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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto venatorio e della pesca Numero: 558 | Data di udienza: 13 Gennaio 2021

CACCIA – Istituzione e mantenimento di un’azienda faunistico venatoria – Decadenza della concessione rilasciata – Rifiuto di alcuni proprietari dei fondi ricompresi nell’ambito dell’azienda faunistica di mettere a disposizione i propri terreni – Legislazione regionale – Consenso dei proprietari – Presupposto necessario – Efficacia preclusiva – Necessità del consenso anche per il mantenimento delle opere già effettuate – Art. 44, c. 1 Cost. – Limiti ­– Principio del rispetto della proprietà privata – Bilanciamento – Esercizio attività venatoria sui fondi non recintati – Differenza – Generale tolleranza – Impossibilità di ricavare ulteriori limiti dello ius excludendi. (Massima a cura di Alessia Tersigni)


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Sicilia
Città: Catania
Data di pubblicazione: 23 Febbraio 2021
Numero: 558
Data di udienza: 13 Gennaio 2021
Presidente: Brugaletta
Estensore: Accolla


Premassima

CACCIA – Istituzione e mantenimento di un’azienda faunistico venatoria – Decadenza della concessione rilasciata – Rifiuto di alcuni proprietari dei fondi ricompresi nell’ambito dell’azienda faunistica di mettere a disposizione i propri terreni – Legislazione regionale – Consenso dei proprietari – Presupposto necessario – Efficacia preclusiva – Necessità del consenso anche per il mantenimento delle opere già effettuate – Art. 44, c. 1 Cost. – Limiti ­– Principio del rispetto della proprietà privata – Bilanciamento – Esercizio attività venatoria sui fondi non recintati – Differenza – Generale tolleranza – Impossibilità di ricavare ulteriori limiti dello ius excludendi. (Massima a cura di Alessia Tersigni)



Massima

 

TAR SICILIA, Catania, Sez. 2^ – 23 febbraio 2021, n. 558

CACCIA – Istituzione e mantenimento di un’azienda faunistico venatoria – Decadenza della concessione rilasciata – Rifiuto di alcuni proprietari dei fondi ricompresi nell’ambito dell’azienda faunistica di mettere a disposizione i propri terreni – Legislazione regionale – Consenso dei proprietari – Presupposto necessario – Efficacia preclusiva – Necessità del consenso anche per il mantenimento delle opere già effettuate – Art. 44, c. 1 Cost. – Limiti ­– Principio del rispetto della proprietà privata – Bilanciamento – Esercizio attività venatoria sui fondi non recintati – Differenza – Generale tolleranza – Impossibilità di ricavare ulteriori limiti dello ius excludendi.

Per il carattere eccezionale delle limitazioni alle prerogative di esclusività della proprietà privata, appare assolutamente conforme ai principi costituzionali di cui, in particolare, all’art. 44, c. 1 Cost., che la legislazione regionale, nel pieno rispetto del riparto delle competenze legislative delineate dalla Costituzione, abbia previsto, a fronte di una fattispecie più complessa rispetto al semplice esercizio dell’attività venatoria – quale in effetti è l’istituzione ed il mantenimento di un’azienda faunistico venatoria – la necessità del consenso dei proprietari dei fondi interessati a quelle limitazioni ed inevitabili interferenze che la destinazione dei loro fondi a tale azienda inevitabilmente comporta. Il consenso dei proprietari rimane necessario anche per il mantenimento delle opere effettuate per l’istituzione dell’azienda – quali, ad esempio, le recinzioni – che comunque incidono sul loro diritto di proprietà. Le norma costituzionale richiamata va letta e considerata nel bilanciamento con il basilare principio del rispetto della proprietà privata, la cui limitazione deve pertanto ritenersi riferita, in materia, alla generale tolleranza dell’esercizio dell’attività venatoria sui fondi non recintati, senza che possa ricavarsi, da nessuna delle discipline richiamate, alcun ulteriore limite dello ius excludendi caratteristico del diritto dominicale.

Pres. Brugaletta, Est. Accolla – D.G. (avv. Russo) c. Assessorato regionale dell’agricoltura e delle foreste (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR SICILIA, Catania, Sez. 2^ - 23 febbraio 2021, n. 558

SENTENZA

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1069 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Giovanni Di Giunta, rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Russo, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, viale Raffaelo Sanzio 6, rappresentato e difeso dall’avvocato Clelia Lucrezia Ludovica Principato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Assessorato Regionale dell’Agricoltura e delle Foreste, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l’annullamento
– del provvedimento prot. n° 113 del 5/2/2009, notificato in data 6/3/2009, pubblicato nella G.U.R.S. n° 12 del 20/03/2009, con il quale l’Assessorato Regionale dell’Agricoltura e delle Foreste, Dipartimento Interventi Strutturali, ha dichiarato decaduta l’Azienda faunistico – venatoria “Scippa”, costituita con D.A. n° 2288 del 22/6/1998, prorogata con D.A. n° 386 del 11/3/1999, ampliata con D.A. n° 1637 del 31/5/2000, volturata al ricorrente con D.A. n° 4704 del 24/11/2000;
– di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente o successivo, comunque connesso e/o consequenziale;

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale dell’Agricoltura e delle Foreste;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2021 il dott. Salvatore Accolla;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Col provvedimento in epigrafe indicato l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione siciliana dichiarava la decadenza della concessione in precedenza rilasciata all’Azienda faunistico -venatoria “Scippa”, di titolarità del ricorrente.
Quest’ultimo evidenziava che l’unico motivo su cui si sarebbe fondato il provvedimento impugnato avrebbe avuto a che vedere con il rifiuto di alcuni dei proprietari dei fondi ricompresi nell’ambito dell’azienda faunistica di continuare mettere a disposizione tali terreni.
Per tale ragione l’atto di decadenza si sarebbe posto in contrasto, a suo modo di vedere, con l’art. 25 della legge regionale 33/97 e sarebbe stato affetto da errore di valutazione dei presupposti e da eccesso di potere per sviamento.
Secondo il ricorrente, infatti, anche in base alla normativa richiamata, il dissenso dei proprietari di tali aree non avrebbe potuto incidere sul rinnovo della concessione.
Precisava, a premessa delle sue argomentazioni, che le Aziende Faunistico Venatorie (AA.FF.VV.) perseguono, in sostanza, la medesima finalità degli Ambiti Territoriali di caccia (AA.TT.CC.), individuabile nella corretta gestione del patrimonio faunistico.
La principale differenza riguarderebbe solo le modalità di ammissione all’attività venatoria, basate, nel caso delle Aziende, su un sistema di autorizzazioni rilasciate dal concessionario (e in misura ridotta dalle Ripartizioni Faunistico Venatorie) e, negli Ambiti Territoriali di caccia (AA.TT.CC.) sul luogo di residenza dei cacciatori o su autorizzazioni esclusivamente ripartimentali.
Evidenziava l’assenza di previsione, all’interno dell’art. 16 della legge 157/92, di poteri inibitori dei proprietari delle aree ricomprese nelle aziende faunistiche e, al contrario, la previsione, nell’art. 842 del codice civile, dell’opposto principio del libero accesso ai fondi privati per l’esercizio della caccia, salva l’esistenza di recinzioni o di colture suscettibili di danno.
In tale quadro normativo, il consenso scritto dei proprietari e dei conduttori dei fondi facenti parte dell’azienda faunistica, richiesto dall’art. 25 lett. g della l. r. 33/97 sarebbe stato necessario, a suo parere, esclusivamente per l’esecuzione degli interventi, indicati nell’art. 25 c. 3 lett. a della medesima legge regionale, richiesti per la corretta gestione ambientale delle aree interessate.
Pertanto, solo in caso di interventi incidenti sul diritto di proprietà altrui sarebbe stato necessario, a suo modo di vedere, il consenso del proprietario, ad esempio nel caso di costruzione di recinzioni, voliere, impianti di cattura o punti di abbeveraggio, ovvero per la destinazione a incolto di parte dei terreni o per l’impianto di essenze arboree da frutto destinate al foraggiamento degli animali selvatici.
Nel caso in esame, gli interventi programmati, comunicati all’Amministrazione dallo stesso ricorrente con la nota del 29 gennaio 2008, non avrebbero invece inciso sulle proprietà altrui in quanto avrebbero riguardato solamente il prelievo venatorio, la vigilanza per scongiurare fenomeni di bracconaggio ed il controllo dei predatori e del randagismo.
Una diversa interpretazione della normativa regionale non sarebbe stata ammissibile, trattandosi di materia incidente sui diritti civili, rientrante in quanto tale, nella potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Inoltre, ogni diversa lettura sarebbe stata costituzionalmente illegittima ai sensi dell’art. 44 comma 1 della Costituzione – che tutela il razionale sfruttamento dei suoli e, in termini più ampi, l’equilibrio ambientale – per violazione della norma interposta, costituita dall’art. 16 della L. 157/92, nella quale alcun riferimento è presente, per l’istituzione delle aziende faunistiche, al consenso dei proprietari dei fondi.
Si costituiva in giudizio l’Assessorato Regionale convenuto con memoria di mera forma, nella quale si concludeva per il rigetto del ricorso in quanto inammissibile ed infondato.
All’udienza del 13 gennaio 2021, il ricorso, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, veniva posto in decisione senza discussione orale, sulla base degli atti depositati.

DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
La materia su cui verte la controversia è disciplinata, in termini generali, dalla legge statale n. 157/92, che detta norme generali per la protezione della fauna selvatica e, nell’ambito dell’attività venatoria in essa regolamentata, consente, tra l’altro, la costituzione di aziende faunistico-venatorie.
In ambito locale, la normativa regionale di cui alla l. r. 33/97 pone inequivocabilmente, quale condizione per l’istituzione di tali aziende, il consenso dei proprietari e dei conduttori dei fondi rientranti nel territorio in esse ricompreso.
L’art. 25, comma 3, lettera g) della citata legge regionale prevede, infatti, che, per ottenere l’autorizzazione, le aziende faunistiche debbano, tra l’altro, presentare “documentazione attestante il consenso scritto dei proprietari e dei conduttori dei fondi facenti parte dell’istituenda azienda”.
Nel caso in esame, il diniego di rinnovo dell’autorizzazione per l’azienda faunistica gestita dal ricorrente è stato motivato facendo riferimento al dissenso espresso dai proprietari di alcuni dei fondi ricompresi all’interno di essa.
Il ricorrente ritiene che tale dissenso non avrebbe potuto spiegare una tale efficacia preclusiva, dal momento che, sulla base del programma di interventi da lui stesso presentato, non sarebbe stato effettuato, nella fase successiva al chiesto rinnovo dell’autorizzazione, alcun intervento in grado di incidere e limitare in maniera rilevante il diritto di proprietà dei titolari di tali terreni.
Deve tuttavia evidenziarsi che, contrariamente agli assunti del ricorrente, la norma non subordina il rinnovo alla circostanza che i piani di intervento di cui al suddetto art. 25 comma 3 incidano o meno sulle proprietà ricomprese nell’area, esigendo invece, anche senza richiederlo espressamente, al pari di quanto richiesto per la fase di istituzione delle stesse aziende, il consenso dei proprietari delle medesime aree, a prescindere ed al di là degli interventi prefigurati nei suddetti piani di intervento.
Non ci si può d’altra parte esimere dal rilevare come paia francamente improbabile che gli interventi da effettuare si sarebbero potuti effettivamente limitare a quanto dichiarato nella nota inviata dal ricorrente all’Amministrazione in data 29 gennaio 2008, trattandosi di attività evidentemente insufficienti, in sé considerate, ad assicurare l’effettivo raggiungimento dell’obiettivo di aumento delle popolazioni faunistiche cui è finalizzata l’istituzione di tali aziende.
Decisiva, tuttavia, è l’inevitabile interferenza degli interventi indicati – quali, ad esempio, la vigilanza generale sull’azienda ed il controllo del randagismo – sulla libera disponibilità dei fondi da parte dei proprietari, ed il fatto che si tratti di attività ben distinte ed ulteriori rispetto a quella venatoria in sé considerata, la sola a poter essere esercitata sui fondi altrui, ai sensi dell’art. 842 c.c., a prescindere dal consenso dei proprietari dei terreni.
Sembra infatti inevitabile che le attività indicate comportino comunque l’ingresso, l’attraversamento e la perlustrazione dei fondi facenti parte dell’azienda, oltre ad una serie di interventi inevitabilmente limitativi dell’esclusività dei diritti di proprietà altrui.
La prospettiva del ricorrente va, dunque, ribaltata.
Proprio per il carattere eccezionale delle limitazioni alle prerogative di esclusività della proprietà privata, appare assolutamente conforme agli stessi principi costituzionali invocati dal ricorrente, che la legislazione regionale, nel pieno rispetto del riparto delle competenze legislative delineate dalla Costituzione, abbia previsto, a fronte di una fattispecie più complessa rispetto al semplice esercizio dell’attività venatoria – quale in effetti è l’istituzione ed il mantenimento di un’azienda faunistico venatoria – la necessità del consenso dei proprietari dei fondi interessati a quelle limitazioni ed inevitabili interferenze che la destinazione dei loro fondi a tale azienda inevitabilmente comporta.
Il consenso dei proprietari rimane necessario, anche nell’attuale assetto normativo, anche per il mantenimento delle opere effettuate per l’istituzione dell’azienda – quali, ad esempio, le recinzioni – che comunque incidono sul loro diritto di proprietà.
Non si ravvisa pertanto alcuna violazione, neanche per il tramite delle norme interposte, delle norme costituzionali richiamate dal ricorrente, che vanno comunque lette e considerate nel bilanciamento con il basilare principio del rispetto della proprietà privata, la cui limitazione deve pertanto ritenersi riferita, in materia, alla generale tolleranza dell’esercizio dell’attività venatoria sui fondi non recintati, senza che possa ricavarsi, da nessuna delle discipline richiamate, alcun ulteriore limite dello ius excludendi caratteristico del diritto dominicale.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, l’interferenza tra la conduzione di un’azienda faunistica ed il diritto di godimento esclusivo dei proprietari e dei conduttori dei terreni in essa ricompresi è pressoché inevitabile a seguito dell’esercizio della vigilanza sull’area e con le opere di cattura e ripopolamento e le restanti attività strumentali all’esercizio dell’azienda venatoria.
Non può, d’altra parte, trascurarsi che l’azienda faunistica va formalmente qualificata come legittima detentrice dei fondi in essa ricompresi ed è evidente che una tale configurazione dei poteri dei titolari e dei responsabili dell’Azienda non può prescindere dal consenso dei proprietari di tali aree.
Una tale ricostruzione, d’altra parte, è stata anche di recente avallata dalla stessa giurisprudenza civile, che ha in proposito affermato che le aziende faunistico-venatorie sono “titolari di un potere di fatto sulle aree interessate strettamente connesso all’esercizio dell’attività venatoria, alla sua organizzazione, regolamentazione e vigilanza, sulla base del consenso dai proprietari, prestato in favore delle aziende stesse e non dei singoli associati, sicché sono le aziende, e non i singoli associati, le detentrici qualificate dei terreni su cui detta attività viene svolta” (Cass. civ., sez. II ord., 24/05/2018, n. 13017).
Al di là di quanto esposto, deve poi rilevarsi che il dissenso espresso da alcuni dei proprietari dell’area, come indicato nella relazione allegata alla memoria di costituzione, ha comunque fatto venir meno un ulteriore fondamentale presupposto indicato dalla legge regionale per l’istituzione ed il mantenimento di una azienda venatoria, rappresentato dalla continuità territoriale dei terreni in essa ricompresi.
Nel caso di specie non è contestata la circostanza, evidenziata nel rapporto informativo allegato alla memoria di costituzione dell’Amministrazione, che, a seguito del dissenso espresso da alcuni proprietari a concedere i propri fondi, i terreni residui non avrebbero più avuto la caratteristica della reciproca contiguità, espressamente prevista, all’interno della normativa regionale, quale requisito essenziale per la costituzione dell’Azienda.
Pertanto non può dubitarsi che, rilevata la mancanza di tale requisito, l’Amministrazione non avrebbe potuto che denegare il rinnovo dell’autorizzazione richiesta.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese di causa, anche in considerazione delle peculiarità delle questioni giuridiche affrontate, possono essere eccezionalmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Brugaletta, Presidente
Agnese Anna Barone, Consigliere
Salvatore Accolla, Referendario, Estensore
 
L’ESTENSORE

Salvatore Accolla

IL PRESIDENTE
Francesco Brugaletta
 
 

IL SEGRETARIO

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