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 Rifiuti, la Corte Ue fissa i vincoli


PASQUALE GIAMPIETRO


 


Con due sentenze sulla definizione di rifiuto (C-121/03 e C-416/02, su contestazione della Commissione Ue alla Spagna), la Corte di giustizia è tornata sulla questione dei residui produttivi da qualificarsi sottoprodotti e quindi non soggetti alle norme sui rifiuti. Con le pronunce, la Corte conferma e arricchisce la sua giurisprudenza.


I giudici comunitari hanno già chiarito che un materiale (derivante da un processo di fabbricazione non principalmente destinato a produrlo) può costituire non tanto un residuo, ma un sottoprodotto, del quale l’impresa non cerca di disfarsi, ma che intende sfruttare o vendere in un processo successivo, senza trasformazioni preliminari. Sono materiali che, economicamente, hanno valore di prodotti indipendentemente da qualsiasi trasformazione e che, quindi, sottostanno alle norme applicabili a tali prodotti, purchè il loro riutilizzo non sia solo eventuale, ma certo; senza trasformazione preliminare, nel corso del processo di produzione (sentenza Niselli C452/02 e Palin Granit C-9/00).


Nelle vicende contestate (relative a colaticcio di porcilaie impiegato come fertilizzante), la Commissione ha sostenuto che questa analisi dovrebbe essere limitata ai sottoprodotti usati dallo stesso stabilimento che li ha prodotti e che il fatto che il liquame sia nel catalogo europeo dei rifiuti (Cer) spingerebbe per la qualificazione come rifiuto. La Corte boccia la tesi della Commissione, affermando che la nozione di sottoprodotto (contrapposta a quella di rifiuto) non dipende necessariamente dal fatto che sia impiegato dallo stesso operatore che l’ha generato, potendo soddisfare anche il bisogno di altre imprese. Il fatto che i materiali in oggetto (colaticcio) compaiano nel Cer, non significa che siano rifiuti. Anche il mancato rispetto delle corrette modalità d’impiego è stato giudicato ininfluente.


Nelle due decisioni si legge che il liquame, “immagazzinato in una fossa in attesa di spandimento”, se “utilizzato come fertilizzante su terreni propri ovvero su terreni altrui, per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotto (…) sfugge alla qualifica di rifiuto”.

 

La Corte ha così chiarito che l’impiego del sottoprodotto può avvenire non solo durante il processo di produzione nell’azienda che l’ha generato, ma anche in altre aziende. si evita, così di mantenere un limite imposto dalla precedente giurisprudenza alla circolazione del sottoprodotto.

 

La Corte di giustizia, nel respingere le argomentazioni della Commissione, indica gli ulteriori principi in base ai quali il residuo produttivo in questione va considerato sottoprodotto:

Guardando alla situazione italiana e, in particolare, allo schema di decreto legislativo sulle “norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”, in attuazione della legge delega ambientale, in discussione in questi giorni, è evidente che le due pronunce avranno una significativa influenza sulla definizione di rifiuto e in particolare su quella opposta di sottoprodotto, che peraltro la bozza del nuovo testo ha già innovativamente introdotto.

 

Pubblicato su www.AmbienteDiritto.it il 10/11/2005

 

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