BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Interventi su immobili e aree di interesse paesaggistico – Art. 146 d.lgs. n. 42/2004 – Autorizzazione preventiva – Eccezioni – Norma di stretta interpretazione – Fattispecie: deposito di terreno destinato al riempimento di una cava – Possibilità di escludere l’applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 42/2004 in ragione della finalità di ripristino ambientale – Inconfigurabilità (Massima a cura di Camilla Della Giustina)
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Veneto
Città: Venezia
Data di pubblicazione: 14 Dicembre 2020
Numero: 1249
Data di udienza: 22 Ottobre 2020
Presidente: Pasi
Estensore: Amorizzo
Premassima
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Interventi su immobili e aree di interesse paesaggistico – Art. 146 d.lgs. n. 42/2004 – Autorizzazione preventiva – Eccezioni – Norma di stretta interpretazione – Fattispecie: deposito di terreno destinato al riempimento di una cava – Possibilità di escludere l’applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 42/2004 in ragione della finalità di ripristino ambientale – Inconfigurabilità (Massima a cura di Camilla Della Giustina)
Massima
TAR VENETO, Sez. 2^ – 14 dicembre 2020, n. 1249
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Interventi su immobili e aree di interesse paesaggistico – Art. 146 d.lgs. n. 42/2004 – Autorizzazione preventiva – Eccezioni – Norma di stretta interpretazione – Fattispecie: deposito di terreno destinato al riempimento di una cava – Possibilità di escludere l’applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 42/2004 in ragione della finalità di ripristino ambientale – Inconfigurabilità.
La tutela del paesaggio rinviene la propria disciplina nel D.lgs. n. 42/2004 che all’art. 146 co.2 contiene l’obbligo per i proprietari, possessori o detentori a qualunque titolo di immobili e di aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o sulla base della legge, di chiedere autorizzazione preventiva per qualsiasi intervento che vogliano intraprendere su dette aree nonché di astenersi dall’iniziare i lavori fino a quando non abbiano ottenuto l’autorizzazione. Le eccezioni a questa regola si rinvengono all’art. 167 co.4 il quale, a sua volta, è norma di stretta interpretazione. Alla luce di tale sistema, la pretesa di escludere dalla disciplina di cui prevista dal d.lgs. n. 42/2004 i depositi di terreno destinati al riempimento di una cava ed effettuati in difformità dal titolo rilasciato, per perseguire quale obiettivo ultimo il ripristino ambientale cui detti depositi sarebbero preordinarti, non trova corrispondenza né nel dettato normativo né nella ratio del sistema di tutela.
Pres. Pasi, Est. Amorizzo – F. S.r.l. e altro (avv.ti Zambelli, Zanchettin e Zambelli) c. Comune di Vittorio Veneto (avv. Colla), Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropolitana di Venezia e Le Province, Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali (Avv. Stato) e altro (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR VENETO, Sez. 2^ - 14 dicembre 2020, n. 1249SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 754 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto da
F.A.L. S.r.l. e Superbeton S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Franco Zambelli, Maurizio Zanchettin, Matteo Zambelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Franco Zambelli in Mestre, via Cavalloti n. 22;
contro
Comune di Vittorio Veneto, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Barbara Colla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropolitana di Venezia e Le Province, Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, piazza S. Marco, 63;
Unita’ Periferica Servizio Forestale Regionale Treviso e Venezia non costituito in giudizio;
per l’annullamento
Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
del provvedimento del Dirigente del Servizio Gestione del Territorio del Comune di Vittorio Veneto (TV) n. 04438530265-25052018-1916.0026, in data 16.05.2019, avente ad oggetto: “Diniego parere soprintendenza relativo alla sanatoria lavori in difformità al P.d.C. n. 055 del 31.03.2014 per ripristino ex Cava Costa d’Andros con riporto materiali in via Nove Alto Comune di Vittorio Veneto. Ditta: Fal Srl”; del parere della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Venezia e Province di BL, PD e TV acquisito al protocollo comunale al n. 36199, in data 25.09.2018; del provvedimento della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Venezia e Province di BL, PD e TV n. 6109 dell’8.03.2019 acquisito al protocollo comunale al n. 9261, in data 11.03.2019; della nota del Comune di Vittorio Veneto prot. n. 40107 del 22.10.2018 con la quale sono stati comunicati i motivi ostativi all’accoglimento della domanda;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da F.A.L. S.R.L. il 25\10\2019 :
del provvedimento del Dirigente del Servizio Gestione del Territorio del Comune di Vittorio Veneto (TV) prot. n. 0030018, in data 26.07.2019, avente ad oggetto: “Rigetto dell?istanza di permesso di costruire in sanatoria per ripristino ambientale in località nove ex cava “Costa d’Andros” con riporto di materiali derivanti da operazione di escavazione ai sensi del DM n. 161 del 10.08.2012 realizzato in difformità al P.d.C. n. 055 del 31.03.2019″; annullamento, altresì, di ogni altro atto inerente e/o conseguente, procedimentale e/o finale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Vittorio Veneto e di Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per L’Area Metropolitana di Venezia e Le Province e di Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2020 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società F.A.L. s.r.l. è conduttrice di un terreno catastalmente censito al Fg. 16 mapp.li nn. 58, 59, 63, 66, 67, 95, 96, 103, 104, 105, 107, 108, 109, 110, 158, 162 del Comune di Vittorio Veneto, ove insiste una cava dismessa denominata “Costa d’Andros, che è oggetto di un intervento di ripristino ambientale autorizzato con il permesso di costruire n. 55/2017, da effettuarsi utilizzando terre e rocce da scavo ai sensi del D.M. 161/2012.
La società Superbeton S.p.A. agisce in qualità di soggetto incaricato di realizzare parte dei lavori di scavo del c.d. “Traforo di Sant’Augusta”, nell’ambito del progetto della “Variante S.S. n. 51 di Alemagna presso l’abitato di Vittorio Veneto”. I materiali recuperati dallo scavo del traforo sono utilizzati, in regime di sottoprodotto, per reimpieghi sia interni che esterni al cantiere e, in vista di tale riutilizzo, sono oggetto di deposito intermedio anche presso siti esterni al cantiere, il tutto come da Relazione Gestione dei Materiali allegata al progetto esecutivo della Variante S.S. n. 51 di Alemagna. Tra i siti esterni di deposito temporaneo è stata individuata anche l’area ove insiste la ex cava Costa d’Andros.
Il Comune, avendo accertato che, presso la cava era stata stoccata una quantità di materiale superiore a quella autorizzata, ha adottato nei confronti di F.A.L. s.r.l. una prima ordinanza di ripristino (n. 259 del 9.10.2017), contestando la difformità di quanto realizzato rispetto al progetto autorizzato. L’ordinanza è stata impugnata con separato ricorso (R.G. n. 397/2018).
Successivamente, la ricorrente ha presentato un’istanza di variante in sanatoria al permesso di costruire, chiedendo, altresì, l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria per il deposito di materiale in eccedenza (pari a 50.000 mc) e per le opere di sistemazione di una scolina. Pendente l’istanza, si celebrava l’udienza camerale per la discussione della sospensiva del ricorso proposto avverso l’ordinanza di ripristino, nel corso della quale la ricorrente rinunciata alla domanda cautelare in considerazione della pendenza del procedimento di sanatoria.
L’istanza di sanatoria paesaggistica è stata, però, rigettata con provvedimento del 16.5.2019, oggetto del presente giudizio, in conseguenza del parere negativo emesso in data 11.03.2019 dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’area metropolitana di Venezia e Province di Belluno, Padova e Treviso, la quale ha ritenuto che l’ingente quantitativo di materiale movimentato non consentisse di ricondurre l’intervento ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 167, c. 4 D.Lgs. 42/2004.
Contestualmente alla trasmissione del diniego, il Comune di Vittorio Veneto ha, altresì, disposto la ripresa dell’efficacia dell’ordinanza n. 259 del 9.10.2017 concedendo un termine di 120 gg per dare esecuzione all’ordine di ripristino.
Successivamente, in data 26.7.2019, il Comune ha negato anche la sanatoria edilizia in ragione dell’assenza della presupposta sanatoria paesaggistica.
Con il ricorso all’esame ed i successivi motivi aggiunti, le ricorrenti contestano i provvedimenti sopra menzionati.
Si sono costituiti sia il Comune di Vittorio Veneto che la Soprintendenza, chiedendo il rigetto del ricorso.
La domanda cautelare, proposta insieme al ricorso per motivi aggiunti, è stata accolta.
All’udienza del 22 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le ricorrenti, in linea generale, lamentano che l’accumulo di materiale oggetto di contestazione è stato trattato alla medesima stregua di una qualsiasi opera edilizia, senza tener conto che il suddetto materiale consiste nelle terre e rocce da escavazione, ivi oggetto di deposito temporaneo, provenienti dai lavori per la realizzazione della “Variante S.S. n. 51 di Alemagna presso l’abitato di Vittorio Veneto”. Tale deposito è già stato autorizzato mediante l’approvazione del progetto esecutivo dell’opera che individua i siti di deposito.
Da tale ordine di idee discendono le censure formulate con i primi due motivi del ricorso introduttivo.
1.1. In particolare, con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 146 e 167 del d.lgs. 42/2004 e dell’art. 36 della L.R. 44/1982. Erroneità e/o travisamento di presupposto. Carenza di istruttoria. Contraddittorietà. Eccesso di potere per difetto di motivazione.
La fattispecie non sarebbe sussumibile nell’ambito di applicazione dell’articolo 146 del D.Lgs. 42/2004, poichè l’intervento è volto a perseguire finalità di ricomposizione ambientale e di stabilizzazione idraulica. Pertanto esso non è idoneo ad arrecare pregiudizio al paesaggio e, per negare l’autorizzazione, la Soprintendenza avrebbe dovuto motivare sull’esistenza di tale pregiudizio.
1.2. Con il secondo motivo, deducono la violazione e/o falsa applicazione, sotto un diverso profilo, degli artt. 146 e 167 del d.lgs. 42/2004. Violazione degli artt. 31 e segg. del DPR 380/01. Violazione dell’art. 33 della L.R. 44/1982. Erroneità e/o travisamento di presupposto. Illogicità. Carenza di istruttoria. Sviamento. Eccesso di potere per difetto di motivazione.
I depositi di terreno non costituiscono opere edilizie. Essi, pertanto, sarebbero sottratti alla disciplina restrittiva che impedisce il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria.
2. Le due censure non possono essere condivise.
La tutela del paesaggio è affidata al sistema ordinamentale definito dal decreto legislativo n. 42 del 2004 che, all’articolo 146, comma 2, prevede l’obbligo per i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, o sulla base della legge, di chiedere l’autorizzazione preventiva per qualsiasi intervento intendano intraprendere sui beni e le aree stesse e di “astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.
Le sole fattispecie sottratte a tale regime, sono individuate dall’art. 149, che per costante giurisprudenza, sono da oggetto di interpretazione rigorosa, trattandosi di regime eccezionale rispetto a quello ordinario, che prevede l’assoggettamento di tutti gli interventi trasformativi del territorio, in zona vincolata, al regime autorizzatorio.
Ugualmente, costituisce regola ordinariamente non derogabile l’acquisizione preventiva dell’autorizzazione paesaggistica rispetto all’intervento. Hanno, pertanto, natura eccezionale e di stretta interpretazione, le ipotesi in cui, ai sensi del comma 4 dell’articolo 167 D.Lgs. 42/2004, è ammessa l’acquisizione postuma dell’autorizzazione paesaggistica. Si tratta di una disciplina dettata al fine di garantire la tutela di un bene-interesse di rango costituzionale, la cui lesione è sovente non interamente ripristinabile e che, per tale ragione, è fatta oggetto di rigorosa interpretazione ed applicazione (T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. III, 05/08/2019, n.1821 “In termini generali, i commi 4 e 5 dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004 sanciscono la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali, aventi rilevanza paesaggistica; la ratio è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del predetto precetto è ridimensionato da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato. Sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia.”).
A fronte di un tale sistema, la pretesa di escludere dall’applicazione della disciplina prevista dal D.Lgs. 42/2004 i depositi di terreno destinati al riempimento di una cava, effettuati in difformità dal titolo edilizio rilasciato, in ragione della finalità di ripristino ambientale cui i suddetti depositi sarebbero in ipotesi preordinati, non trova rispondenza né nel dettato normativo, né nella ratio del sistema di tutela.
Per le medesime ragioni, nessun rilievo può rivestire la non piena assimilabilità dei suddetti depositi ad opere edilizie, poiché l’applicabilità della disciplina tutoria non dipende dalla qualificazione formale dell’intervento realizzato, ma dall’astratta idoneità dello stesso a ad incidere sulla morfologia del paesaggio e del territorio tutelato.
3. Neppure è fondato il terzo motivo con il quale è dedotta la violazione dell’art. 10 bis della L.N. 241/1990. Travisamento e/o falsità di presupposto. Carenza di istruttoria. Sviamento. Illogicità. Eccesso di potere per difetto di motivazione.
La ricorrente afferma che solo una parte del materiale accumulato “in difformità” sarebbe stato stoccato all’interno della fascia di rispetto e che, pertanto, il diniego di sanatoria della Soprintendenza non potrebbe avere effetti con riguardo alla porzione di materiale posto all’esterno del perimetro dell’area vincolata. Né a diversa soluzione potrebbe pervenirsi affermando la natura unitaria dell’abuso, trattandosi di depositi di materiale avvenuti nel corso del tempo.
Il motivo è infondato. Vero è che nel caso di specie i depositi sono stati eseguiti in tempi diversi, ma il risultato che si è venuto a creare in termini di impatto sul paesaggio non può che essere oggetto di unitaria considerazione. L’abuso realizzato, infatti, consiste nella ricomposizione del cratere dell’ex cava secondo una morfologia totalmente diversa da quella contenuta nel progetto approvato, attraverso il deposito di volumi di materiale di riporto “significativamente superiori a quelli autorizzati”. Unitario è, pertanto, l’impatto, nonché la finalità dell’intervento (ricomposizione ambientale di una ex cava). Come ha chiaramente affermato il Consiglio di Stato nella sentenza del 19-10-2020, n. 6300 “al fine di apprezzare la compatibilità con i valori del paesaggio di una pluralità di interventi edilizi legati tra loro (come nella fattispecie) da un intrinseco collegamento funzionale, (tanto da costituire oggetto di un’unica istanza di sanatoria), non è consentita una valutazione atomistica degli stessi, ma occorre, piuttosto, procedere a un giudizio unitario e complessivo dell’insieme delle opere realizzate (Cons. Stato, Sez. V, 12/10/2018, n. 5887).”. Cons. Stato Sez. VI,
4. Infondato è anche il quarto motivo, con il quale è dedotta la violazione dell’art. 31 e segg. del DPR 380/2001. Il ricorrente afferma che nonostante l’ordinanza di demolizione n. 308/2017 fosse divenuta inefficace per effetto della presentazione dell’istanza di sanatoria, il Comune, con il provvedimento impugnato ne ha intimato l’esecuzione entro il termine di 120 giorni.
Vero è che secondo l’orientamento seguito da questa Sezione, la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità di opere abusive determina la cessazione dell’efficacia del provvedimento sanzionatorio dell’abuso, con la conseguenza che, in caso di rigetto dell’istanza, l’amministrazione ha l’onere di adottare un nuovo provvedimento repressivo, con assegnazione di un nuovo termine a provvedere, mentre nel caso di specie, contestualmente al diniego di sanatoria, è stata prescritta l’esecuzione della precedente ordinanza di ripristino, tuttavia, così provvedendo, il Comune ha assegnato il termine massimo previsto dalla legge per l’esecuzione. Il contenuto del provvedimento, in parte qua, è, quindi, del tutto assimilabile a quello che avrebbe avuto una nuova ed autonoma ordinanza di ripristino.
5. Sono infondati, in disparte ogni considerazione sulla loro ammissibilità, anche i motivi con cui sono dedotti quali vizi di illegittimità derivata, le censure mosse all’ordinanza di ripristino n. 308/2017 con il ricorso n. 397/2018.
5.1. Con i motivi contrassegnati dalle lettere A, B e C, è dedotta la violazione della disciplina regionale dell’attività estrattiva (artt. 28, 33 e 36 della L.R. 44/1982).
Afferma il ricorrente che sarebbe stato violato l’art. 28 della citata L.R. 44/82, non avendo il Comune esercitato le funzioni di vigilanza “d’intesa con la Provincia”, il provvedimento sanzionatorio sarebbe affetto da incompetenza, poiché il 2° comma dell’art. 28 della L.R. 44/1982 attribuisce al Presidente della Provincia il potere di adottare provvedimenti sanzionatori.
Sarebbe stato violato l’articolo 38 della L.R. 44/1982 che attribuisce al Sindaco e non al dirigente la competenza ad adottare misure contingibili ed urgenti in materia di cave abbandonate e/o dismesse.
5.2. I motivi sono infondati. Con essi sono dedotti vizi dell’ordinanza di demolizione non idonei ad inficiare, neppure in via derivata, la legittimità del diniego di autorizzazione paesaggistica impugnata. L’ordinanza di ripristino, infatti, non si pone in rapporto di pregiudizialità-dipendenza con il provvedimento di sanatoria paesaggistica, ben potendo la seconda essere emanata anche in difetto del provvedimento sanzionatorio. I due provvedimenti hanno un unico presupposto comune, costituito dalla natura abusiva delle opere che, tuttavia, con le censure all’esame non è contestato. Esse, infatti, mirano a contestare esclusivamente la competenza del Comune o del dirigente all’adozione del provvedimento sanzionatorio adottato, questione del tutto estranea ai presupposti del rilascio della sanatoria paesaggistica.
I motivi, comunque, sono infondati anche perché basati sull’erroneo presupposto che il potere sanzionatorio esercitato dal Comune sia sussumibile nell’ambito dei poteri descritti dagli artt. 28, 33, 36 L.R. 44/1982. Le suddette disposizioni riguardano, invece, la violazione della disciplina sulle autorizzazioni e le concessioni alla coltivazione delle cave e non i profili edilizi della suddetta attività. L’art. 38 L.R. 44/1982 è, poi, del tutto inconferente, non essendo stata adottata alcuna ordinanza contingibile ed urgente.
5.3. Parimenti infondato è il motivo sub D, con cui è dedotta la violazione dell’art. 186 del d.lgs. 152/2006. La disposizione definisce le condizioni in forza delle quali il deposito di terre e rocce da scavo può ritenersi temporaneo, ma nulla dispone con riguardo ai presupposti di compatibilità paesaggistica dei suddetti materiali.
5.4. Con il motivo sub E) è dedotta la violazione degli artt. 27 e 31 del DPR 380/2001, poiché il Comune avrebbe intimato il ripristino nonostante fosse stata presentata – entro il termine finale previsto per l’esecuzione dei lavori (da individuarsi nel triennio entro cui, in base all’articolo 186 D.Lgs. 152/06, i depositi di terre e rocce da scavo possono ritenersi temporanei) – un’istanza di variante al permesso di costruire per assentire i rimodellamenti effettuati. Il motivo è infondato. Esso attiene alla legittimità dell’ordinanza di ripristino sotto il profilo strettamente edilizio, involgendo, pertanto, questioni (l’ammissibilità e gli effetti di una variante in corso d’opera riguardante opere in parte già realizzate) estranee ai presupposti della sanatoria paesaggistica.
5.5. E’ infondato anche il motivo sub F) con cui è dedotta la violazione degli artt. 31 e 34 del DPR 380/2001. I ricorrenti affermano che le difformità censurate dal Comune di Vittorio Veneto non sarebbero qualificabili come essenziali e, pertanto, non potrebbero essere sanzionate ai sensi dell’art. 31 del DPR 380/2001, ma, al più ai sensi dell’art. 34 del T.U. Edilizia.
Anche questo motivo attiene alla tipologia di sanzione applicabile e concerne questioni estranee ai presupposti della sanatoria paesaggistica.
6. Anche il ricorso per motivi aggiunti – con cui è stato impugnato il provvedimento del Comune di Vittorio Veneto del 26/7/2019 di rigetto della variante al permesso di costruire n. 55/2017 – è infondato.
7. Con il motivo A.1 è dedotta la violazione degli artt. 146 e 167 del d.lgs. 42/04 e del principio di differenziazione tra le attività di tutela paesaggistica ed esercizio delle funzioni urbanistico – edilizie.
Il diniego di variante – motivato in considerazione dell’assenza di autorizzazione paesaggistica – è stato adottato dallo stesso dirigente che ha adottato il diniego di sanatoria paesaggistica. Esso, pertanto, è da ritenersi viziato per violazione del principio di separazione tra funzioni di tutela paesaggistica e funzioni edilizie.
Il motivo, proposto per la prima volta con il ricorso per motivi aggiunti come vizio del diniego di variante, non è fondato. Il principio di differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia “è voluta dalla legge ad adeguata prevenzione della possibile commistione in capo al Comune delle due competenze e ad evitare che la valutazione urbanistica possa incidere sull’autonomia di quella, superiore e delegata, paesaggistica.” (T.A.R. Veneto, sez. II, 27 aprile 2018, n. 452). Pertanto, la sua violazione potrebbe rilevare con esclusivo riguardo al provvedimento di diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria che, tuttavia, sotto tale profilo, non è stato impugnato.
8. Infondato è anche il motivo sub A.2 con cui i ricorrenti deducono il vizio di violazione degli artt. 164 e 167 del d.lgs. 42/04 e degli artt. 6 e 14 della L. 241/1990. Sul presupposto che il provvedimento di diniego si fondi anche sull’assunto che la diversa ricomposizione ambientale utilizzerebbe il materiale già presente nell’ambito ex cava Costa d’Andros in difformità dal permesso di costruire 55/2014, i ricorrenti contestano che tale difformità sussista, atteso che il materiale depositato presso il sito è legittimato dal progetto esecutivo della S.S. N. 51 DI Alemagna, variante di Vittorio Veneto (tangenziale est) – collegamento La Sega – Ospedale – 1° stralcio “La sega – Rindola”.
Il motivo non coglie nel segno atteso che il diniego impugnato è fondato esclusivamente sul diniego di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, oggetto del ricorso introduttivo.
9. Con il motivo sub A.3 i ricorrenti si dolgono della violazione della procedura ex art. 28 del DPR 380/2001. In base alla suddetta disposizione, la sanzione ripristinatoria avrebbe dovuto essere irrogata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. L’art. 28 del DPR 380/2001, infatti, afferma che: “Per le opere eseguite da amministrazioni statali, qualora ricorrano le ipotesi di cui all’articolo 27, il responsabile del competente ufficio comunale informa immediatamente la regione e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al quale compete, d’intesa con il presidente della giunta regionale, la adozione dei provvedimenti previsti dal richiamato articolo 27”.
E’ pacifico tra le parti che il suddetto rilievo non sia stato portato all’attenzione del Comune da parte delle ricorrenti, nonostante le plurime istanze autorizzative presentate dal F.A.L. s.r.l., che, in effetti, – come afferma la difesa comunale – si pongono in contraddizione con quanto si asserisce nel ricorso, ovvero che i depositi temporanei di terre e rocce dovrebbero ritenersi assentiti, anche sotto il profilo edilizio, con l’approvazione del progetto esecutivo dell’opera. Tuttavia, tale rilievo se varrebbe, in ipotesi, ad escludere la colpa dell’ente comunale, non è sufficiente ad escludere l’illegittimità del provvedimento, ove il potere sia stato esercitato da un soggetto incompetente.
Tuttavia, dei presupposti di applicabilità al caso di specie dell’articolo 28 D.Lgs. 42/2004, non vi è prova in atti. Oltre a non aver mai la ricorrente rappresentato la suddetta circostanza nella sede procedimentale – nonostante i plurimi contatti intercorsi tra la conduttrice e l’Amministrazione comunale – neppure è stata data evidenza che gli accumuli di materiale oggetto di contestazione provengano dai lavori di escavazione preordinati alla realizzazione dell’opera pubblica.
L’articolo 10, comma 2, D.M. 161/2012 prevede che il deposito del materiale escavato avvenga in conformità al Piano di Utilizzo ed identificando, tramite apposita segnaletica posizionata in modo visibile, le informazioni relative al sito di produzione, le quantità del materiale depositato, nonché i dati amministrativi del Piano di Utilizzo. Dell’esistenza di tale segnaletica sul sito e, quindi, della riconducibilità dei materiali all’opera pubblica non vi è traccia nella documentazione versata agli atti.
10. Neppure fondato è il motivo A.4, con cui è dedotta la violazione degli artt. 5, 27, 31 e 36 del DPR 380/2001 in quanto delle pratiche edilizie non sarebbero stati informati nè ANAS, né il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, né i proprietari dell’area. Non risulta che nei procedimenti edilizi sia mai stata indicata la provenienza delle terre e rocce. Inoltre, nessuna norma imponeva di coinvolgere i proprietari dell’area, atteso che, ai sensi dell’art. 29 del D. P. R. n. 380/2001, la responsabilità della conformità delle opere alla normativa urbanistico-edilizia incombe in capo a “il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore”.
11. Infondato è anche il motivo A.5 che riproduce i motivi sub A, B e C del ricorso introduttivo, per le ragioni già esposte nel trattare delle suddette censure.
Infondato è, inoltre, il motivo A. 6, che ripropone le censure del quarto motivo del ricorso introduttivo, per le ragioni già esposte in tale sede.
In definitiva, il ricorso è infondato.
12. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessive € 3.000,00 oltre IVA e CPA, da dividersi in misura del 50% per ciascuna delle parti convenute costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Alberto Pasi, Presidente
Marco Rinaldi, Primo Referendario
Mariagiovanna Amorizzo, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Mariagiovanna Amorizzo
IL PRESIDENTE
Alberto Pasi
IL SEGRETARIO