* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile – Uso di fatto – Irrilevanza – Scomputo del valore delle opere di urbanizzazione – Valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione – Consenso e autorizzazione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Veneto
Città: Venezia
Data di pubblicazione: 15 Luglio 2019
Numero: 835
Data di udienza: 4 Giugno 2019
Presidente: De Berardinis
Estensore: Dato
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile – Uso di fatto – Irrilevanza – Scomputo del valore delle opere di urbanizzazione – Valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione – Consenso e autorizzazione.
Massima
TAR VENETO, Sez. 2^ – 15 luglio 2019, n. 835
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile – Uso di fatto – Irrilevanza.
La destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull’immobile, risultante da circostanza di mero fatto; tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex se la qualificazione giuridica dell’immobile (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1712; T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 19 settembre 2013, n. 62).
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Scomputo del valore delle opere di urbanizzazione – Valutazione ampiamente discrezionale dell’amministrazione – Consenso e autorizzazione.
L’ammissione allo scomputo costituisce oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’Amministrazione (che ben può optare per soluzioni diverse, senza alcun obbligo di specifica motivazione): un vero e proprio diritto sorge in capo al privato proponente allorché, a fronte della realizzazione da parte sua di opere di urbanizzazione, ovvero dell’impegno a realizzarle, vi sia stato un espresso atto di “accettazione” consensuale da parte della stessa Amministrazione (cfr. T.A.R. Marche, sez. I, 1 ottobre 2018, n. 631; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 15 dicembre 2016, n. 2653; T.A.R. Liguria, sez. I, 29 settembre 2016, n. 955). In altri termini, lo scomputo del valore delle opere di urbanizzazione non configura un diritto dell’operatore, ma una mera possibilità, per la quale occorre sempre il consenso e l’autorizzazione dell’Amministrazione; ne consegue che, in difetto di autorizzazione e di accordo espresso della P.A. sullo scomputo delle nuove opere, a destinazione variata, dall’ammontare degli oneri, l’operatore non dispone di alcuna pretesa tutelata diretta a portare in detrazione il valore delle suddette opere dal contributo di urbanizzazione dovuto (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 4 febbraio 2019, n. 158; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 10 aprile 2018, n. 954). Pertanto, ove nessun atto di assenso sia stato espresso in ordine allo scomputo degli oneri concessori dovuti, ovvero sulla possibile compensazione tra questi ultimi e le spese sostenute dalla ricorrente per la realizzazione delle opere (id est, in mancanza di accordo), la ricorrente è in ogni caso tenuta al pagamento integrale degli oneri concessori dovuti (arg. ex T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 7 luglio 2010, n. 16606).
Pres. De Berardinis, Est. Dato – A. s.r.l. (avv.ti Favero e Favero) c. Comune di Bassano del Grappa (avv. Breganze)
Allegato
Titolo Completo
TAR VENETO, Sez. 2^ - 15 luglio 2019, n. 835SENTENZA
TAR VENETO, Sez. 2^ – 15 luglio 2019, n. 835
Pubblicato il 15/07/2019
N. 00835/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02398/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2398 del 2000, proposto da
Albacon S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dapprima dall’avvocato Diego Favero e poi dall’avvocato Fabio Roberto Favero, con domicilio digitale ex lege come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Bassano del Grappa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marino Breganze con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giorgio Orsoni in Venezia, Santa Croce, 205;
per l’annullamento
del provvedimento 31.7.1990, notificato il 7.8.1990 di quantificazione oneri per rilascio di concessione e della concessione 31.7.1990, notificata il 25.1.1991 nel punto riguardante il pagamento degli oneri e condanna del Comune alla restituzione degli importi indebitamente riscossi con interessi e rivalutazione;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bassano del Grappa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica straordinaria del giorno 4 giugno 2019 il dott. Giovanni Giuseppe Antonio Dato e uditi per le parti i difensori presenti come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società ricorrente rappresenta che il Comune di Bassano del Grappa aveva rilasciato in data 5 agosto 1977 alla ditta Sergio Campagnolo una concessione per la realizzazione di un complesso artigianale in località Marchesane.
Espone, altresì, che l’area era stata poi ceduta alla Ceramiche Costa S.p.a., la quale presentava progetto di variante per realizzare uno stabilimento industriale, ottenendo il certificato di agibilità 4 giugno 1981, relativo al fabbricato industriale realizzato; nel predetto fabbricato la Costa S.p.a. ha effettivamente svolto per anni la propria attività produttiva.
L’immobile veniva poi acquistato dalla O.M.C. (Organizzazione Commerciale Marchesane) che presentava al Comune domanda di cambio d’uso da industriale a commerciale relativamente ad una parte dell’immobile inferiore al 50% ai sensi dell’art. 97, u.c., della L.R. n. 61/85.
La domanda veniva accolta, ma con obbligo di versamento della differenza del contributo tra la precedente e la nuova destinazione d’uso: tale differenza, calcolata come da provvedimento del 31 luglio 1990, in complessive £. 232.749.100 veniva subito contestata da O.M.C. in quanto calcolata con riferimento ad una precedente destinazione artigianale anziché industriale, con conseguente aggravio di £. 74.449.310; inoltre, non era stato ammesso in detrazione l’importo di £. 96.000.000 relativo alla realizzazione di un parcheggio pubblico e illuminazione preteso dal Comune.
Infine, rappresenta la società ricorrente, ogni invito per la revisione dei conteggi risultava inutile e la O.M.C. era quindi costretta a versare l’intero importo richiesto con riserva di ripetizione dell’indebito (in tesi) pagamento nei termini di ordinaria prescrizione.
La O.M.C. (Organizzazione Commerciale Marchesane) ha successivamente variato la propria denominazione in Albacon S.r.l. e come tale ha proposto le domande in epigrafe, con ricorso notificato in data 28 luglio e depositato il successivo 3 agosto 2000.
1.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Bassano del Grappa, rilevando l’inammissibilità, l’irricevibilità e l’infondatezza del ricorso e chiedendone la reiezione.
1.2. Con ordinanza istruttoria 10 novembre 2017, n. 774 il Comune resistente è stato invitato a depositare una documentata relazione sulla vicenda controversa, compresi gli sviluppi più recenti sopravvenuti, con allegati tutti gli atti del procedimento.
Il Comune resistente ha depositato in giudizio – in data 15 dicembre 2017 – una relazione datata 4 dicembre 2017 del dirigente Area Urbanistica con allegata documentazione.
1.3. Con atto datato 2 maggio 2018 e depositato in data 4 maggio 2018 il difensore della parte ricorrente, avvocato Fabio Roberto Favero, ha rinunciato al mandato difensivo rilasciato il 9 marzo 2010. La parte ricorrente non ha provveduto alla sostituzione del predetto difensore.
1.4. All’udienza pubblica straordinaria del 4 giugno 2019, presente il difensore della parte resistente, come da verbale, il quale si è riportato alle conclusioni già prese chiedendone l’accoglimento, il Collegio si è riservato di provvedere e ha trattenuto il ricorso in decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio osserva preliminarmente che la rinuncia al mandato da parte del difensore della parte ricorrente non è di ostacolo alla trattazione della causa, in virtù del principio di ultrattività del mandato defensionale desumibile dall’art. 85 cod. proc. civ. (applicabile al processo amministrativo ai sensi dell’art. 39, comma 1, cod. proc. amm.).
Ed invero, la rinuncia al mandato non determina alcun effetto interruttivo del processo ai sensi dell’art. 79 cod. proc. amm., posto che in ossequio al principio della perpetuatio dell’ufficio defensionale, consacrato negli artt. 85 e 301 cod. proc. civ., il difensore rinunciante, fino alla sua sostituzione, conserva lo ius postulandi con riguardo alla causa in corso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 gennaio 2019, n. 294; Cons. Stato, sez. V, 23 novembre 2018, n. 6627), e ciò sia per quanto riguarda la legittimazione a ricevere gli atti nell’interesse del mandante, sia per quanto riguarda la legittimazione a compiere atti nell’interesse di quest’ultimo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3597; Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2018, n. 1115; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 15 marzo 2019, n. 1448).
In altri termini, non può ammettersi una vacatio dello ius postulandi, che continua a sussistere in capo al difensore rinunciante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 ottobre 2018, n. 6064; T.A.R. Lazio Roma, sez. I ter, 15 novembre 2018, n. 11046), non impedendo la stessa rinuncia il passaggio in decisione del ricorso, in quanto il difensore che abbia rinunciato è tenuto a svolgere le sue funzioni fino alla sua sostituzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 luglio 2014, n. 3956).
2. Ciò premesso e passando al merito del ricorso, con il primo motivo la società ricorrente deduce il vizio di Eccesso di potere per falsa ed errata applicazione art. 97, ultimo comma, L. R. 61/85.
Dopo aver richiamato la previsione di cui alla predetta disposizione, parte ricorrente ha lamentato che il Comune resistente avrebbe calcolato gli oneri per differenza tra la nuova destinazione commerciale ed una destinazione d’uso, quella artigianale prevista nella originaria concessione edilizia, in verità mai attuata. Infatti, già l’originario progetto aveva subito una variante in corso d’opera che lo aveva trasformato da artigianale ad industriale, con versamento anche della differenza degli oneri, come da provvedimento sindacale del 25 settembre 1979.
Inoltre, l’attività produttiva fin dall’inizio svolta nel fabbricato – che avrebbe ottenuto l’agibilità come fabbricato industriale, come da certificato prima citato – sarebbe stata sempre di tipo industriale, né sarebbe potuto essere diversamente, considerato che l’azienda era una società per azioni.
Evidente ed incontestabile sarebbe dunque l’errore del Comune resistente, facendo questo riferimento ad una inesistente precedente attività artigianale. Tale errore avrebbe comportato un maggiore esborso di oneri per complessive £. 74.549.310 (alla luce del calcolo riportato alle pagg. 3-4 del gravame introduttivo; più in particolare, il predetto importo è frutto della somma di £. 38.322.680 – affermata maggiorazione degli oneri primari afferenti la destinazione commerciale – e £. 36.226.630 – affermata maggiorazione degli oneri secondari per destinazione commerciale).
La parte resistente argomenta in ordine all’infondatezza della censura.
2.1. Il motivo è privo di base.
Dall’esame della concessione datata 5 agosto 1977, prot. n. 1032 (doc. 3 della produzione di parte ricorrente) risulta che la costruzione assentita concerneva un “complesso artigianale” in Via Marchesane (sul terreno distinto ai mappali 146 – 531 – 537 – Foglio 25°).
Con nota sindacale datata 25 settembre 1979, prot. n. 7924 (doc. 4 della produzione di parte ricorrente), il Comune resistente comunicava alla Ceramiche Costa S.p.a. il parere favorevole espresso dagli uffici comunali competenti in relazione alla domanda relativa ad un “progetto di variante in ampliamento” relativo all’immobile in costruzione in Via Marchesane (mapp. 146 – 531 – 537 – Foglio 25°).
Detta variante, diversamente da quanto sostiene la parte ricorrente, non ha implicato una diversa destinazione dell’immobile: ed invero, da un lato, la richiamata nota assentiva un “ampliamento” (e non un mutamento di destinazione d’uso); dall’altro, il riferimento al “fabbricato industriale” contenuto nell’oggetto della stessa nota appare frutto di un errore materiale, posto che in modo chiaro ed inequivocabile la cit. concessione datata 5 agosto 1977, prot. n. 1032 assentiva la costruzione, lo si ribadisce, di un “complesso artigianale”.
Il successivo certificato di abitabilità del 4 giugno 1981 (doc. 5 della produzione di parte ricorrente), che dichiara abitabili i locali del “fabbricato industriale (escluso l’alloggio a nord) sito in Via Marchesane”, non ha quel valore che la ricorrente pretende di attribuirgli.
Ed invero, da un lato detto certificato contiene il medesimo errore già visto a proposito della nota sindacale datata 25 settembre 1979, prot. n. 7924, in quanto nel richiamare la concessione n. 1032 del 5 agosto 1977, il certificato esplicita (erroneamente, si ribadisce) che era stata originariamente assentita la costruzione di un “fabbricato industriale” (e non di un “complesso artigianale”, come avvenne effettivamente).
Dall’altro, la giurisprudenza formatasi sull’art. 221 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (c.d. Testo unico delle leggi sanitarie) ha chiaramente evidenziato che la funzione della licenza di agibilità/abitabilità, e l’interesse pubblico cui essa ha riguardo, attengono solo ai profili della agibilità/abitabilità (tutela dell’igienicità, salubrità e sicurezza dell’edificio) e non anche al profilo urbanistico-edilizio (arg. ex T.A.R. Toscana, sez. III, 28 gennaio 2014, n. 177; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 4 febbraio 2003, n. 489; T.A.R. Molise, 10 maggio 1995, n. 111).
Va inoltre sottolineato che – secondo consolidata giurisprudenza – la destinazione d’uso di fatto di un immobile è irrilevante (arg. ex T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 5 maggio 2016, n. 2243).
In altri termini, la destinazione d’uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull’immobile, risultante da circostanza di mero fatto; tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex se la qualificazione giuridica dell’immobile (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1712; T.A.R. Valle d’Aosta, sez. I, 19 settembre 2013, n. 62).
In conclusione, per tutte le ragioni sopra esposte, la censura si rivela infondata.
3. Con il secondo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta l’Eccesso di potere per mancata applicazione del diritto allo scomputo previsto dall’art. 86 LR 61/85.
Argomenta la società ricorrente che il Comune ha richiesto alla società O.M.C. la realizzazione di un parcheggio di uso pubblico per una superficie di 3.174 mq, e che tale intervento avrebbe comportato una spesa di complessive £. 96.000.000 (oltre ad oneri fiscali e di progetto), come da stima dell’arch. Volpe in data 2 settembre 1991.
Aggiunge la ricorrente che tale parcheggio è un’opera di urbanizzazione, costituendo lo standard previsto dall’art. 25, decimo comma, punto 2 della L.R. 61/85, e che gli artt. 25, ultimo comma, e 86 della L.R. 61/85 affermano il diritto del concessionario ad ottenere lo scomputo del valore delle aree e delle opere, cedute o vincolate, dal contributo di urbanizzazione dovuto in sede di rilascio della concessione edilizia.
Afferma la ricorrente, inoltre, che lo stesso Comune resistente, in occasione della variante richiesta dalla Ceramiche Costa S.p.a., aveva applicato il diritto allo scomputo dichiarando non dovuti gli oneri di urbanizzazione primaria, in quanto sussisteva l’obbligo di realizzare direttamente le relative opere; inoltre, il parcheggio richiesto alla O.M.C. è stato regolarmente realizzato ed è stato costituito il vincolo di destinazione d’uso (atto notaio Antoniucci Rep. 42640 del 22 gennaio 1991) e tuttavia il Comune di Bassano, senza addurre motivazione alcuna, non ha mai voluto riconoscere il diritto di scomputo previsto dalla richiamata legge.
In conclusione (cfr. pagg. 5-6 del ricorso), la società ricorrente ha formulato richiesta di annullamento dei provvedimenti avversati nella parte riguardante la quantificazione e addebito degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e la condanna del Comune resistente alla restituzione delle somme pretese e riscosse, con aggravio di interessi e rivalutazione.
La parte resistente argomenta in ordine all’infondatezza della censura.
3.1. Il motivo è infondato.
Costituisce ius receptum in giurisprudenza il principio che l’ammissione allo scomputo costituisce oggetto di una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’Amministrazione (che ben può optare per soluzioni diverse, senza alcun obbligo di specifica motivazione) e che un vero e proprio diritto sorge in capo al privato proponente allorché, a fronte della realizzazione da parte sua di opere di urbanizzazione, ovvero dell’impegno a realizzarle, vi sia stato un espresso atto di “accettazione” consensuale da parte della stessa Amministrazione (cfr. T.A.R. Marche, sez. I, 1 ottobre 2018, n. 631; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 15 dicembre 2016, n. 2653; T.A.R. Liguria, sez. I, 29 settembre 2016, n. 955).
Lo scomputo del valore delle opere di urbanizzazione non configura un diritto dell’operatore, ma una mera possibilità, per la quale occorre sempre il consenso e l’autorizzazione dell’Amministrazione; ne consegue che, in difetto di autorizzazione e di accordo espresso della P.A. sullo scomputo delle nuove opere, a destinazione variata, dall’ammontare degli oneri, l’operatore non dispone di alcuna pretesa tutelata diretta a portare in detrazione il valore delle suddette opere dal contributo di urbanizzazione dovuto (cfr. T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 4 febbraio 2019, n. 158; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 10 aprile 2018, n. 954).
Pertanto, ove nessun atto di assenso sia stato espresso in ordine allo scomputo degli oneri concessori dovuti, ovvero sulla possibile compensazione tra questi ultimi e le spese sostenute dalla ricorrente per la realizzazione delle opere (id est, in mancanza di accordo), la ricorrente è in ogni caso tenuta al pagamento integrale degli oneri concessori dovuti (arg. ex T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 7 luglio 2010, n. 16606).
La necessità di un atto di assenso della parte pubblica è peraltro confermata proprio dall’art. 86, primo comma, della legge regionale Veneto 27 giugno 1985, n. 61, richiamato dalla società ricorrente, secondo il quale il concessionario ha titolo allo scomputo totale o parziale della quota di contributo dovuta per gli oneri di urbanizzazione qualora, in luogo totale o parziale della stessa, si obblighi col Comune a cedere le aree e le opere di urbanizzazione già esistenti o da realizzare “con le modalità e le garanzie, di cui alla convenzione dell’art. 63”.
Sul punto il Tribunale ha chiarito che, ai fini di interesse, è <<[…] necessaria la previa stipulazione di una convenzione “completa”, vale a dire includente anche la dettagliata stima del costo delle opere di diretta realizzazione: evidente la ratio, volta a consentire al Comune la valutazione sulla convenienza dell’operazione e la congruità della spesa […]>> (cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 28 maggio 2008, n. 1626).
Non avendo comprovato parte ricorrente l’atto di assenso comunale allo scomputo, la doglianza si rivela, per ciò solo, del tutto priva di base.
Peraltro, la circostanza fattuale riportata dalla stessa società esponente finisce per corroborare la suesposta conclusione: in occasione della variante richiesta dalla Ceramiche Costa S.p.a., il Comune resistente aveva assentito allo scomputo, con ciò confermandosi la necessità di un atto di assenso che proceda nella detta direzione. Viene così ribadita l’infondatezza del motivo, non avendo la O.M.C. – diversamente dalla Ceramiche Costa S.p.a. – ottenuto alcun assenso del Comune allo scomputo da essa in questa sede rivendicato.
4. In conclusione, attesa l’infondatezza delle doglianze, il ricorso deve essere respinto.
5. Il carattere risalente della vicenda controversa giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Pietro De Berardinis, Presidente
Marco Rinaldi, Primo Referendario
Giovanni Giuseppe Antonio Dato, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Giovanni Giuseppe Antonio Dato
IL PRESIDENTE
Pietro De Berardinis
IL SEGRETARIO