DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo – Indagato non titolare del bene oggetto di sequestro – Richiesta di riesame – Interesse concreto ed attuale all’impugnazione – Individuazione – Giudicato amministrativo – Vincolo per il giudice penale – Limiti – Profili di identità tra il giudizio amministrativo e quello penale – DIRITTO DEMANIALE – Concessionari di aree demaniali marittime – Manufatti amovibili – Art. 1, c. 246 l. n. 145-2018 – Disapplicazione per contrasto con l’art. 12, paragrafo 2 della Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein) – artt. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, 180 e 181 D.Lgs. 42/2004, 54-1161 Cod. Nav..
Provvedimento: ORDINANZA
Sezione: RIESAME
Regione:
Città: LECCE
Data di pubblicazione: 10 Gennaio 2020
Numero: Ric. Riun. nn. 123, 124, 125 e 126
Data di udienza: 27 Dicembre 2019
Presidente: CAZZELLA
Estensore: GATTO
Premassima
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo – Indagato non titolare del bene oggetto di sequestro – Richiesta di riesame – Interesse concreto ed attuale all’impugnazione – Individuazione – Giudicato amministrativo – Vincolo per il giudice penale – Limiti – Profili di identità tra il giudizio amministrativo e quello penale – DIRITTO DEMANIALE – Concessionari di aree demaniali marittime – Manufatti amovibili – Art. 1, c. 246 l. n. 145-2018 – Disapplicazione per contrasto con l’art. 12, paragrafo 2 della Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein) – artt. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, 180 e 181 D.Lgs. 42/2004, 54-1161 Cod. Nav..
Massima
TRIBUNALE DI LECCE Sez. Riesame, 10/1/2020 (ud. 27/12/2019), Ordinanza ric. riun. nn. 123, 124, 125 e 126
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Sequestro preventivo – Indagato non titolare del bene oggetto di sequestro – Richiesta di riesame – Interesse concreto ed attuale all’impugnazione – Individuazione.
L’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 c.p.p., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro;
DIRITTO PROCESSUALE PENALE – Giudicato amministrativo – Vincolo per il giudice penale – Limiti – Profili di identità tra il giudizio amministrativo e quello penale.
Il giudicato amministrativo non vincola il Giudice penale, salvo ricorrano quattro profili di identità tra il giudizio amministrativo e quello penale:
Oggettiva: la sentenza definitiva pronunciata in sede giurisdizionale amministrativa deve aver avuto ad oggetto esattamente il medesimo provvedimento amministrativo che viene in rilievo nel giudizio penale o un provvedimento meramente confermativo dello stesso, non precedentemente e tempestivamente impugnato;
Soggettiva: il procedimento penale deve riguardare lo stesso soggetto che ha impugnato il provvedimento della Pubblica Amministrazione innanzi al Giudice amministrativo;
Devolutiva: il giudicato amministrativo vincola il Giudice penale solo in relazione agli specifici profili di illegittimità dedotti innanzi al Giudice amministrativo; il giudicato amministrativo in sede penale copre solo il dedotto, ma non il deducibile;
Probatoria: il Giudice penale deve essere chiamato a decidere sulla base degli stessi elementi istruttori addotti nel precedente giudizio amministrativo; il giudicato amministrativo è superabile, in sede penale, sia alla luce di nuove prove precedentemente non valutate dal Giudice amministrativo, sia in base ad elementi istruttori preesistenti, ma non presi in considerazione nel giudizio extrapenale.
DIRITTO DEMANIALE – Concessionari di aree demaniali marittime – Art. 1, c. 246 l. n. 145-2018 – Disapplicazione per contrasto con l’art. 12, paragrafo 2 della Direttiva 2006/123/CE (Direttiva Bolkestein).
L’ 1 comma 246 della L. 145/2018 (Legge di Stabilità 2019), che consente ai concessionari di aree demaniali marittime di mantenere installati i manufatti amovibili per l’intero anno fino al 31/12/2020, deve essere disapplicato dal Giudice nazionale (e dalla Pubblica Amministrazione) in quanto in contrasto con l’art. 12 paragrafo 2 della Direttiva 2006/123/CE, emanata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio (cd. “Direttiva Bolkestein”), atteso che la disposizione si inserisce all’interno di un sistema di proroghe automatiche e generalizzate ex lege delle concessioni demaniali e riconosce un “vantaggio” ai concessionari uscenti.
Pres. Cazzella, Est Gatto – Ric. Comune di Otranto e altri
Allegato
Titolo Completo
TRIBUNALE DI LECCE Sez. Riesame, 10/1/2020 (ud. 27/12/2019), Ordinanza ric. riun. nn. 123, 124, 125 e 126SENTENZA
N. 123/19 R.M.C.R. (vi sono riuniti i NN. 124/19, 125/19 e 126/19)
N. 10881/18 R.G.N.R.
N. 9156/19 R.G.I.P.
TRIBUNALE DI LECCE
Sezione Riesame
Il Tribunale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei seguenti Magistrati:
– Dott. Carlo Cazzella Presidente
– Dott.ssa Pia Verderosa Giudice
– Dott. Antonio Gatto Giudice rel.
decidendo sulle istanze di riesame ex art. 324 c.p.p. depositate il 16/12/2019 nell’interesse di:
• Comune di Otranto, in persona del Sindaco p.t., Cariddi Pierpaolo;
• Cariddi Pierpaolo, nato a Otranto (LE);
• De Benedetto Cristina, nata a Poggiardo (LE);
• Bello Lorenzo Emanuele, nato a Scorrano (LE);
• De Donno Domenica, nata a Otranto (LE) ;
• Tenore Michele, nato a Maglie (LE);
nel procedimento indicato in epigrafe per i reati di cui agli artt. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, 180 e 181 D.Lgs. 42/2004, 54-1161 Cod. Nav., avverso il decreto emesso dal GIP presso il Tribunale di Lecce in data 26/11/2019 (depositato in pari data), con cui è stato disposto il sequestro preventivo dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra installate dal Comune di Otranto sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto;
esaminati gli atti del procedimento, pervenuti nella cancelleria dell’adito Tribunale distrettuale il 18/12/2019;
uditi i difensori e il Pubblico Ministero procedente nell’odierna udienza camerale e sciogliendo la riserva di cui al separato verbale, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Sommario:
1. La richiesta di sequestro preventivo ………………………………………………………… 3
2. Il decreto di sequestro preventivo ……………………………………………………………. 5
3. Le istanze di riesame …………………………………………………………………………….. 6
4. L’eccezione di nullità per difetto di motivazione …………………………………………. 6
5. Sintesi della complessa vicenda amministrativa ………………………………………… 8
6. Valutazione dell’ammissibilità delle istanze di riesame ………………………………. 11
6.1. Premessa: la mancanza di proprietà o disponibilità del bene …………………… 11
6.2. L’orientamento favorevole all’ammissibilità ……………………………………………. 11
6.3. L’orientamento che afferma l’inammissibilità …………………………………………. 14
6.4. Conclusioni sull’ammissibilità dei ricorsi presentati ………………………………… 16
7. Il sindacato del Giudice penale in presenza di un giudicato amministrativo ….. 16
7.1. Il vaglio del Giudice penale sui provvedimenti amministrativi …………………… 17
7.2. la tesi della “tendenziale vincolatività” del giudicato amministrativo ………….. 19
7.3. La tesi della valutazione ai sensi degli artt. 187 e 192 comma 3 c.p.p. …….. 22
7.4. La tesi della “valutazione discrezionale” del giudicato amministrativo ……….. 27
7.5. L’individuazione del possibile punto di equilibrio …………………………………….. 28
7.6. L’applicazione del principio enucleato al caso di specie ………………………….. 29
8. Il fumus commissi delicti: premessa ……………………………………………………….. 32
9. Il titolo edilizio ……………………………………………………………………………………… 33
10. Il titolo paesaggistico ………………………………………………………………………….. 36
11. Il titolo demaniale ………………………………………………………………………………. 37
12. Violazione della “prescrizione di stagionalità”: i reati ascritti …………………….. 38
13. L’inottemperanza all’Ordinanza di rimozione …………………………………………. 39
14. La disapplicazione dell’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 ……………………. 40
15. L’elemento soggettivo ………………………………………………………………………… 49
16. Il periculum in mora …………………………………………………………………………… 51
17. Spese ……………………………………………………………………………………………… 53
P.Q.M. ………………………………………………………………………………………………….. 53
1. LA RICHIESTA DI SEQUESTRO PREVENTIVO
Con atto del 21/11/2019, la Procura della Repubblica di Lecce chiedeva al GIP presso il medesimo Tribunale l’emissione di un decreto di sequestro preventivo dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra installate dal Comune di Otranto sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto.
In particolare, il Pubblico Ministero procedente, ricostruendo la complessa vicenda amministrativa sottesa al caso in esame, rilevava che il Comune di Otranto, nel corso del 2010, aveva presentato un progetto per la riqualificazione e l’ampliamento del porto turistico, che prevedeva alcuni interventi di sistemazione delle aree a terra e la realizzazione di cinque pontili galleggianti e uno di raccordo per l’attracco di piccole imbarcazioni e natanti da diporto.
In ordine a tale progetto, la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia aveva espresso parere favorevole con “prescrizione di stagionalità”, onerando quindi il Comune proponente dello smontaggio dei pontili galleggianti l’1 novembre di ogni anno e del rimontaggio degli stessi per l’1 maggio, dunque per un periodo massimo di permanenza di sei mesi all’anno.
La predetta prescrizione veniva poi richiamata negli atti autorizzativi resi dalle altre Amministrazioni interessate, tra cui l’Autorizzazione paesaggistica, rilasciata dallo stesso Comune di Otranto.
Tuttavia, ultimati i lavori di realizzazione dell’approdo turistico (collaudati il 30/5/2016), il Comune di Otranto non provvedeva allo smontaggio dei pontili così come previsto, in violazione della prescrizione impostagli.
Nelle more, l’Amministrazione comunale tentava di ottenere la revisione della condizione di stagionalità delle opere, sia in relazione al progetto originario (concretamente realizzato), sia elaborando un nuovo progetto che prevedeva, al posto dei pontili galleggianti, pontili fondati su pali infissi sul fondo, ma con piano di calpestio abbassato di cm. 20 rispetto ai cm. 60 del progetto originario, con permanenza delle strutture per l’intero anno.
Tuttavia, le richieste avanzate dal Comune venivano rigettate con provvedimenti emessi dalla competente Soprintendenza, che trovavano conferma, a seguito di ricorso giurisdizionale amministrativo, nella sentenza n. 1431/2018 emessa dal Consiglio di Stato.
Lo stesso Consiglio di Stato confermava, inoltre, con la successiva sentenza n. 3042/2019, la legittimità dell’ordinanza della Soprintendenza con la quale, in ragione dell’inottemperanza del Comune di Otranto all’obbligo di rimozione dei pontili, veniva intimato forzosamente lo smontaggio degli stessi.
Rilevava, infine, il Pubblico Ministero che, allo stato attuale, nonostante l’obbligo di smontaggio gravante sull’Amministrazione comunale sin dall’autunno 2016 e nonostante le reiterate intimazioni da parte delle altre Amministrazioni interessate alla rimozione dei pontili galleggianti, questi non sono stati ancora disinstallati, anche in ragione – ad avviso del Comune di Otranto – del disposto di cui all’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 (Legge di Stabilità 2019), che consentirebbe di mantenere installate le strutture in questione, ma che – secondo quanto argomentato dal Pubblico Ministero – non potrebbe trovare applicazione al caso di specie per difetto dei presupposti ivi indicati (titolarità di una “concessione” demaniale e “amovibilità” dei manufatti).
Ciò premesso in ordine al fumus commissi delicti, sotto il profilo del periculum in mora, la Pubblica Accusa evidenziava che la libera disponibilità delle opere in questione può certamente aggravare o, comunque, protrarre le conseguenze dei reati oggetto di addebito cautelare, di natura permanente, anche in considerazione delle rilevanti dimensioni dell’intervento, realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e archeologico.
Si osservava, inoltre, che il Comune di Otranto, nonostante due pronunce del Giudice amministrativo passate in giudicato, non ha mai provveduto allo smontaggio dei pontili e non intende procedervi neanche in futuro, avendo rappresentato la volontà di mantenerli installati senza soluzione di continuità.
In particolare, nella richiesta di sequestro preventivo, venivano ascritti agli indagati i seguenti addebiti cautelari:
CARIDDI Pierpaolo – DE BENEDETTO Cristina – BELLO Lorenzo Emanuele – DE DONNO Domenica – TENORE Michele – MAGGIULLI Emanuele Maria
a) del reato di cui all’art. 54 con riferimento all’art. 1161 Cod. Nav. poiché, in concorso tra loro, MAGGIULLI in qualità di responsabile a far data dall’1.8.12 dell’area tecnica del Comune di Otranto e dei servizi “urbanistica, pianificazione territoriale, edilizia privata, lavori pubblici, demanio e patrimonio”, CARIDDI Pierpaolo, TENORE Michele, DE DONNO Domenica, DE BENEDETTO Cristina e BELLO Lorenzo Emanuele, rispettivamente sindaco e componenti della Giunta comunale di Otranto, nonché autori delle delibere di Giunta comunale n. 338 del 6.9.2018, n. 343 del 12.9.2018, n. 380 del 16.10.2019 e n. 382 del 17.10.2019 e determinatori del MAGGIULLI, occupavano arbitrariamente l’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto di complessivi mq. 34.874,56, area assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi del P.P.T.R. Regione Puglia approvato con D.G.R. n. 116/2016 (come modificata con D.G.R. n. 496/2017), di cui il Comune di Otranto aveva la disponibilità in forza dapprima di un “verbale di consegna di pertinenza di demanio pubblico marittimo ad altre amministrazioni dello Stato” n. 79/2011 rilasciato dal Compartimento Marittimo di Gallipoli in data 19.1.11 e successivamente del “Nulla osta all’anticipata occupazione” espresso dal Compartimento Marittimo di Gallipoli in data 21.7.16 (n. prot. 19856);
in particolare, nonostante le plurime diffide ricevute dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto, dall’Ufficio Circondario Marittimo di Otranto e dall’Avvocatura Generale dello Stato di Roma, il MAGGIULLI, anche sulla scorta delle predette Delibere di Giunta Comunale n. 338 del 6.9.2018, n. 343 del 12.9.2018, n. 380 del 16.10.2019 e n. 382 del 17.10.2019, atti di indirizzo con cui era stato dato mandato all’ufficio tecnico di redigere dei progetti di mantenimento dei pontili per l’intero anno solare, ometteva di predisporre lo smontaggio, alla scadenza della stagione estiva e della durata massima di sei mesi, dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra ivi installate dallo stesso Comune di Otranto, così violando la prescrizione posta dall’autorizzazione paesaggistica n. 162 del 2011 rilasciata dal Comune di Otranto (che aveva recepito sul punto la nota n. prot. 11391 del 29.11.10 della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, successivamente ribadita con nota n. 5809 del 20.11.16 della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto), prescrizione di smontaggio la cui osservanza era richiamata dal predetto “Nulla osta all’anticipata occupazione” n. prot. 19856, in forza del quale era stata concessa al Comune la disponibilità dell’area demaniale.
In Otranto, dall’1.11.18 al 30.4.19 e dall’1.11.19 con permanenza
b) del reato di cui all’art. 181 comma 1 d.lgs. n. 42 del 2004 poiché, in concorso tra loro, MAGGIULLI in qualità di responsabile a far data dall’1.8.12 dell’area tecnica del Comune di Otranto e dei servizi “urbanistica, pianificazione territoriale, edilizia privata, lavori pubblici, demanio e patrimonio”, CARIDDI Pierpaolo, TENORE Michele, DE DONNO Domenica, DE BENEDETTO Cristina e BELLO Lorenzo Emanuele, rispettivamente sindaco e componenti della Giunta comunale di Otranto nonché autori delle delibere di Giunta comunale n. 338 del 6.9.2018, n. 343 del 12.9.2018, n. 380 del 16.10.2019 e n. 382 del 17.10.2019, atti di indirizzo con cui era stato dato mandato all’ufficio di redigere dei progetti di mantenimento dei pontili per l’intero anno solare e determinatori del MAGGIULLI, mantenevano sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto, area assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi del P.P.T.R. Regione Puglia approvato con D.G.R. n. 116/2016 (come modificata con D.G.R. n. 496/2017), i pontili galleggianti e le sistemazioni delle aree a terra ivi installate dallo stesso Comune di Otranto, omettendo di disporne lo smontaggio, alla scadenza della stagione estiva e della durata massima di sei mesi, in difformità a quanto prescritto dall’Autorizzazione paesaggistica n. 162/2011 rilasciata dallo stesso Comune di Otranto.
In Otranto, dall’1.11.18 al 30.4.19 e dall’1.11.19 con permanenza
d) del reato di cui all’art. 180 del d.lgs. n. 42 del 2004 con riferimento all’art. 650 c.p. poiché in concorso tra loro, MAGGIULLI in qualità di responsabile a far data dall’1.8.12 dell’area tecnica del Comune di Otranto e dei servizi “urbanistica, pianificazione territoriale, edilizia privata, lavori pubblici, demanio e patrimonio”, CARIDDI Pierpaolo, TENORE Michele, DE DONNO Domenica, DE BENEDETTO Cristina e BELLO Lorenzo Emanuele, rispettivamente sindaco e componenti della Giunta comunale di Otranto nonché autori delle delibere di Giunta comunale n. 338 del 6.9.2018, n. 343 del 12.9.2018, n. 380 del 16.10.2019 e n. 382 del 17.10.2019, atti di indirizzo con cui era stato dato mandato all’ufficio tecnico di redigere dei progetti di mantenimento dei pontili per l’intero anno solare e determinatori del MAGGIULLI, non ottemperavano all’ordine di smontaggio dei pontili e delle sistemazioni delle aree a terra installate dal Comune di Otranto sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto, ordine impartito dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto giusta nota n. prot. MIBAC —SABAP —LE 0020505 del 25.10.18.
In Otranto, dall’1.11.18 al 30.4.19 e dall’1.11.19 con permanenza
MAGGIULLI Emanuele Maria
c) del reato di cui all’art. 44 comma 1 lett. b) e c) del D.P.R. n. 380 del 2001 poiché in qualità di responsabile a far data dall’1.8.12 dell’area tecnica del Comune di Otranto e dei servizi “urbanistica, pianificazione territoriale, edilizia privata, lavori pubblici, demanio e patrimonio” realizzava, in assenza di permesso di costruire, sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto, area assoggettata a vincolo paesaggistico ai sensi del P.P.T.R. Regione Puglia approvato con D.G.R. n. 116/2016 (come modificata con D.G.R. n. 496/2017), dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra.
In Otranto, il 30.5.16
2. IL DECRETO DI SEQUESTRO PREVENTIVO
In data 26/11/2019, il GIP presso il Tribunale di Lecce emetteva decreto di sequestro preventivo dei beni sopra indicati, ritenendo la sussistenza, a carico degli indagati, del fumus commissi delicti inerente ai reati loro rispettivamente ascritti, ravvisando, altresì, la ricorrenza di esigenze di prevenzione tali da giustificare l’apposizione del vincolo reale.
Il Giudice di prime cure, pertanto, ribadiva e sviluppava le argomentazioni poste dal Pubblico Ministero istante a fondamento della richiesta avanzata, ordinando il sequestro preventivo “dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra installate dal Comune di Otranto sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto”.
3. LE ISTANZE DI RIESAME
Nell’interporre riesame avverso il predetto provvedimento, i difensori dei ricorrenti, con articolate memorie, lamentano l’illegittimità del provvedimento cautelare, deducendo che:
• il decreto di sequestro preventivo adottato dal GIP presso il Tribunale di Lecce risulterebbe nullo per difetto assoluto di motivazione, in quanto il Giudice di prima istanza si sarebbe limitato ad aderire acriticamente alla ricostruzione della Pubblica Accusa, senza indicarne le specifiche ragioni;
• il reato demaniale previsto dagli artt. 54-1161 Cod. Nav. non ricorrerebbe atteso che la disponibilità dell’area sarebbe stata ottenuta dal Comune di Otranto mediante il rilascio in suo favore di titoli abilitativi tuttora validi ed efficaci;
• il reato edilizio di cui all’art. 44 lett. c ) D.P.R. 380/2001 non sussisterebbe perché l’opera in questione (che sarebbe qualificabile come “punto di ormeggio”, secondo la normativa portuale) risulterebbe realizzabile senza alcun titolo abilitativo edilizio, ai sensi dell’art. 31 D.Lgs. 79/2011; in ogni caso, non necessiterebbe un Permesso di costruire, in quanto l’opera è stata realizzata da un’Amministrazione comunale ai sensi dell’art. 7 lett. c) D.P.R. 380/2001;
• gli altri reati contestati (diversi da quello edilizio) non ricorrerebbero perché le relative condotte risulterebbero “coperte”, dunque legittimate, dall’applicazione al caso di specie dell’art. 1 comma 246 L. 145/2018 (Legge di Stabilità 2019), che, con operatività “automatica”, dunque senza alcuna necessità di presentare un’istanza alle Amministrazioni coinvolte, consentirebbe espressamente di mantenere installati i manufatti amovibili che vengono in rilievo nel caso di specie (i pontili galleggianti allocati nell’area portuale di Otranto); sul punto, inoltre, contrariamente a quanto opinato dal Pubblico Ministero procedente, le difese rilevano che non sarebbe necessaria una “concessione”, essendo sufficiente un “titolo” di disponibilità dell’area demaniale e che il carattere “amovibile” delle strutture in esame non può essere messo in discussione;
• in ogni caso, l’entrata in vigore dell’art. 1 comma 246 L. 145/2018 avrebbe ingenerato negli indagati la convinzione di muoversi nell’ambito di una facoltà legittima loro riconosciuta direttamente dalla legge: questa sarebbe stata, dunque, la ragione del mancato smontaggio dei pontili;
• non sussisterebbe, infine, il requisito del periculum in mora per poter disporre il sequestro preventivo, in quanto l’opera realizzata non arrecherebbe alcun pregiudizio ai beni giuridici tutelati dalle fattispecie incriminatrici oggetto di contestazione, con particolare riferimento al vincolo paesaggistico insistente sull’area interessata dall’intervento.
Le singole argomentazioni sviluppate dalle difese dei ricorrenti verranno partitamente analizzate nei paragrafi che seguono.
4. L’ECCEZIONE DI NULLITÀ PER DIFETTO DI MOTIVAZIONE
Le difese eccepiscono la nullità del decreto genetico applicativo della misura cautelare reale oggetto di gravame, in ragione dell’asserita mancanza, nell’ambito dello stesso, del requisito della “autonoma valutazione” imposto dalla L. 47/2015, che ha modificato, in tal senso, il tenore letterale dell’art. 309 comma 9 c.p.p. (applicabile in materia cautelare reale in virtù del richiamo operato dall’art. 324 comma 7 c.p.p.).
In particolare, i difensori asseriscono che il decreto impugnato sarebbe privo dei contenuti critici e delle valutazioni che devono supportare il provvedimento di sequestro preventivo.
Il GIP presso il Tribunale di Lecce si sarebbe limitato a riportare il contenuto della richiesta avanzata dall’Ufficio di Procura, privando così, di fatto, di motivazione il provvedimento; avrebbe semplicemente trasposto nel decreto le considerazioni espresse dal Pubblico Ministero, senza apportare il necessario vaglio critico.
Da ciò deriva la richiesta di annullamento del provvedimento cautelare oggetto di impugnazione ai sensi degli artt. 324 comma 7 e 309 comma 9 c.p.p., con conseguente dissequestro dell’opera realizzata.
L’eccezione difensiva risulta infondata ove si consideri che, sebbene il Giudice di prime cure abbia riportato nella propria ordinanza la richiesta formulata dal Pubblico Ministero, alle pagg. 12-14 ha inserito valutazioni pienamente personali in ordine agli addebiti cautelari.
La predetta tecnica redazionale (che può essere definita “tecnica della glossa”) se, da un lato, utilizza lo schema della motivazione ob relationem, per evidenti ragioni di economia processuale, al fine di evitare inutili e dispendiose ricostruzioni narrative talvolta solo descrittive, dall’altro, esalta (e fa risaltare anche graficamente), quella “autonoma valutazione” ormai espressamente richiesta dal Legislatore.
La tecnica redazionale della “glossa” ha trovato pieno avallo in una pronuncia della Cassazione, proprio in materia cautelare, successiva all’entrata in vigore della L. 47/2015 (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 2778 del 24/11/2015 – 21/1/2016, Papaluta).
Nella fattispecie sottoposta all’esame della Corte, in cui la difesa dell’indagato censurava l’insussistenza di un’“autonoma valutazione” da parte del GIP, se, da un lato, il Giudice aveva fatto ampio ricorso allo strumento informatico del “copia-incolla”, riportando integralmente la domanda cautelare del Pubblico Ministero, dall’altro, aveva condensato le proprie valutazioni in un apposito paragrafo, significativamente rubricato “Le considerazioni svolte da questo Giudice”, che riassumeva i motivi di condivisione della richiesta avanzata dalla Pubblica Accusa.
La Suprema Corte ha affermato che “la tecnica motivazionale adottata dal Giudice per le indagini preliminari è coerente con le linee ermeneutiche tracciate dalla Corte di legittimità”, precisando che la motivazione del provvedimento cautelare applicativo “deve esprimere con chiarezza l’avvenuto esercizio della funzione di controllo affidata al Giudice: il che non impone una riscrittura degli elementi di prova con “parole diverse”, ma onera l’organo cui è affidato il controllo ad ostendere il percorso logico che sostiene la decisione attraverso una, pur sintetica ma autonoma, valutazione della legittimità e consistenza degli elementi disponibili”.
Secondo i Giudici di legittimità, “il rinvio (attraverso la copiatura della richiesta del Pubblico Ministero) ha una sua autosufficienza limitata alla “descrizione” degli elementi posti a sostegno della misura, ma tale autosufficienza non può estendersi alla ratifica della “valutazione” che di tale compendio ha effettuato il Pubblico Ministero richiedente”. Ciò premesso, l’“autonoma valutazione”, imposta espressamente dal Legislatore del 2015, è certamente suscettibile di essere compendiata in un paragrafo aggiuntivo, in cui il GIP racchiude il suo personale sindacato in ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi della misura richiesta.
Può essere, in tal modo, soddisfatta la dicotomia “descrizione-valutazione”, richiamata in diverse sentenze della Suprema Corte, attraverso la difficile ricerca del punto di equilibrio tra motivazione per relationem e motivazione autonoma.
Nel caso sottoposto all’esame di questo Collegio, il Giudice di prime cure, pur facendo uso della tecnica del copia-incolla, richiamando la richiesta formulata dal Pubblico Ministero, ha espresso proprie personali considerazioni in relazione a ciascun singolo capo di imputazione provvisoria (considerazioni riportate nelle richiamate pagg. 12-14).
Ciò, non soltanto in relazione al fumus commissi delicti inerente a ciascun singolo capo dell’editto accusatorio, ma anche in ordine alle esigenze cautelari.
Sotto quest’ultimo profilo, in maniera del tutto autonoma rispetto alle deduzioni del Pubblico Ministero richiedente, il GIP presso il Tribunale di Lecce ha affermato che, “in punto di periculum in mora è sufficiente osservare che il mantenimento delle strutture in oggetto oltre il termine stagionale ne consente un più che probabile uso annuale che implica una nuova domanda di servizi ed infrastrutture, destinata ad aggravare il carico urbanistico, e a compromettere ulteriormente il contesto paesaggistico tutelato, in quanto il rischio di offesa al territorio e all’equilibrio ambientale, perdura in stretta connessione con l’utilizzazione delle strutture medesime”.
In conclusione, deve ritenersi destituita di fondamento l’eccezione difensiva che censura l’ordinanza impugnata per difetto di motivazione.
5. SINTESI DELLA COMPLESSA VICENDA AMMINISTRATIVA
La vicenda che ci occupa ha inizio quando, nel corso del 2010, il Comune di Otranto presenta un progetto per la “riqualificazione del porto turistico di Otranto”, che prevedeva l’installazione di cinque pontili paralleli, oltre ad un ulteriore pontile di raccordo (tutti galleggianti, ancorati a corpi morti in calcestruzzo adagiati sul fondale, ai quali sono assicurati da catenarie), all’interno del preesistente porto, da destinare ai natanti da diporto a fini turistici.
Il progetto veniva approvato, ma con la prescrizione di rimuovere i pontili galleggianti durante la stagione invernale, nel periodo compreso tra l’1 novembre e il 30 aprile, con facoltà di tenere installate le strutture, pertanto, per un periodo annuale massimo di sei mesi, dall’1 maggio al 31 ottobre.
Il presente procedimento penale ha avvio, in quanto, nonostante la compiuta realizzazione dei lavori, completati e collaudati nel 2016 (collaudo del 30/5/2016), il Comune di Otranto, che era onerato a farlo in base al progetto approvato, non ha mai rimosso i pontili galleggianti. L’Amministrazione comunale si è invece attivata, sia in sede giurisdizionale amministrativa, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della prescrizione stagionale imposta dalla Soprintendenza, sia in sede ammnistrativa, presentando nuovi progetti che, con alcune modifiche ai pontili (non più galleggianti, ma fissati su pali e abbassati di cm. 20 rispetto al piano di calpestio attuale), avevano il fine ultimo di consentire la permanenza della struttura per l’intero anno, senza alcun obbligo di smontaggio e rimontaggio stagionale, in base a valutazioni di carattere tecnico, economico e anche paesaggistico-ambientale, relative alle controindicazioni presentate dalla necessità di provvedere, ogni anno, a montare e rimontare i pontili.
Tuttavia, né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale, il Comune riusciva ad ottenere provvedimenti favorevoli, atteso che i ricorsi presentati al Giudice amministrativo venivano, dopo essere stati accolti dal TAR Puglia, Sez. Lecce, in primo grado, rigettati dal Consiglio di Stato; mentre, la conferenza di servizi avviata per la realizzazione del nuovo progetto, a causa del persistente diniego della Soprintendenza alla permanenza annuale dei pontili, veniva bocciato, da ultimo, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, interessata della questione a seguito dell’opposizione presentata dalla stessa Soprintendenza rispetto alla decisione assunta dalla conferenza di servizi a maggioranza.
Un’ulteriore conferenza di servizi è stata successivamente avviata dal Comune di Otranto, sempre allo scopo di non essere costretto a rimuovere i pontili ogni anno, ma il relativo iter è ancora in corso di definizione.
Intanto, il Comune veniva attinto da alcune ordinanze delle altre Amministrazioni interessate alla realizzazione dell’opera, che intimavano la rimozione stagionale dei pontili, così come previsto dal progetto realizzato. Una di queste, emessa dalla Soprintendenza, veniva impugnata dall’Amministrazione comunale innanzi al Giudice amministrativo, ma, dopo un primo accoglimento del ricorso innanzi al TAR Puglia, Sez. Lecce, il ricorso veniva definitivamente rigettato dal Consiglio di Stato nel 2019 (seconda delle due sentenze del Consiglio di Stato cui si è sopra fatto riferimento).
In particolare, le indagini espletate hanno evidenziato che il Comune di Otranto occupa l’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” nella zona della c.d. “Aia delle fabbriche” (corrispondente al fg. 45 p.lla 208 per la parte a terra e p.lla z per lo specchio acqueo corrispondente del N.C.T. del medesimo Comune) sin dall’anno 2011 e che sin dall’anno 2016 risulta aver installato sulle stesse dei pontili galleggianti, con sistemazione delle aree a terra (cfr. verbale di collaudo tecnico-amministrativo del 30/5/2016).
In particolare, al fine di realizzare alcune opere di riqualificazione del porto turistico, il Comune di Otranto otteneva dal Compartimento Marittimo di Gallipoli la temporanea consegna in uso ai sensi dell’art. 34 del Cod. Nav. della suddetta area a mezzo di verbale n. 79/11 del 19/1/2011.
Va, altresì, evidenziato che il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Puglia – Basilicata (nota prot. n. 0011849-08/11/2011) aveva, espresso, su richiesta della stessa Capitaneria di Porto di Gallipoli, il proprio nulla osta alla realizzazione delle opere, precisando che il medesimo non dispensava il Comune dall’acquisizione delle autorizzazioni “di competenza di altre Amministrazioni dello Stato interessate”.
In questa ottica, lo stesso Comune aveva già richiesto e ottenuto, in sede di valutazione del progetto preliminare delle opere, il parere della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia (prot. n. 11391 del 29/11/2010). Detto parere prescriveva espressamente come condizione che “i pontili galleggianti vengano smontati al termine della stagione estiva, ossia che vengano installati per un massimo di sei mesi all’anno onde mitigare l’impatto paesaggistico e restituire l’integrità panoramica, nonché consentire interventi di manutenzione”.
Lo stesso parere della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia veniva in seguito espressamente recepito in seno all’Autorizzazione paesaggistica n. 162/2011 rilasciata dal Comune di Otranto in data 21/10/2011. Quest’ultima stabilisce, infatti, nella parte dispositiva, “di concedere alla ditta Comune di Otranto per l’intervento in questione, l’Autorizzazione paesaggistica (….) alle condizioni e prescrizioni riportate nella nota prot. n. 11391 del 29/11/2010 della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia di Bari”.
Successivamente, con nota prot. n. 11307 del 22 giugno 2016, il Comune di Otranto indirizzava alla Capitaneria di Porto di Gallipoli un’istanza “di riconsegna area demaniale con temporanea richiesta di utilizzo senza continuità dell’area e delle opere pubbliche realizzate ed istanza per presa in consegna area ex art. 34 del Cod. Nav.”. In riscontro alla stessa il Compartimento Marittimo di Gallipoli, in data 21/7/2016, esprimeva il proprio “Nulla osta all’anticipata occupazione” ex art. 38 del Codice della Navigazione (prot. n. 19856). Quest’ultimo titolo abilitativo espressamente prevede come sua causa di revoca e/o decadenza l’“inadempienza degli obblighi derivanti dalla gestione delle opere in discorso o degli obblighi imposti dalle norme di legge o dai regolamenti vigenti nelle materie direttamente e/o di riflesso coinvolte”, specificando altresì che il suo rilascio “non esime codesta Civica Amministrazione dal richiedere ed ottenere i nulla-osta/autorizzazioni/permessi dagli Enti/organismi cui le leggi e/o i regolamenti demandino specifiche competenze nelle materie direttamente e/o di riflesso connesse al presente provvedimento”.
In data 4/10/2016, il Comune di Otranto avanzava, con nota prot. n. 17659, istanza ex art. 146 del D.Lgs. 42/2004, chiedendo la “revisione della prescrizione” posta dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia nel parere prot. n. 11391 del 29/11/2010, recepita dallo stesso Comune di Otranto in seno all’Autorizzazione Paesaggistica n. 162/2011, rilasciata con riguardo al progetto di riqualificazione del porto turistico e alla realizzazione degli ormeggi e della sistemazione delle aree a terra.
Detta istanza era volta, in particolare, ad ottenere la revoca della prescrizione dello smontaggio dei pontili galleggianti al termine dei sei mesi di stagione estiva. Più segnatamente l’Amministrazione comunale adduceva a sostegno della propria richiesta una serie di difficoltà di ordine tecnico e finanziario che avrebbero reso inopportuna l’operazione.
A tale istanza dava riscontro, il 2/11/2016, una nota della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto (prot. n. 5809) che rigettava l’istanza di revisione, confermando “la condizione di stagionalità estiva (massimo sei mesi) dei pontili galleggianti” e richiamando le motivazioni già espresse nell’ambito del parere rilasciato nel 2010.
Avverso tale rigetto, l’Amministrazione comunale proponeva impugnazione a mezzo di ricorso per motivi aggiunti nell’ambito del giudizio già incardinato dinanzi al TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, per l’annullamento di altro e diverso provvedimento espresso sulla medesima vicenda dalla Soprintendenza.
Il giudizio di merito di primo grado si concludeva con l’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti proposto dal Comune di Otranto.
Tuttavia, detta pronuncia veniva fatta oggetto di riforma da parte del Consiglio di Stato con sentenza n. 1431 del 6/3/2018. Rovesciando l’esito del giudizio di prime cure, il Supremo Consesso riconosceva la piena legittimità della nota prot. n. 5809 del 2/11/2016, sottolineando come le prospettate esigenze di natura economica e finanziaria non fossero in realtà “sopravvenute”, ma fossero da valutare da parte del Comune sin dalla redazione del progetto originario (che già prevedeva lo smontaggio periodico dei pontili). La stessa pronuncia evidenziava peraltro che, come era stato correttamente rilevato dalla Soprintendenza, “l’opera stabile che intende mantenere il Comune non ha più i requisiti di reversibilità e stagionalità, sicché il suo mantenimento in loco comporta l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”.
A fronte di siffatto dictum giudiziale, che aveva riconosciuto la piena legittimità della prescrizione di smontaggio in prossimità della scadenza della stagione estiva 2018, in data 17/9/2018, l’Ufficio Tecnico Comunale di Otranto procedeva, sulla scorta delle Delibere di Giunta Comunale n. 338 del 6/9/2018 e n. 343 del 12/9/2018, ad indire, con nota prot. n. 20311, una conferenza di servizi decisoria ex art. 14 e ss. della L. 241 del 1990 per la valutazione di un nuovo progetto che, con una riduzione di altezza di cm. 20, prevedeva il “mantenimento dei pontili galleggianti nel porto turistico di Otranto per i sei mesi restanti dell’anno”. A detta conferenza prendeva parte la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto che ribadiva il proprio dissenso (vedasi nota prot. n. MIBAC – SABAP – LE 0020505 del 25/10/2018, di cui alla comunicazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto prot. n. 0020506 del 25/10/2018), precisando come le prescrizioni già poste dai precedenti pareri potessero essere soddisfatte “unicamente attraverso la rimozione stagionale dei pontili, ovvero in alternativa, con la totale eliminazione degli stessi”. Con la medesima nota la Soprintendenza intimava, ai sensi dell’art. 180 del D.Lgs. 42/2004, all’Amministrazione comunale di Otranto di procedere allo smontaggio dei pontili.
Nonostante il dissenso espresso dalla Soprintendenza, in data 26/10/2018, la predetta conferenza di servizi si concludeva con una dichiarazione di “posizioni prevalenti favorevoli” al progetto di “riduzione altezza e mantenimento pontili galleggianti approdo turistico di Otranto nei restanti mesi dell’anno”. Avverso detta determinazione conclusiva veniva proposta dalla Soprintendenza, a mezzo nota prot. n. 21135 del 6/11/2018, opposizione ex art. 14 quinquies della L. 241/1990.
Con delibera del 20/5/2019, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, accoglieva l’opposizione, condividendo espressamente le motivazioni esposte dal Ministero per i beni e le attività culturali e ritenendo il mantenimento dei pontili per tutto l’anno “paesaggisticamente incompatibile”.
Il Comune di Otranto proponeva impugnazione avverso la nota di prot. n. 20505 del 25/10/2018, con la quale la Soprintendenza aveva ordinato all’Amministrazione comunale di provvedere entro trenta giorni dalla notifica alla rimozione dei pontili, ottenendone in primo grado l’annullamento con sentenza del TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, n. 34 del 12/1/2019.
Il Consiglio di Stato, adito in grado di appello, riformava detta pronuncia. In particolare con sentenza, Sez. VI, n. 3042 del 9 maggio 2019, veniva stigmatizzata apertamente la condotta del Comune, il quale“ha voluto leggere riduttivamente il precetto giurisprudenziale [n.d.r. il dictum reso con la precedente sentenza n. 1431 del 2018] mettendo in ombra la chiarissima disposizione che censura in sé lo stabile mantenimento in loco”, con ciò riconoscendo la legittimità dell’Ordinanza emessa dalla Soprintendenza per l’esecuzione del giudicato mediante la rimozione dei pontili.
Alle pronunce appena viste ha, da ultimo, fatto seguito la formulazione di ulteriori diffide allo smontaggio da parte di differenti soggetti istituzionali. Più segnatamente sono state inoltrate all’Amministrazione comunale le diffide dell’Ufficio Circondario Marittimo di Otranto del 10/10/2019 (prot. n. 0010722) e dell’Avvocatura Generale dello Stato di Roma (C.T. 28442/17 sez. 4^).
In risposta, il Comune di Otranto, sulla scorta delle deliberazioni di Giunta comunale n. 380 del 16/10/2019 e n. 382 del 17/10/2019, ha indetto con nota del 17/10/2019 (prot. n. 21775) una nuova conferenza di servizi per l’autorizzazione al mantenimento dei pontili anche in periodo invernale, fissando per il 18/11/2019 lo svolgimento della prima riunione. Detta prima riunione si è conclusa con un rinvio dei lavori al prossimo 15/1/2020.
6. VALUTAZIONE DELL’AMMISSIBILITÀ DELLE ISTANZE DI RIESAME
6.1. PREMESSA: LA MANCANZA DI PROPRIETÀ O DISPONIBILITÀ DEL BENE
Sia in ragione del disposto di cui all’art. 591 comma 2 c.p.p. (“il Giudice dell’impugnazione, anche di ufficio, dichiara con ordinanza l’inammissibilità e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato”), sia alla luce dell’eccezione sollevata dal Pubblico Ministero procedente nel corso dell’udienza camerale del 27/12/2019, risulta preliminare l’esame dell’ammissibilità dei gravami formulati avverso il decreto di sequestro preventivo impugnato.
In particolare, occorre verificare se l’indagato, in quanto tale, non proprietario del bene attinto dal provvedimento di sequestro e che non ha neppure la mera disponibilità dello stesso, possa o meno formulare istanza di riesame avverso il provvedimento cautelare reale.
La questione è rilevante, nel caso di specie, atteso che i ricorsi sottoposti all’esame di questo Tribunale sono stati presentati, oltre che dal Comune di Otranto, tramite il Sindaco, rappresentante legale dell’Ente, anche dagli indagati: Cariddi Pierpaolo (Sindaco del Comune, ma in qualità di persona fisica), De Benedetto Cristina, Bello Lorenzo Emanuele, Tenore Michele e De Donno Domenica (tutti indagati nel presente procedimento e assessori del Comune di Otranto).
6.2. L’ORIENTAMENTO FAVOREVOLE ALL’AMMISSIBILITÀ
In merito, il primo orientamento formatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità era certamente favorevole a riconoscere l’ammissibilità dell’istanza di riesame avanzata dall’indagato, a prescindere dalla circostanza che questi fosse proprietario o che avesse la disponibilità del bene colpito dal sequestro preventivo o che avesse o meno diritto alla restituzione dello stesso.
Secondo questo filone interpretativo, “all’indagato è sempre riconosciuto l’interesse a proporre richiesta di riesame contro il sequestro indipendentemente dal fatto che i beni oggetto del provvedimento siano stati sottratti alla sua disponibilità o a quella di terzi” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 1052 del 06/03/1996 – dep. 26/04/1996, Mora, Rv. 204990 – 01; successivamente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 10049 del 01/02/2005 – dep. 15/03/2005, Bonucci ed altro, Rv. 230853 – 01).
La medesima impostazione si rinviene anche in anni più recenti, atteso che, in tema di appello (ma con argomentazioni certamente estensibili all’istanza di riesame), la Suprema Corte ha affermato che “la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo è legittimata a richiedere l’appello, ex art. 322-bis cod. proc. pen., di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprietà di terzi, non potendosi contestare l’interesse al gravame ogni qual volta venga in discussione la natura del reato o la qualificazione giuridica del fatto o comunque sia configurabile un’influenza sul procedimento penale” (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 21724 del 20/04/2005 – dep. 08/06/2005, Ventrone, Rv. 231374 – 01).
Ancor più recentemente si è sostenuto che “l’interesse alla proposizione della richiesta di riesame di un provvedimento di sequestro preventivo sussiste in capo all’imputato (o indagato) pur quando il sequestro abbia ad oggetto beni intestati a terzi, perché l’interesse si misura sulla possibilità del dissequestro, a prescindere dalla spettanza del diritto alla restituzione dei beni” (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011 – dep. 01/09/2011, Chiriaco, Rv. 251091 – 01).
Tale indirizzo interpretativo pone l’accento sul tenore letterale del primo comma dell’art. 322 c.p.p., secondo cui “contro il decreto di sequestro emesso dal Giudice l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’articolo 324”.
La legittimazione prevista in favore dell’imputato si estende ovviamente all’indagato in forza dell’art. 61 comma 1 c.p.p., che statuisce che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari”.
Si afferma, dunque, che non può essere revocato in dubbio che l’indagato (o imputato) sia “legittimato” alla formulazione della richiesta di riesame, proprio in virtù di quanto chiaramente stabilito dall’art. 322 del codice di rito.
A sostegno della tesi, si richiama anche il disposto di cui all’art. 568 comma 3 c.p.p., secondo cui: “Il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce. Se la legge non distingue tra le diverse parti, tale diritto spetta a ciascuna di esse”.
La statuizione è contenuta tra le “Disposizioni generali” in materia di “Impugnazioni” (artt. 568-592 c.p.p., Titolo I del Libro IX del codice di rito), norme che, nei limiti della compatibilità, trovano certamente applicazione anche ai gravami avverso provvedimenti applicativi di misure cautelari reali e personali.
Tuttavia, una tale impostazione non distingue i due diversi concetti di “legittimazione all’impugnazione” e di “interesse all’impugnazione”, finendo per farli coincidere.
Sicuramente l’indagato, in forza di quanto previsto dall’art. 322 comma 1 c.p.p., è legittimato ad impugnare con istanza di riesame un decreto di sequestro preventivo, ma ciò non significa che, per ciò stesso, egli sia anche titolare dell’interesse alla formulazione del gravame.
Trattasi di concetti evidentemente distinti, atteso che l’art. 568 comma 4 c.p.p. (posto subito dopo il terzo comma della medesima disposizione, che disciplina la legittimazione), aggiunge che “per proporre impugnazione è necessario avervi interesse”.
È lo stesso disposto dell’art. 568 c.p.p., pertanto, a chiarire che, ai fini dell’ammissibilità del gravame, la sola legittimazione all’impugnazione non è sufficiente, essendo indispensabile anche la sussistenza di un concreto e attuale interesse ad impugnare.
L’assunto risulta pienamente confermato dalla lettura dell’art. 591 comma 1 c.p.p., la cui lett. a) prevede che l’impugnazione è inammissibile “quando è proposta da chi non è legittimato o non ha interesse”. L’utilizzo della congiunzione disgiuntiva “o” chiarisce che l’atto di gravame va dichiarato inammissibile, sia quando è proposto da soggetto non legittimato, sia quando è formulato da soggetto che non ha interesse ad impugnare: è sufficiente che una sola di queste due condizioni negative si verifichi perché l’atto di impugnazione risulti inammissibile.
Alcune pronunce dell’orientamento interpretativo in esame, che si fanno carico di individuare un possibile interesse all’impugnazione da parte dell’indagato che non ha diritto alla restituzione del bene sottoposto a sequestro, sostengono che vi sarebbe “interesse al gravame ogni qual volta venga in discussione la natura del reato o la qualificazione giuridica del fatto o comunque sia configurabile un’influenza sul procedimento penale” (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 21724 del 20/04/2005 – dep. 08/06/2005, Ventrone, Rv. 231374 – 01).
Anche tale impostazione, tuttavia, non appare condivisibile alla luce della piena autonomia esistente tra procedimento cautelare (personale o reale) e giudizio di merito: qualunque sia la qualificazione giuridica del fatto-reato operata dal Giudice cautelare o, più in generale, qualunque sia la sua statuizione in ordine alla sussistenza del fumus commissi delicti, essa non produrrà mai alcun effetto nel processo di merito, considerato che il Giudice del giudizio di merito (giudizio principale) rimarrà sempre e comunque libero di discostarsi, sotto ogni profilo, dalle decisioni adottate in sede cautelare (di natura ancillare rispetto a quello principale).
Anzi, vale semmai l’esatto contrario: in parallelo all’evolversi del procedimento di merito, sono le decisioni assunte nell’ambito di tale iter processuale ad affievolire gradatamente fin quasi ad annullare lo spettro valutativo del Giudice cautelare.
Il principio generale di autonomia valutativa tra giudizio cautelare e giudizio di merito, dunque, correlativamente all’evolversi del giudizio di cognizione, va sempre più modificandosi, ma non certamente in favore del giudizio cautelare, bensì a vantaggio di quello di merito, in virtù del “principio dell’assorbimento”, secondo cui le decisioni adottate in sede di merito “assorbono” le valutazioni cautelari, con conseguente impossibilità per il Giudice cautelare di discostarsene, se non in presenza di nuovi elementi istruttori, non ancora sottoposti all’esame del Giudice della cognizione.
In materia di misure cautelari reali (considerazioni in parte differenti valgono per le misure personali), tale “preclusione valutativa” per il Giudice cautelare scatta già con l’emissione del decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 429 c.p.p. e, ovviamente, tale spazio di valutazione si riduce ulteriormente con le sentenze che definiscono i vari gradi di giudizio.
Invero, è assunto assolutamente pacifico quello secondo cui non è proponibile, in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro preventivo, la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato – che spiega efficacia preclusiva alla delibazione del fumus del reato (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 30596 del 17/04/2009 – dep. 23/07/2009, Cecchi Gori, Rv. 244476 – 01; nello stesso senso anche: Sez. 2, n. 49188 del 09/09/2015 – dep. 14/12/2015, Masone, Rv. 265556 – 01; Sez. 3, n. 44639 del 29/09/2015 – dep. 06/11/2015, De Simone e altri, Rv. 26557001; Sez. 5, n. 4906 del 21/07/1998 – dep. 19/08/1998, Frattasio, Rv. 211969 – 01; Sez. 1, n. 5039 del 18/09/1997 – dep. 28/11/1997, P.G. e Scibilia, Rv. 208969 – 01; negli stessi termini, in materia di decreto di giudizio immediato, si veda Sez. 5, n. 50522 del 20/09/2018 – dep. 07/11/2018, Spada Ottavio, Rv. 27444501).
Alla luce di tali considerazioni, l’interesse all’impugnazione del decreto di sequestro preventivo mediante istanza di riesame non può dunque essere rinvenuto semplicemente nell’interesse ad ottenere una pronuncia del Giudice cautelare sul fumus commissi delicti ritenendo di potersene giovare (in ipotesi di esito positivo) nel giudizio di merito, atteso che ogni sua statuizione sul punto non potrà che recedere di fronte alle successive determinazioni del Giudice di merito.
In alcune pronunce che propugnano il criticato indirizzo ermeneutico, la Suprema Corte ha tentato di percorrere un’altra strada, sostenendo che l’interesse dell’indagato a presentare l’istanza di riesame reale “si misura sulla possibilità del dissequestro, a prescindere dalla spettanza del diritto alla restituzione dei beni” (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011 – dep. 01/09/2011, Chiriaco, Rv. 251091 – 01).
Sul punto, appare possibile replicare che il “fine ultimo” dell’istanza di riesame, il “risultato fisiologico” di tale iter procedimentale non può che essere individuato nella restituzione del bene sequestrato in favore del soggetto istante, non nel semplice dissequestro con consegna del bene ad un soggetto terzo.
In primo luogo, sotto un profilo squisitamente utilitaristico, è ipotizzabile che l’indagato abbia l’interesse esattamente contrario, cioè quello alla persistenza del vincolo interinale, atteso che, con il dissequestro e la consegna ad un soggetto diverso dall’indagato-istante, il bene, precedentemente custodito su disposizione dell’Autorità giudiziaria e secondo le prescrizioni da questa impartite, finirebbe nelle mani di un soggetto terzo, con conseguente possibilità che venga alienato, distrutto, disperso o danneggiato.
Lo stesso soggetto terzo titolare del bene, inoltre, potrebbe non avere alcun interesse alla riconsegna, in considerazione dello scarso valore economico, degli eventuali oneri che la sua disponibilità comporterebbe o per altre ragioni sopravvenute o anche preesistenti al provvedimento di sequestro.
Sotto il profilo strettamente giuridico, la tesi secondo la quale il “fine ultimo” del riesame non può che essere la restituzione del bene attinto dal sequestro in favore del soggetto istante sembra avallata dal disposto dell’art. 322 comma 1 c.p.p., che, legittimando alla formulazione dell’istanza di riesame (oltre all’imputato e al suo difensore) un soggetto totalmente estraneo al procedimento penale semplicemente in quanto “persona alla quale le cose sono state sequestrate” o “quella che avrebbe diritto alla loro restituzione”, incentra proprio sulla proprietà-disponibilità del bene e sul conseguente diritto alla restituzione la legittimazione all’impugnazione e l’intero iter procedimentale di riesame.
D’altro canto, la natura ontologicamente “rivendivativa” (nel senso di rei vindicatio) della procedura di riesame è conferma dall’art. 324 comma 8 c.p.p., secondo cui “il Giudice del riesame, nel caso di contestazione della proprietà, rinvia la decisione della controversia al Giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro”: ciò corrobora la tesi secondo cui l’istante deve chiedere il dissequestro per sé e non in favore di altri, rispetto ai quali, anzi, può entrare in conflitto (effettivo o meramente potenziale) in ordine alla restituzione della res.
6.3. L’ORIENTAMENTO CHE AFFERMA L’INAMMISSIBILITÀ
Le valutazioni sopra esposte inducono, quindi, a ritenere maggiormente condivisibile il diverso approccio interpretativo, secondo cui “l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro”: in motivazione, la Corte ha precisato che è onere di chi impugna indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sostengono la sua relazione con la cosa sottoposta a sequestro, idonea a consentire la restituzione del bene in proprio favore (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 3602 del 16/01/2019 – dep. 24/01/2019, Solinas Angelo Maria, Rv. 276545 – 01; nello stesso senso: Sez. 3, n. 9947 del 20/01/2016 – dep. 10/03/2016, Piances, Rv. 266713 – 01).
In virtù di tale orientamento interpretativo è stata dichiarata inammissibile l’istanza di riesame formulata dall’indagato volta ad ottenere il dissequestro:
• di una società a responsabilità limitata, con richiesta presentata dall’indagato in proprio e non quale legale rappresentante della stessa mediante un difensore munito procura speciale (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 6779 del 08/01/2019 – dep. 12/02/2019, Firriolo, Rv. 274992 – 01);
• di beni in sequestro di proprietà di una società in accomandita, in quanto, sebbene l’imputato ne fosse il legale rappresentante, aveva presentato il ricorso in proprio (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 47313 del 17/05/2017 – dep. 13/10/2017, Ruan e altri, Rv. 271231 – 01);
• di un veicolo che, sebbene usato dall’indagato per più trasporti di rifiuti, era però risultato di proprietà di terzi (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 35072 del 12/04/2016 – dep. 19/08/2016, Held, Rv. 267672 – 01);
• del fabbricato abusivamente realizzato in ipotesi di reato edilizio, richiesta avanzata dall’indagato in qualità di progettista dell’opera abusiva, non potendo questi vantare sulla medesima un diritto di proprietà o altro diritto in forza del quale poter aspirare, in caso di rimozione del vincolo cautelare, alla restituzione della cosa sequestrata (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 30008 del 08/04/2016 – dep. 14/07/2016, Conte, Rv. 267336 – 01);
• di alcune società, di cui l’istante affermava l’altruità, in ipotesi di decreto di sequestro preventivo di beni disposto per il reato di bancarotta fraudolenta (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 20118 del 20/04/2015 – dep. 14/05/2015, Marenco, Rv. 263799 – 01);
• di beni a lui ritenuti riferibili dall’Autorità giudiziaria procedente, ma dei quali lo stesso indagato istante negava la titolarità e la disponibilità (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 15998 del 28/02/2014 – dep. 10/04/2014, Pascale, Rv. 259601 – 01);
• di beni oggetto del reato di trasferimento fraudolento di valori, con impugnazione del decreto di sequestro preventivo di beni di cui l’indagato affermava l’altruità (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 7292 del 12/12/2013 – dep. 14/02/2014, Lesto, Rv. 259412 – 01);
• di un autoveicolo sottoposto a sequestro, di cui l’indagato ricorrente non era proprietario (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 11496 del 21/10/2013 – dep. 10/03/2014, Castellaccio, Rv. 262612 – 01);
• di un bene, asserendo unicamente di non essere titolare del medesimo bene sottoposto a sequestro preventivo (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 10205 del 18/01/2013 – dep. 04/03/2013, Loccisano, Rv. 255225 – 01);
• di un bene sottoposto a sequestrato, asserendo la proprietà e disponibilità di un terzo (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 13037 del 18/02/2009 – dep. 25/03/2009, Giorgi , Rv. 243554 – 01);
• dei libri sociali e della documentazione contabile di una società di capitali, da parte del socio di minoranza indagato (Cass. pen., Sez. 5, n. 44036 del 21/10/2008 – dep. 25/11/2008, Rv. 241673 – 01);
• dell’automobile sequestrata da parte di colui che risultava essere semplicemente l’autista dell’auto, di proprietà di una società finanziaria e concessa in locazione ad un terzo soggetto (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 6151 del 20/12/2004 – dep. 17/02/2005, Nita, Rv. 230964 – 01);
• dell’opera abusiva, richiesta avanzata dall’indagato solo in quanto architetto-progettista del manufatto, il quale, pur concorrente nel reato edilizio, non poteva vantare sul medesimo un diritto di proprietà o altro diritto in forza del quale, ove il vincolo cautelare fosse stato rimosso, avrebbe potuto aspirare alla restituzione della cosa sequestrata (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 2158 del 15/06/1998 – dep. 28/07/1998, Mazzesi, Rv. 212233 – 01);
• di beni appartenenti alla moglie, convivente dell’indagato, in regime di separazione dei beni (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 5039 del 18/09/1997 – dep. 28/11/1997, P.G. e Scibilia, Rv. 208970 – 01).
Tutte le predette pronunce chiariscono, dunque, come solo l’indagato (o imputato) che abbia la proprietà o almeno la disponibilità del bene sottoposto a sequestro preventivo abbia un concreto ed attuale interesse all’impugnazione del provvedimento che ha disposto il sequestro, potendo in tal modo richiedere la restituzione in suo favore del bene attinto dalla misura cautelare reale.
Inoltre, ai sensi dell’art. 581 comma 1 lett. d) c.p.p., è l’impugnante a dover indicare, a pena di inammissibilità, i “motivi”, le “ragioni di diritto” e gli “elementi di fatto” “che sorreggono ogni richiesta”.
6.4. CONCLUSIONI SULL’AMMISSIBILITÀ DEI RICORSI PRESENTATI
Tutto ciò premesso, occorre rilevare, come già anticipato, che cinque dei sei ricorsi sottoposti all’esame di questo Collegio sono stati formulati nell’interesse di altrettanti indagati: Cariddi Pierpaolo (Sindaco del Comune, ma in qualità di persona fisica), De Benedetto Cristina, Bello Lorenzo Emanuele, Tenore Michele e De Donno Domenica (assessori del Comune di Otranto).
Questi ultimi, pacificamente, non sono né proprietari dei beni sottoposti a sequestro preventivo (i pontili galleggianti dell’approdo turistico di Otranto), né hanno la disponibilità dei predetti beni, né vantano alcuna relazione particolare con i medesimi.
Peraltro, i cinque indagati agiscono in nome proprio, quali singole persone fisiche, non in rappresentanza di enti o persone giuridiche.
Conseguentemente i ricorsi presentati da Cariddi Pierpaolo (in qualità di persona fisica), De Benedetto Cristina, Bello Lorenzo Emanuele, Tenore Michele e De Donno Domenica vanno dichiarati inammissibili per difetto di interesse all’impugnazione.
Certamente ammissibile è, invece, il ricorso formulato da Cariddi Pierpaolo, in qualità di Sindaco del Comune di Otranto, in quanto rappresentante legale dell’Ente, persona giuridica diversa dal Cariddi persona fisica.
Il Comune di Otranto, infatti, come emerge dalla ricostruzione della vicenda amministrativa effettuata nei paragrafi precedenti, è l’Ente che ha chiesto e ottenuto dall’Autorità marittima la disponibilità dell’area demaniale in questione per la creazione dell’approdo turistico, realizzando poi l’intervento, ultimato nel 2016.
Il medesimo Ente, inoltre, vanta ancora oggi un valido titolo all’occupazione dell’area demaniale (occupazione anticipata ex art. 38 Cod. Nav.) ed ha presentato anche un secondo progetto, che prevede la sostituzione dei pontili galleggianti con pontili su pali, che – nelle intenzioni dell’Amministrazione comunale – dovrebbero rimanere installati per l’intero anno e non per la sola stagione estiva.
È attualmente in corso, inoltre, una conferenza di servizi per l’esame di un terzo progetto formulato dall’Amministrazione comunale, sempre allo scopo di non rimuovere i pontili installati nell’area portuale durante la stagione invernale, come invece più volte prescritto dalla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto.
Non v’è dubbio, pertanto, che il Comune di Otranto abbia una “relazione qualificata” con i beni attinti dal provvedimento di sequestro preventivo, che lo legittima all’impugnazione e lo rende portatore di un interesse tutelabile in sede di gravame cautelare reale.
7. IL SINDACATO DEL GIUDICE PENALE IN PRESENZA DI UN GIUDICATO AMMINISTRATIVO
Come si comprende agevolmente dalla sintesi della assai articolata vicenda amministrativa che caratterizza il caso di specie, vengono in rilievo molteplici atti amministrativi, primi tra tutti gli atti autorizzativi che, pur consentendo la realizzazione dell’opera posta in essere dal Comune di Otranto, hanno specificamente imposto la “prescrizione di stagionalità”, cioè l’obbligo per il Comune di smontare i pontili galleggianti installati nel porto di Otranto per tutta la durata della stagione invernale (dall’1 novembre al 30 aprile di ogni anno).
Si è anche detto di come l’onere in questione sia stato costantemente disatteso dall’Amministrazione comunale, nonché dell’intervento di ben quattro sentenze del Giudice amministrativo, di cui due hanno acquisito autorità di giudicato.
Ciò premesso, appare dunque opportuno esaminare preliminarmente la questione attinente al sindacato del Giudice penale sugli atti emanati dalla Pubblica Amministrazione, con particolare riferimento all’ipotesi in cui su tali atti sia intervenuto un pronunciamento del Giudice amministrativo ormai divenuto irrevocabile.
7.1. IL VAGLIO DEL GIUDICE PENALE SUI PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
È noto come la questione del sindacato del Giudice penale sui titoli abilitativi in campo edilizio nasca in giurisprudenza intorno agli anni ottanta, scaturendo dall’interpretazione data alla formulazione dell’art. 17 lett b) L. 10/1977 (cd. Legge Bucalossi), poi modificato nell’art. 20 lett. b) L. 47/1985 e ora nell’art. 44 lett. b) D.P.R. 380/2001.
In particolare, in relazione alla possibile equiparazione tra assenza e illegittimità del titolo, la giurisprudenza degli anni ottanta patrocinò diverse impostazioni a seconda della soluzione data al quesito di quale fosse l’interesse tutelato dalle norme urbanistiche.
Ed invero, secondo un primo orientamento, quest’ultimo andava ricercato non nel mero controllo amministrativo sull’attività urbanistica, ma nel corretto assetto del territorio, sicché il Giudice, per apprestare tutela a tale interesse, doveva sindacare anche l’illegittimità sostanziale del provvedimento concessorio, con conseguente equiparazione, quanto alla configurazione del reato, tra titolo illegittimo e titolo assente.
Altro e diverso orientamento, invece, sosteneva che l’interesse sotteso alle norme richiamate si concretizzasse nel controllo dell’attività edilizia da parte della Pubblica Amministrazione, da cui derivava che il Giudice, di fronte ad un provvedimento formalmente emanato dall’autorità competente, non poteva che limitarsi ad una verifica di tipo “estrinseco”, inerente cioè ai suoi aspetti formali, senza entrare in alcun sindacato di legittimità sostanziale.
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la nota sentenza Giordano (cfr. Cass. pen., Sez. U, n. 3 del 31/01/1987 – dep. 17/02/1987, Giordano, Rv. 176304), censurarono recisamente la strada tracciata dai sostenitori del primo orientamento, escludendo espressamente la possibilità di ricorrere all’istituto della disapplicazione.
Ed invero, il Supremo Collegio ha precisato “che le norme in questione non introducono affatto un principio generalizzato di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi da parte del Giudice ordinario (sia esso civile o penale) per esigenze di diritto oggettivo, ma che, al contrario, il controllo sulla legittimità dell’atto amministrativo è stato rigorosamente limitato dal Legislatore ai soli atti incidenti negativamente sui diritti soggettivi ed alla specifica condizione che si tratti di accertamento incidentale, che lasci persistere gli effetti che l’atto medesimo è capace di produrre all’esterno del giudizio”, l’interesse tutelato dalla disciplina edilizia è quello pubblico di sottoporre tale attività al preventivo controllo della Pubblica Amministrazione.
Cosicché, stante la circostanza per cui il reato edilizio sussiste solo in caso di assenza del permesso di costruire, l’applicazione delle norme citate anche al caso di titolo esistente, ma illegittimo, avrebbe significato effettuare un’operazione di interpretazione analogica in malam partem.
In parziale deroga a quanto ora evidenziato, peraltro, le Sezioni Unite osservarono che, quando l’atto è affetto da patologie così macroscopiche da essere considerato tamquam non esset – come nel caso di assoluta carenza di potere dell’autorità emanante ovvero di concerto criminoso con il privato – il Giudice non incontra alcun limite alla disapplicazione.
Tanto chiarito in ordine all’utilizzo del rimedio della disapplicazione, in giurisprudenza rimaneva ancora aperto il dibattito relativo alla configurabilità di un reato edilizio anche in presenza di una costruzione regolarmente assentita da un titolo edilizio illegittimo.
Tale querelle, come noto, venne nuovamente affrontata dalle Sezioni Unite che, con la altrettanto rinomata sentenza Borgia (cfr. Cass. pen., Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993 – dep. 21/12/1993, P.M. in proc. Borgia ed altri, Rv. 195359), seguendo un percorso argomentativo del tutto diverso, giunsero a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle rassegnate con la sentenza Giordano.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “al Giudice penale non è affidato alcun c.d. sindacato sull’atto amministrativo (concessione edilizia), ma – nell’esercizio della potestà penale – è tenuto ad accertare la conformità tra ipotesi di fatto (opera eseguenda o eseguita) e fattispecie legale, in vista dell’interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (…). In considerazione dell’enunciato principio, non può ritenersi che, sussistendo l’accertata aporia dell’opera edilizia rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il Giudice penale debba ugualmente concludere per la mancanza di illiceità penale solo perché sia stata rilasciata la concessione edilizia, la quale nel suo contenuto, nonché per le caratteristiche strutturali e formali dell’atto, non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
Cosicché, precisato che l’oggetto della tutela penale non si identifica nel “bene strumentale” del controllo e della disciplina degli usi del territorio, ma riguarda la tutela dell’assetto del territorio in conformità alla normativa urbanistica, il Giudice, dopo aver valutato che l’opera è contrastante con le disposizioni normative di settore, le previsioni degli strumenti urbanistici e le prescrizioni dei regolamenti edilizi, non deve fare ricorso alla procedura di disapplicazione, ma ponendosi nell’ottica del bene giuridico tutelato, deve limitarsi ad affermare la contrarietà dell’opera rispetto all’elemento normativo della fattispecie, a tal fine sindacando l’atto amministrativo legittimo per coglierne la compatibilità con le norme di settore.
Con un successivo arresto (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006 – dep. 21/06/2006, PM in proc. Tantillo e altro, Rv. 234469 – 01) la Corte di Cassazione ha poi ribadito i principi enunciati dalla sentenza Borgia affermando che: “a) il Giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo edilizio, procede ad un’identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna “disapplicazione” riconducibile all’enunciato della L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E), art. 5, né incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice; b) la “macroscopica illegittimità” del provvedimento amministrativo non è condizione essenziale per la configurabilità di un’ipotesi di reato D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ex art. 44; mentre (a prescindere da eventuali collusioni dolose con organi dell’amministrazione) l’accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di illegalità costituisce un significativo indice di riscontro dell’elemento soggettivo della contravvenzione contestata anche riguardo all’apprezzamento della colpa” (in questo senso anche Cass. pen., Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018 – dep. 17/12/2018, PMT c/ Iodice, Rv. 275565 – 01).
A partire dal 1993, pertanto, non è mai più stato messo in discussione il potere-dovere del Giudice penale di esprimere un’incidentale valutazione di regolarità dell’atto amministrativo ampliativo della sfera giuridica del destinatario, laddove ciò si renda necessario ai fini del decidere, non solo in ipotesi di carenza assoluta di potere o di illiceità del provvedimento, ma anche in caso di (mera) illegittimità dello stesso (ipotesi statisticamente ben più rilevante).
Anche assai recentemente, è stato statuito che, in tema di reati edilizi, il Giudice penale può verificare in via incidentale l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria che lo rende privo di validi effetti, in quanto contrastante con le previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, dovendosi escludere che il mero dato formale dell’esistenza di tale permesso precluda al Giudice ogni valutazione in ordine alla sussistenza del reato (Cass. pen., Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017 – dep. 15/03/2017, Minosi, Rv. 27117001; nello stesso senso: Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017 – dep. 10/10/2017, Menga e altri, Rv. 273218 – 01; Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008 – dep. 01/07/2008, Papa, Rv. 240728).
Ancor prima è stato affermato che, qualora emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l’intervento realizzato, per il quale sia stato rilasciato un titolo abilitativo, il Giudice penale è in ogni caso tenuto a verificare incidentalmente la legittimità di quest’ultimo, senza che ciò comporti la sua eventuale “disapplicazione”, in quanto tale provvedimento non è sufficiente a definire di per sé – ovvero prescindendo dal quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, e dalle rappresentazioni di progetto alla base della sua emissione – lo statuto di legalità dell’opera realizzata (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015 – dep. 09/09/2015, Faiola, Rv. 265034).
Sicché, in materia di violazione dell’art. 44 del D.P.R. n. 380 del 2001, la non conformità dell’atto amministrativo alla normativa che ne regola l’emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia e alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l’atto sia illecito, e cioè frutto di attività criminosa, ma anche nell’ipotesi in cui l’emanazione dell’atto medesimo sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge o nel caso di mancato rispetto delle norme che regolano l’esercizio del potere (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 37847 del 14/05/2013 – dep. 16/09/2013, Sorini, Rv. 256971).
Da ultimo, la Suprema Corte ha ribadito che il rilascio del permesso di costruire non esclude l’affermazione della penale responsabilità per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove emerga una difformità tra la normativa urbanistica ed edilizia e l’intervento realizzato, né impone l’eventuale “disapplicazione” dell’atto amministrativo, limitandosi il Giudice ad accertare la conformità del fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, prescindendo da qualunque giudizio su detto atto amministrativo (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017 – dep. 07/07/2017, P.G. e altri in proc. Puglisi e altri, Rv. 27064401; negli stessi termini Sez. 3, n. 41620 del 02/10/2007 – dep. 13/11/2007, Emelino, Rv. 237995).
Così compiutamente ricostruita l’evoluzione giurisprudenziale in materia, occorre concludere che l’esercizio del sindacato incidentale del Giudice penale sulla legittimità dell’atto amministrativo non è escluso dalla mera formale esistenza di un titolo abilitativo, dovendo invece analiticamente e dettagliatamente verificare se il predetto titolo (con le relative prescrizioni) sia stato adottato in presenza delle condizioni di legge.
Tale ampio potere valutativo del Giudice penale può trovare, tuttavia, un limite nell’intervenuta formazione di un giudicato amministrativo che affermi la legittimità o l’illegittimità di un determinato provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione.
Si pone, dunque, il problema di comprendere se e in che limiti una sentenza del Giudice amministrativo sia vincolante nell’ambito del giudizio penale.
7.2. LA TESI DELLA “TENDENZIALE VINCOLATIVITÀ” DEL GIUDICATO AMMINISTRATIVO
Il punto di partenza nell’analisi della problematica in questione può essere rinvenuto in una pronuncia della Suprema Corte del 1996, con la quale è stata affermata l’assoluta preclusione valutativa del Giudice penale rispetto ad un provvedimento amministrativo già vagliato dall’Autorità giudiziaria amministrativa con sentenza passata in giudicato: “L’Autorità giudiziaria ordinaria non ha il potere di valutare la conformità a legge di un “arret” di un’altra giurisdizione (nella specie, una sentenza del Tribunale amministrativo regionale coperta da giudicato): ciò in quanto il cittadino – pena la vanificazione dei suoi diritti civili – non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall’ordinamento”; fattispecie in tema di configurabilità del reato di costruzione senza concessione edilizia, e di conseguente provvedimento di sequestro, nonostante l’esistenza di una pronunzia definitiva del TAR che affermava la legittimità della costruzione (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 54 del 11/01/1996 – dep. 03/04/1996, Ciaburri, Rv. 204622 – 01).
Sulla stessa linea si pone una sentenza successiva, anch’essa ispirata dalla necessità di non dare luogo ad un contrasto tra giudicati, suscettibile di vulnerare l’esigenza di certezza su cui si fonda l’ordinamento giuridico. È stato, infatti, affermato che, “in materia edilizia, il potere del Giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia, e conseguentemente di valutare la legittimità di eventuali provvedimenti amministrativi concessori o autorizzatori, trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del Giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 39707 del 05/06/2003 – dep. 21/10/2003, Lubrano di Scorpianello, Rv. 226592 – 01; afferma, in generale, il medesimo principio anche Sez. 3, n. 1894 del 14/12/2006 – dep. 23/01/2007, P.M. in proc. Bruno e altro, Rv. 235644 – 01, sebbene poi, concretamente, rilevi che non vincola il Giudice penale una decisione del Giudice amministrativo che abbia annullato un provvedimento amministrativo solo per difetto di motivazione).
Un arresto ancor più recente giustifica tale impostazione in quanto “il sindacato del Giudice ordinario sul titolo abilitativo edilizio non differisce da quello esercitato dal Giudice amministrativo, non potendo qualificarsi meno rigorosa la valutazione di quest’ultimo solo perché obbligato ad effettuare una comparazione degli interessi, pubblico e privato, tra loro contrapposti” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 1896 del 18/10/2011 – dep. 18/01/2012, Valentini e altro, Rv. 251876 – 01).
Una simile impostazione, tuttavia, nella sua radicalità, non appare condivisibile e rischia – interpretata in termini assoluti – di privare il Giudice penale del necessario spazio deliberativo in presenza di sentenze del Giudice amministrativo alle quali, pur passate in autorità di cosa giudicata, non v’è ragione di riconoscere alcuna efficacia vincolante nell’ambito del processo penale: si pensi, ad esempio, alla sentenza che annulli l’atto amministrativo per vizi formali o per difetto di motivazione, oppure alla sentenza che abbia analizzato un profilo di illegittimità totalmente differente rispetto a quello su cui si fonda l’imputazione penale.
In alcune pronunce, la Suprema Corte ha dunque cercato di farsi carico della questione, tentando di cesellare gli effettivi limiti alla vincolatività del giudicato amministrativo in sede penale.
In tale filone ermeneutico si pongono tutte quelle sentenze che effettuano dei distinguo, cercando di enucleare le specifiche aree tematiche coperte dal giudicato amministrativo e così, al contempo, lo spettro valutativo residuale, nella disponibilità dell’Autorità giudiziaria penale.
Già a partire dal 2011, dunque, si susseguono diverse prese di posizione più attente a focalizzare l’esatta estensione del giudicato amministrativo in chiave preclusiva per il Giudice penale.
È stato, infatti, statuito che “al Giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del Giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa”. La Corte, in motivazione, afferma che, “anche in considerazione del carattere autonomo della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e della assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del Giudice ordinario di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo”, è da ritenere che “tale effetto preclusivo sussista con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale del Giudice amministrativo passato in giudicato, che abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale, dovendo altrimenti ritenersi (…) che la preclusione del cosiddetto giudicato amministrativo non si estende a tutte le questioni deducibili, ma esclusivamente a quelle che sono state dedotte ed effettivamente decise” (cfr. Cass. pen., Sez. 1, n. 11596 del 11/01/2011 – dep. 23/03/2011, P.G. in proc. Keller, Rv. 249871 – 01).
In questa prospettiva è stato statuito che “al Giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del Giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa”: fattispecie in cui la Corte ha giudicato immune da censure il provvedimento impugnato che aveva confermato il sequestro preventivo di uno stabilimento balneare per il reato previsto dagli artt. 54 e 1161 Cod. Nav. previa “disapplicazione” della concessione demaniale ritenuta illegittima perché priva di durata determinabile, a fronte di una pronuncia del TAR che si era limitata a verificare, ed escludere, che detta concessione dovesse essere dichiarata “scaduta” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014 – dep. 23/10/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612 – 01).
Una successiva pronuncia, ribadendo il medesimo principio, afferma che la vincolatività del giudicato amministrativo nel processo penale può essere considerata solo “tendenziale”: essa – si afferma – va esclusa non solo in relazione a profili di illegittimità differenti da quelli analizzati in sede giurisdizionale amministrativa, ma anche nel caso in cui la sentenza del Giudice amministrativo abbia riguardato situazioni o persone diverse da quelle coinvolte nel giudizio penale, sebbene ritenute “identiche”, “non potendo spiegare alcun effetto nel procedimento penale una valutazione che il Giudice amministrativo ha effettuato con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, hanno comunque riguardato soggetti e circostanze diverse” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 30171 del 04/06/2015 – dep. 14/07/2015, P.M. in proc. Serafini, Rv. 264393 – 01).
Altre sentenze si sono poi preoccupate di chiarire che, ai fini della vincolatività del Giudice penale, non rileva, né la circostanza che sia in corso una controversia avente ad oggetto il provvedimento amministrativo da cui dipende l’esistenza del reato, né che tale atto sia stato sospeso, in via cautelare, in sede giurisdizionale amministrativa, “atteso che l’effetto preclusivo per il Giudice penale delle decisioni del Giudice amministrativo, circa la legittimità dei provvedimenti che costituiscono il presupposto dell’illecito penale, è limitato alle sentenze irrevocabili” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 3538 del 18/11/2015 – dep. 27/01/2016, Morra, Rv. 266083 – 01).
Nello stesso senso, è stato stabilito che, “in tema di lottizzazione abusiva, il potere del Giudice di disporre la confisca dei terreni lottizzati trova un limite esclusivamente nei provvedimenti giurisdizionali del Giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o dell’autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell’opera”: fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse ritenersi tale la sospensione da parte del Consiglio di Stato dell’efficacia dei provvedimenti di sgombero adottati dal Comune (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 50189 del 09/12/2015 – dep. 21/12/2015, Comune di Golfo Aranci e altri, Rv. 265416 – 01).
Ancor più recentemente, sempre nel solco della “tendenziale vincolatività” del giudicato amministrativo, si è precisato che “la valutazione del Giudice penale in ordine alla legittimità di un atto amministrativo, costituente il presupposto di un reato, non è preclusa da un giudicato amministrativo formatosi all’esito di una controversia instaurata sulla base di documentazione incompleta, o comunque fondata su elementi di fatto rappresentati in modo parziale o addirittura non veritiero, sempre che tali criticità risultino da dati obiettivi preesistenti e sconosciuti al Giudice amministrativo, ovvero sopravvenuti alla formazione del giudicato” (cfr. Cass. Pen., Sez. 3, n. 31282 del 24/05/2017 – dep. 22/06/2017, PG in proc. Merelli e altri, Rv. 27027601).
La medesima tesi è stata da ultimo ribadita confermando che, “al Giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del Giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, non dedotti ed effettivamente decisi dal Giudice amministrativo” (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 17991 del 20/03/2018 – dep. 20/04/2018, Cusani e altri, Rv. 272890 – 01).
In una pronuncia intervenuta proprio nell’ambito di un procedimento incidentale cautelare reale, nella quale non si prende espressamente posizione in ordine alla vincolatività o meno del giudicato amministrativo, la Suprema Corte ha affermato che, “in tema di reati edilizi, laddove sulla legittimità della concessione vi sia stata una pronuncia del Giudice amministrativo, al Tribunale del Riesame è consentita soltanto l’opzione tra due soluzioni tra esse alternative, quella cioè di ritenere vincolante il dictum dell’Autorità giudiziaria amministrativa, in tal caso adeguandovisi ancorché non condividendolo, oppure quella di ritenerlo non vincolante, con la conseguenza di potersene discostare facendo autonome valutazioni sulla legittimità del titolo ampliativo”: nella specie, la Corte ha ritenuto viziata per perplessità e contraddittorietà l’ordinanza del Tribunale del Riesame con la quale era stata negata la correttezza della pronuncia irrevocabile del Giudice amministrativo concernente la validità di un provvedimento di concessione edilizia e, riconosciuta la sussistenza del fumus di commissione dell’illecito edilizio, erano state ritenute insussistenti le esigenze cautelari (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 46471 del 20/09/2012 – dep. 30/11/2012, P.M. in proc. Valentini e altro, Rv. 253919 – 01).
La sentenza in questione, dunque, pur non chiarendo quale sia il valore da riconoscere al giudicato amministrativo in sede penale, statuisce – condivisibilmente – che, qualora il Giudice cautelare penale si ritenga vincolato dalla sentenza amministrativa passata in giudicato in relazione al fumus commissi delicti, per elementari ragioni di coerenza intrinseca, non può poi discostarsi dalle decisioni del Giudice amministrativo, esprimendo considerazioni dissimili, trattando il tema del periculum in mora.
7.3. LA TESI DELLA VALUTAZIONE AI SENSI DEGLI ARTT. 187 E 192 COMMA 3 C.P.P.
Tuttavia, non si può ritenere che l’orientamento appena illustrato possa essere definito ormai pacifico, atteso che, accanto a quest’ultimo che, come si è detto, propugna la tesi della “tendenziale vincolatività” del giudicato amministrativo per il Giudice penale, ve n’è un altro, di segno diametralmente opposto, che, con andamento carsico, si riaffaccia non raramente ad affermare l’assoluta assenza di vincolatività in sede penale delle sentenze amministrative, pur ormai divenute cosa giudicata e indipendentemente dal loro contenuto (esame di vizi procedimentali o formali, oppure vaglio penetrante della legittimità del provvedimento adottato dalla Pubblica Amministrazione).
Infatti, il tema della valenza del giudicato amministrativo nel processo penale incrocia un’altra problematica di indubbio rilievo: l’individuazione della disposizione codicistica che consente l’acquisizione della sentenza amministrativa passata in giudicato al processo penale, la “porta d’ingresso” del giudicato amministrativo nel giudizio penale.
La questione assume peculiare rilievo non soltanto in termini “acquisitivi” (come la sentenza amministrativa confluisce nel processo penale), ma anche in termini strettamente “valutativi” (verifica dell’efficacia da riconoscere al giudicato), considerato che la disposizione che, in alcune pronunce della Suprema Corte, viene richiamata ingloba in sé, sia una norma acquisitiva (prevedendo espressamente la possibilità di acquisire nel giudizio penale sentenze irrevocabili), sia una norma valutativa (disciplinando anche il valore probatorio che a tali sentenze deve essere riconosciuto).
Si tratta dell’art. 238 bis c.p.p., secondo cui “fermo quanto previsto dall’articolo 236, le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3”.
La norma è pacificamente applicabile alle sentenze penali irrevocabili che, in virtù di tale disposizione, possono confluire in processi penali diversi rispetto a quello in cui sono state pronunciate. Assai più controversa è l’applicabilità di tale statuizione codicistica a sentenze extrapenali (civili, amministrative e tributarie).
Quanto ai parametri valutativi indicati, invece, non v’è dubbio che le predette sentenze, una volta divenute irrevocabili, possano essere acquisite “ai fini della prova di fatto in esse accertato” e debbano essere “valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3”.
L’art. 187 c.p.p., circoscrivendo lo spettro tematico coperto dalla prova penale, chiarisce che i “fatti” rilevanti per il processo penale e dunque “oggetto di prova”, sono:
1) quelli che si riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza;
2) quelli da cui dipende l’applicazione di norme processuali;
3) quelli inerenti alla responsabilità civile, qualora vi sia costituzione di parte civile.
Il parametro squisitamente valutativo richiamato è, invece, quello sancito dall’art. 192 comma 3 c.p.p., norma che disciplina la valenza probatoria delle dichiarazioni rese da coimputato o da imputato in un procedimento connesso, imponendo che tali propalazioni, per assurgere a dignità di “prova”, necessitino di “riscontri esterni individualizzanti”: “Le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”.
La norma in questione trova applicazione anche in sede cautelare, ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, in virtù dell’esplicito richiamo operato dall’art. 273 comma 1 bis c.p.p.
Appare del tutto evidente, quindi, che, se si ritiene che le sentenze amministrative passate in giudicato confluiscano nel procedimento penale ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., non soltanto alle stesse non può essere riconosciuto alcun valore di giudicato, ma neppure risultano suscettibili, di per sé considerate (in assenza di riscontri estrinseci), di integrare né una “prova oltre ogni ragionevole dubbio” in sede dibattimentale (art. 533 comma 1 c.p.p.), né una piattaforma indiziaria connotata dalla necessaria gravità in sede cautelare (art. 273 comma 1 bis c.p.p.).
In una pronuncia del 2011 (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 10210 del 24/02/2011 – dep. 14/03/2011, P.C. in proc. Musumeci e altro, Rv. 249592 – 01), la Suprema Corte ha ritenuto che “le sentenze del Giudice amministrativo, ancorché definitive, non vincolano quello penale ed una volta acquisite agli atti del dibattimento sono liberamente valutabili ai fini della decisione”, proprio muovendo dal presupposto della (potenziale) applicazione dell’art. 238 bis c.p.p. anche alle sentenze pronunciate dal Giudice amministrativo e non soltanto a quelle emesse dal Giudice penale.
In motivazione, la Corte afferma che “ben può (…) concludersi in modo difforme rispetto a pronunce del Tribunale amministrativo, anche se esse abbiano ad oggetto singoli spezzoni di condotta, pure valutati in sede penale”: “Nel vigente ordinamento processuale l’art. 238 bis c.p.p. si limita, infatti, a consentire l’acquisizione in dibattimento di sentenze (non necessariamente solo penali) divenute irrevocabili, ma dispone che esse siano valutate a norma dell’art. 187 e art. 192, comma 3, stesso codice, “ai fini della prova del fatto in esse accertato” (Cass. pen. sez. 6^, 10136/98 Rv. 211566). Pertanto le pronunzie del Giudice amministrativo, pur definitive, non vincolano il Giudice penale, ma possono soltanto essere acquisite agli atti del dibattimento per essere liberamente considerate ai fini della decisione (cfr. Cass. pen. sez. 3^, 39358/2008 per una sentenza del Giudice tributario) e tale libera autonoma valutazione ben può concludersi, se ragionevolmente argomentata – come nella specie – in modo difforme dall’assunto dei Giudici amministrativi. Principio che ha trovato, del resto e per altro verso, un’espressa conferma normativa nella delimitazione della cognizione del Giudice penale in rapporto alle questioni c.d. incidentali contenuta nell’art. 2 cpv. c.p.p., il quale dispone per l’appunto che “la decisione del Giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo”, così ribadendo l’esclusione dell’autorità di giudicato delle relative decisioni”.
A tale assunto appare agevole replicare che l’art. 2 c.p.p. statuisce che “la decisione del Giudice penale che risolve incidentalmente una questione civile, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo”.
È, invero, del tutto ragionevole non riconoscere alcuna efficacia vincolante alla decisione di una questione, specie se di natura extrapenale, assunta “incidentalmente” dal Giudice penale.
Ben altra valenza ha invece, nell’ambito di altri giudizi, in termini di “giudicato”, ai sensi degli artt. 651- 654 c.p.p., la decisione assunta in via “principale” dal Giudice penale, cioè in ordine ai fatti oggetto di imputazione e alle altre questioni direttamente (non solo in via incidentale) sottoposte al suo esame.
Il Giudice amministrativo che decide la legittimità o meno di un atto della Pubblica Amministrazione assume una decisione in via “principale”, su quello che è l’oggetto precipuo del suo giudizio.
Il termine di paragone degli effetti extraprocessuali del giudicato, pertanto, non può essere rappresentato dall’art. 2 c.p.p., attinente alle “questioni incidentali”, bensì dagli artt. 651-654 c.p.p., che riguardano invece la valenza del giudicato penale in giudizi extrapenali assunta sulle questioni specificamente e direttamente oggetto del processo penale.
In altre pronunce è stata affermata l’applicabilità dell’art. 238 bis c.p.p. alle sentenze irrevocabili adottate dal Giudice tributario, senza precisare se tale assunto sia estensibile anche alle sentenze pronunciate dal Giudice civile o amministrativo.
Si è affermato (in realtà senza una specifica motivazione): “Le pronunzie del Giudice tributario non definitive non vincolano in alcun modo il Giudice penale. Quelle definitive non vincolano anch’esse il Giudice penale, ma possono essere acquisite agli atti del dibattimento per essere valutate ai fini della decisione secondo quando oggi dispone l’art. 238 bis c.p.p., a norma del quale le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato e sono valutate a norma dell’art. 187 c.p.p. e art. 192 c.p.p., comma 3” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 39358 del 24/09/2008 Ud. – dep. 21/10/2008, Sciacchitano e altri, Rv. 241038 – 01).
Con espressa estensione anche alle sentenze del Giudice amministrativo, sempre in riferimento alle pronunce del Giudice tributario, è stato statuito che “le sentenze del Giudice tributario (e quelle del Giudice amministrativo in genere) non sono vincolanti per il Giudice penale in quanto, nel vigente ordinamento processuale, l’art. 238 bis cod. proc. pen. si limita a consentire l’acquisizione in dibattimento di sentenze (non necessariamente solo penali) divenute irrevocabili, ma dispone che esse siano valutate a norma dell’art. 187 e art. 192, comma 3, stesso codice, ai fini della prova del fatto in esse accertato (Sez. 6, n. 10210 del 24/02/2011, Musumeci, Rv. 249592; Sez. 6, n. 10136 del 24/06/1998, Ottaviano, Rv. 211566). Ne consegue che le pronunzie del Giudice tributario, pur definitive, non vincolano il Giudice penale, ma possono soltanto essere acquisite agli atti del dibattimento per essere liberamente considerate ai fini della decisione (Sez. 3, n. 39358 del 24/09/2008, Sciacchitano, Rv. 241038)” (cfr. Cass. Sez. 3, n. 1628 del 28/10/2015 – dep. 18/01/2016, Campedelli, Rv. 266328 – 01).
La giurisprudenza di legittimità ha anche precisato, statuendo un principio certamente condivisibile, che il disposto dell’art. 238 bis c.p.p. si applica anche alle sentenze pronunciate dal Tribunale per i minorenni: “Anche le sentenze pronunciate dal Tribunale per i minorenni, se divenute irrevocabili, possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen.” (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 41874 del 16/04/2013 – dep. 10/10/2013, Demontis, Rv. 256709 – 01).
Assai più interessante è rilevare la ragione che ha indotto la Suprema Corte a sostenere tale assunto, che riposa sulla considerazione che il processo minorile è regolato sostanzialmente dalla medesima disciplina in materia di acquisizione e valutazione probatoria.
Si legge in motivazione: “Le peculiarità delineate dal D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, per il processo penale a carico di minorenni, altrimenti regolato dalle generali disposizioni codicistiche (cit. D.P.R. n. 448 del 1988, art. 1), non incidono, infatti, sulla formazione delle prove e sulle regole di valutazione delle stesse, talché non si ravvisa motivo alcuno che giustifichi un’interpretazione dell’art. 238 bis cod. proc. pen. in contrasto con la sua chiara dizione letterale. Tale soluzione è coerente con l’orientamento espresso da questa Corte (per cui v., di recente, Sez. 5, n. 14042 del 04/03/2013, Simona, Rv. 254981), che ha escluso l’applicabilità dell’art. 238 bis del codice di rito alle sentenze civili, dal momento che la ragione che ha determinato il Legislatore, non menzionando quelle civili, a limitare la portata della previsione alle sole sentenze penali risiede nella necessità di evitare che l’esito del giudizio civile possa avere efficacia in quello penale, nonostante le evidenti e sostanziali asimmetrie tra i principi relativi alla prova, alla sua ripartizione e, soprattutto, alla sua valutazione che caratterizzano i due ordinamenti processuali e che, per quanto riguarda quello penale, sono ispirati ad ineludibili principi costituzionali”.
In ogni caso, la sentenza che più di ogni altra argomenta l’applicabilità dell’art. 238 bis c.p.p. alle sentenze adottate dal Giudice civile e da quello amministrativo è assai più recente, essendo intervenuta nel 2019.
Nell’occasione la Suprema Corte è tornata ad affermare che, “in tema di prova documentale, le sentenze irrevocabili pronunciate in un giudizio civile o amministrativo non sono vincolanti per il Giudice penale che, pertanto, deve valutarle a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, cod. proc. pen. ai fini della prova del fatto in esse accertato” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 17855 del 19/03/2019 – dep. 30/04/2019, Cavelli, Rv. 275702 – 01).
La sentenza in esame, in verità, al fine di rigettare le deduzioni del ricorrente, si occupa principalmente, nella prima parte, di dimostrare che le sentenze civili e amministrative divenute irrevocabili sono acquisibili (“utilizzabili”) nel processo penale. Sul punto, è agevole osservare che sembra assai difficilmente sostenibile che tali sentenze non possano neppure transitare nel processo penale, trattandosi di “prove documentali” (art. 234 e ss. c.p.p.) o, secondo altra impostazione, di “prove atipiche” (art. 189 c.p.p.).
Chiarito che le sentenze extrapenali sono utilizzabili nel giudizio penale, la Corte afferma che le stesse risultano acquisibili ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., non applicabile esclusivamente alle sentenze pronunciate in altri giudizi penali.
Ciò che maggiormente rileva in questa sede è l’analisi degli argomenti che la sentenza in questione adduce al fine di sostenere che alle sentenze extrapenali ormai passate in giudicato non possa riconoscersi alcuna efficacia vincolante per il Giudice penale.
Le ragioni che, in motivazione, vengono addotte a sostegno dell’assunto, possono essere così sintetizzate:
• secondo l’art. 2 c.p.p., al Giudice penale spetta il potere di risolvere autonomamente ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito;
• l’unica disposizione che attribuisce espressamente “efficacia di giudicato” nel processo penale a sentenze extrapenali è l’art. 3, comma 4, con riferimento alla “sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza”;
• l’art. 479 c.p.p., invece, non contiene una regola analoga, e, anzi, già la Relazione Preliminare al Codice di Procedura Penale (p. 191) osservava come la decisione emessa in sede civile o amministrativa, pur se passata in giudicato, non dovrebbe ritenersi vincolante per il Giudice penale, fermo restando, per quest’ultimo, il dovere di motivare le ragioni del suo diverso avviso.
Sul punto, è interessante ricordare come, effettivamente, la Relazione Preliminare al Codice di Procedura Penale, dopo aver illustrato la valenza di “giudicato” nel processo penale alla sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza (art. 3 comma 4 c.p.p.), abbia espressamente affermato: “Circa l’efficacia delle sentenze che decidono altre controversie civili od amministrative, si è invece ritenuto di non dover dettare alcuna disciplina specifica, escludendosi con ciò l’autorità di giudicato delle relative decisioni nel processo penale”.
Rispetto alle stringenti argomentazioni illustrate nella pronuncia in questione, va considerato che l’art. 2 c.p.p. è norma di portata generalissima, che attribuisce al Giudice penale il potere-dovere di decidere incidentalmente ogni questione extrapenale da cui dipenda la decisione finale del processo, ma che, in nessun modo, si fa carico di chiarire se e in che termini il predetto potere-dovere risulti limitato dalla preesistenza di un giudicato civile o amministrativo.
Assai più persuasivo appare il richiamo alle intenzioni del Legislatore che ha introdotto le disposizioni contemplate dall’art. 479 c.p.p. e l’intendimento del medesimo di non riconoscere efficacia vincolante alla decisione adottata in sede extrapenale, se non nel caso disciplinato dall’art. 3 comma 4 c.p.p.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha già da tempo chiarito che i lavori preparatori, come le partizioni sistematiche di una legge (titoli, capi, rubriche, ecc.), hanno “un mero valore interpretativo di per sè non limitativo del significato del testo”; “d’altra parte, la disciplina normativa sulla formazione delle leggi prevede che solo i singoli articoli siano oggetto di esame e di approvazione da parte degli organi legislativi” (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 1614 del 12/10/1982 – dep. 22/02/1983, Rv. 157528 – 01).
La “non decisività”, ai fini interpretativi, dei lavori preparatori, proprio con riferimento alla Relazione preliminare al codice di rito, è stata successivamente ribadita (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 8962 del 03/07/1997 – dep. 03/10/1997, Ruggeri, Rv. 20844801).
A ciò va aggiunto che la prospettata interpretazione dell’art. 479 c.p.p. appare essere in conflitto con il principio di ragionevole durata del processo, sancito dall’art. 111 comma 2 Cost. (così come introdotto dalla L. cost. 23 novembre 1999, n. 2, entrata in vigore dopo l’approvazione del Codice di procedura penale).
Invero, appare irragionevole ritenere che il disposto dell’art. 479 c.p.p. consenta al Giudice penale di sospendere il processo per un notevole lasso temporale (che può protrarsi fino a un anno), in attesa che sulla pregiudiziale questione civile o amministrativa intervenga una “sentenza passata in giudicato” (non una semplice sentenza, dunque, ma un provvedimento definitivo), per poi consentire allo stesso Giudice di valutare discrezionalmente la sentenza extrapenale irrevocabile, potendo liberamente discostarsi dalla decisione in essa contenuta.
Ciò specie ove si consideri il rigorosissimo filtro preliminare a cui è subordinata la decisione di sospendere il processo. Invero:
a) deve trattarsi di una controversia civile o amministrativa “di particolare complessità”;
b) “per la quale sia già in corso un procedimento presso il Giudice competente”;
c) nel giudizio extrapenale, non devono essere previste “limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”.
L’assunto che qui si sostiene appare confermato dall’art. 630 c.p.p., che consente di ottenere la revisione della sentenza penale di condanna ormai divenuta irrevocabile, “se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall’articolo 479” (art. 630 comma 1 lett. b c.p.p.).
Com’è agevole osservare, la norma in questione parifica totalmente, agli effetti della revisione, l’efficacia della sentenza civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza (cui l’art. 3 comma 4 c.p.p. riconosce espressamente valenza di giudicato nel processo penale) e la sentenza passata in giudicato che ha risolto una questione civile o amministrativa in attesa della quale è stato sospeso il processo penale (sentenza il cui valore nel giudizio penale non è espressamente definito dall’art. 479 c.p.p.).
Si tratta, in entrambi i casi, di una pronuncia di straordinaria rilevanza per il processo penale, la cui revoca, in sede giurisdizionale civile o amministrativa, è infatti suscettibile di condurre al superamento dello stesso giudicato penale.
Orbene, se un tale rilievo è riconosciuto ad una sentenza extrapenale pronunciata a seguito di sospensione del processo penale, non può ritenersi che, qualora invece la sentenza civile o amministrativa che decide una questione incidentale del processo penale intervenga prima dell’inizio del giudizio penale o nelle more dello stesso (ma senza che questo venga sospeso), essa possa essere, sempre e comunque (a prescindere dagli specifici caratteri della stessa), liberamente disattesa dal Giudice penale.
7.4. LA TESI DELLA “VALUTAZIONE DISCREZIONALE” DEL GIUDICATO AMMINISTRATIVO
Un ulteriore filone giurisprudenziale ritiene, al contrario, che il disposto di cui all’art. 238 bis c.p.p., non sia applicabile a sentenze extrapenali; si asserisce, comunque, l’acquisibilità di sentenze civili, amministrative o tributarie al processo penale, giungendo tuttavia, sul piano della valutazione probatoria, a conclusioni non dissimili dall’orientamento appena esaminato, nel senso della non vincolatività della sentenza extrapenale definitiva.
Quest’ultima sarebbe, dunque, assoggettabile al generale principio del “libero convincimento” previsto dall’art. 192 comma 1 c.p.p., che permette sì l’utilizzabilità della sentenza extrapenale da parte del Giudice penale, ma senza nessuna preclusione valutativa.
In questa prospettiva è stato affermato che “l’utilizzazione delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., riguarda esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche quelle pronunziate in un procedimento civile” (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 28529 del 26/06/2008 – dep. 10/07/2008, Mezzera e altro, Rv. 240316 – 01).
In motivazione la Corte afferma che “il principio dell’autonomia dei giudizi trova la sua giustificazione nella necessità di evitare che l’esito del giudizio civile – regolato da principi relativi alla prova, alla sua ripartizione e valutazione completamente diversi rispetto a quello penale – possano avere efficacia in un processo che, pur divenuto processo di parti, continua a presentare una forte connotazione pubblicistica che impone alla parte pubblica di attenersi, nelle richieste di ammissione delle prove, a principi di stretta legalità e non a ragioni di mera opportunità come è invece consentito alle parti private sia nel processo civile che in quello penale”.
La pronuncia in questione viene richiamata e confermata da altra sentenza della Suprema Corte, secondo la quale “l’acquisibilità delle sentenze divenute irrevocabili ai fini della prova dei fatti in esse accertati riguarda esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche quelle pronunziate in un procedimento civile, attese le evidenti e sostanziali asimmetrie in ordine alla valutazione della prova che caratterizzano i due diversi ordinamenti processuali” (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 14042 del 04/03/2013 – dep. 25/03/2013, Simona ed altri, Rv. 254981 – 01).
Con la predetta sentenza la Corte ha confermato la decisione impugnata con la quale il Giudice di merito aveva ritenuto di poter acquisire una sentenza civile passata in giudicato, non ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., bensì ex art. 234 c.p.p., quale prova documentale “ai fini della mera dimostrazione dell’esistenza di una controversia” e del potenziale rancore serbato da altro soggetto nei confronti dell’imputato.
Sempre nel senso del libero apprezzamento si pronuncia un più recente arresto giurisprudenziale, il quale statuisce che “l’utilizzo delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ex art. 238 bis cod. proc. pen., riguarda esclusivamente quelle rese in altro procedimento penale e non anche quelle rese in un procedimento civile, adottando i due ordinamenti processuali criteri asimmetrici nella valutazione della prova; pertanto le sentenze di un Giudice diverso da quello penale, pur se definitive, non vincolano quest’ultimo, ma, una volta acquisite, sono dal medesimo liberamente valutabili” (cfr. Cass. pen., Sez. 5, n. 41796 del 17/06/2016 – dep. 05/10/2016, Crisafulli e altro, Rv. 268041 – 01).
Secondo la pronuncia in questione “siffatto approdo interpretativo risulta assolutamente conforme alla previsione normativa, che, come si evince dal combinato disposto degli artt. 2, co. 1, e 3, co. 4, c.p.p., attribuisce al Giudice penale una cognizione esclusiva su ogni questione di fatto e di diritto da cui dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito, attribuendosi solo alle decisioni irrevocabili del Giudice civile in materia di stato di famiglia e di cittadinanza efficacia di giudicato nel procedimento penale”.
Com’è agevole osservare, le argomentazioni adoperate da questo indirizzo ermeneutico, pur affermando, contrariamente a quello analizzato in precedenza, l’inapplicabilità dell’art. 238 bis c.p.p. alle sentenze extrapenali, sono sostanzialmente le stesse, giungendo alla medesima conclusione dell’assenza di vincolatività delle sentenze definitive civili o amministrative nell’ambito del processo penale.
7.5. L’INDIVIDUAZIONE DEL POSSIBILE PUNTO DI EQUILIBRIO
Il Collegio ritiene che non sia condivisibile, né l’orientamento che riconosce sempre e comunque efficacia vincolante alle sentenze extrapenali che hanno acquisito autorità di cosa giudicata, né quello, opposto, secondo cui le stesse non avrebbero mai efficacia di giudicato in sede penale, potendo essere sempre liberamente valutate e motivatamente disattese.
Invero, si ritiene che la complessa problematica dell’efficacia del giudicato amministrativo (in particolare) nel giudizio penale debba trovare soluzione in una ponderata composizione degli interessi giuridici in gioco che vedono contrapposti, da un lato, l’autonomia del giudizio penale, specie in materia di acquisizione e valutazione della prova, secondo regole di rango costituzionale, dall’altro, la necessità di tutelare il principio di affidamento dei consociati nelle decisioni cristallizzate nei giudicati e, ancor più in generale, nella certezza del diritto.
Quest’ultima può essere definita come il “principio in base al quale ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta, e che costituisce un valore al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge” (cfr. Enc. Treccani).
La certezza del diritto è stata ritenuta principio fondante dello Stato di diritto da numerosissime pronunce delle Corti sovranazionali, della Corte costituzionale e della stessa Suprema Corte di Cassazione.
Ciò premesso, appare possibile affermare che, più che individuare argomenti a sostegno dell’una o dell’altra tesi, gli sforzi dell’interprete debbano essere concentrati sulla ricerca di un punto di equilibrio, in grado di contemperare i contrapporti interessi, riconoscendo sì efficacia vincolante alle sentenze del Giudice amministrativo in sede penale, ma solo in presenza di rigorosissimi presupposti, in grado di legittimare la deroga al principio di autonomia dei giudizi, in nome della certezza del diritto, una volta risolte le problematiche attinenti alle “asimmetrie in materia di prova” più volte evidenziate dalla giurisprudenza.
Ad avviso di questo Tribunale, tali presupposti possono essere individuati in quattro profili di identità.
In particolare, affinché una sentenza amministrativa, che ha deciso una questione dalla cui risoluzione dipenda in tutto o in parte l’esito del procedimento penale, esplichi efficacia di giudicato nel giudizio penale, è necessario riscontrare una medesimezza:
1) Oggettiva: la sentenza definitiva pronunciata in sede giurisdizionale amministrativa deve aver avuto ad oggetto esattamente il medesimo provvedimento amministrativo che viene in rilievo nel giudizio penale o un provvedimento meramente confermativo dello stesso, non precedentemente e tempestivamente impugnato;
2) Soggettiva: il procedimento penale deve riguardare lo stesso soggetto giuridico che ha impugnato il provvedimento della Pubblica Amministrazione innanzi al Giudice amministrativo;
3) Devolutiva: il giudicato amministrativo vincola il Giudice penale solo in relazione agli specifici profili di illegittimità dedotti innanzi al Giudice amministrativo; il giudicato amministrativo in sede penale copre, dunque, solo il dedotto, ma non il deducibile; nessuna efficacia vincolante, inoltre, può essere riconosciuta a sentenze che si siano pronunciate solo su questioni formali, senza entrare nel merito della legittimità del provvedimento;
4) Probatoria: il Giudice penale deve essere chiamato a decidere sulla base degli stessi elementi istruttori addotti nel precedente giudizio amministrativo; in tal modo viene pienamente soddisfatta la preoccupazione espressa dall’orientamento giurisprudenziale che non riconosce alcuna efficacia vincolante al giudicato amministrativo a causa delle “asimmetrie” esistenti in materia di prova tra giudizio amministrativo e giudizio penale; così come risulta soddisfatta la condizione imposta dal codice di rito nelle disposizioni che disciplinano, in materia di decisioni assunte, i rapporti tra processo penale e processo extrapenale (art. 479 comma 1 c.p.p.: “se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”; art. 654 comma 1 c.p.p.: “purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”); il giudicato amministrativo, dunque, è superabile in sede penale, sia alla luce di nuove prove precedentemente non valutate dal Giudice amministrativo, sia in base ad elementi istruttori preesistenti, ma non presi in considerazione nel giudizio extrapenale.
Come si può rilevare, in conclusione, il varco di trasferibilità del giudicato amministrativo in sede penale, con valenza preclusiva per il Giudice penale, risulta abbastanza stretto, tuttavia, se, in presenza delle stringenti condizioni suindicate, si consentisse al Giudice penale di adottare una decisione in patente contrasto con il giudicato amministrativo, risulterebbero vulnerati i principi di certezza del diritto e di affidamento dei cittadini nelle decisioni dell’Autorità giudiziaria, rimettendo in discussione, anche a distanza di diversi anni, assetti giuridici consolidati, con l’instaurazione di un procedimento penale il cui esito dipende dal sindacato sull’atto amministrativo già “giudicato” dal suo Giudice naturale (art. 25 comma 1 Cost.).
Tanto più alla luce delle peculiarità di un processo, quello amministrativo, di natura essenzialmente (nella stragrande maggioranza dei casi) “cartolare”, in cui il Giudice non è chiamato ad effettuare una “ricostruzione storica” di accadimenti succedutisi nel tempo, magari in base a prove dichiarative di cui va riscontrata l’attendibilità, bensì a valutare la rispondenza ai dettami normativi di specifici atti amministrativi, in base ai motivi di illegittimità devoluti alla sua cognizione con l’atto di gravame.
7.6. L’APPLICAZIONE DEL PRINCIPIO ENUCLEATO AL CASO DI SPECIE
Applicando il principio appena illustrato al caso di specie è possibile rilevare come, nell’ambito della complessa vicenda amministrativa dipanatasi nel corso di un arco temporale di ormai dieci anni, inerente all’ampliamento del porto di Otranto, siano state emesse ben quattro sentenze del Giudice amministrativo, due delle quali, adottate dal Consiglio di Stato, hanno autorità di cosa giudicata.
Le pronunce in questione, adottate su altrettanti ricorsi formulati dal Comune di Otranto (odierno ricorrente), attraverso l’esame dei medesimi provvedimenti assunti dalla Soprintendenza che vengono in rilievo in questa sede, hanno affermato:
a) la legittimità della prescrizione stagionale (obbligo di rimozione dei pontili dall’1 novembre al 30 aprile) apposta agli atti autorizzativi che hanno assentito il primo progetto presentato dal Comune di Otranto, inerente alla realizzazione dell’approdo con pontili galleggianti, concretamente realizzato (ciò in quanto il Giudice amministrativo è stato chiamato a pronunciarsi sull’atto confermativo della condizione di stagionalità, adottato a seguito di istanza di “revisione” formulata dal Comune di Otranto);
b) la legittimità della prescrizione stagionale (obbligo di rimozione dei pontili dall’1 novembre al 30 aprile) confermata dalla Soprintendenza anche in relazione al secondo progetto formulato dal Comune, di sostituzione dei pontili galleggianti con pontili su pali, con altezza del piano di calpestio abbassata di cm. 20, rispetto agli originari cm. 60, da mantenere installati – secondo i desiderata del Comune – per l’intero anno;
c) la legittimità dell’ordinanza datata 25/10/2018, con la quale la Soprintendenza ha intimato al Comune di Otranto la rimozione dei pontili galleggianti proprio in ragione della prescrizione di stagionalità, non ottemperata dall’Amministrazione comunale.
Le sentenze adottate dal Giudice amministrativo, inoltre, sono state pronunciate in relazione ai medesimi profili di illegittimità dedotti nell’ambito del presente procedimento cautelare penale: difficoltà tecniche ed economiche incontrate dal Comune nello smontaggio dei pontili, opportunità di mantenere installati gli stessi anche in relazione agli effetti dello smontaggio e del rimontaggio annuale sull’intero contesto paesaggistico e ambientale.
Il Giudice amministrativo si è pronunciato su articolati e compiutamente argomentati ricorsi frapposti dal Comune di Otranto, i quali, infatti, sono stati, in primo grado, accolti dal TAR Lecce, con sentenze, tuttavia, in entrambi i casi, ribaltate dal Consiglio di Stato, supremo organo giurisdizionale amministrativo, le cui pronunce hanno acquisito autorità di cosa giudicata.
In particolare, il Consiglio di Stato, con la sentenza resa dalla Sez. VI, n. 1431/2018 (1/2/2018 – dep. 6/3/2018, che riforma, ribaltandone l’esito, la sentenza del TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, dell’1 giugno 2017, n. 886), ha affermato le piena legittimità della nota emessa in data 6 maggio 2014, con la quale la Direzione Regionale ai beni culturali e paesaggistici della Puglia ha espresso parere negativo sulla istanza del Comune di Otranto, avente per oggetto la sostituzione di pontili galleggianti (già realizzati previo parere favorevole dell’organo statale) con altri montati su pali infissi nel fondale, progetto che non prevedeva lo smontaggio stagionale dei pontili.
Il Supremo Consesso Amministrativo ha affermato che, secondo il parere espresso dall’Amministrazione statale, con l’accoglimento della predetta ipotesi progettuale, l’intervento “si configurerebbe quale opera stabile non avente i requisiti di reversibilità e stagionalità e pertanto, comporterebbe l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”.
La sentenza, muovendo dalla rilevanza paesaggistica e culturale del sito interessato dall’intervento, posta in evidenza dai pareri resi dalla Soprintendenza, rileva come, proprio in ragione di tale premessa, sia stato ritenuto paesaggisticamente compatibile solo un progetto che prevedeva, sin dall’inizio, la permanenza dei pontili galleggianti solo durante la stagione estiva:
“Il valore paesaggistico e storico-culturale del compendio territoriale in cui si colloca l’intervento, oggetto di altrettanti specifici provvedimenti di vincolo, è stato espressamente considerato dalla Soprintendenza nell’imporre – già nel 2010 e nel ribadire nel 2014 – la prescrizione sulla stagionalità dei pontili. Gli atti allora emanati dalla Soprintendenza, nel valutare le specifiche soluzioni progettuali prospettate dal Comune, si sono espressi favorevolmente in ordine alla relativa realizzazione delle opere, in quanto queste, per il loro carattere stagionale, sono state ritenute conformi agli interessi pubblici e alle esigenze di tutela paesaggistica”.
Si osserva, inoltre, come, nonostante il rinnovato parere negativo sulla successiva e diversa richiesta d’autorizzazione, avente ad oggetto la realizzazione di opere strumentali a rendere stabili e non più rimovibili i pontili galleggianti (sebbene il TAR avesse respinto la domanda cautelare avverso tale atto), il Comune abbia chiesto ex post la revisione del parere, adducendo le criticità sopravvenute per lo smontaggio e il deposito dei galleggianti ed i relativi notevoli costi.
Secondo quanto statuito dal Consiglio di Stato, “come ha correttamente evidenziato l’Autorità statale (con una valutazione tecnico-discrezionale di per sé ragionevole e adeguatamente motivata), l’opera stabile che intende mantenere il Comune non ha più i requisiti di reversibilità e stagionalità, sicché il suo mantenimento in loco comporta l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”.
Si rileva, ancora, che “le prospettate esigenze di natura economica e finanziaria non sono in realtà ‘sopravvenute’, ma dovevano essere valutate dal Comune in sede di redazione del progetto originario (quello considerato dalla Soprintendenza compatibile con le esigenze paesaggistiche da salvaguardare), sicché la (poi riconosciuta) superficialità delle originarie valutazioni – sui costi da affrontare – può comportare, in sede di autotutela, l’annullamento degli atti che hanno indotto alla realizzazione delle opere da montare e da smontare periodicamente, ma non anche la sussistenza di interessi (di natura economica e turistica) prevalenti sulle esigenze di salvaguardia dei valori paesaggistici”.
La sentenza si chiude con la netta affermazione secondo la quale l’Autorità statale “ha coerentemente emanato i suoi ulteriori atti, basati su una persistente valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere solo nel rispetto delle originarie previsioni progettuali”.
Altrettanto puntuali e stringenti appaiono le statuizioni contenute nella successiva sentenza del Consiglio di Stato cui si è fatto riferimento (Cons. Stato, Sez. VI, 9/5/2019 – dep. 10/5/2019, n. 3042, che riforma, ribaltandone l’esito, la sentenza del TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, del 12 gennaio 2019, n. 34).
La pronuncia afferma la piena legittimità della nota prot. 20505 del 25 ottobre 2018, ricevuta dal Comune di Otranto il 26 novembre 2018, con cui la Soprintendenza all’archeologia, belle arti e paesaggio per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto ha ordinato all’Amministrazione comunale di provvedere entro 30 giorni dalla notifica alla rimozione dei pontili di attracco all’interno della baia portuale di Otranto.
Il Consiglio di Stato rileva che il nuovo progetto proposto dal Comune (abbassamento dei pontili, non più galleggianti, ma fondati su pali infissi sul fondale, con permanenza degli stessi per l’intero anno), “non è un mero miglioramento dell’attuale, ma il portato dell’esplicita volontà del Comune di “garantire il mantenimento dei pontili dell’approdo turistico anche nel periodo invernale” (come si legge nella delibera di Giunta comunale del 6 settembre 2018 di conferimento incarico all’ufficio tecnico) e quindi di non attuare il dictum della sentenza”.
Secondo la pronuncia in commento, “correttamente la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto ha evidenziato come il nuovo iter procedimentale non potesse incidere sul giudicato, richiedendo quindi legittimamente, con la nota principalmente gravata, l’esecuzione dello stesso mediante la rimozione dei pontili”.
Ancora una volta, quindi, si conferma la legittimità, sia della prescrizione di stagionalità imposta dalla Soprintendenza, sia dell’Ordinanza con la quale, proprio in ragione di detta stagionalità, l’Amministrazione statale ha ingiunto al Comune di Otranto di rimuovere i pontili galleggianti precedentemente installati, ritenendo irrilevante, a tal fine, la presentazione di una nuova e diversa soluzione progettuale.
Così sintetizzato il contenuto dei due pronunciamenti del Consiglio di Stato, va osservato come, nell’ambito del presente procedimento penale (trattasi, peraltro, di un procedimento cautelare reale, non deputato ad acclarare, a differenza del giudizio di merito, innocenza o colpevolezza degli indagati, bensì, assai più limitatamente, a verificare la sussistenza di fumus commissi delicti e periculum in mora), la decisione da adottare passi, inevitabilmente – in ragione delle imputazioni elevate – attraverso la verifica della legittimità della prescrizione alla rimozione stagionale dei pontili, imposta e più volte ribadita dalla Soprintendenza, e deve essere assunta in base agli stessi profili di illegittimità, alle medesime argomentazioni e agli stessi elementi istruttori sottoposti al vaglio dei Giudici amministrativi.
Appare evidente, pertanto, che, nel caso di specie, ricorrono tutti i profili di medesimezza sopra enucleati (oggettiva, soggettiva, devolutiva e probatoria), che impongono – a parere di questo Tribunale – al Giudice penale di ritenersi pienamente vincolato al giudicato maturato in sede giurisdizionale amministrativa, pena il sacrificio dei principi di certezza del diritto e di affidamento nelle decisioni giudiziarie.
Ne deriva che, nel caso di specie, residuano a questo Tribunale ristrettissimi margini di valutazione, soprattutto in relazione alla condizione di stagionalità, che rappresenta il nucleo principale (se non unico) della vicenda che ci occupa.
A conclusione del tutto differente deve giungersi invece rispetto all’interpretazione del disposto di cui all’art. 1 comma 246 della L. 145/2018, anch’esso evocato dall’Amministrazione ricorrente, la cui applicabilità al caso di specie e le cui specifiche modalità operative non sono mai state sottoposte al vaglio del Giudice amministrativo nell’ambito della vicenda che ci occupa.
In relazione a tale disposizione, pertanto, questo Tribunale non è in alcun modo vincolato dai giudicati amministrativi che si sono registrati nella fattispecie in esame, potendo esprimere liberamente le proprie autonome valutazioni.
8. IL FUMUS COMMISSI DELICTI: PREMESSA
Appare opportuno premettere che, secondo la più recente (e condivisibile) giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. pen., sez. 3, 6/4/2011 n. 24162, dep. 16 giugno 2011), il Tribunale del Riesame, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda in materia di misure cautelari reali, non può avere riguardo solo all’astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla Pubblica Accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr. ex plurimis: Cass. pen., Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885, Cantoni, Rv. 227498; Sez. 3, 16/3/2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, Cappello, Rv. 234197; Sez. 3, 8/11/2006, Pulcini; Sez. 3, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. 4, 29/1/2007, n. 10979, Veronese, Rv. 236193; Sez. 5, 15/7/2008, n. 37695, Cecchi, Rv. 241632; Sez. 1, 11/5/2007, n. 21736, Citarella, Rv. 236474; Sez. 4, 21/5/2008, n. 23944, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 2, 2/10/2008, n. 2808, Bedino, Rv. 242650; Sez. 3, 11/6/2009, Musico; Sez. 3, 12/1/2010, Turco; Sez. 3, 24/2/2010, Normando; Sez. 3, 11/3/2010, D’Orazio; Sez. 3, 20/5/2010, Bindi; Sez. 3, 6/10/2010, Kronenberg-Widmer; Sez. 3, 5/11/2010, Pignataro; Sez. 3, 26/1/2011, Cinturino).
In questa prospettiva, non può certamente essere ritenuto estraneo ai compiti affidati al Tribunale del Riesame il vaglio in ordine alla concreta sussistenza del fumus commissi delicti in relazione ai reati ascritti sulla base di un’attenta analisi del materiale probatorio acquisito.
In ogni caso, in sede di riesame reale, ai fini della conferma del provvedimento cautelare adottato dal Giudice di prime cure, è sufficiente il semplice fumus del contestato reato, non essendo necessaria la verifica in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, correlativamente la “soglia probatoria” richiesta in sede cautelare reale risulta assai attenuata rispetto a quella prevista nell’ambito dei procedimenti cautelari personali.
Ciò premesso in ordine al potere-dovere cognitivo del Tribunale del Riesame in materia di misure cautelari reali, va osservato che, rapportando i principi sopra richiamati al caso sottoposto all’esame del Collegio, sembra potersi ritenere sussistente il necessario fumus commissi delicti con riferimento ai reati oggetto di addebito cautelare, con le precisazioni di cui meglio si dirà in seguito.
Nei successivi paragrafi, in particolare, verranno individuati i titoli abilitativi (edilizio, paesaggistico e demaniale) rilasciati al Comune di Otranto per la realizzazione dell’approdo turistico: tutti titoli violati dall’Amministrazione comunale, nella parte in cui imponevano la rimozione dei pontili galleggianti una volta scaduto il semestre estivo.
9. IL TITOLO EDILIZIO
Al capo A) dell’editto accusatorio, si contesta la perpetrazione del reato edilizio di cui all’art. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, per la realizzazione delle opere oggetto di sequestro preventivo in assenza di Permesso di costruire.
In merito, il Pubblico Ministero, nel corso della discussione tenuta in camera di consiglio, ha asserito che non ricorrerebbero i presupposti di cui all’art. 7 D.P.R. 380/2001, atteso che la fattispecie in esame dovrebbe essere astrattamente ricondotta all’ipotesi di cui alla lett. b) dell’art. 7 citato, ma non ne sussisterebbero integralmente le condizioni.
La verifica in ordine alla sussistenza del reato oggetto di contestazione richiede la ricostruzione della normativa che disciplina la realizzazione delle strutture portuali turistiche.
Il punto di partenza in materia non può che essere costituito dal D.P.R. 509/1997 (“Regolamento recante disciplina del procedimento di concessione di beni del demanio marittimo per la realizzazione di strutture dedicate alla nautica da diporto, a norma dell’articolo 20, comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59”).
L’art. 2 comma 1 del predetto testo normativo (“Definizioni”) distingue tre diverse “strutture dedicate alla nautica da diporto”:
a) il “porto turistico”, “ovvero il complesso di strutture amovibili ed inamovibili realizzate con opere a terra e a mare allo scopo di servire unicamente o precipuamente la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari”;
b) l’“approdo turistico”, “ovvero la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all’articolo 4, comma 3, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari”;
c) i “punti d’ormeggio”, “ovvero le aree demaniali marittime e gli specchi acquei dotati di strutture che non importino impianti di difficile rimozione, destinati all’ormeggio, alaggio, varo e rimessaggio, anche a secco, di piccole imbarcazioni e natanti da diporto”.
Si pone, dunque, il problema di inquadrare l’opera realizzata dal Comune di Otranto, nell’ambito di una delle tre categorie di “strutture dedicate alla nautica da diporto”, in base alle sue caratteristiche strutturali e funzionali.
Tale inquadramento, infatti, non è privo di conseguenze, atteso che l’art. 1 comma 1 D.P.R. 509/1997 (“Ambito di applicazione”), stabilisce che il Regolamento in questione disciplina il procedimento di concessione di beni del demanio marittimo, il procedimento di approvazione dei relativi progetti e gli altri procedimenti che risultano strettamente connessi o strumentali solo per la realizzazione delle strutture dedicate alla nautica da diporto di cui all’art. 2, lettere a) e b) (porti turistici e approdi turistici), del medesimo Decreto.
In relazione alle strutture di cui alla lett. c) dell’art. 2 comma 1, invece, costituite dai “punti di ormeggio”, il D.P.R. 509/1997 non prescrive alcuna disciplina specifica, contenendo un semplice rinvio alle “procedure già operanti per le strutture di interesse turistico-ricreativo”, in applicazione dell’art. 59 D.P.R. 616/1977, al D.L. 400/1993, conv. in L. 494/1993, e all’art. 8 D.L. 535/1996, conv. in L. 647/1996.
Inoltre, solo per i “punti di ormeggio”, non è previsto, secondo la disciplina vigente a partire del 2011, alcun titolo abilitativo edilizio.
In relazione a questi ultimi, infatti, una disposizione di assoluto rilievo è dettata dall’art. 31 del D.Lgs. 79/2011 (Codice del Turismo), rubricato “Turismo nautico”, secondo cui: “Ferma restando l’osservanza della normativa statale in materia di tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale e dei regolamenti di fruizione delle aree naturali protette, la realizzazione delle strutture di interesse turistico-ricreativo dedicate alla nautica da diporto di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 dicembre 1997, n. 509, ivi compresi i pontili galleggianti a carattere stagionale, pur se ricorrente, mediante impianti di ancoraggio con corpi morti e catenarie, collegamento con la terraferma e apprestamento di servizi complementari, per la quale sia stata assentita, nel rispetto della disciplina paesaggistica e ambientale, concessione demaniale marittima o lacuale, anche provvisoria, non necessita di alcun ulteriore titolo abilitativo edilizio e demaniale, ferma restando la quantificazione del canone in base alla superficie occupata. Sono comunque fatte salve le competenze regionali in materia di demanio marittimo, lacuale e fluviale”.
La norma in questione viene richiamata dalla difesa del Comune di Otranto al fine di affermare che l’opera realizzata, rientrando nei “punti di ormeggio”, non necessita di alcun titolo abilitativo edilizio.
Tuttavia, come già anticipato, a parere di questo Tribunale, l’intervento realizzato non può essere qualificato come un semplice “punto di ormeggio”.
In primo luogo, non depone certamente in tal senso la stessa rubrica del progetto posto in essere dal Comune di Otranto: “Progetto di riqualificazione del porto turistico di Otranto con ampliamento del bacino esistente: intervento di realizzazione di ormeggi e sistemazione delle aree a terra” per l’importo complessivo di € 3.100.000,00.
In particolare, i lavori previsti, poi concretamente realizzati, consistevano “nella installazione di opere di difesa dello specchio acqueo mediante la realizzazione di un molo di sottoflutto definito da pontili frangi onda galleggianti ancorati al fondale con catenarie e corpi morti; nella realizzazione di nuovi tratti di banchine con scogli naturali calcarei nella zona spiaggia del porto e a lato bastione pentagonale e nel consolidamento alla base del costone calcarenitico dei Bastioni; nella realizzazione del pontile principale con elementi galleggianti e assito in legno esotico pregiato e dei pontili secondari con struttura in acciaio e legno innestati ortogonalmente al pontile principale”.
L’intervento, dunque, non può essere considerato in maniera avulsa dal contesto in cui interviene e lo stesso titolo del progetto lo definisce come una “riqualificazione” e un “ampliamento” del porto turistico già esistente, con un incremento dei posti barca destinati ai diportisti nautici.
In questa prospettiva l’intervento dovrebbe essere disciplinato dalle disposizioni in materia di “porti turistici”.
Se anche non si volesse accedere a tale prospettazione, si ritiene che l’opera debba certamente essere sussunta nel concetto di “approdo turistico” e non in quella di “punto di ormeggio”.
Invero, come si è detto, l’“approdo turistico” viene definito dalla lett. b dell’art. 2 comma 1 D.P.R. 509/1997, come “la porzione dei porti polifunzionali aventi le funzioni di cui all’articolo 4, comma 3, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari”.
Ai sensi dell’art. 4 comma 3 della L. 84/1994, “i porti, o le specifiche aree portuali di cui alla categoria II, classi I, II e III, hanno le seguenti funzioni:
a) commerciale e logistica;
b) industriale e petrolifera;
c) di servizio passeggeri, ivi compresi i crocieristi;
d) peschereccia;
e) turistica e da diporto”.
Orbene, nella “relazione tecnica descrittiva” allegata alla richiesta inoltrata nel 2016 alla Soprintendenza di revisione della condizione di stagionalità dei pontili galleggianti, si legge che “il Porto di Otranto è classificato di 2^ categoria – II classe per le attività commerciali”.
Si precisa, inoltre, che “attualmente all’interno dello specchio d’acqua protetto trovano ormeggio le imbarcazioni che svolgono le attività militare, commerciale, trasporto passeggeri, pesca diporto nautico”.
Il porto di Otranto possiede, quindi, le caratteristiche del “porto polifunzionale” previsto dalla lett. b) dell’art. 2 comma 1 D.P.R. 509/1997, all’interno del quale “una porzione di porto (…) è destinata a servire la nautica da diporto ed il diportista nautico, anche mediante l’apprestamento di servizi complementari”: sono, infatti, previsti diversi servizi, tra cui quello idrico, elettrico, antincendio, ecc.
Sotto il profilo strutturale, oltre alla sistemazione di alcune aree a terra, esso è consistito nell’allocazione di 42 elementi (ciascuno delle dimensioni di m. 12,00 x 2,50) per la realizzazione di cinque pontili galleggianti, più uno di raccordo. I pontili galleggianti sono assicurati con delle catenarie a dei corpi morti in calcestruzzo adagiati sul fondale.
L’intervento ha interessato una zona demaniale marittima di mq. 5.629,42 e uno specchio acqueo di mq. 29.245,14 (per complessivi mq. 34.974,56).
Alla luce di tali considerazioni, ad avviso del Tribunale, l’intervento realizzato va qualificato almeno come “approdo turistico”, se non come “porto turistico”: in ogni caso, per quanto qui rileva, non vi sono differenze di disciplina tra l’una e l’altra tipologia di struttura dedicata alla nautica da diporto.
Va escluso, invece, certamente, che lo stesso possa rientrare nei semplici “punti di ormeggio”.
Peraltro, lo stesso art. 31 del D.Lgs. 79/2011 chiarisce perfettamente che solo i pontili galleggianti “a carattere stagionale, pur se ricorrente”, non necessitano di alcun titolo abilitativo edilizio.
Se il Legislatore avesse voluto prevedere la non necessità di titoli abilitativi edilizi anche per i pontili galleggianti installati per l’intero anno, non avrebbe certamente fatto tale distinzione, specificando che la peculiare previsione ha ad oggetto solo i pontili a carattere stagionale.
Sul punto, va osservato che, sebbene i pontili galleggianti (e le altre opere di sistemazione a terra) installati dal Comune di Otranto siano stati assentiti come “stagionali”, dovendo essere rimossi nel periodo compreso tra l’1 novembre e il 30 aprile di ogni anno, il Comune, come più volte evidenziato, non ha mai provveduto a smontare e rimontare i pontili in questione, giustificando tale scelta proprio con la complessità dell’intervento, che prevede un costo di € 820.000 per ciascun anno.
Conseguentemente, non può certo ritenersi che, nel caso di specie, si tratti di un’opera di scarso rilievo e limitato impatto urbanistico-ambientale, sia per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, sia per la sua allocazione all’interno di un porto preesistente, sia per la circostanza che – di fatto – è stata caratterizzata da assoluta stabilità, essendo rimasta installata ininterrottamente, sia d’estate che d’inverno, sin dalla conclusione dei lavori di realizzazione intervenuta nell’aprile del 2016.
Ciò detto, va rilevato che l’intervento edilizio in questione è stato ritualmente e correttamente autorizzato, atteso che la sua realizzazione è stata preceduta dal coinvolgimento, con relativi atti di assenso, di tutte le Amministrazioni coinvolte, secondo quanto previsto dal D.P.R. 509/1997 per “porti turistici” e “approdi turistici”.
Va rilevato, inoltre che, ai sensi dell’art. 7 D.P.R. 380/2001 (“Attività edilizia delle pubbliche amministrazioni”), non è richiesto il Permesso di costruire per “le opere pubbliche dei Comuni deliberate dal Consiglio comunale, ovvero dalla Giunta comunale, assistite dalla validazione del progetto, ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554”).
La natura di “opera pubblica” dei porti turistici è stata più volte affermata dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27/11/2012, n. 6488).
Nel caso di specie, il progetto esecutivo dell’opera è stato approvato con Deliberazione della Giunta comunale di Otranto n. 289 del 18/10/2011, su progetto definitivo redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale.
È stato, inoltre, acquisito agli atti il provvedimento di validazione del progetto esecutivo secondo “quanto sancito dall’art. 47 del D.P.R. 554/1999”, sottoscritto sempre il 18/10/2011 dal Responsabile Unico del Procedimento.
Può concludersi, dunque, che il progetto presentato dal Comune di Otranto sia stato ritualmente e regolarmente autorizzato.
Il profilo di illiceità riguarda, quindi, il mancato smontaggio e rimontaggio delle opere.
10. IL TITOLO PAESAGGISTICO
Con atto prot. n. 11391 del 29/11/2010, la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia esprimeva parere favorevole in relazione al “Progetto di riqualificazione del Porto turistico di Otranto con ampliamento del bacino esistente – Intervento di realizzazione degli ormeggi e sistemazione delle aree a terra. Progetto definitivo”, autorizzando le opere in questione, “a condizione che i pontili galleggianti vengano smontati al termine della stagione estiva, ossia che vengano installati per un massimo di sei mesi all’anno, onde mitigare l’impatto paesaggistico e restituire l’integrità panoramica, nonché consentire interventi di manutenzione. Infatti, in tal periodo, si potrà provvedere all’ispezione dei corpi morti, dello stato di usura degli agganci ed intervenire con le opportune sostituzioni”.
Il parere espresso dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia veniva pedissequamente inserito nell’Autorizzazione paesaggistica rilasciata dall’Ufficio Tecnico del Comune di Otranto n. 162 del 21/10/2011, all’interno della quale si riporta espressamente la condizione imposta dalla Direzione Generale: “i pontili galleggianti vengano smontati al termine della stagione estiva, ossia vengano installati per un massimo di sei mesi all’anno onde mitigare l’impatto paesaggistico e restituire l’integrità panoramica”.
Medesimo parere veniva, peraltro, espresso dalla stessa Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia sulla “Proposta di variante alla realizzazione di ormeggi e sistemazione delle aree a terra” (pontili non più galleggianti, ma fondati su pali infissi sul fondo, con altezza ridotta rispetto a quelli precedentemente previsti). Invero, con atto prot. n. 5604 del 6/5/2014, la predetta Direzione “ritiene di accogliere parzialmente le opere previste nel progetto di variante precludendo la possibilità di rendere permanenti le strutture dei pontili” richiamando, sul punto, le motivazioni addotte dalle Soprintendenze di settore.
La Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Lecce, Brindisi e Taranto, con nota del 5/5/2014, in particolare, in merito al progetto di variante, rilevava: “relativamente alla modifica della tipologia dei pontili, da galleggianti a fissi su pali, la Scrivente ritiene non accoglibile la proposta di variante in quanto la stessa si configurerebbe quale opera stabile non avente i requisiti di reversibilità e stagionalità già valutati e ritenuti i soli idonei e compatibili con il contesto interessato (cfr. nota prot. n. 11391 del 29/11/2010 di codesta Direzione Regionale) e, pertanto, comporterebbe l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”.
Nel corso del 2016, il Comune di Otranto formulava poi alla Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto una “richiesta di revisione” dei pareri precedentemente espressi dall’Amministrazione statale, con specifico riferimento alla “prescrizione di stagionalità”, in relazione al progetto originariamente presentato (pontili galleggianti).
La predetta richiesta veniva evasa dalla Soprintendenza con nota del 2/11/2016, con cui “vista la nota prot. n. 17659 del 4/10/2016 con la quale codesto Comune, relativamente al progetto in oggetto, ha richiesto alla Scrivente la revisione dei pareri espressi relativamente alla specifica condizione di stagionalità imposta per i pontili galleggianti insistenti nello specchio acqueo del porto interno”, l’Ente rappresenta che “questa Soprintendenza, per quanto di competenza, con la presente comunica che, stante la situazione vincolistica dell’area in oggetto sopra riportata, non essendo intervenuti elementi di novità rispetto a tutto quanto sopra previsto e richiamato, non rileva ragioni per riesaminare la questione e, pertanto, con la presente conferma la condizione di stagionalità estiva (massimo sei mesi) dei pontili galleggianti per le motivazioni già espresse”.
11. IL TITOLO DEMANIALE
Con “verbale di consegna di pertinenza di demanio pubblico marittimo ad altre Amministrazioni dello Stato” n. 79/2011, redatto il 19/1/2011, la Capitaneria di Porto di Gallipoli, riscontrando la richiesta di consegna dell’area demaniale in questione (zona a terra e specchio acqueo, per complessivi mq. 34.874,56), ai sensi dell’art. 34 Cod. Nav., consegnava la predetta zona demaniale marittima all’Amministrazione comunale di Otranto “allo scopo di procedere ad alcuni lavori relativi al progetto di riqualificazione del porto turistico di Otranto mediante installazione di pontili galleggianti e interventi di manutenzione, consolidamento e fornitura di servizi”.
Una volta realizzata l’opera (con collaudo del 30/5/2016 e certificato di agibilità datato 9/6/2016), il Comune di Otranto, nelle more del procedimento di riconsegna e acquisizione (ai sensi dell’art. 34 Cod. Nav. e dell’art. 36 del relativo Regolamento di esecuzione), chiedeva alla Capitaneria di Porto di Gallipoli di poter gestire da subito, senza scopo di lucro, l’opera realizzata assumendone, contestualmente la responsabilità della custodia e della manutenzione.
La Capitaneria di Porto di Gallipoli, con nota del 21/7/2016, esprimeva “il proprio nulla-osta all’anticipata occupazione delle opere realizzate finalizzata all’uso delle stesse senza scopo di lucro”.
Con il medesimo atto, l’Amministrazione marittima si riservava espressamente la facoltà di procedere alla revoca o decadenza del provvedimento rilasciato “per inadempienza degli obblighi derivanti dalla gestione delle opere in discorso o degli obblighi imposti dalle norme di legge o dai regolamenti vigenti nelle materie direttamente e/o di riflesso coinvolte”.
La nota indirizzata al Comune di Otranto precisava, infine, che “il presente nulla-osta non esime codesta Civica Amministrazione dal richiedere ed ottenere i nulla-osta/autorizzazioni/permessi dagli Enti/Organismi cui le leggi e/o i regolamenti demandino specifiche competenze nelle materie direttamente e/o di riflesso connesse al presente provvedimento”.
Appare del tutto evidente che il provvedimento in questione, facendo riferimento alle autorizzazioni da ottenere da altri Enti interessati dall’intervento, richiama esplicitamente il parere reso dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia il 29/11/2010 e l’Autorizzazione paesaggistica del 21/10/2011.
Infatti, sin dall’ottobre 2016, con nota datata 17/10/2016, l’Ufficio Circondariale Marittimo di Otranto, rilevato che “ad oggi, l’intera opera risulta occupata (…) da unità da diporto nautico”, chiedeva all’Amministrazione comunale “di voler far conoscere a questa Autorità marittima le eventuali azioni intraprese e le intenzioni da voler porre in atto al fine di ottemperare a quanto disposto dalle prescrizioni riportate nella nota della Direzione Generale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia (…), nonché ribadite, in tutta la loro interezza, nell’Autorizzazione paesaggistica n. 162/2011 del 21/10/2011 del Comune di Otranto”.
Alla predetta nota, il Comune di Otranto rispondeva con la missiva del 3/11/2016, con la quale rappresentava all’Ufficio Circondariale Marittimo di Otranto di aver presentato alla Soprintendenza una “richiesta di revisione del proprio parere che prescriveva lo smontaggio stagionale dei pontili galleggianti” (istanza poi rigettata dalla Soprintendenza).
Da ultimo, con nota prot. n. 10722 del 10/10/2019, l’Ufficio Circondariale Marittimo di Otranto, richiamate le due sentenze del Consiglio di Stato n. 1431/2018 e n. 3042/2019, chiedeva all’Amministrazione comunale di “voler produrre, entro e non oltre il 10 (dieci) novembre p.v., una dettagliata relazione delle attività che si vorranno porre in essere al fine di dare seguito a quanto altresì sancito con le suddette pronunce amministrative”.
Il Comune di Otranto replicava con la nota prot. 22417 del 24/10/2019, con la quale rappresentava all’Ufficio Circondariale Marittimo di Otranto di aver formulato un ulteriore progetto (“Progetto di valorizzazione turistico-culturale del porto di Otranto (diportismo nautico e percorso archeologico)”), con convocazione di apposita conferenza di servizi, sempre allo scopo di mantenere installati i pontili dell’approdo turistico per l’intero anno.
Veniva richiamata, inoltre, la disposizione di cui all’art. 1 comma 246 della L. 145/2018, che consentiva – secondo l’Amministrazione comunale – di mantenere le opere, norma ritenuta “applicabile alla situazione in oggetto, concedendo la possibilità – rimessa alla mera manifestazione di volontà dell’interessato (…) di evitare fino al 31/12/2020, la rimozione delle strutture al termine della stagione estiva”.
Con nota del 23/12/2019, la Capitaneria di Porto di Gallipoli, proprio a causa della mancata rimozione stagionale dei pontili galleggianti, comunicava al Comune di Otranto l’avvio del procedimento di decadenza del “Nulla-osta all’anticipata occupazione” del 21/7/2016 e contestuale intimazione di ripristino dello stato dei luoghi in ordine alle opere realizzate a seguito del Verbale di consegna n. 79 del 19/1/2011 ex art. 34 Cod. Nav. e 36 Reg. Cod. Nav.
12. VIOLAZIONE DELLA “PRESCRIZIONE DI STAGIONALITÀ”: I REATI ASCRITTI
Chiarito che il Comune di Otranto ha ottenuto il rilascio dei titoli demaniale, edilizio e paesaggistico da parte delle Autorità competenti, che gli hanno consentito di effettuare i lavori di riqualificazione e ampliamento del porto turistico, va ribadito come gli stessi provvedimenti contenessero, tutti, direttamente o indirettamente, la “condizione di stagionalità”: l’obbligo esplicito di rimuovere i pontili galleggianti per tutta la durata della stagione invernale (dall’1 novembre al 30 aprile di ogni anno).
Tale prescrizione, dettata nel parere reso dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia prot. n. 11391 del 29/11/2010, veniva poi, esplicitamente o implicitamente, richiamata in tutti i successivi atti di assenso che hanno permesso la realizzazione del progetto di riqualificazione del porto turistico presentato dal Comune di Otranto nel 2010.
Il profilo di illiceità che si riscontra nel caso di specie riguarda, dunque, la circostanza che l’approdo turistico, autorizzato come “stagionale”, con obbligo di smontaggio e rimontaggio dei pontili galleggianti ogni anno, al termine della stagione estiva e a conclusione di quella invernale, sia rimasto costantemente installato, senza alcuna soluzione di continuità, a decorrere da aprile 2016 (momento di conclusione dei lavori, con conseguente collaudo del 30/5/2016).
Tale condotta integra certamente, anche alla luce della pacifica giurisprudenza di legittimità, i reati oggetto di addebito cautelare (reato edilizio ex art. 44 lett. c D.P.R. 380/2001; reato di occupazione demaniale ex artt. 54-1161 Cod. Nav.; reato paesaggistico ex art. 181 D.Lgs. 42/2004).
Sul punto, va osservato che la Suprema Corte di Cassazione ha costantemente affermato che sussiste il reato edilizio di cui all’art. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001, così come il reato di occupazione demaniale di cui agli artt. 54-1161 Cod. Nav. e il reato paesaggistico previsto dall’art. 181 D.Lgs. 42/2004, nell’ipotesi in cui il concessionario dell’area demaniale realizzi delle opere assentite come “stagionali”, con obbligo di rimozione durante il periodo invernale, con l’indicazione precisa delle date di montaggio e rimontaggio della struttura, e non vi provveda, continuando a tenere installata l’opera ininterrottamente, senza soluzione di continuità (cfr. Cass. pen., Sez. III, 12/05/2011 – 13/6/2011, n. 23645, Frassica; Sez. III, 21/03/2006 – 18/5/2006, n. 17062, Giannotta).
Assai più recentemente è stato ribadito che l’occupazione del suolo demaniale marittimo sulla base di un atto autorizzativo pluriennale per opere finalizzate alla gestione dell’attività balneare, che si protragga oltre il termine della stagione, integra il reato di cui all’art. 1161 Cod. Nav., atteso che l’esistenza di un titolo pluriennale abilitante esonera il concessionario dalla richiesta annuale, ma non esclude l’obbligo di rimuovere le strutture collocate sul demanio al termine del periodo di utilizzo previsto (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 31290 del 11/04/2019 – dep. 17/07/2019, Bellia, Rv. 27629001; negli stessi termini in precedenza, Sez. 3, n. 19962 del 15/03/2007 – dep. 23/05/2007, Spennato, Rv. 236736 – 01).
Con particolare riferimento al reato demaniale, occorre osservare che, sebbene l’approdo turistico oggetto del presente procedimento sia stato realizzato e venga gestito da un Ente pubblico (il Comune di Otranto), sotto il profilo della sottrazione del bene all’uso pubblico che ne verrebbe fatto se le opere fossero rimosse, come prescritto sin dal 2010, va rilevato che i posti barca disponibili vengono assegnati ai diportisti dal Comune verso il pagamento di una tariffa e a seguito di apposita selezione.
Come si ricava dall’“Avviso pubblico per l’assegnazione dei posti barca disponibili presso i pontili galleggianti realizzati nell’approdo turistico di Otranto in prossimità dei Bastioni Pelasgi in località Aia delle Fabbriche”, datato 21/4/2016 (approvato con Determinazione del Servizio Tecnico del Comune di Otranto n. 39 del 20/4/2016), il Comune prevedeva di percepire dall’ormeggio realizzato, quale “previsione di introito totale a pieno uso degli ormeggi”: € 357.850,00 per il 2016; € 378.075,00 per il 2017; € 397.050,00 per il 2018; € 416.350,00 per il 2019.
È evidente pertanto che, sotto tale profilo, l’approdo venga gestito in maniera non dissimile da come avverrebbe se fosse stato affidato ad un concessionario privato. L’area non può essere utilizzata da chiunque, bensì solo dai diportisti selezionati che pagano la tariffa stabilita dal Comune per l’utilizzo della struttura, con conseguente sottrazione (ma sarebbe sufficiente ad integrare il reato anche la sola restrizione) all’uso pubblico così come inteso dalla giurisprudenza di legittimità in materia di occupazione demaniale.
Quanto al reato edilizio, chiarito che l’opera realizzata va qualificata come “ampliamento del porto turistico” o quantomeno come “approdo turistico” (non come semplice “punto di ormeggio”) e che, pertanto, è necessario per la sua realizzazione un titolo abilitativo (deliberazione validata ex art. 7 lett. c D.P.R. 380/2001) e che, nella fattispecie in esame, il predetto titolo sussiste, il reato è integrato, anche in tal caso, dalla violazione del mancato smontaggio dei pontili, secondo la “condizione di stagionalità” inserita nell’Autorizzazione paesaggistica n. 162 del 21/10/2011.
La violazione di tale provvedimento comporta, ovviamente, anche il reato paesaggistico contestato.
Sussiste, dunque, il fumus commissi delicti in relazione ai reati in esame.
13. L’INOTTEMPERANZA ALL’ORDINANZA DI RIMOZIONE
Con nota prot. n. 20505 del 25/10/2018, la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, in considerazione della più volte manifestata volontà, da parte dell’Amministrazione comunale di Otranto, di mantenere installati i pontili galleggianti anche durante la stagione invernale e dunque senza soluzione di continuità, in violazione di quanto statuito dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1431/2018, ordinava al Comune di Otranto “di provvedere entro 30 giorni dalla notifica della presente a rimuovere detti pontili”.
In particolare, nell’atto suindicato, la Soprintendenza richiamava la deliberazione della Giunta comunale di Otranto n. 338/2018, con la quale la Giunta aveva richiesto all’Area tecnica “di redigere specifico progetto di mantenimento dei pontili galleggianti valutando nel contempo eventuali soluzioni mitigative dal punto di vista paesaggistico”, nonché la successiva delibera della Giunta comunale n. 343/2018, con la quale era stato approvato “il progetto, identico al precedente, che individua quale soluzione mitigativa dal punto di vista paesaggistico la sola riduzione dell’altezza del loro calpestio rispetto al valore medio mare, affermando che in tal modo si esclude “ogni possibile interferenza visiva sui beni monumentali tutelati, garantendone l’integrità panoramica e superando, in tal modo, le criticità poste alla base dei pareri paesaggistici negativi resi su precedenti diverse soluzioni progettuali””.
La Soprintendenza rilevava che le predette deliberazioni erano da considerarsi nulle per elusione del giudicato costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1431/2018 espressamente citata nella delibera G.C. n. 338/2018 e nella nota di indizione della conferenza di servizi chiamata a decidere sul predetto “progetto mitigativo”, atteso che quest’ultimo è strumentale “a rendere stabili e non più rimovibili i pontili galleggianti” e quindi a conseguire “ex post la revisione del parere”, a suo tempo espresso dalla medesima Soprintendenza, in contrasto con quanto statuito dal Consiglio di Stato, secondo cui, in tal modo, l’opera che intende realizzare il Comune non avrebbe più i requisiti di reversibilità e stagionalità, con la conseguenza che il suo mantenimento in loco comporterebbe l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati.
Come si è detto, il Consiglio di Stato, con sentenza della Sez. VI, n. 3042 del 9/5/2019, confermava pienamente la legittimità dell’Ordinanza di rimozione suindicata, con conseguente obbligo per il Comune di provvedere allo smontaggio dei pontili galleggianti.
A tale incombenza, il Comune di Otranto, come più volte ricordato, non ha mai ottemperato, sebbene l’obbligo di smontaggio dei pontili fosse stato esplicitato già nel parere reso dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia prot. n. 11391 del 29/11/2010.
Tale condotta integra certamente il fumus commissi delicti inerente al reato previsto dall’art. 180 D.Lgs. 42/2004, secondo cui, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque non ottempera ad un ordine impartito dall’autorità preposta alla tutela dei beni culturali in conformità del presente Titolo è punito con le pene previste dall’articolo 650 del codice penale”.
14. LA DISAPPLICAZIONE DELL’ART. 1 COMMA 246 DELLA L. 145/2018
Occorre, a questo punto, esaminare la problematica attinente all’applicabilità o meno dell’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 all’attracco turistico realizzato dal Comune di Otranto su area e specchio d’acqua demaniali.
Ciò in quanto, nell’ambito dei procedimenti amministrativi attinenti ai nuovi progetti proposti dal Comune di Otranto al fine di superare la prescrizione di stagionalità apposta al progetto originario (l’unico concretamente realizzato), l’Amministrazione comunale ha reiteratamente affermato la volontà di non procedere allo smontaggio dei pontili galleggianti anche in virtù di tale disposizione normativa, che legittimerebbe la permanenza dei pontili.
L’art. 1 della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (“Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021”), al comma 246 (in vigore dell’1 gennaio 2019), statuisce testualmente:
“I titolari delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo con medesime finalità turistico ricreative, che utilizzino manufatti amovibili di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono mantenere installati i predetti manufatti fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia previsto dall’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25”.
In virtù di quanto si legge nel provvedimento di sequestro adottato dal GIP presso il Tribunale di Lecce il 26/11/2019, oggetto di gravame, la norma non potrebbe trovare applicazione alla fattispecie in esame per un duplice ordine di ragioni: una di carattere soggettivo (il Comune di Otranto non è “concessionario” demaniale, in quanto la sua disponibilità dell’area non si basa su una “concessione”, bensì su una “occupazione anticipata”, provvedimento differente rispetto alla richiesta “concessione”); un’altra di carattere oggettivo, (i pontili che compongono la struttura di cui si tratta non sarebbero “amovibili”, non più, almeno).
Le difese degli indagati, al contrario, ritengono che la norma in esame sia certamente applicabile al caso di specie in quanto: in relazione ai “punti di approdo con (…) finalità turistico ricreative”, non sarebbe richiesta necessariamente una “concessione”, ma sarebbe sufficiente anche un altro “titolo” di assegnazione dell’area demaniale; inoltre, i pontili galleggianti costituiscono sicuramente dei “manufatti amovibili” ai sensi dell’art. 1 comma 246 della L. 145/2018.
Ad avviso del Tribunale, prima ancora di porsi il problema della sussumibilità del caso concreto nella fattispecie astratta prevista dalla disposizione citata, occorre verificare se tale statuizione normativa sia compatibile con i principi dell’ordinamento comunitario, atteso che una soluzione negativa comporterebbe l’obbligo per il Tribunale (come per qualsiasi Giudice nazionale) di disapplicare la norma in esame.
Invero, sebbene la disposizione non preveda, di per sé, alcuna proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, più volte censurata dalla giurisprudenza nazionale ed europea in quanto contrastante con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento affermati dal Trattato europeo e dalla Direttiva Servizi del 2006, la disposizione – ad avviso del Collegio – risulta “incastonata” in un sistema inscindibile di norme contrastanti con i predetti principi.
In merito, appare doveroso premettere che la giurisprudenza amministrativa di TAR e Consiglio di Stato che, nel corso dell’anno di vigenza della norma (2019), è stata chiamata ad applicarla, non ha rinvenuto nella disposizione profili di contrasto con la disciplina comunitaria, concentrando piuttosto la sua attenzione sulla sussumibilità o meno del caso concreto nella previsione normativa e sulle modalità operative della disposizione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27/09/2019, n. 4855; TAR Piemonte, 09/10/2019, n. 1051; TAR Abruzzo, 27/05/2019, n. 276; TAR Puglia, Sez. Bari, 16/10/2019, n. 1328; Sez. Bari, 19/07/2019, n. 1055; Sez. Bari, 15/07/2019, n. 1022; TAR Puglia, Sez. Lecce, 13/03/2019, 161; Sez. Lecce, 02/07/2019, n. 1135; Sez. Lecce, 23/10/2019, n. 1622; Sez. Lecce, 02/07/2019, n. 1141; Sez. Lecce, 13/03/2019, n. 161; Sez. Lecce, 04/04/2019, n. 196; Sez. Lecce, 08/08/2019, n. 200; Sez. Lecce, 10/01/2019, n. 22; Sez. Lecce, 08/08/2019, n. 1410).
Una limitata censura della statuizione si rinviene solo in TAR Piemonte, 09/10/2019, n. 1051, che, escludendo che l’art. 1 comma 246 L. 145/2018 possa trovare applicazione “estensiva” al demanio idrico, ha affermato: “Il testo fa specifico ed esclusivo riferimento alle concessioni demaniali marittime, in favore delle quali prevede una proroga dell’installazione di manufatti. La norma va letta e interpretata in modo testuale e restrittivo, avendo natura derogatoria rispetto al principio del confronto concorrenziale privilegiato dall’ordinamento eurounitario, rispetto al quale sono incompatibili ipotesi di proroghe o rinnovi sostanzialmente automatici e avulsi da meccanismi di evidenza pubblica”.
La stessa Cassazione penale, nell’unico caso in cui si è occupata sinora della norma in questione, si è limitata ad affermare che la stessa non rilevava, nel caso concreto, ratione temporis, senza alcuna considerazione sulla compatibilità della norma con il diritto europeo: “Nessun effetto può poi spiegare – trattandosi di disposizione transitoria valida per l’avvenire, approvata a distanza di anni dai fatti – la L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 246, (legge finanziaria per il 2019), con cui, nelle more del riordino della legislazione in materia, si è consentito il mantenimento delle strutture amovibili installate dai titolari di concessioni demaniali marittime ad uso turistico sino al 31 dicembre 2020. Anche tale disposizione, a ben vedere, implicitamente semmai conferma la sussistenza dell’obbligo di rimozione laddove previsto”.
Al fine di illustrare le ragioni che – a parere di questo Tribunale – depongono per il contrasto della disposizione con i principi dell’ordinamento europeo, è necessaria una ricostruzione normativa della materia delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo, alle quali sono attualmente affiancate le concessioni attinenti alle strutture destinate alla nautica da diporto (come si evince dal tenore letterale dell’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009, di cui si dirà meglio in seguito).
L’art. 36 comma 1 del Codice della Navigazione (rubricato “Concessione di beni demaniali”) prevede che l’Amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, possa concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale per un determinato periodo di tempo.
L’art. 01 comma 1 del D.L. 400/1993, conv. in L. 494/1993 (“Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime”), ha stabilito che la concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, anche per l’esercizio delle seguenti attività:
a) gestione di stabilimenti balneari;
b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;
c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;
d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive;
e) esercizi commerciali;
f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione.
Il secondo comma del medesimo articolo precisava che le concessioni demaniali marittime, “indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni” e “alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza”, prefigurando in tal modo, evidentemente, un sistema di proroga in perpetuo della concessione.
L’art. 37 Cod. Nav. (“Concorso di più domande di concessione”), sia nella sua stesura originale, sia nella versione modificata dall’art. 02 dello stesso D.L. 400/1993, prevedeva il cd. “diritto di insistenza”, cioè la preferenza attribuita alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo, rispetto alle nuove istanze.
L’art. 10 comma 1 L. 88/2001 interveniva a modificare l’art. 01 comma 2 D.L. 400/1993, stabilendo che le concessioni demaniali turistico-ricreative, “indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione”.
Le disposizioni di cui agli artt. 37 Cod. Nav. e 01 comma 2 D.L. 400/1993 delineavano, pertanto, una “concessione sostanzialmente perpetua”, considerata la possibilità di richiedere rinnovi consecutivi del titolo e stante il diritto del (già) concessionario di essere preferito rispetto ad altre eventuali istanze di assegnazione del bene demaniale marittimo.
Successivamente, all’art. 03 del D.L. 400/1993, veniva aggiunto un comma 4 bis, il quale, in relazione alle “concessioni con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei”, stabiliva che le predette concessioni “possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare” (comma aggiunto dal comma 253 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e poi così modificato dalla lettera c del comma 1 dell’art. 11, L. 15 dicembre 2011, n. 217 – Legge comunitaria 2010).
Siffatta normativa, insensibile alla necessità di aprire alla concorrenza il mercato delle concessioni demaniali marittime, veniva censurata dalla Commissione europea, che, infatti, avviava la procedura di infrazione n. 2008/4908, ritenendo contrastante con l’art. 43 del Trattato CE (poi divenuto art. 49 TFUE), l’art. 37 Cod. Nav., che – come si è detto – in virtù del “diritto di insistenza”, prevedeva la preferenza del concessionario uscente nell’ambito della procedura di attribuzione della nuova concessione, determinando una frizione con il principio di libertà di stabilimento degli operatori economici sancito dal diritto eurounitario.
Esattamente allo scopo di adeguare (almeno formalmente) la disciplina interna con l’ordinamento europeo, veniva adottato il D.L. 194/2009, conv. in L. 25/2010, espungendo dal testo dell’art. 37 Cod. Nav. il “diritto di insistenza” e, dunque, la preferenza accordata al concessionario in atto, in ipotesi di procedura concorsuale.
Tuttavia, lo stesso D.L. 194/2009, pur abrogando tale previsione normativa, prevedeva un meccanismo automatico di proroga delle concessioni in essere, a sua volta attinto da una procedura di infrazione complementare avviata dalla Commissione europea, questa volta incentrata sul contrasto dell’istituto del rinnovo automatico con l’art. 12 della Direttiva 2006/123/CE, emanata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento e dal Consiglio europeo (c.d. “Direttiva Bolkestein”).
In particolare, in base all’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009, “nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse, e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto”, da ispirarsi a principi della concorrenza e del libero mercato, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata del medesimo decreto veniva prorogato, dapprima al 31 dicembre 2012, poi al 31 dicembre 2015 e, da ultimo, al 31 dicembre 2020 (comma così modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 2010, n. 25, dall’art. 34 duodecies, comma 1, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, dall’art. 1, comma 547, L. 24 dicembre 2012, n. 228, a decorrere dal 1° gennaio 2013, e, successivamente, dall’art. 1, comma 291, L. 27 dicembre 2013, n. 147, a decorrere dal 1° gennaio 2014).
Al fine di dare risposta alle censure mosse dalla Commissione europea, veniva approvato l’art. 11 della L. 217/2011 (“Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2010”), il quale, da un lato, ha abrogato l’art. 01 comma 2 del D.L. 400/1993, sulla proroga, alla scadenza, delle concessioni demaniali marittime e, dall’altro, ha delegato il Governo ad adottare, entro quindici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, “un decreto legislativo avente ad oggetto la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime”, dettandone principi e criteri direttivi (tale delega non è mai stata esercitata).
Successivamente, con l’art. 34 duodecies del D.L. 179/2012 (conv. in L. 221/2012), la data di chiusura del sistema di proroghe automatiche ex lege previsto dall’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009 veniva procrastinata di ulteriori cinque anni, passando dal 31/12/2015 al 31/12/2020 (data tenuta ferma fino all’approvazione della L. 145/2018), in relazione alle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 e in scadenza entro il 31 dicembre 2015: ciò sempre in attesa della riforma organica della materia.
Con l’art. 3 septies del D.L. 113/2016, conv. in L. 160/2016, ancora una volta in linea con il sistema di proroghe precedenti e sempre in attesa della revisione della materia delle concessioni demaniali marittime, veniva poi stabilito: “Nelle more della revisione e del riordino della materia in conformità ai princìpi di derivazione europea, per garantire certezza alle situazioni giuridiche in atto e assicurare l’interesse pubblico all’ordinata gestione del demanio senza soluzione di continuità, conservano validità i rapporti già instaurati e pendenti in base all’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25” (comma aggiunto dalla legge di conversione 7 agosto 2016, n. 160).
Ciò detto in relazione al complesso di proroghe generalizzate automatiche ex lege sviluppato dal Legislatore nazionale nel corso di oltre un decennio, quasi sempre con decreto legge, va rilevato come tale sistema sia stato ritenuto in netto contrasto con il diritto alla concorrenza e alla libertà di stabilimento affermato dalla Corte di Giustizia Europea.
La Corte, infatti, nel 2016, è intervenuta proprio su una questione pregiudiziale attinente all’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009 e all’art. 34 duodecies del D.L. 179/2012 (conv. in L. 221/2012), norme con le quali la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime è stata protratta fino al 31 dicembre 2020.
Il TAR Sardegna sottoponeva alla Corte europea (per quanto qui rileva) la seguente questione pregiudiziale:
“Se l’articolo 12 della Direttiva 2006/123/CE osti ad una disposizione nazionale, quale l’articolo 1, comma 18 del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, e successive modifiche ed integrazioni, che consente la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere per attività turistico ricreative, fino al 31 dicembre 2015; ovvero fino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell’articolo 34-duodecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dall’articolo l, comma l, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, di conversione del predetto decreto-legge”.
Orbene, sul punto, la Corte di Giustizia ha statuito assai nettamente che “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati” (cfr. Corte Giustizia UE sez. V – 14/07/2016, n. 458, in cause riunite Promoimpresa e Melis).
Occorre osservare che l’art. 12 (“Selezione tra diversi candidati”) della Direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno (cd. Direttiva Bolkestein), al primo paragrafo, prevede che, “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.
Al secondo paragrafo si aggiunge: “Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”.
A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia, il Consiglio di Stato ha costantemente affermato che l’operatività delle proroghe disposte dal Legislatore nazionale non può che essere esclusa in ossequio alla pronuncia del 2016 del Giudice eurounitario, comportante la disapplicazione dell’art. 1 comma 18 D.L. n. 194/2009 e dell’art. 34 duodecies D.L. 179/2012, pertanto la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento (cfr.: Cons. Stato, Sez. V, sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874; Sez. V, 27 febbraio 2019 n. 1368; Sez. V, 11 giugno 2018 n. 3600; Sez. VI, 13 aprile 2017 n. 1763).
Tutto ciò premesso, appare evidente che la disposizione dettata dall’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 non può essere letta “atomisticamente”, non comprendendosi altrimenti il perché della data prevista “31 dicembre 2020”, in quanto tale statuizione costituisce il “precipitato storico” di una normativa in materia di proroghe automatiche che si sviluppa ormai da oltre un decennio e che è pacificamente ritenuta contrastante con i principi comunitari di concorrenza e libertà di stabilimento.
In particolare, la norma va letta e interpretata in combinato disposto con l’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009, unitamente al quale, costituisce un sistema inscindibile di norme, almeno per un triplice ordine di ragioni:
a) l’art. 1 comma 246 della Legge Finanziaria 2019 espressamente richiama l’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009;
b) identica è la data prevista, quella del “31 dicembre 2020”, sia per la fine del regime di proroga (art. 1 comma 18 D.L. 194/2009), sia per la fine del mantenimento delle opere amovibili (art. 1 comma 246 L. 145/2018);
c) entrambe le norme hanno un dichiarato carattere transitorio, dettando discipline di particolare favor per i concessionari uscenti, fino all’approvazione della riforma in materia di concessioni demaniali marittime (“nelle more del riordino della materia previsto dall’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194”).
Solo una lettura sistematica della norma consente di comprendere che l’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 completa e integra la disciplina dettata dall’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009: mentre la disposizione del 2009 (a seguito delle successive modifiche) prevede una proroga automatica ex lege delle concessioni demaniali marittime a scopo turistico ricreativo al 31 dicembre 2020, nelle more della ridefinizione complessiva della materia, la norma del 2018 consente ai concessionari uscenti di mantenere per l’intero anno, fino al 31 dicembre 2020 (stessa identica data), le opere amovibili installate sull’area demaniale, che (in base ai titoli autorizzativi rilasciati) dovrebbero invece essere rimosse al termine della stagione estiva.
Conseguentemente: se va disapplicata la disposizione che, in attesa del riordino della materia delle concessioni demaniali marittime, prevede la proroga generalizzata delle concessioni al 31 dicembre 2020, non può non essere disapplicata anche la statuizione che, in virtù della precedente, sempre in attesa del riordino della materia, consente ai concessionari di mantenere installate fino alla medesima data, le opere amovibili realizzate sull’area demaniale.
L’art. 1 comma 246 della L. 145/2018, quindi, pur non contemplando direttamente alcuna ipotesi di proroga ex lege delle concessioni in essere, trova nell’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009 (che introduce un sistema di proroghe reiteratamente rinnovato e altrettanto reiteratamente censurato), il suo indispensabile e inscindibile “presupposto logico-giuridico”, senza il quale la disciplina dettata dall’art. 1 comma 246 citato non avrebbe alcun senso e alcuna reale portata normativa.
Non v’è dubbio, infatti, che, anche in base alla normativa esistente prima dell’entrata in vigore della L. 145/2018, non era certamente impedito ai concessionari demaniali (con titolo valido ed efficace) richiedere, in presenza dei necessari presupposti e secondo la normativa “ordinaria” (senza necessità di alcuna norma “eccezionale”), il mantenimento per l’intero anno di manufatti amovibili originariamente assentiti per la sola stagione estiva con obbligo di rimozione per la stagione invernale.
Evidentemente la disposizione in esame intende prevedere un quid pluris in favore dei concessionari uscenti, altrimenti la previsione non avrebbe una concreta ed effettiva valenza normativa, giungendosi così alla violazione del principio ermeneutico che sancisce il divieto di interpretatio abrogans.
In sostanza, quella prevista dall’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 non è altro che una “facoltà accessoria” riconosciuta ai concessionari uscenti, che già beneficiano di una proroga automatica generalizzata ed ex lege: se già è in contrasto con l’ordinamento europeo la proroga, non può non esserlo anche tale facoltà aggiuntiva, che finisce col rendere ancor più vantaggioso il trattamento riservato ai concessionari in atto, in stridente contraddizione con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento.
Si coglie, in tal modo, un ulteriore profilo di contrasto della disposizione in esame con la Direttiva Servizi. Invero, l’art. 12 paragrafo 2 della Direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno (cd. Direttiva Bolkestein), sopra richiamato, stabilisce che, al concessionario uscente, non soltanto non può essere riconosciuto un “rinnovo automatico” del titolo, ma neppure possono essere accordati “altri vantaggi”.
Non appare revocabile in dubbio che una previsione “derogatoria” ed “eccezionale”, che consenta al concessionario uscente di mantenere installati stabilmente, fino alla fine della durata della concessione, manufatti amovibili originariamente assentiti con prescrizione di stagionalità, come fa appunto l’art. 1 comma 246 della L. 145/2018, rappresenti un ulteriore indiscutibile “vantaggio” per l’operatore.
Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che, mentre l’art. 1 comma 246 àncora il diritto di mantenimento dei manufatti amovibili, nelle more della revisione della materia, al 31 dicembre 2020, data indicata dall’art. 1 comma 18 del D.L. 194/2009, dunque dalla disciplina previgente rispetto alla L. 145/2018, la stessa Legge Finanziaria 2019, ai commi 675-684, delinea l’ennesimo sistema di proroghe automatiche generalizzate ex lege, la cui incompatibilità con la Direttiva Servizi appare del tutto evidente, il quale prevede che la concreta operatività della riforma delle concessioni (ancora da venire) non dispieghi i suoi effetti prima del lontano 2034.
Invero, ai sensi del comma 675, “al fine di tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane, che rappresenta un elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in un’ottica di armonizzazione delle normative europee, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge (…) sono fissati i termini e le modalità per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime”.
Il comma 676 prevede che il predetto Decreto debba stabilire le condizioni e le modalità per procedere alla ricognizione dell’esistente, in ordine a: demanio costiero-marittimo; concessioni attualmente vigenti; numero di imprese concessionarie; investimenti effettuati; tempistiche di ammortamento; canoni attualmente applicati.
Ai sensi del successivo comma 677, il Decreto dovrà contenere i criteri per strutturare “la revisione organica delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di demanio marittimo di cui al codice della navigazione o a leggi speciali in materia”.
Le Amministrazioni individuate dal medesimo Decreto avranno due anni di tempo, dalla data di adozione del predetto testo normativo, per l’esecuzione delle attività propedeutiche e di monitoraggio (comma 678).
Sulla base delle risultanze dei lavori svolti, dovrà poi essere avviata una procedura di consultazione pubblica, per la quale è stabilito il termine massimo di centottanta giorni dalla data di conclusione dei lavori da parte delle Amministrazioni interessate (comma 679).
A conclusione di detti lavori, i principi ed i criteri tecnici ai fini dell’assegnazione delle concessioni sulle aree demaniali marittime saranno definiti con un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (comma 680).
A questo punto, viene delineato un “doppio binario” normativo, a seconda che le aree da assegnare siano libere o siano invece interessate da una concessione già in atto.
Per le prime, il comma 681 statuisce che, “al termine della consultazione di cui al comma 679, secondo i princìpi e i criteri tecnici stabiliti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto dal comma 680, sono assegnate le aree concedibili ma prive di concessioni in essere alla data di entrata in vigore della presente legge”.
Per le concessioni demaniali marittime già in essere, invece, i commi 682 e 683 prevedono una proroga automatica (sotto forma di “decorrenza” di un “nuovo” termine di durata) di ben quindici anni, dalla data di entrata in vigore della legge (1 gennaio 2019), giungendo quindi al 31 dicembre 2033.
Solo “al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677, rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale”.
Il comma 684, infine, prevede la medesima proroga di quindici anni per le concessioni delle aree del demanio marittimo per finalità residenziali e abitative.
Non può certamente escludersi, pertanto, che il Legislatore, in un futuro assai prossimo, allo scopo di colmare il suindicato iato temporale (esistente tra il 31 dicembre 2020, data finale del periodo di proroga automatica secondo la disciplina vigente ante L. 145/2018, e il 31 dicembre 2033, data finale del periodo di proroga secondo la nuova disciplina dettata dalla stessa L. 145/2018), possa adottare un ulteriore intervento normativo che ancori alla nuova data di apertura alla concorrenza (31 dicembre 2033) anche la facoltà di mantenere installate sulle aree demaniali date in concessione le opere amovibili assentite con prescrizione di stagionalità.
Il contrasto con il diritto dell’Unione del sistema di proroghe previsto dalla L. 145/2018 è stato assai recentemente stigmatizzato anche dal Consiglio di Stato, il quale ha affermato: “Alla luce del prevalente indirizzo giurisprudenziale, non è in alcun modo riscontrabile una proroga automatica ex lege di una concessione demaniale marittima. Ciò significa che anche la più recente proroga legislativa automatica delle concessioni demaniali in essere fino al 2033, provocata dall’articolo unico, comma 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) (…) è coinvolta, con le conseguenze del caso, nel ragionamento giuridico sopra esposto (…) perché detta disposizione rievoca norme nazionali già dichiarate in contrasto con l’ordinamento eurounitario dalla Corte di Giustizia nel 2016 (determinando una giuridicamente improbabile reviviscenza delle stesse)” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874).
A seguito della sentenza del Consiglio di Stato, in data 20 dicembre 2019, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha diramato una Circolare indirizzata a tutte le Autorità di Sistema Portuale avente ad oggetto “Art. 1 commi 682 e 683 della Legge n 145 del 30/12/2018” (esattamente i commi che prevedono la proroga delle concessioni demaniali marittime per altri quindici anni), rilevando come le norme in esame siano state ritenute in contrasto con l’ordinamento eurounitario con la sentenza appena citata e ricordando il “principio ormai consolidato in giurisprudenza”, “secondo il quale la disapplicazione della norma nazionale confliggente con il diritto dell’Unione europea, a maggior ragione se tale contrasto è stato accertato dalla Corte di Giustizia UE, costituisce un obbligo per lo Stato membro, in tutte le sue articolazioni, e, quindi, anche per l’apparato amministrativo e per i funzionari, qualora sia chiamato ad applicare una norma interna contrastante con il diritto comunitario”.
Sembra doversi concludere, pertanto, che l’intero impianto contemplato dalla L. 145/2018 (Legge Finanziaria 2019) in materia di concessioni demaniali marittime (sia il comma 246, che consente il mantenimento delle opere amovibili, sia i commi 675-684 dell’articolo unico del testo normativo, che prefigurano un nuovo sistema di proroghe automatiche e generalizzate ex lege) sia gravemente viziato dai medesimi difetti di contrasto con i principi europei di concorrenza e libertà di stabilimento sanciti dalla Direttiva Servizi del 2006 e dall’art. 49 TFUE, stigmatizzati dalla Corte di Giustizia con la sentenza suindicata (Corte Giustizia UE, Sez. V, 14/07/2016, n. 458, in cause riunite Promoimpresa e Melis) e reiteratamente censurati dalla giurisprudenza amministrativa nazionale.
Anche qualora non si dovessero condividere le argomentazioni illustrate dal Tribunale al fine di dimostrare la necessità di disapplicare in radice la disposizione di cui all’art. 1 comma 246 L. 145/2018 per insanabile contrasto con i principi eurounitari di concorrenza e libertà di stabilimento, va osservato che tutte le pronunce (senza eccezione alcuna) registratesi fino a questo momento sulla statuizione in esame hanno, esplicitamente o implicitamente, affermato l’onere, per il soggetto che intenda avvalersi della facoltà di mantenere installati i manufatti amovibili sulle aree demaniali, di formulare apposita istanza alle Amministrazioni coinvolte.
In particolare, tra le pronunce più chiare in tal senso, appare possibile richiamare:
• TAR Puglia, Sez. Lecce, 23/10/2019, n. 1622, che afferma che “non risulta dimostrata la presentazione di una rituale domanda ai sensi dell’art. 1, comma 246, della legge n. 145/2018, sicchè la dichiarazione presentata in sede giurisdizionale, peraltro successivamente al provvedimento impugnato, non può ritenersi all’uopo rilevante”;
• TAR Puglia, Sez. Lecce, 02/07/2019, n. 1141, secondo cui la norma in questione “non esclude la presentazione di un’apposita istanza anche al fine di dimostrare la sussistenza dei presupposti ivi indicati fra cui l’amovibilità”;
• TAR Puglia, Sez. Bari, 15/07/2019, n. 1022, che analizza un caso in cui il soggetto interessato aveva presentato apposita istanza all’Amministrazione ex art. 1 comma 246 L. 145/2018;
• TAR Puglia, Sez. Bari, 16/10/2019, n. 1328, in un caso in cui viene impugnato il silenzio serbato dall’Amministrazione proprio su un’istanza di mantenimento dei manufatti amovibili ai sensi della disposizione in esame;
• TAR Abruzzo, 27/05/2019, n. 276, che drasticamente afferma: “Nessuna deroga al regime dell’autorizzazione paesaggistica delle opere amovibili può inoltre ricondursi, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, all’art. 1, comma 246, della legge n.145 del 30.12.2018 che consente ai titolari di concessioni demaniali marittime di mantenere installati fino al 31.12.2020 i manufatti amovibili”;
• TAR Puglia, Sez. Lecce, 02/07/2019, n. 1135, che afferma che l’Amministrazione ha il dovere di pronunciarsi sull’istanza di mantenimento delle opere ex art. 1 comma 246, procedendo ad effettuare un’apposita istruttoria.
Appare evidente, dunque, come la giurisprudenza amministrativa registratasi fino a questo momento, consapevole della portata potenzialmente dirompente della disposizione in esame (qualora dovesse essere interpretata come introduttiva di una “facoltà potestativa”, senza necessità di alcuna istanza) abbia tentato di ridimensionarne gli effetti in via interpretativa, con l’intento di renderla compatibile con i principi eurounitari e costituzionali.
Tuttavia, procedendo in tale direzione, affermando che la norma necessita di un’apposita istanza, di un’accurata istruttoria, del coinvolgimento di tutte le Amministrazioni interessate, non escluse quelle deputate alla tutela del paesaggio, dell’avvio di un procedimento amministrativo che deve concludersi con un provvedimento esplicito e formale dell’Amministrazione, si finisce col privare la statuizione di ogni reale portata normativa.
Invero, come si è già evidenziato, già prima dell’entrata in vigore della L. 145/2018, non era certamente impedita al concessionario che avesse ottenuto un titolo per l’installazione stagionale di manufatti amovibili, la presentazione di un’apposita istanza alle Amministrazioni interessate allo scopo di mantenere le opere anche per la stagione invernale, mediante la revoca o la revisione della prescrizione di stagionalità.
D’altro canto, è quanto, nel caso di specie, ha tentato di fare il Comune di Otranto, non soltanto presentando un nuovo progetto, ritenuto meno impattante sotto il profilo paesaggistico, ma anche chiedendo alla Soprintendenza di rivedere la condizione di stagionalità (parte integrante del parere favorevole espresso nel 2010 sul progetto originario concretamente realizzato) con reiterate richieste, che, almeno allo stato, non hanno sortito esito favorevole.
Interpretando in tal modo la disposizione in esame (così come la costante giurisprudenza amministrativa registratasi fino a questo momento), la norma, anziché ampliare le facoltà del concessionario, finirebbe addirittura per “limitarle”: il soggetto interessato, infatti, dovrebbe sobbarcarsi tutti gli oneri propri della procedura ordinaria di revoca della prescrizione di stagionalità, per ottenere di mantenere installati i propri manufatti amovibili “solo” sino al 31 dicembre 2020, quando, sulla base dei principi generali ordinari del diritto amministrativo, seguendo la medesima procedura, potrebbe tranquillamente ottenere il mantenimento delle opere a tempo indeterminato.
Certamente, non può ritenersi fossero queste le intenzioni del Legislatore nel momento in cui ha introdotto l’art. 1 comma 246 della L. 145/2018: assai verosimilmente, invece, l’idea era quella di concedere una “facoltà potestativa”, con attivazione “automatica” o, al più, operante a seguito di una semplice “comunicazione” alle Amministrazioni interessate (non un’istanza con un successivo procedimento e un provvedimento finale di accoglimento o rigetto).
Se così è, se dunque la norma può essere “salvata” solo deprivandola totalmente di ogni preteso carattere “derogatorio” ed “eccezionale”, sottraendole ogni effettiva portata normativa, non si può che convenire che ciò dimostra definitivamente che la disposizione va disapplicata per irriducibile contrasto con l’ordinamento eurounitario.
In sostanza, delle due l’una:
a) o si interpreta la norma nella maniera più “normalizzante” possibile, piegandola a tutti principi nazionali e sovranazionali che vengono in rilievo, e allora essa finisce per non avere alcun reale contenuto normativo, cristallizzando perfettamente una facoltà di cui i soggetti interessati già disponevano in precedenza;
b) oppure si interpreta la disposizione come un effettivo quid pluris che il Legislatore intende garantire al concessionario (in particolare, affermando che la norma introduce una “facoltà potestativa”, che non necessita di alcuna istanza, o assicurando una speciale semplificazione procedimentale, in deroga rispetto ai principi generali), e allora la statuizione entra in evidente contrasto con l’ordinamento eurounitario (e anche con alcuni principi costituzionali, ad esempio, in materia di tutela del paesaggio).
In conclusione, ad avviso del Tribunale, la soluzione corretta è ritenere che la disposizione contemplata dall’art. 1 comma 246 L. 145/2018, al pari di tutte le norme contenute nella L. 145/2018 in materia di concessioni demaniali marittime, vada disapplicata; con la conseguenza che i soggetti interessati possono avanzare alle Amministrazioni competenti una “ordinaria” richiesta di revisione della prescrizione di stagionalità, con conseguente mantenimento dei manufatti amovibili per l’intero anno e non per la sola stagione estiva.
Le illustrate osservazioni in ordine al dovere di disapplicare l’art. 1 comma 246 L. 145/2018, in quanto contrastante con il diritto dell’Unione, rendono irrilevante la trattazione delle questioni dedotte dalle parti in ordine alla sussumibilità in detta norma del caso concreto relativo all’attracco turistico di Otranto, attinenti al titolo di cui dispone il Comune di Otranto (“anticipata occupazione” e non “concessione”) e al carattere di “amovibilità” o meno delle opere.
15. L’ELEMENTO SOGGETTIVO
La Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare che, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al Giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso Giudice può rilevare anche il difetto dell’elemento soggettivo del reato, purché esso emerga ictu oculi (cfr. Cass pen., Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016 – dep. 03/05/2016, Iommi e altro, Rv. 26689601; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008 – dep. 12/06/2008, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007 – dep. 04/06/2007, Citarella, Rv. 236474).
Ne consegue che il Tribunale del Riesame può annullare un provvedimento di sequestro anche qualora difetti il solo elemento soggettivo del reato oggetto di addebito cautelare, ciò è tuttavia possibile solo ed esclusivamente quanto l’assenza del dolo o della colpa risulti di immediato rilievo.
Applicando tale principio al caso di specie, è agevole osservare come, non solo non emerga l’assenza del richiesto elemento soggettivo, ma risulti documentalmente la sua sussistenza.
Invero, come si è già avuto modo di rilevare nei paragrafi precedenti, l’illegittimità della condotta del Comune di Otranto (dunque dei suoi amministratori) emerge in tutta la sua evidenza ove si consideri che l’Ente ha lungamente omesso di ottemperare all’obbligo di rimozione dei pontili.
Il predetto onere era già contemplato nel parere reso, nel 2010, dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia (prot. 11391 del 29/11/2010), poi pedissequamente confluito nell’Autorizzazione paesaggistica n. 162 del 21/10/2011.
I lavori di riqualificazione e ampliamento del porto turistico di Otranto sono stati conclusi già nell’aprile 2016 (collaudo dell’opera del 30/5/2016). Da allora, i pontili non sono mai stati smontati, nonostante il chiaro tenore letterale dei provvedimenti autorizzativi che prescrivevano la “condizione di stagionalità” e nonostante le ripetute intimazioni a provvedere emanate dalla Soprintendenza competente (nota prot. 20505 del 25/10/2018), cui hanno fatto seguito, in epoca più recente, le diffide dell’Ufficio Circondario Marittimo di Otranto del 10/10/2019, dell’Avvocatura Generale dello Stato di Roma e della Capitaneria di Porto di Gallipoli del 23/12/2019.
Anche a fronte di tali intimazioni e diffide, il Comune di Otranto ha costantemente replicato con la formulazione di ulteriori progetti, i quali, basati su valutazioni di opportunità tecnica ed economica, si presentano parzialmente diversi da quello originario, concretamente realizzato, ma tutti accomunati dalla previsione del mantenimento dei pontili per l’intero anno: si fa riferimento sia al progetto che prevedeva l’abbassamento del piano di calpestio dei pontili, sostituendo quelli attuali, galleggianti, con pontili fondati su pali infissi nel fondale marino, sia al progetto all’esame della conferenza di servizi attualmente in corso.
Quella di non procedere allo smontaggio dei pontili è stata, pertanto, una scelta consapevole, scientemente adottata, sebbene sulla base di valutazioni di opportunità.
A nulla vale sostenere – come fanno le difese – che il Comune di Otranto ha mantenuto installati i pontili in quanto riteneva, in perfetta buona fede, che il disposto dell’art. 1 comma 246 L. 145/2018 fosse applicabile al caso di specie e che operasse senza necessità di formulare un’apposita istanza di mantenimento alle Amministrazioni interessate.
Sul punto, è sufficiente rilevare come la norma in questione sia entrata in vigore solo in data 1/1/2019, mentre l’Amministrazione comunale aveva l’obbligo di smontare i pontili galleggianti già dall’1 novembre 2016, quindi subito dopo la stagione estiva dello stesso anno, considerato che i lavori di realizzazione dell’opera sono stati ultimati già nell’aprile 2016.
Né può ritenersi – come pure opinato dalle difese – che la condotta inerte del Comune fosse “coperta” e giustificata dai provvedimenti di sospensione adottati in sede cautelare dal TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, o dalle sentenze emesse in primo grado dal medesimo Tribunale.
Come si è già rilevato, non solo le predette pronunce sono state ribaltate dal Consiglio di Stato in grado di appello, ma, soprattutto, nessuna di queste riguarda direttamente il parere reso dalla Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia (prot. 11391 del 29/11/2010), poi richiamato nell’Autorizzazione paesaggistica n. 162 del 21/10/2011, atto amministrativo mai sospeso da alcun provvedimento giurisdizionale amministrativo in quanto mai impugnato.
Il Giudice amministrativo, infatti, come si è osservato, è stato chiamato a pronunciarsi solo indirettamente sul predetto parere, solo in quanto il Comune di Otranto ha ritenuto di impugnare il rigetto opposto, con nota del 2/11/2016, dalla Soprintendenza alla richiesta di “revisione” di tale parere (si è dunque impugnato un atto meramente confermativo del parere del 2010, non il parere del 2010).
È da ritenere, dunque, come nel caso di specie, sussista l’elemento soggettivo necessario per poter considerare integrati i reati ascritti, rappresentato non dalla semplice colpa (che pure sarebbe sufficiente, trattandosi di contravvenzioni), ma dalla deliberata e reiterata determinazione di non procedere alla rimozione dei pontili per la stagione invernale.
16. IL PERICULUM IN MORA
È già stata richiamata (a pag. 22) la sentenza con la quale la Suprema Corte di Cassazione, pur non prendendo esplicitamente posizione sulla problematica attinente alla vincolatività del giudicato amministrativo nel processo penale, ha affermato che, qualora il Tribunale del Riesame ritenga di essere vincolato al rispetto della decisione irrevocabile intervenuta nel giudizio amministrativo con riferimento al fumus commissi delicti, non può esprimere valutazioni difformi in ordine al periculum in mora (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 46471 del 20/09/2012 – dep. 30/11/2012, P.M. in proc. Valentini e altro, Rv. 253919 – 01).
Il principio appare certamente condivisibile per evidenti ragioni di coerenza intrinseca del provvedimento.
Orbene, il Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 1431, del 1/2/2018 – dep. 6/3/2018), chiamato ad esprimersi sul parere reso dalla Soprintendenza in ordine al secondo progetto presentato dal Comune di Otranto, che prevedeva la stabile permanenza per l’intero anno dei pontili di attracco presso il porto turistico, ha affermato la legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione statale, rilevando che, in tal modo, la struttura “si configurerebbe quale opera stabile non avente i requisiti di reversibilità e stagionalità e pertanto, comporterebbe l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”.
Nella medesima sentenza, in considerazione della notevole rilevanza paesaggistica e culturale del sito interessato dall’intervento, si osserva come la permanenza dei pontili durante la stagione invernale integri una rilevante lesione del bene naturalistico protetto, trattandosi di un’area assoggettata, sia al vincolo paesaggistico, sia al vincolo archeologico (“Tratto di mare antistante il centro antico”), sia al vincolo di tutela indiretta ai sensi dell’art. 45 D.Lgs. 42/2004 (“Area demaniale marittima prospiciente il centro antico e specchio d’acqua”): “Il valore paesaggistico e storico-culturale del compendio territoriale in cui si colloca l’intervento, oggetto di altrettanti specifici provvedimenti di vincolo, è stato espressamente considerato dalla Soprintendenza nell’imporre – già nel 2010 e nel ribadire nel 2014 – la prescrizione sulla stagionalità dei pontili. Gli atti allora emanati dalla Soprintendenza, nel valutare le specifiche soluzioni progettuali prospettate dal Comune, si sono espressi favorevolmente in ordine alla relativa realizzazione delle opere, in quanto queste, per il loro carattere stagionale, sono state ritenute conformi agli interessi pubblici e alle esigenze di tutela paesaggistica”.
Peraltro, va ricordato come la Soprintendenza competente, proprio in considerazione del peculiare valore paesaggistico e archeologico del sito, abbia espresso parere negativo, in ragione della persistenza dei pontili galleggianti, anche in relazione ad un nuovo progetto comunale che prevedeva il divieto di attracco per barche e natanti per l’intera stagione invernale (cfr. provvedimento adottato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri datato 11/6/2019).
Occorre osservare, invero, come l’opera in questione, complessivamente considerata, assuma proporzioni assai considerevoli, atteso che si tratta di ben n. 42 pedane galleggianti, ciascuna delle dimensioni di m. 12,00 x 2,50, che unite insieme occupano una superficie di mq. 1.260, consentendo l’ormeggio di ben. 260 imbarcazioni.
Tale considerazione consente di comprendere l’impatto delle strutture in esame che, realizzate con la prescrizione della stagionalità e quindi con l’obbligo di rimuoverle nel periodo invernale (dall’1 novembre al 30 aprile di ogni anno), non sono invece mai state rimosse dopo il collaudo e la dichiarazione di agibilità della struttura, intervenuti nel 2016 (collaudo del 30/5/2016).
È agevole rilevare come l’illegittima persistenza di una simile struttura determini l’afflusso e la sosta di numerosissime imbarcazioni da diporto, con conseguente aggravio del carico urbanistico, attesa anche la necessità di reperire gli indispensabili parcheggi.
In un caso esattamente sovrapponibile alla fattispecie che ci occupa, in cui venivano contestati i reati edilizio, paesaggistico e di occupazione demaniale, per l’installazione di moduli galleggianti, in relazione a “nove pontili collegati tra loro a mezzo di un passaggio centrale e due ulteriori pontili adiacenti la sponda del lago”, la Suprema Corte, in tema di esigenze cautelari, ha evidenziato: “Il periculum in mora è più che evidente, quanto alla contravvenzione demaniale, tenuto conto che la libera disponibilità dei beni sequestrati determina il protrarsi della occupazione abusiva costituente reato. Appare ultroneo discettare, pertanto, circa l’aggravamento del carico urbanistico connesso all’incremento dei posti-barca disponibili, comunque valutabile quanto meno sotto il profilo della necessità di maggiori spazi da destinare a parcheggio dei veicoli utilizzati dai proprietari delle imbarcazioni per raggiungere il luogo di ormeggio” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 13677 del 15/12/2006 – dep. 03/04/2007, Scalfati).
Invero, non appare decisivo sostenere – come fanno le difese – che, anche in assenza dell’approdo turistico, ci sarebbero comunque delle barche ancorate a “corpi morti”, perché è innegabile che l’esistenza di un porto organizzato, con pontili, servizio idrico ed elettrico, aumenti l’afflusso di barche sul sito.
In analoga vicenda, attinente al sequestro preventivo di due pontili galleggianti per l’ormeggio di imbarcazioni, la Suprema Corte, “quanto al periculum in mora, ritiene che effettivamente il mantenimento in sito dei due pontili avrebbe potuto aggravare o protrarre le conseguenze del reato, fornendo l’occasione per ulteriori abusive occupazioni di suolo demaniale marittimo mediante stazionamento di barche e materiale nautico. Non sussiste, dunque, alcun vizio di legittimità sul punto” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 22120 del 29/04/2015 – dep. 27/05/2015, Generosi).
L’assunto difensivo secondo cui il sequestro impedirebbe la rimozione dei pontili e delle imbarcazioni ormeggiate, determinando l’effetto opposto a quello perseguito con la misura cautelare reale, con conseguenze pregiudizievoli provocate dallo stesso provvedimento di sequestro, è destituito di fondamento.
Invero, il ragionamento in questione, portato alle estreme conseguenze, potrebbe indurre a ritenere anche il Comune di Otranto sprovvisto di un concreto interesse all’impugnazione del provvedimento di sequestro adottato.
In ogni caso, va rilevato che il decreto di sequestro non prevede la facoltà d’uso e il Pubblico Ministero ha già adottato un provvedimento esecutivo del sequestro che impone la rimozione di tutte le imbarcazioni attraccate entro il 20/1/2020 (cfr. Ordine di esecuzione di decreto di sequestro preventivo del 6/12/2019).
Quanto alla rimozione dei pontili galleggianti, è evidente che, nel momento in cui vi fosse l’intenzione, da parte del Comune di Otranto, di rimuovere le strutture, il sequestro verrebbe meno o comunque l’operazione verrebbe autorizzata senza alcuna difficoltà.
Occorre considerare poi che il reato di occupazione demaniale ha carattere permanente, quindi è attualmente in corso.
Sul punto, si è già avuto modo di rilevare (paragrafo n. 12 della presente ordinanza) che, sebbene l’approdo turistico sia gestito dal Comune di Otranto, quindi da un Ente pubblico, le modalità di gestione, con selezione dei diportisti cui assegnare i posti barca ad opera dell’Amministrazione comunale e pagamento di significative tariffe, sottraggono l’area demaniale all’uso pubblico, o quantomeno ne determinano una rilevante restrizione in riferimento alla generalità dei consociati.
Si tratta di una formula gestionale, quindi, che non presenta caratteri fondamentali differenti rispetto alla gestione di un qualsiasi privato concessionario.
17. SPESE
Alla luce delle considerazioni che precedono, i ricorsi formulati nell’interesse di Cariddi Pierpaolo, De Benedetto Cristina, Bello Lorenzo Emanuele, De Donno Domenica e Tenore Michele vanno dunque dichiarati inammissibili per carenza di interesse all’impugnazione; mentre il ricorso presentato dal Comune di Otranto va rigettato nel merito per le argomentazioni sopra illustrate, dovendo dunque trovare conferma il decreto di sequestro oggetto di gravame.
Alla statuizione reiettiva segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente procedimento, ai sensi del generale principio sancito dall’art. 592 comma 1 c.p.p., secondo cui la parte privata che ha formulato un atto di impugnazione dichiarato inammissibile o rigettato nel merito deve essere condannata al pagamento delle spese del relativo procedimento.
P.Q.M.
Visto l’art. 324 c.p.p.,
1) dichiara inammissibili i ricorsi promossi nell’interesse di Cariddi Pierpaolo, De Benedetto Cristina, Bello Lorenzo Emanuele, De Donno Domenica e Tenore Michele;
2) rigetta il ricorso proposto nell’interesse del Comune di Otranto, in persona del Sindaco p.t. Cariddi Pierpaolo, e per l’effetto conferma il provvedimento impugnato;
3) condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese della presente fase del procedimento;
4) manda alla cancelleria per gli adempimenti e le comunicazioni di rito.
Così deciso in Lecce, 27 dicembre 2019
Il Giudice est.
Dott. Antonio Gatto
Il Presidente
Dott. Carlo Cazzella