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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione penale, sez.
III, 20 gennaio 2003, n. 1421
(c.c. 13 novembre 2003) Pres Sawgnano - Est Onorato - PM. Izzo (parz. diff)
- Ric Passerotti
Omissis
Svolgimento del processo e motivi della decisione.
Con ordinanza n. 49/02 dell’8 giugno 2002 il Tribunale di Genova, in sede
di riesame, confermava il sequestro preventivo disposto il 10 maggio 2002 dal
Gip dello stesso tribunale su alcuni rimorchi stradali utilizzati dalla srl Maxi
Calor per il trasporto di rifiuti pericolosi.
Amelio Passerotti, quale legale rappresentante della predetta società, era
indagato, in concorso con illegale rappresentante della spa Porto Petroli di
Genova, Italo Righi, con illegale rappresentante della sri Co.A.A.L., Costante
Rocco, e con altri, per i reati continuati p. e p. dall’art. 51, comma 1, lett.
b), D.L.vo 22/1977 (trasporto di rifiuti speciali pericolosi in assenza della
prescritta iscrizione all’albo speciale gestori rifiuti) e dall’art. 52, comma
3, D.L.vo 22/1977 in relazione all’art. 483 c.p. (trasporto di rifiuti
pericolosi senza iI prescritto formulario identificativo).
In sintesi, il tribunale osservava quanto segue.
La società Porto Petroli importava ingenti quantità di miscele e residui oleosi
(slops), derivanti da svuotamento dei bracci di scarico delle valvole di
sicurezza, dal recupero di idrocarburi presenti nelle acque di spiazzamento
degli oleodotti, dagli idrocarburi provenienti dal trattamento delle acque
reflue. Quindi procedeva alla decantazione delle sostanze, che poi cedeva alla
sri Recol di Rosigliano Marittimo, la quale a sua volta procedeva a un ulteriore
trattamento delle sostanze (utilizzando all’uopo impianti della srl Ecomar
Italia, cedutile in uso) per ricavarne olio combustibile B.T.Z. (a basso tasso
di zoifo), da vendere per uso industriale ai consumatori finali.
11 trasporto dalla Porto Petroli alla Recol veniva effettuato con automezzi vari
appartenenti anche alla società Maxi Calor, che non era iscritta all’albo
regionale gesto-re rifiuti, e utilizzando un documento di accompagna-mento
semplificato (D.A.S.) che non era conforme alle prescrizioni di cui all’art. 15
D.L.vo 22/1977.
Tanto premesso - secondo il giudice del riesame - doveva ritenersi sussistere il
fumus dei reati contestati, attesa la natura di rifiuto delle sostanze
trasportate, e non potendosi accogliere, nella presente cognizione sommaria, la
tesi difensiva della buona fede del trasportatore.
Sussistevano anche le esigenze cautelari, sia per la necessità di evitare la
commissione di ulteriori reati con gli automezzi in sequestro, sia perché ai
sensi dell’art. 53, comma 2, D.L.vo 22/1977 per lì caso di trasporto illecito è
obbligatoria la confisca del mezzo di trasporto.
2. – Il difensore del Passerotti, avv. Boggio, ha presentato ricorso per
cassazione, deducendo:
a) erronea applicazione del D.L.vo 22/1997, non avendo le sostanze trasportate
natura di rifiuto, ed erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., mancando i
presupposti oggettivi e soggettivi per lì sequestro preventivo; b) mancanza e
illogicità di motivazione sulle esigenze cautelari.
In sintesi, il difensore sostiene che le sostanze non potevano essere
qualificate come rifiuti, giacché avevano scontato l’accisa come prodotti
petroliferi, il documento accompagnatorio era corredato da bolletta doganale
dello spedizioniere da cui risultava che trattavasi di miscela di idrocarburi
assimilabile fiscalmente all’olio combustibile denso BTZ per uso industriale, il
trasporto avveniva con automezzi autorizzati per i carburanti, gasolio ed oli
combustibili leggeri. Per le stesse ragioni, comunque, non poteva imputarsi al
trasportatore la consapevolezza circa la natura di rifiuti delle sostanze
trasportate.
Sotto il profilo delle esigenze cautelari, infine, secondo il ricorrente, non
può ritenersi che la disponibilità degli automezzi possa agevolare la
reiterazione del reato, posto che essi non erano predisposti per il trasporto di
rifiuti, ma erano adibiti soltanto al normale trasporto di prodotti petroliferi
ordinari.
3. - Distinto ricorso è stato personalmente proposto dal Passerotti, unitamente
all’altro difensore, avv. Megli, col quale si deducono con analoghi argomenti le
stesse censure svolte nel ricorso dell’avv. Boggio. Si insiste in particolare
nel sostenere che le sostanze trasportate non avevano la natura di rifiuti,
posto che la prima società non aveva affatto l’intenzione di disfarsene, ma
anzi, pagando l’accisa relativa ai prodotti petroliferi, le vendeva alla
seconda, che, previo trattamento ulteriore, le immetteva sul mercato come
prodotto raffinato finale.
4. - All’udienza dibattimentale l’aw. Boggio ha depositato memoria scritta, in
cui argomenta ulteriormente sulla insussistenza dei reati alla luce della
recente norma di interpretaziòne autentica introdotta con l’art. 14 della legge
178/2002, che ha ulteriormente ristretto la nozione di rifiuto. Insiste per
l’annullamento dell’ordinanza impugnata senza rinvio, o in subordine con rinvio.
Motivi della decisione. 3.
Le censure relative alla natura di rifiuto delle sostanze trasportate sono
palesemente infondate, laddove escludono la natura di rifiuto con l’argomento
che dette sostanze avevano scontato l’accisa come prodotti petroliferi, che come
tali erano identificate nel documento accompagnatorio, e che erano trasportate
con automezzi autorizzati per carburanti e simili.
E’ infatti evidente che la qualità denunciata, o anche accertata dalla
competente autorità, ai fini fiscali non può pregiudicare la valutazione della
sostanza ai fini della disciplina ambientale. Invero, la qualificazione ai fini
fiscali o commerciali risponde a criteri oggettivamente diversi da quelli che
presiedono alla qualificazione per fini ambientali. In secondo luogo, accettando
la tesi contraria si finirebbe per aprire il varco a facili stratagemmi per
frodare la legge sui rifiuti o alla indebita espropriazione delle competenze
spettanti in materia alle regioni, province e comuni.
Ma va disattesa anche l’ulteriore argomentazione, secondo cui non ricorreva la
natura di rifiuto perché la società Porto Petroli, che aveva accolto i residui
petroliferi e oleosi, non aveva intenzione di disfarsene, ma anzi lì vendeva ad
altre società, che previo opportuno trattamento il immettevano nel mercato come
prodotto raffinato finale. Basti per ora osservare che proprio la vendita era
indice della volontà di disfarsene, salvo quanto appresso si dirà sulla
interpretazione del concetto di disfarsene di cui all’art. 6 del D.L.vo 22/1997.
Analogamente infondata è la doglianza in punto di elemento soggettivo.
Trattandosi di reati contravvenzionali puniti anche a titolo di colpa, non può
sostenersi -almeno in questa fase cautelare - che il rappresentante della
società trasportatrice ignorasse incolpevolmente la natura di rifiuti delle
sostanze trasportate.
Resterebbe così accertato il fumus dei reati contestati.
6. - Logicamente infondata è anche la censura relativa alle esigenze cautelari,
laddove argomenta che la libera disponibilità degli automezzi sequestrati non
poteva agevolare la reiterazione del reato solo perché essi erano predisposti
per il trasporto di prodotti petroliferi e non per il trasporto di rifiuti.
L’evidente petizione di principio non tiene conto che, una volta stabilita la
natura di rifiuto delle sostanze trasportate, gli automezzi potevano di fatto
continuare a trasportarle, anche se erano abilitati solo al trasporto di
prodotti petroliferi.
Ma soprattutto detta censura è inammissibile in quanto, denunciando una mancanza
o illogicità della motivazione, non ha ingresso nel ricorso per cassazione in
materia di misure cautelari reali, il quale - a differenza del ricorso in
materia di misure cautelari personali - è limitato alla sola violazione di legge
(art. 325 c.p.p.).
7. - II ricorso andrebbe quindi disatteso.
Tuttavia dopo l’emissione dell’ordinanza impugnata è entrato in vigore il
decreto legge n. 138 dell’8 luglio 2002, convertito, con modificazioni, nella
legge 8 agosto 2002 n. 178, che, all’art. 14, ha introdotto una interpretazione
autentica della definizione di rifiuto, la quale - secondo i primi commenti
dottrinali - appare sicuramente riduttiva rispetto alla precedente nozione
definita dall’art. 6 del D.L.vo 22/1997.
Si apre così una questione rilevabile d’ufficio sulla natura di rifiuto delle
sostanze trasportate, che peraltro è stata segnalata nella memoria d’udienza
depositata dall’avv. Boggio.
La nuova norma, infatti, ha meglio precisato il concetto di “disfarsi”, di
“avere intenzione di disfarsi” e di “avere l’obbligo di disfarsi” di cui al
predetto art. 6 (così restando probabilmente nei confini della dichiarata
intenzione interpretativa); ma ha anche introdotto alcune deroghe che
indubbiamente restringono la nozione di rifiuto (così trasformandosi chiaramente
in legge innovativa).
In conclusione, per effetto della nuova norma, si definisce ora rifiuto ogni
sostanza inclusa nelle categorie riportate nell’allegato A del D.L.vo 22/1997:
- di cui il detentore “si disfi”, che cioè il detentore sottoponga ad una delle
attività di smaltimento o di recupero, che sono precisate negli allegati B e C
del predetto decreto legislativo;
- o di cui il detentore abbia “deciso di disfarsi”, che cioè il detentore voglia
destinare a una delle operazioni di smaltimento o di recupero, come sopra
individuate;
- o di cui iI detentore abbia “l’obbligo di disfarsi” (cioè di destinare a
smaltimento o recupero) in base a una disposizione di legge, a un provvedimento
della pubblica autorità o alla natura stessa del materiale, e in particolare in
base alla natura di sostanze pericolose, così come individuate nell’allegato D
del D.L.vo 22/1997.
Tuttavia, le ultime due ipotesi (la decisione di disfarsi e l’obbligo di
disfarsi) non ricorrono per legge quando si tratti di residui di produzione o di
consumo effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo, in analogo o
in diverso ciclo produttivo o di consumo: a) senza subire alcun intervento di
trattamento preventivo e senza recare pregiudizio all’ambiente; b) ovvero, dopo
aver subito un trattamento preventivo, ma senza che sia necessaria alcuna
operazione di recupero tra quelle individuate nel menzionato allegato C del
D.L.vo 22/1997.
Viene introdotta così una doppia deroga alla nozione generale di rifiuto.
Costituisce rifiuto la sostanza di cui il detentore si disfi, avviandola allo
smaltimento o al recupero. Ma una prima deroga si ha nei casi in cui il
detentore destini la sostanza alla riutilizzazione nello stesso o in altro ciclo
economico: in tali casi la sostanza non costituisce rifiuto. Una deroga alla
deroga viene però introdotta quando la destinazione alla riutilizzazione
comporti un trattamento preventivo incompatibile con la tutela ambientale,
ovvero un trattamento di recupero del tipo di quelli disciplinati dal D.L.vo
22/1997: in tali casi la sostanza costituisce rifiuto. In entrambi questi ultimi
casi la deroga alla deroga si giustifica evidentemente con la ratio che ispira
la disciplina ambientale vigente in materia di rifiuti. Si comprende meno la
differenziazione di trattamento introdotta dalla nuova legge tra l’effettivo
“disfarsi” (di cui alla prima ipotesi) e la semplice volontà o dovere di
“disfarsi” (di cui alle ultime due ipotesi).
7.1. - Comunque, la nuova norma, benché modificativa della nozione di rifiuto
dettata dall’art. 6 lett. a) D.L.vo 22/1997, è vincolante per il giudice, in
quanto introdotta con atto avente pari efficacia legislativa della norma
precedente.
Inoltre, benché modificativa anche della nozione di rifiuto dettata dall’art. i
della direttiva europea 91/156/CEE (letteralmente trasposta nel citato art. 6
D.L.vo 22/1997), essa resta vincolante per il giudice italiano, posto che tale
direttiva non è autoapplicativa (seif executing). È indiscutibile infatti che
essa costituisce obblighi per gli Stati della Comunità (Unione) Europea e non
direttamente situazioni giuridiche attive o passive per i soggetti intrastatali,
sicché ha necessità di essere (fedelmente) recepita dagli ordinamenti nazionali
per diventare efficace verso questi ultimi.
Il contrasto con la direttiva europea, semmai, può costituire oggetto di
intervento della Commissione, che può aprire una “procedura di infrazione”
contro lo Stato italiano, sino ad adire la Corte di Giustizia nel caso in cui lo
Stato non si adegui al parere motivato della stessa Commissione, ai sensi
dell’art. 226 (già 169) del Trattato di Roma.
Neppure può dirsi che il giudice abbia il potere o iI dovere ex art. 234 (già
177) del Trattato di adire direttamente la Corte di Giustizia per acquisire una
interpretazione pregiudiziale dell’atto europeo, non solo perché la direttiva
europea è di chiara interpretazione, ma soprattutto perché, nella fattispecie, a
dover essere interpretata è, semmai, la norma italiana, e non quella europea. In
altri termini, l’interpretazione pregiudiziale che compete alla Corte di
Giustizia riguarda il Trattato o gli atti delle istituzioni della Comunità e
della BCE, non già gli atti del legislatore nazionale.
7.2. - Così stabilita l’applicabilità diretta e immediata della norma di legge
sopravvenuta, si tratta quindi di rivalutare la fattispecie concreta in esame
alla luce della nuova norma.
In particolare, occorre accertare se sussiste la natura di rifiuto delle
sostanze trasportate dalla società Maxi Calor, in base alla nuova più
restrittiva definizione del rifiuto stesso. Tale accertamento, peraltro, non
compete al giudice di legittimità, al quale sfugge la cognizione di tutti gli
elementi di fatto che possono essere rilevanti per II giudizio; ma va più
correttamente demandata al giudice di merito, in sede di rinvio.
Posto che i residui oleosi di cui si tratta appaiono rientrare nelle sostanze
pericolose di cui al menzionato allegato D del D.L.vo 22/1997 (sembrano venire
in rilievo specialmente i numeri 1301, 1302, 1304, 1305 e 1306 del Codice CER),
il giudice di merito dovrà in particolare verificare se il detentore (che nella
fattispecie si identifica nella società Porto Petroli) se ne era effettivamente
disfatto, avviandole a una delle suddette operazioni di smaltimento o di
recupero; oppure se voleva riutilizzarle in un altro ciclo di produzione o di
consumo, dopo un trattamento preventivo incompatibile con la tutela
dell’ambiente, ovvero dopo un trattamento preventivo che comportasse una delle
operazioni di recupero come sopra identificate (per es. destinandole a una
utilizzazione come combustibile, identificata in Ri, oppure a una rigenerazione
o un altro reimpiego dell’olio, identificata in R 9 dell’allegato C del D.L.vo
22/1997).
Ove una di queste ipotesi risultasse positivamente verificata, ne sarebbe
confermata la natura di rifiuto delle sostanze trasportate dalla società Maxi
Calor: sarebbe cioè confermato il presupposto materiale dei reati ipotizzati, e
quindi il fumus commissi delicti, posto che sugli altri elementi materiali della
condotta (raccolta e trasporto delle sostanze) e sull’elemento psicologico si è
già formato il c.d. giudicato cautelare.
Per conseguenza sarebbe confermata la legittimità del sequestro preventivo, atteso che anche il nesso pertinenziale tra automezzi e reati, nonché l’esigenza cautelare risultano coperti dal medesimo giudicato cautelare.
P.Q.M.
La Corte annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Genova
Così deciso in Roma il 13 novembre 2002
1) Rifiuti – Nozione di rifiuto - Interpretazione autentica – L. n. 178/2002 - Vincolo per il giudice italiano. L’interpretazione autentica, sulla nozione di rifiuto, contenuta nell’art. 14 del Decreto Legge n. 138 del 2002, convertito con modifiche in Legge n. 178 del 2002 e modificativa della nozione di rifiuto contenuta nell’art. 1 della Direttiva comunitaria 91/156/CEE (pedissequamente riportata nell’art. 6 del D. L.vo n. 22/1997), permane vincolante per il giudice italiano, in considerazione che tale direttiva non è autoapplicativa (c.d. self executing). Conforme: Corte di Cassazione, sez. III penale, 29 gennaio 2003, (ud. 13 novembre 2002), sentenza n. 1418 reg. gen. n. 25670/02. - Pres. Savignano – Est. Onorato – Ric. Passerotti. CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 29 gennaio 2003, (ud. 13 novembre 2002), reg. gen. n. 27784/02, sentenza n. 1421
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