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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006

 

  

CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III,  9 ottobre 2003, Sentenza n. 38567

Pres. Savignano - Est. Vitalone - PM. Fraticelli

 

Rifiuti - Gestione dei rifiuti - Acque di sentina - Smaltimento dei rifiuti - Interpretazione autentica - L. n. 178/2002 - Natura di rifiuto - Sussistenza - D. L.gs n.. 22/97 - D. L. 12/6/2002 n. 162. In materia di gestione dei rifiuti, anche a seguito dell’interpretazione autentica della nozione di rifiuto, entrata in vigore con d.l 12 giugno 2002 n. 162, convertito in legge 8 agosto 2002 n. 178, le acque di sentina che vengono raccolte e ritirate all'esito delle operazioni di pulizia delle navi costituiscono rifiuto, determinandosi attività di recupero di cui all'allegato C del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22.  Pres. Savignano - Est.  Vitalone - P.M. Fraticelli (Conf.). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 09 ottobre 2003 (Ud. 27 giugno 2003), Sentenza n. 38567


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(Omissis).

Svolgimento del processo

 

xxx è ricorrente avverso l'ordinanza con la quale - iI 20 febbraio 2003 - iI Tribunale di Taranto ha rigettato l'appello da lui proposto, ai sensi dell'art. 322 bis c.p.p., contro il provvedimento del g.i.p. che aveva respinto l'istanza di revoca di sequestro preventivo di alcuni automezzi di proprietà della società xxx, adibiti al trasporto di rifiuti ritenuti pericolosi.


Con il primo motivo si denuncia violazione di legge, ai sensi dell'art. 606 lett. b) c.p.p., con riferimento agli artt. 14 L. 178/2002 e D.P.R. 12 giugno 2002 n. 161. Il provvedimento impugnato - ad avviso del De Fronzo - non avrebbe ricondotto l'attività posta in essere dalla xxx alla previsione del nuovo quadro normativo, ritenendo erroneamente la "ricorrenza della operazione di recupero, trattandosi di acque di sentina che vengono raccolte e ritirate dall'esito delle operazioni di pulizia delle navi". Al contrario, l'operazione di recupero del rifiuto, come individuato dall'allegato O) del D.Lgs 22/97, era stata già compiuta attraverso adeguato trattamento che aveva modificato la densità del composto, originariamente rappresentato dal 90% di acqua e dal 10% di idrocarburi, rovesciandone in termini simmetrici il rapporto (90% di idrocarburi e solo il 10% di acqua).


Il prodotto poteva essere cosi importato con regolare bolla doganale. Non vi era altra operazione di recupero da effettuare e, quindi, l'attività posta in essere dalla xxx, che non aveva partecipato alla fase del recupero e del trattamento, rientrava nella previsione del nuovo quadro normativo.


Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge, con riferimento alla definizione di rifiuti pericolosi. I prodotti trasportati dai mezzi della xxx, - si afferma - non rientravano più nella tipologia dei rifiuti pericolosi, dal momento che sarebbe tale il rifiuto costituito da una miscela di acqua-idrocarburi in percentuale compresa tra il 30 e il 70%.


Nel caso di specie, si trattava di un composto in cui la presenza dell'idrocarburo era superiore al 90%, con caratteristiche, quindi, simili ai prodotti grezzi.


Con il terzo motivo, il ricorrente deduce erronea applicazione degli artt. 14 L. 178/2002 e D.P.R. 12 giugno 2002 n0 161, precisando che il Tribunale, dopo avere ritenuto sussistere la fase di recupero anche dopo il trattamento dei reflui iniziali, ha escluso che vi fosse stata una "completa utilizzazione" del bene, condizione imprescindibile nella corretta interpretazione del termine "riutilizzo". La recente norma interpretativa (art. 14 L. 8/8/02 n. 178), viceversa, ha stabilito che "i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo, che possono essere riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate... non sono da considerarsi rifiuto".


Nel caso in esame, si doveva considerare che l'operazione di recupero del rifiuto era compiuta dalle società che curavano la raccolta ed il ritiro delle acque di sentina. All'esito di tale operazione, II rifiuto perdeva ogni carattere di pericolosità e non poteva essere assoggettato alla disciplina della fattispecie incriminatrice ipotizzata.


Alla stregua di tali considerazioni, il ricorrente sollecita l'annullamento del provvedimento impugnato.
 

Motivi della decisione.

 

Il ricorso non è fondato.


In tema di sequestro preventivo - va preliminarmente ricordato - mezzo ordinario a disposizione dell'indagato per contestare la legittimità, anche nel merito, della misura cautelare è il giudizio di riesame, previsto dall'art. 322 c.p.p.. Fuori dai casi disciplinati da tale norma - e dunque quando non si contesi la legittimità del provvedimento e la sua conformità alle emergenze procedimentali o processuali - è tuttavia possibile chiederne la revoca, ove fatti sopravvenuti, che siano tali anche soltanto soggettivamente, abbiano modificato l'originario quadro valutativo.


Diversamente, se tale quadro sia rimasto immutato e l'istanza di riesame non sia stata accolta o addirittura neppure avanzata diventa inammissibile ogni ulteriore richiesta di revoca della misura e del pari inammissibili divengono i mezzi di gravame eventualmente proposti avverso l'ordinanza di rigetto o che abbia dichiarato detta inammissibilità.


Nel meccanismo della legge, i distinti procedimenti incidentali relativi alle misure cautelari hanno presupposti, funzioni e limiti che debbono essere rigorosamente rispettati. L'esaurirsi di una fase procedimentale determina infatti preclusioni endoprocessuali che non possono essere eluse, a pena di alterare i delicati equilibri del sistema. Ne consegne che non possono essere dedotti con l'appello ex. art. 322 bis. C.p.p. (indotto con l'art. 17 d. leg. 14 gennaio 1991 n. 12), che è mezzo d'impugnazione residuale rispetto al giudizio di riesame, motivi che avrebbero dovuto essere proposti con tale ultimo mezzo. E ciò tanto nel caso che l'istanza ex. art. 322 c.p.p. sia stata avanzata senza successo, quanto nel caso in cui non sia stata neppure proposta (Cass. Pen. sez. III A, 20 settembre 2001, Albanese).


Applicato tale principio al caso di specie, va rilevato che i motivi dedotti dal ricorrente riguardano in via pressoché esclusiva assenti vizi genetici della misura e, quindi, il giudizio d'appello avverso l'ordinanza con la quale il g.i.p. del Tribunale di Taranto aveva declinato la richiesta di dissequestro formulata dal De Fronzo il 13 gennaio 2003. non sono infatti indicate - rispetto a tale provvedimento - nuove sopravvenienze, suscettibili di giustificarne la revoca.


Per tale aspetto, le censure che attengono alla qualità di rifiuto pericoloso delle miscele acque-idrocarburi sono inammissibili perché estranee allo specifico mezzo di gravame utilizzato e perché comunque incidenti su stazione coperta dal giudicato cautelare.


Va tuttavia considerato che il ricorrente, con II terzo motivo di gravame, propone questione esegetica, collegata alla portata della novità introdotta con il d.P.R. 12 giugno 2002 n0 161 e dalla relativa legge di conversione (8 agosto 2002 n. 178), sulla quale una puntualizzazione si rende pur necessaria. Vi ha fatto, invero, specifico riferimento il Tribunale nel declinare le ragioni della scelta decisoria, precisando che l'art. 14 della L. 178/02 esclude che possano considerarsi "rifiuti" i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo allorché gli stessi possano essere utilizzati e sono effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero.


Sul punto va additivamente considerato che il secondo comma della norma in esame recita testualmente:


"Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per i beni o sostanze o materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente.


b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle indicate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.


La norma in sostanza, innovativa nel nostro sistema giuridico, nell'offrire un' "interpretazione autentica della definizione di rifiuto", esclude che tali possano essere considerati beni, sostanze o materiali residuali di produzione o di consumo, qualora siano effettivamente ed oggettivamente riutilizzati, senza alcun trattamento preventivo od anche dopo un trattamento preventivo purché non vi sia pregiudizio all'ambiente. Si evidenzia in tal modo che, quando iI riutilizzo sia realizzato in modo serio (cioè effettivamente ed oggettivamente) nello stesso ciclo produttivo o di consumo (od anche in un analogo o diverso) viene meno lo stesso presupposto soggettivo del "disfarsi" in quanto l'agente dimostra di voler continuare a fruire del bene, che non è dunque "rifiutato", ma ulteriormente "utilizzato". Ne consegue che il "rifiuto" ad origine non è venuto ad esistenza giuridica come tale.


Un semplice raffronto tra il D.P.R. 915/82, che fondava tutta la regolamentazione sul concetto di smaltimento e di discarica, ed il D.L.vo 22/9 7, del resto, convince del fatto che la nuova normativa è orientata sulla prevenzione ed il recupero, purché effettivo ed oggettivo, come auspicava la Corte Costituzionale con la sentenza 512 del 30 ottobre 1990, ed in linea con il "Sesto programma di Azione per l'Ambiente dell'Unione Europea (Ambiente 2010, nella prospettiva della salvaguardia di risorse "che potrebbero essere recuperate e riciclate, contribuendo cosi a ridurre la richiesta di materie prime vergini" e nel quadro di una netta separazione concettuale tra rifiuti non più riutilizzabili (da destinare a discariche od incenerimento) e materie prime secondarie, che ad origine non sono "rifiuto" e possono essere riutilizzate attraverso rigorose procedure di controllo sequenziale (cfr. Cass. Pen. sez. III, 6 giugno 2003, Agogliati B. ed altri.


Tanto considerato in linea interpretativa e sistematica sulla portata della novità normativa evocata dal ricorrente, va tuttavia detto che l'impugnata ordinanza ha ritenuto, nel caso concreto, "pacifica... la ricorrenza dell'operazione di recupero, trattandosi di acque di sentina che vengono raccolte e ritirate all'esito delle operazioni di pulizia delle navi" e che "alla conclusione del trattamento - teso alla separazione della componente oleosa da quella acquosa - le acque (a seguito di ulteriore trattamento di depurazione) vengono scaricate in mare.


Se ne deve pertanto conclusivamente inferire -con riguardo pur sempre -alla natura sommaria dell'accertamento incidentale - che vi è stata una fase di recupero ed è mancata la completa riutilizzazione del bene. Di talchè le sostanze di cui all'ipotesi di reato non possono essere ricondotte nel novero di quelle che la novella legislativa esclude dalla categoria dei rifiuti di cui il detentore "si disfi" o "abbia l'obbligo di disfarsi", ai sensi dell'art. 6 comma 1 lett. a) del D.L.vo 22/97, secondo l'interpretazione attribuita ai termini indicati dal citato art. 14, comma 1 lett. b) e c) del cit. DL. n. 138/2002, rientrando le ulteriori operazioni indicate dai giudici in merito tra quelle di recupero di cui ai punti R 9, R 7, ed R 11 dell'allegato C del decreto legislativo n. 22/97.


Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, ponendo a carico del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., l'onere del pagamento delle spese processuali.
 

(Omissis)

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