivazione escludendo il parere di compatibilità ambientale per le cave già esistenti.

III) I provvedimenti impugnati sarebbero comunque viziati per l’omesso preavviso di rigetto prescritto dall’articolo 10 bis della legge 241/1990.

La società ricorrente conclude chiedendo il risarcimento dei danni da ritardo scaturenti dall’inosservanza dei termini di conclusione del procedimento di cui all’art. 2 della L. n. 241/1990 postulando un danno ingiusto determinato dalla chiusura dell’esercizio da essa valutato in via equitativa in Euro 220.000 per anno. Per quanto attiene agli anni precedenti, atteso che la media di estrazione di un anno sarebbe di circa metri cubi 125.000 di inerti, sussisterebbe una perdita economica di Euro 1.250.000,00.

L’Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita in giudizio per avversare il ricorso, allegando alla memoria il rapporto informativo con il quale l’Amministrazione sostiene la legittimità del diniego impugnato, sulla considerazione della necessità ai fini del rinnovo della autorizzazione, nella fattispecie di cui in causa, della preventiva acquisizione della certificazione ambientale, alla luce della normativa Comunitaria (con particolare riguardo alla Direttiva n.85/337/CEE, come interpretata ed integrata dalla giurisprudenza della Corte CEE (Corte CE, sez. V, del 7/1/2004, C-201/02).

Inoltre, rileva l’Amministrazione resistente, la normativa Comunitaria prevarrebbe sulla normativa regionale e nazionale qualora essa prevedesse un procedimento autorizzatorio che potesse prescindere dalla certificazione ambientale per il rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di cava (quanto meno per attività estrattive superiori a 500.000 mc, o su superficie superiore a 50 ettari, come quella oggetto della presente controversia).

Alla Camera di Consiglio del 10 aprile 2013 il Collegio ha disposto l’acquisizione di documentazione e chiarimenti ordinando al Direttore del Distretto Minerario di Catania ed all’Assessore Regionale Territorio ed Ambiente di depositare presso la segreteria del TAR la documentazione richiesta.

Il Dirigente del Distretto Minerario di Catania ha ottemperato al’ordinanza con nota del 16 maggio 2013, alla quale si allegavano sei documenti.

L’Assessorato Territorio ed Ambiente ottemperava con nota del 28 maggio 2013 alla quale si allegavano due documenti.

La difesa della ricorrente depositava in data 5 ottobre 2013 un memoria difensiva.

Con detta memoria, premesso di aver depositato il 26/11/2013, insieme ad altra documentazione, copia del D.A. Territorio ed Ambiente non prodotto dalle Amministrazioni intimate, ha ribadito le censure formulate con la memoria introduttiva del ricorso ed ha stigmatizzato il comportamento del Distretto Minerario che con la nota di chiarimenti del 16/5/2013 ha fatto rifermento alla nota del 3 luglio 2008 (con la quale il Comune di Savoca ha fatto presente al Distretto Minerario di Catania che sulla base di una perizia eseguita da un tecnico privato del Comune sul cui territorio ricade la cava di cui in causa, si dichiarava che la coltivazione della cava avrebbe potuto costituire grave rischio per l’incolumità pubblica) rilevando che detta nota è stata oggetto di ricorso proposto innanzi a questo TAR e deciso con la sentenza n., 24721/2012 in senso favorevole all’odierna ricorrente.

Alla pubblica udienza del 6/11/2013 il ricorso è stato posto in decisione.

Preliminarmente il Collegio, per ragioni di comodità espositiva, esamina le censure afferenti la violazione e falsa applicazione della L.R. n.10/2004 in forza del quale – per le istanze di rinnovo finalizzate al completamento del programma di coltivazione precedentemente autorizzato, in quanto non svolto nel periodo concesso – le autorizzazioni sono rilasciate (nel termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di completamento) dall’ingegnere capo del distretto minerario in deroga alla procedura di cui all’articolo 9 della legge regionale 9 dicembre 1980 n. 127, all’articolo 1 della legge regionale 1 marzo 1995, n. 19, all’articolo 39 della legge regionale 27 dicembre 1978 n. 71 e successive modifiche ed integrazioni, nonché all’articolo 91 della legge regionale 3 maggio 2001 n. 6.

La ricorrente ritiene che detta procedura “semplificata” avrebbe dovuto essere adottata nella fattispecie di cui in causa, ed a ciò non osterebbe la normativa Comunitaria avuto riguardo al fatto che, nella fattispecie di cui in causa, si verterebbe in materia di rinnovo ai fini di completamento del programma di coltivazione e non di apertura di nuove cave. Inoltre, la Regione Siciliana titolare di potestà legislativa in materia avrebbe semplificato la procedura escludendo il parere di compatibilità ambientale per il rinnovo delle autorizzazioni.

Ad avviso del Collegio la censura non è condivisibile.

Il punto nodale della controversia sulla quale il Collegio è chiamato a decidere è costituito dalla fondatezza del postulato, sul quale la ricorrente fonda la propria domanda, secondo cui sarebbe legittimo ottenere il rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione di un cava, che interessa un area di 61.000 m.q, dalla quale sono ancora da estrarre 981.000 m.c di materiale, prescindendo dall’acquisizione del giudizio di compatibilità ambientale sul progetto di rinnovo.

Ciò sarebbe consentito, secondo la ricorrente, dell’art 2 della legge regionale 10/2004, che ha introdotto nell’ordinamento siciliano un procedura “abbreviata” in forza della quale, nella fattispecie di ci in causa, sarebbe possibile prescindere dall’acquisizione del parere di compatibilità ambientale.

Va rilevato che con l’art. 91 della l.r. n.6/2001 il legislatore regionale aveva introdotto una procedura di valutazione di impatto ambientale al fine di adeguarsi alla direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la VIA di determinati progetti pubblici e privati (successivamente modificata con la direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/l l/CE e con la direttiva 2003/35/CE) e tenuto conto delle disposizioni e dei principi stabiliti dal D.P.R. 12 aprile 1996 e dal D.P.C.M. 3 settembre 1999 (che il primo aveva modificato) integrati da poche specifiche disposizioni, contenute nello stesso articolo.

Il DPR 12 aprile 1996, avente ad oggetto “Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della L. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale”, per quanto attiene la coltivazione delle cave e torbiere prevede all’art. 1:

3. Sono assoggettati alla procedura di valutazione d’impatto ambientale i progetti di cui all’allegato A.

4. Sono assoggettati alla procedura di valutazione d’impatto ambientale i progetti di cui all’allegato B che ricadono, anche parzialmente, all’interno di aree naturali protette come definite dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394.

5. Per i progetti di opere o di impianti ricadenti all’interno di aree naturali protette, le soglie dimensionali sono ridotte del 50%.

6. Per i progetti elencati nell’allegato B, che non ricadono in aree naturali protette, l’autorità competente verifica, secondo le modalità di cui all’art. 10 e sulla base degli elementi indicati nell’allegato D, se le caratteristiche del progetto richiedono lo svolgimento della procedura di valutazione d’impatto ambientale.”

L’allegato A al DPR ( avente ad oggetto “elenco delle tipologie progettuali di cui all’art. 1, comma 3) riportato dispone:

“q) Cave e torbiere con più di 500.000 mc/a di materiale estratto o di un’area interessata superiore a 20 ha.”.

Non v’è dubbio, quindi, che l’attività oggetto della richiesta di proroga rientri nei limiti dimensionali per i quali la normativa richiede l’acquisizione della VIA.

Per quanto attiene al rinnovo di una autorizzazione scaduta,come nella fattispecie di cui in causa, l’art. 22 della L.R. n. 127/1980, dispone che:

“l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di cava … può essere rinnovata a richiesta dell’interessato da effettuare secondo le norme della presente legge”.

Pertanto, applicando alla fattispecie di cui in causa il combinato disposto del comma 3 dell’art. 1 DPR 12 aprile 1996, della lettera Q dell’Allegato A e dell’art. 22 L.R. n. 127/1980, consegue che l’Amministrazione intimata non poteva prescindere dall’acquisizione del parere di compatibilità ambientale per rinnovare l’autorizzazione sulla quale si controverte.

Detta conclusione tra l’altro è perfettamente aderente e rispettosa dei principi espressi della Corte di Giustizia CE, Sez. V. del 7/1/2004, C-201/02.

Con detta decisione la Corte occupandosi della questione della identificazione delle attività di coltivazione di cava da sottoporre a valutazione di impatto, ha chiarito che snaturerebbe e frustrerebbe la ratio della Direttiva 85/337/CEE una interpretazione della Direttiva che escludesse dalla sottoposizione alla VIA i provvedimenti che, prescindendo della terminologia usata, avessero come effetto sostanziale la ripresa di attività estrattiva in assenza di parere di compatibilità. Infatti il provvedimento che autorizzasse la svolgimento di detta attività, quale che sia il termine usato, comporterebbe un surrettizio rilascio di autorizzazione alla coltivazione in assenza del prescritto parere di compatibilità.

Va rilevato che la normativa nazionale su indicata, come pure l’art. 91 delle L.R. Siciliana n.6/2001 che recepisce nell’ordinamento della Regione le disposizioni in materia di impatto ambientale, costituiscono doverosa applicazione nell’ordinamento interno delle direttive del Consiglio del 27 giugno 1985. 85/337/CEE concernente la VIA.

Pertanto una normativa regionale – come l’art. 2 l.r. n. 10/2004 – che, sia pure surrettiziamente, derogasse da quanto stabilito da dette disposizioni deve essere disapplicata, sia dall’Amministrazione che dal Giudice, in quanto in contrasto con l’ordinamento comunitario e, pertanto, non applicabile nell’ordinamento interno regionale, alla stregua della giurisprudenza della Corte Costituzionale a proposito dei meccanismi di adattamento dell’ordinamento interno al diritto comunitario” (T.a.r. Sicilia, Palermo, III, 11 maggio 2010, n. 6878; e 18 marzo 2010, n. 2023).

In base alle considerazioni che precedono, neppure il primo motivo di gravame (che si esamina per ragioni logico sistematiche successivamente al secondo motivo) si appalesa meritevole di positiva valutazione.

Ad avviso del Collegio, non si può condividere infatti la censura formulata con il primo motivo di gravame secondo la quale i provvedimenti impugnati sarebbero nulli in quanto, in elusione del giudicato formatosi sulla sentenza di questo Tribunale n. 2472/2012, hanno denegato la richiesta di rinnovo della autorizzazione secondo la procedura semplificata (quindi prescindendo dalla valutazione di compatibilità ambientale) di cui all’articolo 2 della legge regionale 10/2004, paradigma che sarebbe indicato nella stessa sentenza quale canone procedurale da osservare, da parte dell’Amministrazione, per esitare le istanze di rinnovo presentate dall’odierna ricorrente.

Il Collegio osserva preliminarmente che con la sentenza su indicata il Tribunale ha ordinato all’Amministrazione di esitare le istanze proposte del ricorrente pronunciandosi sull’istanza volta ad ottenere il rinnovo dell’autorizzazione alla coltivazione della cava nell’osservanza degli obblighi derivanti dalla L.R. n.10/2004 (cfr. inciso “nell’osservanza dei canoni procedurali prefigurati dalla L. R. n. 10/2004”).

Però detto riferimento ai “canoni procedurali prefigurati dalla L. R. n. 10/2004” non può che essere riferito al rispetto del termine per provvedere, e non certo al contenuto dell’istanza o all’ambito della istruttoria, profili in alcun modo affrontati dalla citata sentenza.

E ciò, tanto più in considerazione del sistema dei rapporti tra ordinamento interno e l’ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 170 del 1984.

In base a detta ricostruzione sistematica, divenuta una forma di diritto vivente, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta (c.d. self-executing) precludono al giudice l’applicazione di disposizioni di diritto interno contrastanti con la normativa Comunitaria (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 gennaio 1996 n. 94).

Pertanto, nella fattispecie di cui in causa, il giudicato scaturente dalla sentenza deve essere (e non può che essere) interpretato nel senso di un ordine di provvedere nel termine indicato, in senso positivo o negativo, sulle istanze della ricorrente, tenendo conto della L.R. n. 10/2004, però nei limiti derivanti dal fatto che essa è imprescindibilmente inserita nella cornice del diritto Comunitario e delle norme nazionali a regionali di attuazione delle Direttive Comunitarie come interpretate dalla Corte CEE.

Ciò in ossequio ai principi affermati da costante giurisprudenza secondo la quale le pronunce della Corte di giustizia delle Comunità europee hanno efficacia diretta nell’ordinamento interno degli Stati membri, al pari dei regolamenti e delle direttive e delle decisioni della commissione, vincolando sia le amministrazioni nazionali che il giudice nazionale alla disapplicazione delle norme interne con esse configgenti (cfr. Cons.giust.amm. Sicilia , sez. giurisd., 25 maggio 2009 , n. 470 e Consiglio Stato , sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440; Corte di giustizia CE, 18 luglio 2007 C-119/05).

Quindi in base al principio secondo cui le leggi e gli atti giuridici, in presenza di diverse opzioni ermeneutiche vanno interpretate nel senso che ne assicuri la loro conformità al diritto, nella fattispecie deve ritenersi che l’ordine scaturente dal giudicato sia limitato all’obbligo di provvedere alle istanze della ricorrente (in senso positivo o negativo) nel termine di cui in sentenza.

Il terzo motivo di gravame, afferente la violazione dell’art. 10 bis della L. n. 241/1990 è infine infondato, atteso il noto orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel procedimento amministrativo, la mancata comunicazione del preavviso di rigetto non comporta ex se l’illegittimità del provvedimento finale, in quanto la disposizione contenuta nell’art. 10 bis L. 7 agosto 1990 n. 241 va interpretata alla luce del successivo art. 21 octies comma 2, il quale, nell’imporre al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del medesimo, rende irrilevante la violazione delle norme sul procedimento o sulla forma dell’atto allorché il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (C.G.A. n. 1039 del 22 novembre 2012).

La cogenza comunitaria delle prescrizioni relative alla assoggettabilità della istanza di rinnovo della concessione alla disciplina V.I.A. dimostra come la determinazione impugnata non potesse avere contenuto diverso.

Neppure la domanda risarcitoria, per danno da ritardo ex art. 2 bis della L. n.241/1990, può trovare ingresso; ed invero:

– per un più radicale orientamento giurisprudenziale, il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento della Pubblica amministrazione va riconosciuto solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita, non essendo invece risarcibile il danno da mero ritardo provvedimentale occorrendo verificare se il bene della vita finale sotteso all’interesse legittimo azionato sia dovuto o no (Cons. Stato, sez. V, n. 2535 del 3 maggio 2012);

– per altro, più articolato orientamento dei giudici di primo grado, “in tema di risarcimento del danno da ritardo, la circostanza per cui l’ordinamento dà rilevanza diretta al fattore tempo, a prescindere dalla fondatezza dell’istanza del privato, non significa che l’inutile decorso del tempo viene risarcito sempre e comunque, appunto per il suo solo trascorrere, occorrendo invece, secondo quanto disposto dal Legislatore con l’art. 2 bis L. 7 agosto 1990 n. 241, che si verifichino i due aspetti del danno ingiusto, e cioè il danno evento e il danno conseguenza, tenendo presente che il danneggiato deve provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda ossia, oltre al danno, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa e il nesso di causalità tra danno ed evento; pertanto, l’accertamento della responsabilità della Pubblica amministrazione per il tardivo esercizio della funzione amministrativa non può ricollegarsi, quale effetto automatico, alla mera constatazione della violazione dei termini del procedimento la relativa tutela risarcitoria non può essere accordata in relazione alla sola mera “perdita di tempo” in sé considerata, non riconoscendosi nel fattore “tempo” un bene della vita meritevole di autonoma dignità e tutela, mentre deve ritenersi che essa presupponga la lesione di un diverso – rispetto al tempo – bene giuridicamente protetto, ponendosi il fattore temporale quale nesso causale tra fatto e lesione (TAR Napoli, Sez. III, n. 3909 del 21 settembre 2012).

La ritenuta fondatezza degli atti impugnati e la circostanza che la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla ricorrente, pur molto dettagliata, si basi su affermazioni labiali, ne escludono la accoglibilità.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari di giudizio, in favore dell’Amministrazione resistente nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre IVA, CPA e spese generali, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente
Giovanni Milana, Consigliere, Estensore
Diego Spampinato, Primo Referendario

L’ESTENSORE 

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/01/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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