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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI GIUSTIZIA - Comunità Europee, Terza sezione -  8 settembre 2005, causa C-416/02

 

CORTE DI GIUSTIZIA

delle Comunità Europee,

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 8 settembre 2005


«Inadempimento di uno Stato - Direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE - Nozione di rifiuti - Direttive 85/337/CEE e 97/11/CE - Valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati - Direttiva 80/68/CEE - Protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose - Direttiva 91/271/CEE - Trattamento delle acque reflue urbane - Direttiva 91/676/CEE - Protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole - Inquinamento provocato da un’azienda suinicola»


Nella causa C-416/02,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 19 novembre 2002,


Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. G. Valero Jordana, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,


sostenuta da:
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal sig. K. Manji, successivamente dalla sig.ra C. White, in qualità di agenti, assistiti dal sig. D. Wyatt, QC, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,


contro


Regno di Spagna, rappresentato dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto,


LA CORTE (Terza Sezione),

 

composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J. P. Puissochet (relatore), S. von Bahr, U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig.ra M. M. Ferreira, amministratore principale,
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 15 dicembre 2004,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 maggio 2005,
ha pronunciato la seguente


Sentenza

 

1 Con il ricorso in esame, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:


- non avendo adottato i provvedimenti necessari per conformarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza degli artt. 4, 9 e 13 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la «direttiva 75/442»);


- non avendo adottato i provvedimenti necessari per garantire che i rifiuti provenienti dall’azienda suinicola sita in località detta «El Pago de la Media Legua» siano smaltiti o ricuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente, avendo consentito a tale azienda di svolgere la propria attività senza l’autorizzazione richiesta dalla detta direttiva e non avendo effettuato i controlli periodici necessari per tali aziende;


- non avendo effettuato, prima della realizzazione o della modifica di tale progetto, la valutazione dell’impatto, violando le disposizioni degli artt. 2 e 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva 85/337, nella versione iniziale»), o violando le disposizioni di questa direttiva come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE (GU L 73, pag. 5; in prosieguo: la «direttiva 85/337»);


- non avendo compiuto gli studi idrogeologici necessari nella zona interessata dall’inquinamento in conformità alle disposizioni degli artt. 3, lett. b), 5, n. 1, e 7 della direttiva del Consiglio 17 dicembre 1979, 80/68/CEE, concernente la protezione delle acque sotterranee dall’inquinamento provocato da certe sostanze pericolose (GU 1980, L 20, pag. 43);


- non avendo provveduto affinché le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera siano sottoposte al trattamento previsto dall’art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40), ossia ad un trattamento più rigoroso di quello descritto all’art. 4 di tale direttiva;


- non avendo designato come zona vulnerabile la Rambla de Mojácar, in violazione delle disposizioni dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1),


il Regno di Spagna non ha adempiuto gli obblighi ad esso incombenti in forza delle dette direttive.


Contesto normativo


La normativa sui rifiuti


La normativa comunitaria

 

2 L’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442 definisce il rifiuto come «qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi».


3 Il secondo comma dello stesso art. 1, lett. a), affida alla Commissione il compito di preparare un «elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all’allegato I». Con decisione 20 dicembre 1993, 94/3/CE, che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all’articolo 1, punto a) della direttiva 75/442 (GU 1994, L 5, pag. 15), la Commissione ha emanato un «catalogo europeo dei rifiuti», nel quale compaiono in particolare, tra i «rifiuti provenienti da produzione (…) in agricoltura», le «feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito». La nota introduttiva che compare nell’allegato alla detta decisione precisa che tale catalogo dei rifiuti non è «esaustivo», che «un materiale figurante nel catalogo non è in tutte le circostanze un rifiuto», «ma solo quando esso soddisfa la definizione di rifiuto».


4 L’art. 1, lett. c), della stessa direttiva definisce il detentore come «il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene».


5 L’art. 2 della direttiva 75/442 dispone quanto segue:


«1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:


a) gli effluenti gassosi emessi nell’atmosfera;


b) qualora già contemplati da altra normativa:


(…)


iii) le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell’attività agricola;


(…)


2. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti possono essere fissate da direttive particolari».


6 L’art. 4 della detta direttiva prevede quanto segue:


«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:


- senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;


- senza causare inconvenienti da rumori od odori;


- senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.


Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».


7 Secondo l’art. 9 della stessa direttiva, ai fini, tra l’altro, dell’applicazione del detto art. 4, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni di smaltimento dei rifiuti elencate nell’allegato II A debbono ottenere l’autorizzazione dell’autorità competente, autorizzazione riguardante, in particolare, i tipi ed i quantitativi di rifiuti, i requisiti tecnici, le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, il luogo di smaltimento, il metodo di trattamento.


8 A norma dell’art. 13 della direttiva 75/442:


«Gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni previste agli articoli 9 12 sono sottoposti a adeguati controlli periodici da parte delle autorità competenti».


La normativa nazionale

 

9 L’art. 2, n. 2, della legge 21 aprile 1998, n. 10, sui rifiuti (BOE 22 aprile 1998) dispone che «la presente legge si applica a titolo suppletivo alle materie da essa elencate in prosieguo con riferimento agli aspetti che essa disciplina espressamente attraverso la sua regolamentazione specifica:


(…)


b) l’eliminazione e la trasformazione delle carogne d’animali e dei rifiuti d’origine animale, come questa materia è regolata dal regio decreto 17 dicembre 1993, n. 2224, sulle norme sanitarie relative all’eliminazione e alla trasformazione delle carogne d’animali e dei rifiuti d’origine animale ed alla protezione contro gli agenti patogeni negli alimenti per animali (…)


c) i rifiuti provenienti dalle installazioni agricole e di allevamenti di bestiame, costituiti da materie fecali e da altre sostanze naturali non nocive, utilizzati nell’ambito delle attività agricole, come questa materia è regolata dal regio decreto 16 febbraio 1996, n. 261, relativo alla protezione delle acque contro l’inquinamento da nitrati derivanti da produzioni agricole, e dalla disciplina che il governo è competente ad adottare in conformità alla quinta disposizione addizionale


(…)».


10 La detta quinta disposizione addizionale prevede che l’uso come fertilizzanti agricoli dei rifiuti di cui all’art. 2, n. 2, lett. c), sarà soggetto alla disciplina che il governo emanerà a questo scopo ed alle norme supplementari che saranno adottate, all’occorrenza, dalle regioni autonome. Secondo la stessa disposizione addizionale, tale disciplina fisserà il tipo e la quantità di rifiuti che potranno essere utilizzati come fertilizzanti nonché le condizioni in presenza delle quali l’attività non sarà soggetta ad autorizzazione e disporrà che quest’attività dovrà essere svolta senza mettere in pericolo la salute umana e senza utilizzare procedimenti o metodi che possano nuocere all’ambiente, e in particolare provocare l’inquinamento delle acque.


11 In forza della delega risultante dalla medesima quinta disposizione addizionale, il governo spagnolo ha adottato il regio decreto 3 marzo 2000, n. 324, che fissa la normativa di base sullo sfruttamento razionale degli impianti di allevamento suino (BOE 8 marzo 2000). L’art. 5, parte B, lett. b), di tale regio decreto prevede che la gestione degli effluenti d’allevamento provenienti da aziende suinicole possa essere effettuata, in particolare, attraverso il ricupero come fertilizzanti organici minerali: in tale caso gli allevamenti devono essere dotati di «fosse di stoccaggio di colaticcio, tramezzate ed impermeabilizzate in maniera naturale o artificiale, che prevengano il rischio di filtrazione e di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee, garantendo l’assenza di perdite per straripamento o per instabilità geotecnica e la cui dimensione sia sufficiente per stoccare la produzione di almeno tre mesi per consentirne una gestione appropriata».


12 Ai sensi della prima disposizione aggiuntiva della legge n. 10/1998, il controllo sul ricupero del colaticcio, nelle zone non dichiarate passibili di inquinamento da nitrati in applicazione del regio decreto 16 febbraio 1996, n. 261, relativo alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (BOE 16 febbraio 1996), non può essere effettuato sulla base del regio decreto n. 324/2000.


13 La normativa in materia di rifiuti adottata dalla Giunta dell’Andalusia esclude dal suo ambito di applicazione i rifiuti organici provenienti da attività agricole o di allevamento.

 


La normativa sulla valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti


La normativa comunitaria


14 L’art. 2, n. 1, della direttiva 85/337, nella versione iniziale, disponeva quanto segue:


«Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché, prima del rilascio dell’autorizzazione, i progetti per i quali si prevede un impatto ambientale importante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto.


Detti progetti sono definiti nell’articolo 4».


15 Ai sensi dell’art. 4, n. 2, della detta direttiva, «[i] progetti appartenenti alle classi elencate nell’allegato II formano oggetto di una valutazione ai sensi degli articoli da 5 a 10 quando gli Stati membri ritengono che le loro caratteristiche lo richiedano». Il detto allegato II, punto 1, lett. f), menziona gli impianti che possono ospitare suini.


16 In forza dell’art. 4, n. 1, della direttiva 85/337, «i progetti elencati nell’allegato I sono sottoposti a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10».


17 Il detto allegato I, punto 17, lett. b), menziona gli impianti per l’allevamento intensivo di suini con più di 3 000 posti per suini da produzione (di oltre 30 kg) e lo stesso punto, lett. c), include gli impianti che dispongono di più di 900 posti per scrofe.


18 L’art. 4, n. 2, della direttiva 85/337 prevede che gli Stati membri determinano, per i progetti elencati all’allegato II di tale direttiva, in base ad un esame svolto caso per caso o sulla base delle soglie o dei criteri fissati dallo Stato membro, «se il progetto debba essere sottoposto a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10». Il n. 3 del medesimo art. 4 precisa che, «nell’esaminare caso per caso o nel fissare soglie o criteri ai fini del paragrafo 2, si tiene conto dei relativi criteri di selezione riportati nell’allegato III».


19 L’allegato II, punto 1, lett. e), della direttiva 85/337 riguarda gli «[i]mpianti di allevamento intensivo di animali (progetti non contemplati nell’allegato I)» e il punto 13 dello stesso allegato menziona «[m]odifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato I o all’allegato II già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente». La direttiva 85/337 doveva essere recepita dagli Stati membri entro il 14 marzo 1999.

 


La normativa nazionale


20 La Giunta dell’Andalusia ha adottato la legge 18 maggio 1994, n. 7, sulla tutela dell’ambiente, il cui allegato II, punto 11, dispone che gli stabilimenti per la stabulazione permanente di suini contenenti più di 100 scrofe da allevamento e 500 suini da ingrasso sono soggetti ad un procedimento che prevede la redazione di una relazione sulla valutazione ambientale.

 


La normativa sulla protezione delle acque sotterranee


La normativa comunitaria


21 L’art. 3 della direttiva 80/68 così recita:


«Gli Stati membri prendono le misure necessarie per:


(…)


b) limitare l’immissione nelle acque sotterranee di sostanze dell’elenco II, al fine di evitare il loro inquinamento da parte di tali sostanze».


22 Il detto elenco II, punto 3, menziona le «sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore e/o sull’odore delle acque sotterranee (…)».


23 L’art. 5 della direttiva 80/68 prevede, in particolare, che gli Stati membri sottopongano a indagine preventiva gli scarichi delle sostanze di cui all’elenco II e possano rilasciare un’autorizzazione a condizione che siano osservate tutte le precauzioni tecniche che permettono di evitare l’inquinamento delle acque sotterranee provocato da tali sostanze.


24 In virtù dell’art. 7 della detta direttiva, «le indagini preliminari di cui agli articoli 4 e 5 devono comprendere uno studio delle condizioni idrogeologiche della zona in questione e dell’eventuale capacità depurativa del suolo e del sottosuolo, dei rischi di inquinamento e di alterazione della qualità delle acque sotterranee da parte dello scarico, e stabilire se, dal punto di vista dell’ambiente, lo scarico in tali acque costituisce una soluzione adeguata».

 


La normativa nazionale

 

25 Nell’ambito della causa in esame non è stato portato a conoscenza della Corte alcun testo normativo che abbia lo scopo specifico di recepire la direttiva 80/68.

 


La normativa sul trattamento delle acque reflue urbane


La normativa comunitaria


26 L’art. 5, n. 1, della direttiva 91/271 prevede che, «[p]er conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i criteri stabiliti nell’allegato II», tra i quali rientrano l’eutrofizzazione [allegato II, parte A, lett. a)], una determinata concentrazione di nitrati [allegato II, parte A, lett. b)] e la necessità di un trattamento complementare al fine di conformarsi alle prescrizioni delle direttive del Consiglio [allegato II, parte A, lett. c)].


27 Il n. 2 del detto art. 5 precisa che gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamento più spinto di quello descritto all’articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 abitanti equivalenti (in prosieguo: «a.e.»).

 


La normativa nazionale


28 In Spagna le autorità competenti in materia di trattamento delle acque reflue sono le autorità municipali. Tuttavia lo Stato è competente, per il tramite delle Confederaciones Hidrográficas (confederazioni idrografiche; enti pubblici incaricati della gestione delle acque interne), in materia di autorizzazioni allo scarico e al riutilizzo delle acque reflue depurate.
29 Il regio decreto legislativo 28 dicembre 1995, n. 11, che stabilisce le norme in materia di trattamento delle acque reflue urbane (BOE 30 dicembre 1995), è stato attuato con il regio decreto 15 marzo 1996, n. 509 (BOE 29 marzo 1996), parzialmente modificato dal regio decreto 2 ottobre 1998, n. 2116 (BOE 20 ottobre 1998).

 


La normativa relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole


La normativa comunitaria


30 L’art. 3, n. 1, della direttiva 91/676 dispone che «[l]e acque inquinate e quelle che potrebbero essere inquinate se non si interviene ai sensi dell’articolo 5 sono individuate dagli Stati membri conformemente ai criteri di cui all’allegato I».


31 Il n. 2 del detto art. 3 stabilisce che, entro un periodo di due anni a decorrere dalla notifica della direttiva 91/676, avvenuta il 19 dicembre 1991, «gli Stati membri designano come zone vulnerabili tutte le zone note del loro territorio che scaricano nelle acque individuate in conformità del paragrafo 1 e che concorrono all’inquinamento. Essi notificano tale prima designazione alla Commissione entro sei mesi».


32 In conformità al n. 4 dello stesso articolo, «[g]li Stati membri riesaminano e, se necessario, opportunamente rivedono o completano le designazioni di zone vulnerabili almeno ogni quattro anni, per tener conto di cambiamenti e fattori imprevisti al momento della precedente designazione. Entro sei mesi essi notificano alla Commissione ogni revisione o aggiunta concernente le designazioni».


33 L’art. 4 della direttiva 91/676 dispone tra l’altro, per tutti i tipi di acque e al fine di stabilire un livello generale di protezione dall’inquinamento, che gli Stati membri provvedono, entro due anni dalla notifica di tale direttiva, a fissare un codice o più codici di buona pratica agricola applicabili a discrezione degli agricoltori.


34 A norma dell’art. 5 della stessa direttiva, gli Stati membri fissano programmi d’azione per quanto riguarda le zone vulnerabili designate. Tali programmi contengono misure obbligatorie, tra le quali figurano in particolare le misure prescritte nel codice o nei codici di buona pratica agricola nonché le misure di cui all’allegato III della direttiva 91/676. Le misure di cui tratta quest’ultimo allegato riguardano segnatamente i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti, la capacità dei depositi per effluenti di allevamento, le procedure di applicazione al terreno ed il quantitativo massimo di effluente di allevamento contenente azoto che può essere sparso.

 


La normativa nazionale


35 Il Regno di Spagna ha recepito nel suo ordinamento giuridico la direttiva 91/676 mediante il regio decreto 16 febbraio 1996, n. 261 (BOE 16 febbraio 1996).


36 La Giunta dell’Andalusia, con decreto 15 dicembre 1998, n. 261, ha designato le zone vulnerabili all’inquinamento delle acque provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole nel territorio della Comunità autonoma dell’Andalusia. Tale decreto non include la Rambla de Mojácar.


Il procedimento precontenzioso


37 Lo stabilimento per l’allevamento di suini sito in località detta «El Pago de la Media Legua», nel territorio del comune di Vera (provincia d’Almería) e sulla strada che collega tale comune al comune di Garrucha, vicino al fiume Antas, è in attività dal 1976.


38 Nel 2000 alla Commissione è stata presentata una denuncia, registrata con il n. 2000/4044, relativa al funzionamento di tale allevamento. Essa, con lettera 6 aprile 2000, ha chiesto alle autorità spagnole, da una parte, di presentare le loro osservazioni sui fatti denunciati, ossia gli scarichi non controllati nell’ambiente di rifiuti provenienti dallo stabilimento in questione e, dall’altra, di fornirle informazioni sulle condizioni di applicazione delle varie normative comunitarie pertinenti.


39 Con lettera 24 agosto 2000, le autorità spagnole hanno risposto che la direttiva 75/442 non era necessariamente applicabile al colaticcio proveniente da allevamenti, dato che l’utilizzo di tale colaticcio come fertilizzante nei dintorni dell’allevamento poteva farlo escludere dalla qualifica di rifiuto ai sensi della detta direttiva. Quanto all’applicazione della direttiva 85/337, tali autorità hanno sottolineato che «la legge n. 7/1994 prevedeva che tutte le aziende suinicole, a prescindere dalla loro ubicazione, fossero soggette a misure di protezione dell’ambiente». Nella stessa lettera si indicava che l’allevamento controverso non disponeva ancora dell’autorizzazione municipale e che, fin dal maggio 1999, le autorità locali avevano richiesto al proprietario dell’allevamento, fino a quel momento senza successo, i documenti per redigere una relazione ambientale, necessaria per la concessione dell’autorizzazione. Le autorità spagnole hanno inoltre affermato che il colaticcio non conteneva sostanze pericolose e che quindi la direttiva 80/68 non era applicabile, né lo era la direttiva 91/271, in mancanza di una denuncia relativa a scarichi che potessero colpire la laguna costiera. Per quanto riguarda, infine, la direttiva 91/676, le dette autorità hanno sostenuto che né tale direttiva né il decreto n. 261/1996 consentivano di ritenere che la zona in questione fosse vulnerabile, dato che l’ente competente non aveva concluso per l’esistenza di nitrati, ma solamente proposto l’inclusione di tale zona nel programma di sorveglianza di tutta la zona costiera della provincia di Almería.


40 Nell’ottobre 2000 le autorità spagnole hanno trasmesso alla Commissione vari documenti, tra cui una relazione del 5 luglio 2000 sulla situazione dell’azienda in esame, realizzata dalla società Tecnoma su richiesta della Confederación Hidrográfica del Sur (confederazione idrografica per il sud), nonché documenti relativi alla procedura da seguire per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico dei rifiuti dell’azienda, recanti le date 14 agosto 1998 e 2 luglio 1999.


41 Dopo aver ricevuto, nel settembre 2000, nuove informazioni sulla situazione dell’azienda in questione da parte dei denuncianti, e ritenendo che nel caso di specie le autorità spagnole avessero violato le direttive 75/442, 85/337, anche nella versione iniziale, 80/68, 91/271 e 91/676, il 18 gennaio 2001 la Commissione ha inviato al Regno di Spagna una lettera di diffida.


42 In occasione di una riunione bilaterale con i servizi della Commissione tenutasi il 21 e il 22 maggio 2001, le autorità spagnole hanno informato la Commissione che, a seguito di un’ispezione, il 18 aprile 2001 esse avevano emanato un parere sfavorevole all’autorizzazione dell’azienda in questione e avevano richiesto al comune di Vera di adottare i provvedimenti necessari alla chiusura di tale azienda, in mancanza dei quali avrebbe potuto intervenire la stessa Giunta dell’Andalusia.


43 Con lettera 20 giugno 2001 le autorità spagnole hanno risposto alla lettera di diffida. Esse hanno ribadito di ritenere inapplicabile la direttiva 85/337 ed hanno precisato, per quanto riguarda la direttiva 85/337, che era stata redatta una relazione ambientale sfavorevole all’ampliamento dell’azienda controversa e che esse avevano preteso dalle competenti autorità locali che adottassero provvedimenti per chiudere tale azienda. Per quanto concerne la direttiva 80/68, esse hanno affermato che le acque sotterranee asseritamente affette coincidevano con una precisa zona della falda acquifera di utilità limitata, molto vicina alla costa e che non era affatto destinata ad un uso per il quale è rilevante la qualità, di modo che tale zona era stata studiata meno, anche se la Comisaría de Aguas del Sur (autorità responsabile della gestione delle acque nel sud del paese) era stata informata della necessità di realizzare uno studio idrogeologico per valutare i rischi di eventuali future alterazioni della qualità delle acque. Per quanto riguarda la direttiva 91/271, le autorità spagnole hanno riconosciuto che essa era stata trasgredita, ma che l’inquinamento della laguna costiera dell’Antas non era dovuto all’azienda suinicola, bensì allo scarico delle acque reflue della popolazione del comune di Vera. Per quanto attiene alla direttiva 91/676, le stesse autorità hanno ritenuto che essa fosse rispettata, pur indicando che uno studio generale dell’inquinamento da nitrati a livello nazionale potrebbe consentire, se del caso, di designare nuove zone vulnerabili.


44 Ritenendo che tali risposte rimanessero insoddisfacenti, la Commissione, con lettera 26 luglio 2001, ha inviato al Regno di Spagna un parere motivato, intimandogli di adottare le misure necessarie per conformarsi ai suoi obblighi entro due mesi a decorrere dalla notifica di tale parere.


45 Con lettera 4 ottobre 2001 le autorità spagnole hanno trasmesso alla Commissione una relazione redatta dalla Giunta dell’Andalusia, comunicando che l’8 agosto 2001 era stato avviato un procedimento di sanzione a carico dell’azienda in questione.


46 La Commissione, ritenendo che il Regno di Spagna non avesse ancora adottato i provvedimenti necessari per conformarsi ai suoi obblighi, ha proposto il ricorso in esame.


47 Il Regno di Spagna chiede che il detto ricorso sia respinto e che la Commissione sia condannata alle spese.


48 Con ordinanza 5 maggio 2003 del presidente della Corte, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è stato ammesso ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione, in particolare per quanto riguarda gli artt. 4, 9 e 13 della direttiva 75/442.

 


Sul ricorso


49 Ai fini dell’esame del presente ricorso occorre innanzi tutto analizzare le censure vertenti sulla violazione delle direttive 91/271 e 91/676, che riguardano l’insieme della zona geografica in cui è ubicato l’allevamento in questione, poi le censure relative alla violazione della direttiva 85/337, anche nella sua versione iniziale, con cui la Commissione mette in discussione le condizioni nelle quali sono stati realizzati la costruzione e l’ampliamento di tale allevamento e, infine, le censure relative al fatto che le carogne ed il colaticcio provenienti dal detto stabilimento siano scaricati nell’ambiente in violazione delle direttive 75/442 e 80/68.


Sulla direttiva 91/271


50 Con la censura vertente sulla violazione della direttiva 91/271, la Commissione fa valere la violazione di tale direttiva per due motivi. Essa afferma, da una parte, che il fiume Antas avrebbe dovuto essere interamente incluso nelle aree sensibili individuate dalla Comunità autonoma di Andalusia in applicazione dell’art. 5, n. 1, della detta direttiva e, dall’altra, che le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera avrebbero di conseguenza dovuto essere oggetto di un trattamento più rigoroso del trattamento secondario di cui al n. 2 dello stesso articolo.


51 Per quanto riguarda la prima parte della censura, vertente sulla designazione del fiume Antas quale area sensibile, occorre in primo luogo ricordare che, nella sentenza 15 maggio 2003, causa C 419/01, Commissione/Spagna (Racc. pag. I 4947), la Corte ha già dichiarato che, non avendo proceduto all’individuazione di varie aree sensibili del suo territorio, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che gli incombono in forza dell’art. 5 della direttiva 91/271. Nel corso del procedimento che ha dato origine a tale sentenza, come emerge dai suoi punti 14 e 20, la Commissione aveva riconosciuto che la Comunità autonoma di Andalusia aveva designato le aree sensibili che la riguardano, ne aveva pubblicato i nomi nel suo bollettino ufficiale e ne aveva informato la Commissione; inoltre, il governo spagnolo aveva rilevato che la Commissione aveva riconosciuto che tale Comunità autonoma, in particolare, aveva designato le aree sensibili situate nelle sue acque costiere. Di conseguenza, l’inadempimento constatato all’epoca dalla Corte, al punto 23 della detta sentenza, verteva sulla mancata designazione delle aree sensibili rientranti nella sfera di competenza di altre Comunità autonome, ad esclusione, in particolare, delle aree sensibili appartenenti alla Comunità autonoma d’Andalusia.


52 Tuttavia, il fatto che nella citata sentenza Commissione/Spagna la Corte abbia dichiarato che la carenza nella designazione delle aree sensibili non riguardava la Comunità autonoma di Andalusia non osta all’esame della censura vertente sulla violazione della direttiva 91/271. Tale censura è infatti fondata su elementi di cui la Commissione non era a conoscenza all’epoca della fase precontenziosa del procedimento che precedette il ricorso alla Corte in questa causa, elementi provenienti da una relazione redatta per conto della Commissione dalla società ERM nel gennaio 2000, in data posteriore a quella del parere motivato nella stessa causa. Quindi la Commissione, in base a tale relazione sul controllo delle aree sensibili e vulnerabili in Spagna, poteva benissimo rilevare che sussistevano talune carenze nell’attuazione della direttiva 91/271 ed avviare, su tale base, una nuova azione per inadempimento.


53 In secondo luogo, dalla detta relazione - di cui il governo spagnolo, sotto questo profilo, non ha contestato il contenuto - si evince che le acque del fiume Antas sono soggette ad eutrofizzazione, presentano un elevato tenore di nitrati e, tenuto conto della vicinanza di alberghi e centri turistici, ricevono notevoli quantitativi di nutrienti. Orbene, tali criteri si annoverano tra quelli che, in forza dell’allegato II della direttiva 91/271, gli Stati membri devono prendere in considerazione per procedere all’individuazione delle aree sensibili. Peraltro, la Commissione ha indicato, senza che il governo spagnolo contestasse tale affermazione, che le autorità spagnole hanno proposto di designare il detto fiume quale sito di importanza comunitaria nella rete Natura 2000, considerata la presenza di tartarughe «testudo graeca» nelle sue acque. Ora, siffatto elemento, pur se non menzionato tra i criteri riportati al detto allegato II, rappresenta un’ulteriore prova del particolare interesse alla tutela dell’ambiente idrico in questione dallo scarico di acque reflue urbane trattate in modo insufficiente.


54 Il governo spagnolo replica che la Rambla del fiume Antas non è costituita da acque libere naturali, bensì da correnti sotterranee che non potrebbero, in mancanza di luce, essere soggette a sviluppo di alghe e quindi a eutrofizzazione. Tuttavia, anche se si considerasse esatta tale affermazione, essa non osterebbe all’individuazione di tale area quale area sensibile ai sensi della direttiva 91/271. Infatti, da una parte, l’allegato II di tale direttiva dispone che le aree sensibili possono essere costituite da un «sistema idrico» e non richiede quindi che l’ambiente idrico sia costituito da acque libere. Dall’altra, lo stesso allegato menziona altri criteri, oltre a quello dell’eutrofizzazione, segnatamente l’elevata concentrazione di nitrati, per determinare se un’area vada considerata sensibile.
55 Il fiume Antas doveva quindi essere interamente individuato quale area sensibile dalle autorità spagnole.


56 Pertanto la prima parte della censura è fondata.


57 Per quanto riguarda la seconda parte della censura, vertente sul requisito di un trattamento più rigoroso del trattamento secondario, come previsto dall’art. 5, n. 2, della direttiva 91/271, di cui dovrebbero formare oggetto le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera, occorre rilevare che, da un lato, il governo spagnolo non contesta il fatto che tali acque subiscano solo un trattamento primario.


58 Dall’altro, dai dati prodotti dalla Commissione nella replica si evince che, contrariamente a quanto sostiene il governo spagnolo, considerata la popolazione permanente del comune di Vera - stimata nell’ordine di circa 8 000 abitanti - e il notevole afflusso turistico estivo che interessa la regione in esame, il detto agglomerato presenta un a.e. superiore a 10 000. Dato che le acque reflue urbane di tale agglomerato sono scaricate in un’area che, come detto, avrebbe dovuto essere individuata quale area sensibile, le autorità spagnole dovevano provvedere affinché tali acque, prima di essere scaricate nella detta area, fossero sottoposte, prima del 31 dicembre 1998, ad un trattamento più rigoroso di quello descritto all’art. 4 della direttiva 91/271, ossia ad un trattamento più rigoroso di un trattamento secondario.


59 L’argomento del governo spagnolo vertente sul fatto che il termine fissato dalla direttiva 91/271 per gli agglomerati con un numero di a.e. compreso tra 2 000 e 15 000 scade solo il 31 dicembre 2005 non può essere accolto, anche se si ritenesse che l’agglomerato di Vera rientri in tale categoria. L’art. 3, nn. 1 e 2, della detta direttiva fissa infatti tale termine per la realizzazione di reti fognarie e per l’attuazione di un trattamento secondario solo per gli scarichi di acque reflue urbane di tale categoria di agglomerati effettuati fuori dalle aree sensibili. Il detto termine non è quindi in nessun caso applicabile agli scarichi di acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera.


60 Quanto alla circostanza, fatta valere dal governo spagnolo, che la società che gestisce l’impianto di trattamento non avrebbe fornito talune informazioni vertenti su uno studio analitico delle acque reflue in esame, essa non rimette in discussione la constatazione che tali acque non sono sottoposte al trattamento prescritto dalla direttiva 91/271. D’altronde il governo spagnolo, avendo indicato, nella controreplica, che l’impianto di trattamento del comune di Vera, costruito nel 1993, sarebbe stato concepito per essere in grado di soddisfare adeguatamente, nel 2011, i requisiti della normativa in materia di scarichi nelle aree sensibili, ha ammesso che tali requisiti non erano soddisfatti alla data fissata nel parere motivato.


61 Pertanto, la seconda parte della censura è fondata. Le conclusioni del ricorso fondate sulla violazione della direttiva 91/271 devono quindi essere accolte.


Sulla direttiva 91/676


62 Il governo spagnolo sostiene che la censura vertente sulla violazione della direttiva 91/676 è irricevibile sotto due profili. Da una parte, tale censura non sarebbe stata menzionata nel parere motivato e la Commissione non potrebbe quindi sollevarla per la prima volta dinanzi alla Corte. Dall’altra, la Commissione avrebbe già avviato, con il n. 2002/2009, un altro procedimento d’infrazione per inadempimento della detta direttiva, inviando al Regno di Spagna una lettera di diffida riguardante anche la Rambla de Mojácar. Orbene, il principio ne bis in idem, che sarebbe applicabile ai procedimenti per inadempimento, vieterebbe che due azioni per inadempimento vengano avviate contro uno Stato per la stessa infrazione del diritto comunitario.


63 Per quanto concerne il primo punto, l’argomento del governo spagnolo può solo essere respinto. Dall’insieme degli atti del fascicolo, in particolare dalla lettera di diffida e dal parere motivato inviati al detto Stato membro, risulta infatti che la violazione della direttiva 91/676 costituisce una delle censure che la Commissione ha fatto valere fin dalla fase precontenziosa del procedimento. L’oggetto della controversia è stato così chiaramente circoscritto ed il governo spagnolo è stato messo in condizione di presentare le sue osservazioni e di preparare la propria difesa (v., in questo senso, sentenza 15 dicembre 1982, causa 211/81, Commissione/Danimarca, Racc. pag. 4547, punti 8 e 9). Tale censura figurava quindi nel parere motivato, pur non essendo espressamente menzionata nella parte finale del detto parere, ed è stata presentata in termini analoghi ed abbastanza precisi nel ricorso (v., in questo senso, sentenza Commissione/Danimarca, cit., punti 14 e 15).


64 La censura, quindi, non è irricevibile dopo questa prima analisi.


65 Quanto al secondo punto, anche ritenendo che il principio ne bis in idem si applichi ai procedimenti per inadempimento, è sufficiente constatare che, nella causa in esame, tale circostanza non influisce sulla ricevibilità della censura. Infatti, se la Corte dichiarasse fondata tale censura, l’unica conseguenza dell’argomento del governo spagnolo sarebbe che la Commissione dovrebbe eventualmente rinunciare al procedimento per inadempimento avviato con il n. 2002/2009, nella parte in cui tale procedimento riguarda la designazione della Rambla de Mojácar quale area vulnerabile.
66 Pertanto la censura non è irricevibile dopo questa seconda analisi.


67 Nel merito, la Commissione sostiene a buon diritto che le autorità spagnole, dichiarando la laguna del fiume Antas area sensibile ai fini della direttiva 91/271, hanno riconosciuto lo stato di eutrofizzazione delle acque della regione in questione ed il loro alto contenuto di nitrati, come rivelava la relazione della società ERM relativa al controllo delle aree sensibili e vulnerabili in Spagna. D’altronde, nel controricorso il governo spagnolo ammette che il contenuto di nitrati di tali acque, che costituisce uno dei criteri di designazione delle aree vulnerabili di cui all’allegato 1 della direttiva 91/676, è superiore a 50 mg per litro.


68 Per giustificare la mancata designazione della Rambla de Mojácar quale area vulnerabile, il governo spagnolo afferma che il criterio per la designazione stabilito dall’art. 1 della detta direttiva, relativo al fatto che la presenza di nitrati dovrebbe provenire dall’attività agricola, non è soddisfatto.


69 Questo argomento non può però essere accolto. Come la Corte ha già dichiarato, infatti, affinché talune acque siano considerate «inquinate», ai sensi, in particolare, dell’art. 3, n. 1, della direttiva 91/676, e sia obbligatoria la loro designazione come zone vulnerabili, in applicazione dell’art. 3, n. 2, della detta direttiva, non è necessario che i composti azotati di origine agricola contribuiscano in modo esclusivo all’inquinamento, ma basta che essi vi contribuiscano significativamente (v., in questo senso, sentenza 29 aprile 1999, causa C 293/97, Standley e a., Racc. pag. I 2603, punti 30 e 35).


70 Nella controreplica, il governo spagnolo afferma che la designazione della Rambla de Mojácar quale area vulnerabile non presenterebbe alcun interesse nel contesto della causa in esame, dato che tale area formerebbe un settore idrogeologico diverso da quello della Rambla del fiume Antas, che è l’unico interessato da questo ricorso. Tuttavia tale argomento non è fondato. La mancata designazione della Rambla de Mojácar quale area vulnerabile ai sensi della direttiva 91/676 è infatti fatta valere dalla Commissione quale censura distinta da quella vertente sulla mancata individuazione della Rambla del fiume Antas quale area sensibile a norma della direttiva 91/271. Contrariamente a quanto sostiene il governo spagnolo, il ricorso non verte solo sulla Rambla del fiume Antas. Per lo stesso motivo, l’argomento del governo spagnolo secondo cui i dati tratti da una pubblicazione dell’Instituto Geológico y Minero de España riguarderebbero l’unità idrogeologica del Bajo Almanzora, che non corrisponderebbe all’area considerata nel procedimento d’infrazione, deve essere respinto.


71 Quanto all’obiezione del governo spagnolo relativa al fatto che i dati contenuti nella relazione predisposta dalla società ERM non presenterebbero lo stesso grado di affidabilità di quelli raccolti per conto della Giunta dell’Andalusia, essa non è idonea a dimostrare che l’inquinamento da nitrati non è dovuto all’attività agricola.


72 Infine, il governo spagnolo sostiene inutilmente che, se si dividono gli apporti di fertilizzanti per la superficie dei terreni sui quali viene applicato il colaticcio, il contenuto di nitrati è nettamente inferiore a 170 kg per ettaro, soglia stabilita dall’allegato III, n. 2, della direttiva 91/676. La censura non verte, infatti, sulla circostanza che l’azienda suinicola in questione applica il colaticcio in violazione della direttiva 91/676, bensì sul fatto che il Regno di Spagna non ha designato la Rambla de Mojácar quale area vulnerabile. Pertanto questo argomento del governo spagnolo è inconferente e deve essere respinto.


73 Ebbene, nella fattispecie, per quel che riguarda l’unità idrogeologica 06.06 (Bajo Almanzora), il governo spagnolo non ha addotto alcun dato preciso che consenta di rimettere in discussione l’asserzione della Commissione secondo cui l’apporto delle fonti agricole all’inquinamento da nitrati è significativo.


74 Da quanto precede risulta che la censura vertente sulla violazione della direttiva 91/676 è fondata.


Sulla direttiva 85/337


75 La Commissione rileva che l’azienda suinicola non è stata assoggettata, prima della sua costruzione, anteriore al 14 marzo 1999, data limite per il recepimento della direttiva 85/337, o prima del suo ampliamento, che sarebbe successivo a tale data, a valutazione del suo impatto ambientale, in violazione degli artt. 2 e 4, n. 2, della direttiva 85/337, anche nella sua versione iniziale.


76 Il governo spagnolo sostiene che la Commissione non ha precisato se l’inadempimento riguardava l’una o l’altra versione di tale direttiva e che, di conseguenza, la censura è irricevibile. In subordine, esso ritiene che tale censura sia infondata. Nella replica, la Commissione ha indicato che l’azienda in questione è stata creata prima dell’entrata in vigore della direttiva 85/337 e che quindi tale direttiva, nella versione iniziale, è l’unica applicabile alla fattispecie.


77 A tale riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che tale azienda suinicola è stata creata nel 1976 e che la Commissione non ha contestato questo dato. Orbene, in tale periodo nessuna disposizione di diritto comunitario obbligava le autorità spagnole a valutare l’impatto ambientale della detta azienda. Il termine per il recepimento della direttiva 85/337, nella versione iniziale, è scaduto il 3 luglio 1988 e la Corte ha statuito che tale direttiva non poteva obbligare gli Stati membri ad effettuare valutazioni dell’impatto ambientale di progetti, anche assoggettati ad autorizzazione, ma realizzati prima di tale data (v., in questo senso, sentenza 11 agosto 1995, causa, C 431/92, Commissione/Germania, Racc. pag. I 2189, punto 32, per quanto riguarda progetti la cui domanda di autorizzazione è stata presentata dopo il 3 luglio 1988).


78 In secondo luogo, dagli atti di causa risulta che, dopo il 14 marzo 1999, data di scadenza del termine per il recepimento della direttiva 85/337, l’allevamento in questione è stato oggetto di una nuova procedura di autorizzazione, a norma della legge n. 7/1994. Tale legge prevede che la concessione dell’autorizzazione agli allevamenti di suini con più di 100 scrofe da allevamento e 500 suini da ingrasso - categoria cui appartiene il detto allevamento, che consta di circa 2 800 capi - è subordinata alla realizzazione di una relazione sulla valutazione ambientale.


79 Orbene, la Commissione non ha dimostrato in che modo le autorità spagnole, nello svolgimento di tale nuova procedura di autorizzazione e prima del 26 settembre 2001, data di scadenza del termine fissato nel parere motivato, avrebbero violato la direttiva 85/337.


80 Le autorità spagnole si sono infatti conformate alla regola in base alla quale la valutazione ambientale è d’obbligo, anche per progetti realizzati prima della scadenza del termine per il recepimento della direttiva 85/337, se tali progetti sono stati autorizzati senza essere stati preceduti da siffatta valutazione e sono oggetto di un nuovo procedimento di autorizzazione avviato dopo tale data (v., in questo senso, per quanto riguarda la direttiva 85/337 nella versione iniziale, sentenza 18 giugno 1998, causa C 81/96, Gedeputeerde Staten van Noord-Holland, Racc. pag. I 3923, punti 23 e 25, a proposito di progetti autorizzati prima del 3 luglio 1988 ma non preceduti da una valutazione ambientale e oggetto di un nuovo procedimento di autorizzazione avviato dopo quest’ultima data).


81 Da un lato, dai documenti versati nel fascicolo emerge che le autorità spagnole, a norma della legge n. 7/1994 - la cui conformità alla direttiva 85/337 non è contestata dalla Commissione -, hanno avviato un procedimento di valutazione ambientale che consente di verificare se l’allevamento in questione poteva essere autorizzato e se la sua situazione amministrativa poteva eventualmente essere sanata. Nel maggio 1999, le dette autorità hanno infatti chiesto al proprietario di tale allevamento gli elementi per predisporre una relazione ambientale. Tale relazione è stata redatta nel luglio 2000 dalla società Tecnoma, su richiesta della Confederación Hidrográfica del Sur, e trasmessa alla Commissione nell’ottobre 2000.


82 Dall’altro, le autorità spagnole hanno proceduto ad un’ispezione dell’allevamento in questione e hanno deciso, visto il risultato negativo di tale ispezione, che non era possibile autorizzare il detto stabilimento. Il 18 aprile 2001 le stesse autorità hanno quindi emesso un parere sfavorevole alla concessione dell’autorizzazione a tale allevamento e hanno chiesto al comune di Vera di adottare i provvedimenti necessari per chiuderlo. Infine, l’8 agosto 2001 è stata avviata una procedura di sanzione a carico della persona che dirige lo stabilimento in esame.


83 Pertanto, le autorità spagnole hanno attuato correttamente l’obbligo di valutazione ambientale previsto dalla legge n. 7/1994. Di conseguenza, l’inadempimento del diritto comunitario lamentato dalla Commissione a tale riguardo non è fondato.


84 Da quanto precede risulta che la censura vertente sul fatto che il Regno di Spagna avrebbe violato gli artt. 2 e 4, n. 2, della direttiva 85/337, anche nella sua versione iniziale, deve essere respinta senza che sia necessario esaminare l’eccezione di irricevibilità sollevata dal governo spagnolo.


Sulla direttiva 75/442


85 La Commissione sostiene che l’azienda in questione produce rifiuti in grande quantità, in particolare colaticcio e carogne, e che tali rifiuti, in mancanza di una normativa comunitaria specifica relativa alla loro gestione, sono disciplinati dalla direttiva 75/442. Ebbene, tale azienda opererebbe senza l’autorizzazione richiesta ai sensi dell’art. 9 di tale direttiva e i detti rifiuti, come riconosciuto dalle stesse autorità spagnole, verrebbero scaricati senza controlli sui terreni vicini, in spregio agli obblighi in materia di ricupero o smaltimento oggetto dell’art. 4 della stessa direttiva. Infine, la detta azienda non sarebbe stata oggetto di alcun adeguato controllo periodico da parte delle competenti autorità, in violazione dell’art. 13 della detta direttiva.


86 A tale riguardo occorre ricordare che l’ambito di applicazione della nozione di «rifiuto», ai sensi della direttiva 75/442, dipende dal significato del termine «disfarsi», di cui all’art. 1, lett. a), primo comma, della detta direttiva (v. sentenza 18 dicembre 1997, causa C 129/96, Inter Environnement Wallonie, Racc. pag. I 7411, punto 26).


87 In determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l’impresa non cerca di «disfarsi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Non vi è, in tal caso, alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni della detta direttiva, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti, a condizione che tale riutilizzo non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione (v. sentenza 18 aprile 2002, causa C 9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I 3533, punti 34-36).


88 La Corte ha così giudicato che detriti o sabbia di scarto da operazioni di arricchimento di minerale provenienti dallo sfruttamento di una miniera sfuggono alla qualifica di rifiuti ai sensi della direttiva 75/442 quando il detentore li utilizzi legalmente per il necessario riempimento delle gallerie della detta miniera e fornisca garanzie sufficienti sull’identificazione e sull’utilizzazione effettiva di queste sostanze (v., in questo senso, sentenza 11 settembre 2003, causa C 114/01, AvestaPolarit Chrome, Racc. pag. I 8725, punto 43). La Corte ha anche dichiarato che non costituisce un rifiuto ai sensi della detta direttiva il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie (ordinanza 15 gennaio 2004, causa C 235/02, Saetti e Frediani, Racc. pag. I 1005, punto 47).


89 Come afferma giustamente il governo del Regno Unito nella sua memoria di intervento, gli effluenti di allevamento possono, alle medesime condizioni, sfuggire alla qualifica di rifiuti, se vengono utilizzati come fertilizzanti dei terreni nell’ambito di una pratica legale di spargimento su terreni ben individuati e se lo stoccaggio del quale sono oggetto è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento.


90 Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, non occorre limitare quest’analisi agli effluenti d’allevamento utilizzati come fertilizzanti sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti. Infatti, come la Corte ha già giudicato, una sostanza può non essere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta (v., in questo senso, ordinanza Saetti e Frediani, cit., punto 47).


91 Per contro, l’analisi che permette di considerare, in determinate situazioni, che un residuo di produzione non è un rifiuto ma un sottoprodotto o una materia prima riutilizzabile nella continuità del processo di produzione non può essere applicata alle carogne di animali da allevamento qualora questi animali siano morti nell’allevamento e non siano stati abbattuti ai fini del consumo umano.


92 Queste carogne non possono, infatti, per norma generale, essere riutilizzate ai fini dell’alimentazione umana. Esse sono considerate dalla normativa comunitaria, in particolare dalla direttiva del Consiglio 27 novembre 1990, 90/667/CEE, che stabilisce le norme sanitarie per l’eliminazione, la trasformazione e l’immissione sul mercato dei rifiuti di origine animale e la protezione dagli agenti patogeni degli alimenti per animali di origine animale o a base di pesce e che modifica la direttiva 90/425/CEE [(GU L 363, pag. 51); la direttiva 90/667 è stata abrogata, dopo la data fissata nel parere motivato, dall’art. 37 del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 3 ottobre 2002, n. 1774, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano (GU L 273, pag. 1)], come «rifiuti di origine animale» e, inoltre, come rifiuti che rientrano nella categoria dei «materiali ad alto rischio», che devono essere trasformati presso impianti riconosciuti dagli Stati membri o eliminati mediante incinerazione o sotterramento. La stessa direttiva 90/667 prevede che tali materiali possano essere utilizzati per l’alimentazione di animali che non sono destinati al consumo umano, ma soltanto in virtù di autorizzazioni rilasciate dagli Stati membri e sotto la vigilanza veterinaria delle autorità competenti.


93 In nessun caso le carogne di animali morti nell’azienda in questione possono pertanto essere utilizzate in condizioni che permetterebbero di sottrarle alla qualifica di rifiuti ai sensi della direttiva 75/442. Il detentore di tali carogne ha certamente l’obbligo di disfarsene, con la conseguenza che tali materiali vanno considerati rifiuti.


94 Nella fattispecie, per quanto riguarda, in primo luogo, il colaticcio prodotto dall’allevamento, dai documenti del fascicolo risulta che tale colaticcio viene utilizzato come fertilizzante agricolo e applicato a tal fine a terreni ben individuati. Esso viene immagazzinato in una fossa in attesa dello spandimento. La persona che dirige lo stabilimento in esame non cerca quindi di disfarsene, cosicché tale colaticcio non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.


95 La circostanza che nel catalogo europeo dei rifiuti, tra i «rifiuti provenienti da produzione (…) in agricoltura», compaiano le «feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito», non è tale da porre nuovamente in dubbio questa conclusione. Tale menzione generica degli effluenti d’allevamento non prende infatti in considerazione le condizioni in cui i detti effluenti vengono utilizzati e che sono determinanti ai fini dell’analisi della nozione di rifiuto. D’altra parte, la nota introduttiva che compare nell’allegato del catalogo europeo dei rifiuti specifica che esso non è «esaustivo» e che «un materiale figurante nel catalogo non è in tutte le circostanze un rifiuto», «ma solo quando esso soddisfa la definizione di rifiuto».


96 Per quanto riguarda l’argomento della Commissione secondo cui il codice di buone pratiche agricole adottato dalla Giunta dell’Andalusia nella fattispecie non sarebbe rispettato, come non lo sarebbero i quantitativi massimi per lo spandimento fissati all’allegato III della direttiva 91/676, esso non influisce sulla qualificazione del colaticcio alla luce della direttiva 75/442. Il fatto che le pratiche di spandimento per quanto riguarda l’allevamento in questione non siano del tutto conformi a tale codice di buone pratiche agricole e alla direttiva 91/676 potrebbe configurare un inadempimento degli obblighi derivanti da quest’ultima direttiva, ma non dimostra che il colaticcio sia scaricato senza controlli nell’ambiente a condizioni che consentano di considerarlo un rifiuto.
97 Dato che la Commissione non ha fatto valere la violazione della direttiva 91/676 sotto questo profilo, ma si è limitata a lamentare un inadempimento della direttiva 75/442, la censura relativa alla violazione di quest’ultima deve essere respinta nella parte in cui si riferisce al colaticcio.


98 Per quanto riguarda, in secondo luogo, le carogne di cui è stata accertata la presenza nell’allevamento in esame e che devono essere considerate rifiuti ai sensi della direttiva 75/442, come indicato al punto 94 della presente sentenza, il governo spagnolo sostiene nondimeno che tali carogne sarebbero «già coperte da un’altra normativa» e sarebbero pertanto escluse dall’ambito di applicazione di tale direttiva, in conformità all’art. 2, n. 1, lett. b), sub iii), della medesima.


99 La Corte ha già giudicato che tale nozione di «altra normativa» può comprendere sia una normativa comunitaria, sia una normativa nazionale che contempli una categoria di rifiuti menzionata all’art. 2, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442, a condizione che tale normativa, nazionale o comunitaria, riguardi la gestione dei detti rifiuti in quanto tali e porti ad un livello di protezione dell’ambiente almeno equivalente a quello previsto dalla detta direttiva (v. sentenza AvestaPolarit Chrome, cit., punto 61).


100 Orbene, senza che sia necessario pronunciarsi, in questa causa, sulle critiche mosse dalla Commissione in sede di udienza nei confronti della citata sentenza AvestaPolarit Chrome, si può osservare che, per quanto riguarda le carogne in esame, il legislatore comunitario ha adottato un’«altra normativa» comunitaria diversa dalla direttiva 75/442, ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. b), di tale direttiva.


101 La direttiva 90/667 riguarda infatti, in particolare, la gestione di tali carogne come rifiuti. Essa fissa norme precise applicabili alla detta categoria di rifiuti, prescrivendo in particolare che essi siano sottoposti a trasformazione presso stabilimenti riconosciuti o eliminati mediante incinerazione o sotterramento. Essa definisce, ad esempio, le ipotesi in cui tali rifiuti, se non possono essere trasformati, devono essere inceneriti o sotterrati. Precisa così, all’art. 3, n. 2, che tali rifiuti possono essere inceneriti o sotterrati, in particolare, se «la quantità e la distanza non giustifichino la raccolta dei rifiuti» e che «[q]ueste carogne o rifiuti devono essere sotterrati in un terreno adeguato per evitare contaminazioni delle falde freatiche o danni all’ambiente e ad una profondità sufficiente ad impedire a carnivori di accedervi. Prima del sotterramento, i rifiuti o le carogne devono essere cosparsi, se necessario, con un opportuno disinfettante autorizzato dall’autorità competente». La stessa direttiva stabilisce anche i controlli e le ispezioni che devono essere effettuati dagli Stati membri e dispone, all’art. 12, che esperti veterinari della Commissione possono, in determinati casi, eseguire ispezioni in loco, in collaborazione con le autorità nazionali. Il regolamento n. 1774/2002, adottato in seguito alla crisi sanitaria detta della «mucca pazza» ed entrato in vigore dopo la scadenza del termine fissato nel parere motivato, stabilisce prescrizioni ancora più precise in ordine al magazzinaggio, al trattamento e all’incenerimento dei rifiuti di origine animale.


102 Le disposizioni della direttiva 90/667 disciplinano l’impatto ambientale del trattamento delle carogne e, grazie al loro grado di precisione, impongono un livello di protezione dell’ambiente almeno equivalente a quello prescritto dalla direttiva 75/442. Esse costituiscono pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nella sua replica, un’«altra normativa» che disciplina questa categoria di rifiuti e che permette di considerare che tale categoria è esclusa dall’ambito di applicazione della detta direttiva, senza che sia necessario valutare se anche la normativa nazionale invocata dal governo spagnolo sia costitutiva di simile «altra normativa».


103 La direttiva 75/442 non è dunque applicabile alle carogne in esame. Poiché la Commissione ha invocato soltanto l’inosservanza di tale direttiva, la censura deve essere respinta nella parte in cui verte sulle dette carogne.


104 Di conseguenza, tale censura deve essere interamente respinta.


Sulla direttiva 80/68


105 Secondo la Commissione, dalla lettera 20 giugno 2001, con cui le autorità spagnole hanno risposto alla lettera di diffida, emerge che l’area occupata dell’azienda agricola in questione è inquinata da nitrati, sostanze che compaiono nell’elenco II, punto 3, della direttiva 80/68, e che tale area non è stata oggetto di uno studio idrogeologico preventivo, in violazione degli artt. 3, lett. b), 5, n. 1, e 7 della detta direttiva.


106 Tuttavia il governo spagnolo ha giustamente rilevato che l’utilizzo del colaticcio come fertilizzante è un’operazione che risponde nella maggioranza dei casi a corrette pratiche agricole piuttosto che un’«operazione di eliminazione o di deposito ai fini dell’eliminazione di dette sostanze», ai sensi dell’art. 5 della stessa direttiva.


107 Inoltre, il regime di protezione delle acque dall’inquinamento proveniente dagli effluenti d’allevamento non si basa sulla direttiva 80/68, bensì sulla direttiva 91/676, il cui oggetto è proprio quello di contrastare l’inquinamento idrico risultante dallo spandimento e dallo scarico di deiezioni del bestiame o dall’uso eccessivo di fertilizzanti e che contiene provvedimenti di gestione che gli Stati membri devono imporre agli agricoltori. Orbene, se si interpretasse l’art. 5 della direttiva 80/68 nel senso che gli Stati membri devono sottoporre a indagine preventiva, che implica, in particolare, uno studio idrogeologico dell’area interessata, l’utilizzo del colaticcio o, più in generale, degli effluenti d’allevamento, come fertilizzanti agricoli, il regime di tutela istituito dalla direttiva 80/68 si sostituirebbe in parte a quello della direttiva 91/676.


108 Le autorità spagnole non erano quindi tenute, in base alla direttiva 80/68, a sottoporre l’utilizzo agricolo del colaticcio proveniente dall’allevamento in esame alla procedura di autorizzazione prevista da tale direttiva né, di conseguenza, a realizzare uno studio idrogeologico nell’area interessata.


109 Pertanto, la censura vertente sulla violazione della direttiva 80/68 deve essere respinta.


110 Da tutto quanto precede risulta che il Regno di Spagna:


- non avendo provveduto affinché le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera fossero sottoposte al trattamento previsto dall’art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 91/271, ossia ad un trattamento più rigoroso di quello descritto all’art. 4 di tale direttiva, e


- non avendo designato come zona vulnerabile la Rambla de Mojácar, in violazione delle disposizioni dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4, della direttiva 91/676,


è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza delle dette direttive.


111 Per il resto, il ricorso è respinto.


Sulle spese


112 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In forza dell’art. 69, n. 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ovvero per motivi eccezionali, la Corte può ripartire le spese o decidere che ciascuna parte sopporti le proprie spese.


113 Nella presente controversia occorre tener conto del fatto che il ricorso non è stato accolto relativamente all’integralità delle censure d’inadempimento fatte valere dalla Commissione.


114 Occorre pertanto condannare il Regno di Spagna a due terzi del totale delle spese. La Commissione è condannata a sopportare il rimanente terzo.


115 In conformità all’art. 69, n. 4, del regolamento di procedura, il Regno Unito sopporta le proprie spese.


Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:


1) Il Regno di Spagna, non avendo provveduto affinché le acque reflue urbane dell’agglomerato di Vera fossero sottoposte al trattamento previsto dall’art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, ossia ad un trattamento più rigoroso di quello descritto all’art. 4 di tale direttiva, e non avendo designato come zona vulnerabile la Rambla de Mojácar, in violazione delle disposizioni dell’art. 3, nn. 1, 2 e 4, della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza delle dette direttive.


2) Il ricorso è respinto per il resto.


3) Il Regno di Spagna è condannato a sopportare i due terzi delle spese. La Commissione delle Comunità europee è condannata a sopportare il rimanente terzo.


4) Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sopporta le proprie spese.


Firme
 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti - Direttiva 75/442/CEE - Nozione di rifiuti - Residuo e sottoprodotto - Effluenti di allevamento utilizzati come fertilizzanti su terreni appartenenti a soggetti diversi dagli operatori economici che li hanno prodotti - Qualifica di rifiuto - Esclusione. Un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, qualora l’impresa non cerca di «disfarsene» ai sensi dell’art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma intenda sfruttare o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Non vi è, in tal caso, alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni della direttiva 75/442, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti, a condizione che tale riutilizzo non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione. A tali condizioni, gli effluenti di allevamento possono pertanto sfuggire alla qualifica di rifiuti, se vengono utilizzati come fertilizzanti dei terreni nell’ambito di una pratica legale di spargimento su terreni ben individuati e se lo stoccaggio del quale sono oggetto è limitato alle esigenze di queste operazioni di spargimento. Non occorre peraltro che tali effluenti d’allevamento siano utilizzati come fertilizzanti sui terreni che appartengono allo stesso stabilimento agricolo che li ha prodotti. Infatti una sostanza può non essere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici anche diversi da chi l’ha prodotta. Pres. Rosas, rel. Puissochet - Commissione delle Comunità Europee c. Regno di Spagna - CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA’ EUROPEE, Sez. III - 8 settembre 2005, causa C-416/02

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