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Reati contro il Patrimonio ambientale: la Sospensione condizionale della Pena si applica soltanto a chi ha bonificato l'Area inquinata

 

 

Filippo Barbagiovanni Gasparo
 


Introduzione

 

Con il presente commento si intende segnalare l'interessante Sentenza N. 35501/2003 della III Sezione penale della Corte di Cassazione, il cui contenuto investe l'interpretazione applicativa di alcuni istituti del diritto penale processuale e sostanziale, quali la sospensione condizionale della pena e l'applicazione della pena concordata fra le parti, nonché la disciplina specifica di alcuni reati contro il patrimonio ambientale.


Poiché essa si è discostata dall'indirizzo giurisprudenziale maggioritario è evidente che ne scaturirà un contrasto cui soltanto l'intervento delle Sezioni Unite potrà porre l'auspicabile rimedio.

1. Svolgimento del Processo. Nell'indicata Sentenza la Suprema Corte è stata chiamata ad occuparsi del ricorso promosso avverso la Sentenza della Corte d'Appello di Brescia resa in data 14.6.2000, confermativa in toto di quella emessa dal Tribunale in composizione monocratica in data 22.9.2000, che aveva dichiarato l'imputato colpevole dei reati previsti e puniti dagli artt. 51, c. 1, lett. b), 51, c.1, lett. a), D.L.D. N. 22/97, c.d. "Decreto Ronchi", e dall'art. 674 c.p. e, per l'effetto, l'aveva condannato alla pena di mesi nove di arresto e £. 12.500.000 di ammenda, oltre alla pena accessoria di Legge, con il beneficio della sospensione condizionale delle pene, principali ed accessorie, subordinata però alla bonifica dell'area inquinata, da attuarsi entro sei mesi dal passaggio in giudicato della Sentenza.


2. Il difensore dell'imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, che è quello che in sede di commento unicamente rileva, violazione di Legge e carenza di motivazione in ordine alla disposta subordinazione della sospensione delle pene irrogate alla bonifica del terreno inquinato, in sintesi sostenendo che l'istituto disciplinato dall'art. 165 c.p., che consente la subordinazione del beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, salvo che la legge disponga altrimenti, non sarebbe applicabile alla fattispecie de qua, sia perché la disciplina speciale relativa alla bonifica del sito inquinato prevista dall'art. 51 bis D.L.D. cit. non ricorre per i reati di cui all'art. 51 dello stesso testo normativo, sia perché è difficile fare rientrare la bonifica richiesta all'imputato nella categoria dell'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, aggiungendo che l'attività di bonifica richiede un impegno economico non indifferente e pone perciò una discriminazione incostituzionale fra soggetti che possiedono e soggetti che non possiedono una capacità economica adeguata alla finalità imposta.


3. Motivazione. Come vedremo nel prosieguo del commento la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo d'appello in oggetto, così come sopra articolato, argomentando come segue.


A) Dopo un breve excursus sulla storia delle relazioni fra i reati contro il patrimonio ambientale e l'istituto della sospensione condizionale della pena, la Suprema Corte ha evidenziato come, in forza della modifica introdotta dalla L. N. 689/81 al secondo periodo del primo c. dell'art. 165 c.p., la predetta sospensione può essere concessa dal Giudice ove il condannato provveda non solum alla riparazione dei danni civilistici classici, risarcimento per equivalente, restituzioni, pubblicazione della sentenza, sed etiam all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del danno criminale, quello cioè inferto al bene tutelato dalla norma incriminatrice.


Si tratta di una previsione normativa di carattere generale, che trova applicazione per ogni tipo di reato le cui conseguenze prettamente penalistiche siano reversibili, tali quindi, cioè, da creare una sorta di scissione fra il momento general-preventivo della sanzione penale ed il suo momento special-preventivo, tutto incentrato sulla tutela della collettività, di guisa da trasformare una sanzione, quale quella penale, ontologicamente eterogenea rispetto alla violazione commessa, in un quid omogeneo e, quindi, di ripristino dello status quo ante.


La Corte prosegue chiarendo che, la differente rilevanza dell'istituto di cui all'art. 165 c.p. in relazione all'art. 51 e all'art. 51 bis L. cit. consiste, in relazione al primo, nella previsione normativa specifica degli adempimenti imposti al condannato nell'ipotesi in cui il Giudice lo benefici della sospensione condizionale della pena, in relazione al secondo, nel rinvio alla discrezionale capacità creativa del Giudice.


In conclusione, può farsi ricorso all'istituto generale di cui all'art. 165 c.p. in ogni ipotesi in cui non sussista una disciplina speciale che preveda puntuali prescrizioni, poiché, è questo il principio determinato dalla Corte, la specialità della norma consiste nel prevedere le concrete modalità di rimozione del danno: in caso di mancata previsione nella norma penale incriminatrice sarà cura del Giudice specificarle in concreto, in ragione della normativa generale sulla sospensione condizionale della pena che lo legittima a disporre in tal senso.


Si osserva che il motivo di ricorso non ha inquadrato chiaramente l'antinomia che ricorre, a livello di teoria generale del diritto, fra norma comune e norma speciale, il cui rapporto di disciplina è quello che ricorre fra genus e species, e fra norma generale e norma eccezionale, antinomia, quest'ultima, che rende, com'è noto, inapplicabile ad un caso particolare una disciplina generalmente applicabile: nel caso de quo, questo tipo di relazione fra norme, incompatibili fra loro, ricorrerebbe in ogni ipotesi in cui la Legge vietasse la sospensione condizionale della pena in relazione ad un determinato tipo di reato accertato, mentre la specificazione delle modalità di eliminazione delle conseguenze criminali del reato stesso altro non è se non un arricchimento di un principio generalmente enunciato e in specie confermato.


B) In merito al motivo difensivo secondo il quale la bonifica del sito inquinato non rientrerebbe nella tipologia dell'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, la Suprema Corte ha argomentato con le poche righe necessarie, per evidenziare come la bonifica di un sito, inquinato attraverso lo stoccaggio di rifiuti pericolosi e non, non possa che essere il rimedio omogeneo alla violazione, mediante la rimozione degli inerti e la purificazione dei luoghi, secondo le concrete prescrizioni tecniche impartite dal Giudice.


Anche le predette questioni esecutive, com'è evidente, possono divenire oggetto di incidente di esecuzione.


Piuttosto, sia consentita una considerazione di carattere generale che investe la astratta configurazione dei reati contro il patrimonio ambientale.


Benché correttamente strutturati come reati di pericolo, astratto o concreto, in relazione a queste tipologie di fattispecie si corre comunque il rischio che vengano imputate, al singolo reo, al di là della sua specifica condotta criminosa, conseguenze dannose per l'ambiente che, in alcuni casi, potrebbero ben essere derivate da una pluralità di condotte illecite non accertate né più accertabili: è quindi evidente che, in queste ipotesi, non sono le condizioni economiche del reo, per riferirsi alla problematica trattata alla lettera successiva ed oggetto del motivo di ricorso, l'elemento determinante per la rimozione del danno ambientale, ma la gravità stessa del danno inferto, pur se l'accertamento penale ha investito soltanto una particolare condotta.


E', quindi, appena il caso di sottolineare come in queste ipotesi sia fondamentale l'apporto degli ausiliari tecnici del Giudice, i soli in grado di chiarire l'incidenza causale della singola condotta, idonea quanto meno quale concausa ed oggetto di accertamento, sull'evento di danno ambientale, al fine di evitare di addossare ad una azione od omissione un giudizio causale e di responsabilità che dovrebbe coinvolgerne anche altre.


C) L'ultima questione dedotta dal ricorrente concerne un'implicita denuncia di incostituzionalità dell'art. 165 c.p., nella parte in cui creerebbe una disparità di trattamento fra il condannato economicamente in condizioni di rimuovere le conseguenze del reato accertato e colui, invece, privo di tali mezzi economici.


La Corte risolve la questione, respingendola, soltanto sulla base del principio di diritto comunitario del "chi inquina paga", che presume una capacità economica sempre adeguata al ripristino dello status quo ante, in quanto il ripristino stesso è sempre proporzionato al danno cagionato.


Che il motivo di ricorso sia infondato in quanto il principio di eguaglianza, come sopra richiamato, non può trovare applicazione in una fase successiva a quella dell'accertamento definitivo del reato, cioè il procedimento penale, nel quale tutti gli imputati debbono essere trattati allo stesso modo.


In caso contrario si arriverebbe ad ammettere conseguenze assurde, quali la rinuncia da parte dello Stato all'applicazione di pene pecuniarie sulla sola base dell'insolvenza dell'imputato non valutata sotto il profilo della colpevolezza o meno mentre, invece, le pene pecuniarie colpevolmente insolute, com'è noto, vengono convertite nelle sanzioni sostitutive della libertà controllata e del lavoro sostitutivo, nel rispetto del principio della capacità di tutti i soggetti di subire la sanzione penale, una volta accertato definitivamente il reato.


4. Considerazioni conclusive. Si condivide in pieno l'orientamento espresso dalla Sentenza testé commentata, benché minoritario, sia per ragioni logico-teoretiche, che per ragioni che attengono alla politica del diritto dell'ambiente e del territorio.


Infatti, quali reati meglio di quelli che colpiscono un bene giuridico che possiede anche una propria materialità si prestano al binomio sanzione penale-sospensione della stessa, condizionata al ripristino della situazione preesistente, con rimozione delle conseguenze lesive?


A livello general-preventivo, ha certamente maggiore efficacia dissuasiva una minaccia di ripristino che può avere dei notevoli costi, magari in grado di fiaccare le risorse finanziarie di un soggetto economico più o meno lecito, piuttosto che una minaccia di sanzione che, in ipotesi di incensuratezza, non verrà nemmeno scontata, non scongiurando la futura commissione di reati analoghi.


I reati contro il patrimonio ambientale, così come quelli urbanistici, pur sanzionati con pene non elevate, vengono dunque muniti di una forma di tutela rafforzata, risultato ottenibile senza, alcuna forzatura del sistema, sulla base della disciplina generale della sospensione condizionale della pena.


Molto interessante, sicuramente, alla luce di quanto appena espresso, anche l'incidenza del predetto istituto sulla disciplina dell'applicazione della pena concordata fra le parti, ai sensi degli artt. 444 e ss. c.p.p..


Infatti, derivando direttamente dalla norma incriminatrice sostanziale, nessuna forzatura di sistema può derivare ai principi generali del "patteggiamento", ammesso che ne esistano, ogni qual volta sia previsto che l'accordo fra accusa e difesa sul quantum di pena, subordinato alla sospensione condizionale, sia ulteriormente condizionato alla rimozione del danno penale: e ciò in quanto una norma eccezionale legittima il Giudice ad intervenire nel merito dell'accordo fra le parti, individuando una specificazione del motivo che gli può, sempre ed in via generale, consentire di accettare o respingere l'accordo sulla pena.


Il criterio di risoluzione delle antinomie fondante l'interpretazione appena espressa è quello secondo il quale lex posterior specialis derogat legi anteriori generali, situazione che si è verificata, rispetto alla disciplina del "patteggiamento", in forza dell'entrata in vigore della c.d. Legge Ronchi nel 1997.


Essa consente al giudice l'"intromissione" nell'accordo sulla pena intervenuto fra accusa e difesa in forza, evidentemente, della necessaria tutela di beni giuridici di particolare rilievo costituzionale, che ben possono, e devono, superare ragioni di politica del diritto mirate alla deflazione dei giudizi attraverso il ricorso ai riti alternativi.
 

Vedi sentenza per esteso: CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 16/09/2003 (UD.30/05/2003) n. 35501