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I disastri servono per lo sviluppo economico?

STEFANO NESPOR*

Uno dei criteri per riconoscere se un paese può essere incluso tra i paesi economicamente e socialmente sviluppati è, secondo molti, costituito dalle conseguenze economiche di un disastro, non importa se naturale (terremoto, alluvione, uragano o altro) o prodotto dall’uomo (incidente industriale).

Se il disastro determina danni al patrimonio produttivo e alle infrastrutture e un arretramento economico dell’area colpita che permangono per anni, si può essere ragionevolmente sicuri che siamo in presenza di un paese povero o socialmente ed economicamente non sviluppato.
 

Se invece il disastro produce, nel medio-lungo periodo, effetti positivi sull’economia dell’area colpita, in quanto offre la possibilità di sostituire infrastrutture obsolete con infrastrutture nuove, tecnologicamente più avanzate e di innovare i processi produttivi e l’organizzazione del territorio, con tutta probabilità ci troviamo in un paese ricco e economicamente sviluppato. È ciò che Schumpeter chiamava la distruzione creativa, un fenomeno tipico del mercato concorrenziale in cui le catastrofi offrono l’occasione per sostituire il vecchio con il nuovo, di introdurre nuovi metodi di produzione o trasporto, di aprire nuovi mercati, di sperimentare nuove forme d’organizzazione industriale. Una derivazione pratica è il cosiddetto “effetto Jacuzzi”: se si rompe la vecchia vasca da bagno, la tendenza è sostituirla con una che offra maggiore comodità.
 

Il caso più frequentemente citato a questo proposito è costituito dal terremoto del 1995 di Kobe in Giappone del 1995. Ci furono settemila vittime e trecentomila senza tetto, furono distrutti o danneggiati 400.000 edifici, i sistemi idrico, elettrico, ferroviario, e fognario e l’intero sistema portuale, uno dei più importanti a livello mondiale. Quindici mesi dopo, la produzione industriale aveva raggiunto il 98% del livello precedente; dopo un anno, il 100% dell’import e l’80% dell’export del porto erano stati recuperati.

Proprio tenendo conto degli effetti della distruzione creatice schumpeteriana, due importanti economisti statunitensi, Lawrence Summers (membro del governo federale nelle amministrazioni di Bill Clinton e Barack Obama) e Paul Krugman (Premio Nobel per l’economia ed editorialista del New York Times) hanno ipotizzato che il disastro naturale che ha colpito il Giappone pochi mesi fa possa aiutare la ripresa economica del paese, grazie alla spesa in più generata dagli sforzi di ricostruzione.
 

Anche se non tutti condividono l’idea degli effetti benefici delle catastrofi, quel che è certo è che gli effetti dei disastri sono sempre più pesanti e duraturi nei paesi poveri che non nei paesi ricchi. Nei primi infatti incidono in modo pesantemente negativo le carenze dell’organizzazione amministrativa, l’insufficienza di mezzi, e, spesso, la corruzione e la negligenza degli organi governativi preposti e la criminalità organizzata che trae profitto dalla sciagura.
 

Un inciso: tutti i lettori si renderanno conto della singolare posizione dell’Italia, messa in evidenza dal recente terremoto dell’Aquila e, prima, dal terremoto dell’Irpinia: tutto accade – corruzione e criminalità compresa – come se fosse un paese povero, pur collocandosi tra i primi dieci paesi più ricchi a livello mondiale.
 

Proprio per gli sproporzionati effetti che i disastri producono nei paesi più poveri le Nazioni Unite da anni considerano una priorità della comunità internazionale lo sviluppo di una politica di prevenzione dei disastri e poi di intervento con aiuti per le popolazioni colpite e per la ricostruzione ed hanno anche organizzato due grandi congressi internazionali per mettere a punto le linee guida da seguire: nel maggio del 1994, la Yokohama Conference on Disaster Reduction, dove è stato adottato un Piano d’azione per un mondo più sicuro (Plan of Action for a Safer World); nel gennaio 2005, ancora in Giappone, a Kobe, la World Disaster Reduction Conference (WDRC), per aggiornare le strategie delineate a Yokohama. In quest’occasione 168 paesi membri delle Nazioni Unite hanno adottato la Hyogo Framework for Action (HFA), un piano decennale per dare attuazione ad una politica di contenimento dei rischi provocati dai disastri.

* Avvocato in Milano

Riferimenti e bibliografia.
U.N. Economic and Social Council – Resolution 1994/31
http://www.un.org/documents/ecosoc/res/1994/eres1994-31.htm
World Disaster Reduction Conference (WDRC) and Hyogo Declaration
http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?DocumentID=392&ArticleID=4707&l=en; http://www.unisdr.org/2005/wcdr/wcdr-index.htm
Piero Monsurrò, Uragani e terremoti. Una nuova politica per la crescita? in IBL Briefing Paper 11 aprile 2011
M.Skidmore – H. Toya, Do Natural Disasters Promote Long-run Growth? in Economic Inquiry, 40, 2002, p. 664-687.
J.C. Cuaresma – J. Hlouskova – M. Obersteiner, Natural disasters as Creative Destruction? Evidence from Developing Countries, in Economic Inquiry 46, 2008, p. 214-226.