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Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Beni culturali ed ambientali Numero: 408 | Data di udienza: 22 Maggio 2018

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Terreno temporaneamente occupato per ricerche archeologiche – Diritto del proprietario ad un indennizzo – Artt. 43 l. n. 1089/1939 e 68 l- n. 2359/1865 – Causa indennitaria autonoma rispetto a quella derivante dall’espropriazione per pubblica utilità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Umbria
Città: Perugia
Data di pubblicazione: 21 Giugno 2018
Numero: 408
Data di udienza: 22 Maggio 2018
Presidente: Amovilli
Estensore: Potenza


Premassima

* BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Terreno temporaneamente occupato per ricerche archeologiche – Diritto del proprietario ad un indennizzo – Artt. 43 l. n. 1089/1939 e 68 l- n. 2359/1865 – Causa indennitaria autonoma rispetto a quella derivante dall’espropriazione per pubblica utilità.



Massima

 

TAR UMBRIA, Sez. 1^ – 21 giugno 2018, n. 408


BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Terreno temporaneamente occupato per ricerche archeologiche – Diritto del proprietario ad un indennizzo – Artt. 43 l. n. 1089/1939 e 68 l- n. 2359/1865 – Causa indennitaria autonoma rispetto a quella derivante dall’espropriazione per pubblica utilità.

Gli artt. 43 della l. n. 1089 del 1939 e 68 della l. n. 2359 del 1865 prevedono il diritto del proprietario del terreno temporaneamente occupato per le ricerche archeologiche ad un indennizzo per i danni subiti, da determinarsi, con valutazione equitativa, avuto riguardo alla perdita dei frutti, alla diminuzione del valore del fondo, alla durata dell’occupazione e tenuto conto di tutte le altre circostanze valutabili, ivi compreso l’eventuale pregiudizio riconnesso alle attività commerciali estrattive in corso. Si tratta di una causa indennitaria del tutto autonoma rispetto a quella derivante dall’espropriazione per pubblica utilità, che prescinde dalla qualificazione legale ancorata al regime urbanistico del terreno occupato e, dunque, dagli effetti del vincolo archeologico (di natura conformativa), dalle sue dimensioni e dai provvedimenti limitativi dell’uso, del godimento e della disponibilità del bene seguiti alla sua apposizione ed adottati ai sensi degli artt. 3 e 21 della l. n. 1089 del 1931 (ex multis Cassazione civile, sez. I, 27/10/2016, n. 21733).

Pres. Potenza, Est. Amovilli – F. s.p.a. (avv. Mariani Marini) c. Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo


Allegato


Titolo Completo

TAR UMBRIA, Sez. 1^ - 21 giugno 2018, n. 408

SENTENZA

 

TAR UMBRIA, Sez. 1^ – 21 giugno 2018, n. 408

Pubblicato il 21/06/2018

N. 00408/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00415/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 415 del 2017, proposto da
Fornaci Briziarelli Marsciano s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Alarico Mariani Marini, con domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via Mario Angeloni n. 80/B;


contro

Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, domiciliata ex lege in Perugia, via degli Offici, 14;

per l’ottemperanza

della sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 98/2009 pubblicata il 2.3.2009, passata in giudicato in virtù della sentenza n. 21733 del 21.10.2016 della Corte di Cassazione, munita della formula esecutiva il 21.11.2016 e notificata in data 29.11.2016, con la quale il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è stato condannato a corrispondere alla ricorrente la somma di 350.000,00 oltre agli interessi legali.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;
Visto l ‘art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2018 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.-Con il ricorso in epigrafe la società ricorrente chiede, ai sensi dell’art. 114 c.p.a., l’ottemperanza della sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 98/2009 pubblicata il 2 marzo 2009, passata in giudicato in virtù della sentenza n. 21733 del 21 ottobre 2016 della Corte di Cassazione, con la quale il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è stato condannato a corrispondere alla ricorrente la complessiva somma di 350.000,00 euro oltre agli interessi legali.

Chiede altresì la condanna del suddetto Ministero al pagamento della c.d. penalità di mora ai sensi dell’art. 114 c. 4 lett. e) c.p.a. per l’eventuale ritardo nell’esecuzione del giudicato.

La lite insorta tra le parti trae origine dall’ occupazione nel periodo 1990-2003 effettuata dal MIBAC di terreno di proprietà della ricorrente in Avigliano Umbro adibito a cava per l’estrazione di argilla, di cui è stato riconosciuto valore archeologico, con richiesta di condanna del predetto Ministero al risarcimento del danno pari al valore dell’area, nel presupposto dell’avvenuta perdita della proprietà per occupazione acquisitiva, oltre ai pregiudizi sofferti per il mancato godimento del bene anche in riferimento al mancato sfruttamento della cava.

Con sentenza n. 98/2009 pubblicata il 2 marzo 2009, passata in giudicato, la Corte d’Appello di Perugia:

-in accoglimento dell’appello del MIBAC avverso la sentenza di primo grado ha escluso l’intervenuto acquisto della proprietà per effetto del susseguirsi dei decreti di occupazione e della trasformazione irreversibile dell’area a museo all’aperto, trattandosi comunque di occupazione non effettuata a fini espropriativi bensì di ricerca, respingendo la domanda della Fornaci Brizziarelli Marsciano al risarcimento del danno per tal titolo;

– ha affermato il diritto ex art. 2043 c.c. della soc. FBM all’indennità per occupazione illegittima per il periodo dal 22 marzo 1992 al 14 aprile 1992 e dal 14 aprile 1994 al 26 maggio 1994 condannando il MIBAC al pagamento di 5.000,00 euro oltre interessi legali;

– ha altresì condannato il MIBAC al pagamento in favore della società Fornaci Brizziarelli Marsciano di 345.000,00 euro, in via equitativa, a titolo di indennità per la serie di occupazioni temporanee stabilite ai sensi degli art. 43 L. 1089/1939 e 68 L. 2359/1865.

In data 18.5.2017 il Ministero, comunicava alla suddetta società di aver proceduto al deposito amministrativo delle somme dovute e trametteva il provvedimento di autorizzazione allo svincolo da restituire firmato ai fini della liquidazione.

La somma da svincolare indicata nel modello allegato alla comunicazione citata risultava inferiore a quanto dovuto alla società in virtù del giudicato, in quanto a fronte della condanna al pagamento in favore della società ricorrente della somma di € 350.000,00 oltre agli interessi legali, veniva depositata la somma di € 328.591,30 comprensiva di interessi.

Con nota 1 giugno 2017 la ricorrente richiedeva al Ministero il pagamento della somma integrale liquidata con le sentenze passate in giudicato, e comunque dichiarava che, in caso di deposito di una somma minore, questa sarebbe stata trattenuta a titolo di acconto.

Il Ministero, nonostante le richieste di esatto adempimento più volte formulate dalla ricorrente, in data 25 settembre 2017 ha corrisposto a quest’ultima una somma pari ad € 329.330,63, di cui € 328.591,30 di cui al deposito amministrativo ed € 739,33 a titolo di ulteriori interessi maturati alla data del pagamento.

Pertanto in data 6 ottobre 2017 la società ricorrente comunicava al Ministero di aver ricevuto tali somme a titolo di acconto sulla maggiore somma dovuta, e annunciava la proposizione di un giudizio di ottemperanza per la parte di giudicato non eseguita. Anche tale comunicazione è risultata senza esito.

Si è costituto il MIBAC eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso ex adverso proposto, stante l’intervenuto integrale pagamento di quanto dovuto corrispondente all’importo complessivo di 402.884,84 euro addirittura a suo dire superiore rispetto a quello preteso. Ad avviso della difesa erariale la società ricorrente ometterebbe di considerare che la stessa Amministrazione provvedeva in data 30 marzo 2017 allo svincolo di somme depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti a titolo di indennità per occupazione legittima e precisamente: allo svincolo del deposito n. 58104 del 01.01.1993 di € 18.463,85 con pagamento a favore dell’odierna ricorrente della somma di € 24,369,20, comprensiva di interessi pari ad € 5.905.35; allo svincolo del deposito n. 58982 del 06.06.1995 di € 9.231,93 con pagamento dell’ulteriore importo di € 11.916,89, comprensivo di interessi pari ad € 2.684,96; allo svincolo del deposito n. 59785 del 18.10.1996 di € 9.231,93 con pagamento sempre a favore della società della somma di € 11.916,89 comprensiva di interessi pari ad € 2.684,96.

Con memoria la ricorrente ha replicato come le suddette somme, in quanto corrisposte precedentemente alla sentenza di cui si chiede ottemperanza, non sono mai state opposte in compensazione nell’ambito del giudizio civile di cognizione, non essendo deducibili nel processo di esecuzione bensì nel giudizio preordinato alla formazione del titolo stesso. Ha altresì precisato la diversità del titolo di pagamento delle somme svincolate il 30 marzo 2017 quale indennizzo della pura e semplice occupazione del terreno agricolo, mentre le somme accertate dal giudicato trovano la propria causa petendi nel diritto alla percezione dell’indennità di cui all’art. 43 L. 1089/1939 per la perdita dell’argilla estraibile. Insiste dunque per la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento della somma residua pari a 63.939,93 euro maggiorata degli interessi legali.

Alla camera di consiglio del 22 maggio 2018, uditi i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO

2. – Il ricorso è fondato e va accolto.

3. – Nel caso di specie, legittimamente parte ricorrente si è rivolta al giudice amministrativo, competente in sede di ottemperanza ai sensi degli artt. 112 e ss. c. p. a., a fronte di una sentenza passata in giudicato del giudice ordinario al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

Invero, l’art. 112, comma 2, lett. c) c. p. a. contempla espressamente le sentenze passate in giudicato del giudice ordinario quale categoria di decisioni ottemperabili da parte del giudice amministrativo, purché siano sentenze di condanna specifica e non generica (ex multis Consiglio di Stato sez VI, 21 dicembre 2011, n. 6773; id. sez V, 16 novembre 2010, n. 8064) non sussistendo al riguardo alcun potere integrativo.

4. – Giova anzitutto delimitare l’esatto contenuto della sentenza definitiva del g.o. di cui si chiede ottemperanza.

Come anticipato nella parte in fatto la Corte d’Appello di Perugia:

-in accoglimento dell’appello del MIBAC avverso la sentenza di primo grado ha escluso l’intervenuto acquisto da parte dell’Amministrazione della proprietà del terreno per effetto del susseguirsi dei decreti di occupazione e della trasformazione irreversibile a museo all’aperto, trattandosi di occupazione non effettuata a fini espropriativi bensì di ricerca, respingendo la domanda della società Fornaci al risarcimento del danno per tal titolo;

– ha affermato il diritto ex art. 2043 c.c. della soc. Fornaci all’indennità per occupazione illegittima per il periodo dal 22 marzo 1992 al 14 aprile 1992 e dal 14 aprile 1994 al 26 maggio 1994 condannando il MIBAC al pagamento a tal titolo di 5.000,00 euro oltre interessi legali;

– ha altresì condannato il MIBAC al pagamento in favore della società Fornaci di 345.000,00 euro, sempre in via equitativa, a titolo di indennità per la serie di occupazioni temporanee, secondo i criteri di cui agli artt. 43 L. 1089/1939 e 68 L. 2359/1865.

La parte quantitativamente più rilevante della condanna ha trovato dunque il proprio titolo nella spettanza dell’indennizzo per il pregiudizio subito durante il periodo di occupazione legittima, indennizzo quantificato a seguito di CTU non già in applicazione dei criteri per l’indennizzo per l’occupazione preordinata all’esproprio bensì degli artt. 65 e seg. della legge 25 giugno 1865 n. 2359.

Secondo la giurisprudenza gli artt. 43 della l. n. 1089 del 1939 e 68 della l. n. 2359 del 1865 prevedono il diritto del proprietario del terreno temporaneamente occupato per le ricerche archeologiche ad un indennizzo per i danni subiti, da determinarsi, con valutazione equitativa, avuto riguardo alla perdita dei frutti, alla diminuzione del valore del fondo, alla durata dell’occupazione e tenuto conto di tutte le altre circostanze valutabili, ivi compreso l’eventuale pregiudizio riconnesso alle attività commerciali estrattive in corso. Si tratta di una causa indennitaria del tutto autonoma rispetto a quella derivante dall’espropriazione per pubblica utilità, che prescinde dalla qualificazione legale ancorata al regime urbanistico del terreno occupato e, dunque, dagli effetti del vincolo archeologico (di natura conformativa), dalle sue dimensioni e dai provvedimenti limitativi dell’uso, del godimento e della disponibilità del bene seguiti alla sua apposizione ed adottati ai sensi degli artt. 3 e 21 della l. n. 1089 del 1931 (ex multis Cassazione civile, sez. I, 27/10/2016, n. 21733).

La Corte d’Appello di Perugia, in particolare, ha tenuto conto tra l’altro quanto alla “perdita dei frutti” del consistente valore dell’argilla esistente nel giacimento e non più estraibile (punto 8 sent. n. 98/2009) richiamando in motivazione anche la giurisprudenza formatasi in tema dell’indennizzo spettante al proprietario in ipotesi di espropriazione di un bene produttivo quale la cava in esercizio, in deroga alla rigida dicotomia pro tempore vigente tra indennità per aree edificabili e per aree agricole (punto 4.2.1. della sentenza).

Le indennità corrisposte dal Ministero svincolate il 30 marzo 2017 costituiscono invece – come riconosciuto dalla stessa Amministrazione – il corrispettivo della pura e semplice occupazione dell’area considerata agricola ma non per la perdita del materiale estraibile subito dalla ricorrente.

Non a caso, infatti, dette somme non sono mai state opposte in compensazione nel giudizio azionato avanti al Tribunale civile di Perugia e conclusosi nel 2016 con la sentenza della Cassazione.

5. – Ciò premesso vale allora il principio invocato dalla ricorrente secondo cui in sede di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo giudiziale, il debitore può invocare soltanto i fatti estintivi o modificativi del diritto del creditore (nella specie, opposizione di crediti in compensazione) che si siano verificati posteriormente alla formazione del titolo e non anche quelli intervenuti anteriormente, i quali sono deducibili esclusivamente nel giudizio preordinato alla formazione del titolo stesso (ex multis Cassazione civile, sez. III, 29 settembre 2007, n. 20594).

6. – Tal principio è vieppiù estensibile al giudizio di ottemperanza attivato per l’esecuzione dei giudicati del g.o., esperibile unicamente " al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della p.a. di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato " (art. 112 comma 2, lett. c, c.p.a.) e cioè per dare esecuzione a specifiche statuizioni rimaste ineseguite, e non anche per introdurre nuove questioni di cognizione, per di più riservate alla giurisdizione del g.o. (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2011, n. 2757).

7. – Considerato che, come visto, non risulta l’adempimento integrale del MIBAC al giudicato formatosi sulla sentenza, la domanda deve essere accolta, ordinando al Ministero resistente di provvedere al pagamento in favore della ricorrente della somma residua pari a 63.939,93 euro maggiorata degli interessi legali sino all’effettivo soddisfo.

8. – Va, accolta anche la richiesta di condanna dell’amministrazione al pagamento di ulteriori somme a titolo di penalità di mora ex art. 114, comma 4, lettera e), c.p.a. in favore della parte ricorrente.

La norma, nel disciplinare i poteri del "giudice in caso di accoglimento del ricorso", stabilisce che lo stesso, "salvo che ciò sia manifestamente iniquo, e se non sussistono altre ragioni ostative, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del giudicato; tale statuizione costituisce titolo esecutivo".

Nella vicenda data non si appalesano ragioni di iniquità o altre che si frappongano alla sua applicazione e quindi a che questo giudice dell’ottemperanza faccia utilizzo dello strumento individuato dal legislatore per indurre indirettamente l’amministrazione ad eseguire tempestivamente l’imposto ordine di pagamento.

Tanto, nella precisazione che, come affermato da condivisa giurisprudenza, lo stesso (strumento) "ovviamente non è utilizzabile per gli inadempimenti pregressi, generanti, piuttosto, obbligazioni di natura risarcitoria" e che quindi "la prevista penalità di mora decorre dal giorno della comunicazione o notificazione dell’ordine di pagamento formulato dal giudice dell’ottemperanza" (Consiglio di Stato, sez. IV, 12 novembre 2015, nn. 5167, 5168, 5169 e 5170, 16 giugno 2015, n. 2983, 22 maggio 2014, n. 2653), nel mentre il relativo termine finale va identificato nell’adempimento spontaneo, sia pure tardivo, del giudicato da parte dell’Amministrazione intimata, oppure, in mancanza del citato adempimento, "con l’insediamento del Commissario ad acta", investito dei poteri e delle facoltà finalizzati all’esecuzione di cui si discute (Consiglio di Stato, sez. IV 29 ottobre 2015, n. 4949) con conseguente contestuale trasferimento del munus e connessa preclusione di margini per successivi interventi diretti da parte dell’amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 30 maggio 2013, n. 2933, sez. V 3 maggio 2012, n. 2547).

8.1. – Con riferimento alla misura della penalità di mora, ritiene il Collegio che la stessa debba essere ancorata sia al dato temporale relativo alla inosservanza del giudicato – essendo tale penalità strumento di coazione indiretta e rivestendo funzione compulsoria che si affianca, in termini di completamento e cumulo, alla tecnica surrogatoria che permea il giudizio d’ottemperanza, attuata attraverso il Commissario ad Acta – sia all’ammontare della somma di cui alla condanna rimasta ineseguita, e ciò in ragione della funzione sanzionatoria cui risponde l’astreinte, la quale è presidiata dal principio di proporzionalità della sanzione rispetto all’inadempimento dell’obbligo.

Ritiene, quindi, il Collegio che la quantificazione della relativa penalità debba essere effettuata in una misura percentuale rispetto alla somma di cui alla condanna (che nel caso concreto è stabilita in una somma capitale ed una somma accessoria pari agli interessi legali al saldo), prendendo a riferimento il tasso legale di interesse quale criterio di commisurazione della penale da ritardata corresponsione al creditore della somma di denaro di cui alla pronuncia da ottemperare ai sensi dell’art. 114, comma 4, cod. proc. amm. ("detta penalità non può considerarsi manifestamente iniqua quando è stabilita in misura pari agli interessi legali").

Sulla somma complessiva indicata nel giudicato andranno, pertanto, calcolati gli interessi legali dovuti a titolo di astreinte.

9. – In accoglimento del ricorso, pertanto, va ordinato al MIBAC, in esecuzione della sentenza n. 98/2009 della Corte d’Appello di Perugia, di disporre il pagamento in favore dell’odierna ricorrente, della complessiva residua somma di 63.939,93 (sessantatremilanovecentotrentanove//93) euro maggiorata degli interessi legali sino all’effettivo soddisfo, nel termine di sessanta giorni dalla notifica della presente sentenza.

Per il caso di persistente inadempienza del Ministero, è nominato quale commissario ad acta il Prefetto della Provincia di Roma, o suo delegato, il quale, decorso il suddetto termine, provvederà all’integrale esecuzione della menzionata sentenza in luogo e vece dell’Amministrazione inadempiente, entro l’ulteriore termine di trenta giorni, avvalendosi degli uffici e dei funzionari della Amministrazione intimata. Il relativo compenso, forfetariamente determinato in €. 1.000,00 (mille//00), è posto a carico del MIBAC.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite in considerazione del pagamento parziale effettuato dall’Amministrazione.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto:

– ordina al MIBAC di dare integrale esecuzione a quanto statuito nella sentenza n. 98/2009 della Corte d’Appello di Perugia e per l’effetto, di pagare in favore della società ricorrente le somme indicate in motivazione, nel termine ivi indicato;

– accoglie la domanda proposta ai sensi dell’art. 114, comma 4, lettera e) c.p.a. come da motivazione;

– condanna il MIBAC al pagamento in favore della ricorrente del compenso al commissario ad acta, se dovuto, forfettariamente determinato in €. 1.000,00 (mille//00).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Potenza, Presidente
Paolo Amovilli, Consigliere, Estensore
Enrico Mattei, Primo Referendario

L’ESTENSORE
Paolo Amovilli
        
IL PRESIDENTE
Raffaele Potenza
        
        
IL SEGRETARIO
 

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