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Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
1) Rifiuti - Deposito
incontrollato – Presupposti - Configurabilità del reato - Abbandono dei
rifiuti su proprietà aliene - art. 6 del D. L.von. 22/1997 - L. n. 178/2002
– Fattispecie: abbandono di materiale composto da pietrame, materiale
terroso, frammenti di asfalto e calcestruzzo di cemento. L’ipotesi del
deposito incontrollato dei rifiuti presuppone, oltre al concorso delle
condizioni indicate espressamente dall’art. 6 del D. L.vo n. 22/1997, la
circostanza che il loro raggruppamento, prima della raccolta, venga
effettuato nel luogo in cui sono prodotti. Pertanto, come nel caso in
specie, l’abbandono dei rifiuti su proprietà aliene non può configurarsi
come deposito controllato. Inoltre, il materiale risultante
dall’accertamento (pietrame, materiale terroso, frammenti di asfalto e
calcestruzzo di cemento) non può ritenersi naturalmente destinato al
riutilizzo senza ulteriore trattamento, ai sensi dell’art. 14, 2° c. del
D.L. n. 138 convertito in L. n. 178/2002. Pres PAPADIA – Est. LOMBARDI –
P.M. HINNA DANESI (conf.) - Imp. CERRA. CORTE DI CASSAZIONE Penale, SEZ.
III, 6 novembre 2003 (ud. 19/09/2003) sentenza n. 42376
2) Rifiuti - Terre e rocce da scavo – Classificazione - Residui di
demolizione – Esclusione. Il materiale (nella specie formato da
pietrame, frammenti di asfalto, materiale terroso e calcestruzzo di cemento)
non può essere annoverato tra le terre e rocce da scavo, che ai sensi
dell’art. 1 commi 17/19, della L. n. 443/2001, non costituiscono rifiuti e
sono, perciò esclusi dall’ambito di applicazione del D. L.vo n. 22/97, in
quanto il materiale di cui si tratta non può classificarsi quale prodotto di
escavazione o perforazione, trattandosi, invece di residui di demolizione.
(v. Cass. Sez III, 25/05/2003 n.8936; Cass. Sez. III 26/02/2002 n. 7430).
(Tuttavia in merito alla recente definizione di terre e rocce da scavo si veda, l’art. 23 della legge comunitaria n. 306/2003, e la
decisione della Cassazione, Sez. III penale, 12 febbraio 2004, sentenza n.
5792 - Imp. Caoduro ed altro). Pres PAPADIA – Est. LOMBARDI – P.M. HINNA
DANESI (conf.) - Imp. CERRA. CORTE DI CASSAZIONE Penale, SEZ. III, 6
novembre 2003 (ud. 19/09/2003) sentenza n. 42376
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 6 novembre 2003, Sentenza n. 42736
Pres. Papadia - Est. Lombardi - P.M. Hinna Danesi (Conf.) - Ric. Cerra
(Omissis).
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata dal Tribunale di Arezzo ha affermato la colpevolezza del Cerra in ordine al reato ascrittogli perché, quale legale rappresentante dell'omonima ditta, abbandonava rifiuti speciali non pericolosi, provenienti dai lavori di scavo per l'interramento di cavi elettrici in una strada comunale, che l'impresa dell'imputato aveva in corso di esecuzione.
Avverso la sentenza ha proposto appello il Cerra, che la denuncia con tre motivi di gravame, e l'impugnazione è stata trasmessa a questa Corte ai sensi dell'ari. 568, ultimo comma, c.p.p.
Motivi della decisione.
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce il mancato raggiungimento della prova della sua colpevolezza.
Si osserva in proposito che i testi escussi hanno attribuito la responsabilità dell'abbandono dei materiali di risulta di cui alla contestazione al Cerra sulla base di notizie apprese sul costo da terzi, di talché tali deposizioni non assumono neppure valore indiziario in ordine alla prova del reato contestato all'imputato. Con il secondo motivo il ricorrente deduce che il fatto accertato non costituisce reato, ai sensi dell'art. 6 del D. L.vo n. 22/97. Si osserva che l'accertamento del fatto è avvenuto pochi giorni dopo l'esecuzione dei lavori di scavo, di talché non era ancora decorso il termine di tre mesi oltre il quale viene integrata 'ipotesi dell'abbandono incontrollato dei rifiuti. Con l'ultimo motivo, infine, viene formulata una richiesta di assunzione di nuove prove, ex art. 603 c.p.p., finalizzate a dimostrare che all'epoca dei fatti il ricorrente era dipendente della ditta Sitmec di Lamezia Terme e non aveva un'impresa propria.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto censura in punto di fatto della valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito.
Peraltro, l'accertamento dei fatti di cui alla sentenza è fondato su puntuali rilievi in ordine alle circostanze che la ditta dell'imputato non solo era l'unica ad eseguire lavori edili nel luogo dell'abbandono dei rifiuti, ma venne, altresì, sorpresa in flagranza nell'atto di abbandonare altri rifiuti in una zona limitrofa a quella del primo abbandono, nonché sulla valutazione dell'omogeneità dei materiali abbandonati con quelli provenienti dalle operazioni di scavo, di talché il predetto accertamento di merito risulta congruamente motivato e si sottrae alle censure del ricorrente.
Il secondo motivo di gravame è infondato.
L'ipotesi del deposito controllato dei rifiuti presuppone, oltre al concorso delle condizioni indicate espressamente dall'art. 6 del D.L.vo n. 22/97, la circostanza che il loro raggruppamento, prima della raccolta, venga effettuato nel luogo in cui sono prodotti.
Orbene il rispetto della indicata fattispecie non è assolutamente ravvisabile alla luce dell'accertamento di merito, dal quale emerge che i rifiuti venivano abbandonati su terreni di proprietà aliena.
Per completezza di rilievi in punto di diritto deve essere altresì osservato che il materiale proveniente dallo scavo, abbandonato dall'impresa del ricorrente, in considerazione della natura dello stesso - secondo le risultanze dell'accertamento in merito - (pietrame, materiale terroso frammenti di asfalto e calcestruzzo di cemento), non può ritenersi naturalmente destinato al riutilizzo senza ulteriore trattamento, ai sensi dell'art. 14, secondo comma, del D.L. 8/7/2002 n. 138, convertito in L. 8/8/2002 n. 178.
Neppure può essere annoverato tra le terre e le rocce da scavo, che, ai sensi dell'alt. 1, commi 17/19, della L. 2 1/12/2001 n. 443, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall'ambito di applicazione del D. L.vo n. 22/97, in quanto il materiale di cui si tratta non può classificarsi quale prodotto di escavazione o perforazione, trattandosi, invece, di residui di demolizione (cfr. sez. 111, 25/02/2003 n. 8936, riv.223742; sez. III, 26/02/2002 n. 7430, nv. 221382).
La richiesta di rinnovazione del dibattimento, di cui al terzo motivo di ricorso, è, infine, inammissibile in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue a carico del ricorrente l'onere del pagamento delle spese processuali.(Omissis)
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