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Legislazione Giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III del 16 dicembre 2003 (Ud. 29.10.2004), Sentenza n. 47904
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Sez. III del 16
dicembre
2003 (ud.
29/10/2004), sentenza n. 47904
Pres. Raimondi R. - P.M. Passacantando G. - Imp.
Martinengo
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Raffaele - Presidente
Dott.
POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere
Dott.
DE MAIO Guido - Consigliere
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova;
nei confronti di:
MARTINENGO Carlo Maria, n. l’11/6/1954 ad Alessandria;
avverso l’ordinanza in data 12/5/2003 del Tribunale di Genova - sez. Riesame;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.
Piccialli;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Sost. P.G. Dott. Passacantando G.
che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. Giuseppe Sciacchitano del foro di Genova, il quale ha
concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’ambito del procedimento penale a carico di
Carlo Maria Martinengo indagato, quale direttore di uno stabilimento
industriale, delle contravvenzioni di cui all’art. 51, comma 1, del D.Lgs. n.
22 del 1997 (a) e all’art. 59, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 1999
(b), il G.I.P. del Tribunale di Genova, con decreto del 28/4/2003, accogliendo
la richiesta del P.M., dispose il sequestro preventivo di un impianto di
recupero di rifiuti, mediante “macinazione a lame, coclea e vaglio” e di una
tubazione di “scarico troppo pieno” delle acque di raffreddamento degli
impianti.
All’esito dell’istanza di riesame proposta nell’interesse dell’indagato, con
l’ordinanza in epigrafe l’adito Tribunale confermava la misura cautelare, in
funzione della contravvenzione di cui al capo b, e la revocava nella parte
relativa al sequestro dell’impianto di macinazione, escludendo il fumus del
reato contestato sub a (per aver effettuato “attivita’ di messa in riserva e
recupero di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da trucioli di plastica
...in mancanza della prescritta comunicazione di cui all’art. 33 del D.Lgs. n.
22 del 1997”), non ravvisando nei trucioli suddetti o “matarozze” (scarti della
lavorazione nella produzione di tubazioni in materiale plastico) i connotati, normativamente definiti di “rifiuto”.
A tale conclusione il Tribunale perveniva, sulla scorta dei dettami di
interpretazione autentica di cui all’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 178 del
2002, in base all’essenziale considerazione che detti materiali di scarto,
provenienti dalla lavorazione, venivano impiegati (dopo la macinazione che li
riduceva in granuli, uguali alla materia prima originaria) nello stesso ciclo
produttivo, subendo un trattamento preventivo non implicante operazioni di
recupero tra quelle individuate ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. n. 22 del 1997,
comma 2, lett. b) e dal D.M 5 febbraio 1998, tenuto conto dell’identità
fisico-chimica, rispetto ai trucioli o “matarozze”, dei granuli derivati dalla
loro macinazione, non produttiva di sostanze estranee all’ordinaria composizione
e determinante solo una riduzione di dimensioni, onde consentirne il reimpiego.
Avverso tale capo della decisione il P.M. ha proposto ricorso per Cassazione,
deducendo “erronea applicazione della normativa disciplinante le attività di
gestione dei rifiuti.., in particolare degli artt. 1,2,6, 33, 51 del D.Lgs. n. 22
del 1997, dell’art. 14 della L. n. 178 del 2002, dell’art. 3 e punto 6.2 del
D.M
5 febbraio 1998”.
Ad avviso del ricorrente, che richiama giurisprudenza di questa S.C. e
comunitaria, i giudici del riesame avrebbero errato nell’escludere che gli
scarti di cui alla denuncia costituissero rifiuti, essendo al riguardo
irrilevante il criterio (solo eventuale) dell’assenza di impurità oltre i
limiti dell’1%, derivando invece tale qualifica dall’impossibilità di un reimpiego diretto e dalla
necessità di un vero e proprio trattamento di
riciclaggio e recupero, peraltro comportante impatto ambientale sotto il profilo
dell’inquinamento atmosferico; l’impossibilita’ di un reimpiego diretto e la
natura di rifiuti sarebbero anche confermati dall’accertata necessità di
miscelare, a fini produttivi, i sottoprodotti ottenuti in recupero con materia
prima vergine.
Il ricorso e’ infondato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale del riesame fonda il suo
giudizio, escludente la natura di rifiuti delle sostanze in questione, su
accertamenti di fatto inconfutabili nella presente sede, dai quali e’ emerso che
il procedimento produttivo de quo si articola in due fasi, caratterizzate,
quella principale, dall’impiego di materia prima c.d. “vergine” e, l’altra,
quella secondaria, anche dall’utilizzazione di sottoprodotti di risulta della
predetta fase, i c.d. “trucioli” o “matarozzi”, composti dallo stesso materiale
plastico in precedenza impiegato, che previamente macinati vengono, unitamente
ad altra materia prima, impiegati per la produzione dei tubi in plastica e, per
le eccedenze, reimmessi nel mercato.
Le operazioni di macinazione dei suddetti sottoprodotti non possono ritenersi di
recupero di “rifiuti”, come tali soggette alle disposizioni di cui all’art. 33
del D.Lgs. n. 22 del 1997 (della cui formale inosservanza, a termini
dell’accusa, si sarebbe reso responsabile l’indagato), avendo ad oggetto
sostanze che, anche a termini della originaria definizione di cui all’art. 6 del
D.Lgs. n. 22 del 1997, lett. a) del citato testo normativo (conforme alla
Direttiva comunitaria 91/156) e senza necessità di ricorrere ai criteri di
interpretazione autentica dettati dall’art. 14 della L. n. 178 del 2002
(contestati da parte della giurisprudenza, in particolare da Cass. 3^, 27
novembre
2002, Ferretti) per sospetto contrasto con la citata normativa comunitaria di
base), possono escludersi dal novero dei “rifiuti”, così come delineato
dall’originaria definizione.
A tale conclusione può pervenirsi considerando che dei materiali in questione
l’impresa produttrice non si e’ disfatta, non aveva l’intenzione di disfarsene
(se e’ vero che, senza soluzione di continuità, li avviava ad un nuovo ciclo di
lavorazione, del tutto analogo a quello precedente) ne’, comunque, aveva alcun
obbligo, normativamente definito, di disfarsene.
A tal ultimo proposito e’ stata, con adeguate e convincenti argomentazioni,
considerata l’assoluta omogeneità delle suddette sostanze rispetto alla materia
di provenienza, sia dal punto di vista chimico (dal momento che nessuna
modificazione, nell’intrinseca composizione, i materiali subivano), sia da
quello fisico (non essendovi passaggi dallo stato solido a quelli liquido e/o
gassoso o viceversa).
All’esclusione del fumus delicti il Tribunale del riesame e’ pervenuto, come si
e detto, attraverso la via interpretativa segnata dall’art. 14 cit. 14 della L.
n. 178 del 2002 e dalle disposizioni integrative di riferimento, senza peraltro
incorrere in applicazione riduttiva, come opina il ricorrente P.M.,
dell’originaria definizione normativa di rifiuto, derivante dalla direttiva
comunitaria già citata, atteso che nell’escludere, nella surriferita
macinazione, la natura di trattamento preventivo implicante operazioni di
recupero riferibili all’allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997, ha tenuto conto
delle finalita’ di fondo perseguite dalla normativa in questione, sia’
nazionale, sia comunitaria, che sono quelle di evitare l’accumulo o la
dispersione nell’ambiente delle sostanze derivanti dalle attivita’ produttive,
favorendone comunque l’impiego “pulito” sul luogo di produzione.
In tal senso, del resto, come gia’ questa S.C. (v. Sez. 3A, n. 12 del 15 gennaio
2003, Gonzales + 1) ha avuto modo di osservare, si e’ ultimamente espressa la
Corte Europea di Giustizia (sent. 18 aprile 2002, Palin Granit Oy), che nel
l’affrontare la vexata quaestio della distinzione tra prodotti e rifiuti ha
individuato, quali criteri essenziali ai fini della distinzione, quelli
dell’assenza o meno di operazioni di trasformazione preliminare e della certezza
del riutilizzo, senza recare pregiudizio all’ambiente.
A tali indagini, nel caso di specie, i giudici di merito non si sono sottratti,
considerato che, nell’evidenza della certezza del riutilizzo, e’ stato escluso
sia il pregiudizio ambientale (essendo risultate debitamente autorizzate e
conformi ai limiti di tolleranza, a termini della normativa settoriale, tutte le
emissioni in atmosfera prodotte dal complesso, ivi comprese quelle derivanti
dall’impianto di macinazione de quo), sia la necessità di operazioni di
trasformazione preliminare, considerata la già evidenziata identità
chimico-fisica tra i sottoprodotti macinati, ottenuti con una mera operazione di
riduzione dimensionale o volumetrica dei “trucioli o matarozzi”, ed i materiali
di provenienza. Ed a tale ultimo proposito le obiezioni del ricorrente P.M.,
traenti spunto dalla circostanza che l’impiego produttivo dei macinati richieda
la “miscelazione” con materia prima “vergine", non colgono nel segno, atteso
che tale commistione e’ un posterius rispetto al procedimento in considerazione,
non implica alcun trattamento modificativo comporta solo l’unione nella fase
produttiva de qua, di sostanze del tutto omogenee sotto ogni profilo
fisico-chimico.
L’impugnazione va, pertanto, respinta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 ottobre 2003.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2003
1) Rifiuti - Trucioli di plastica - Riavvio a nuovo ciclo di lavorazione - Assenza di pregiudizio ambientale - Assenza di operazioni di trasformazione preliminare - Esclusione dal novero dei rifiuti - Fondamento - Macinazione dei trucioli - Operazione di recupero di rifiuti - Esclusione. La macinazione dei trucioli di plastica (scarti della lavorazione nella produzione di tubazioni) non può ritenersi operazione di recupero di rifiuti, come tale soggetta alle disposizioni di cui all’art. 33 del D. lgs 22/9, avendo ad oggetto sostanze che a termini dell’originaria definizione di cui all’art. 6 lett. a) (conforme alla Direttiva comunitaria 91/156) e senza necessità di ricorrere ai criteri di interpretazione autentica dettati dall’art. 14 della L. n. 178/2002, possono escludersi dal novero dei “rifiuti”, stante il riavvio a nuovo ciclo di lavorazione e l’assenza di pregiudizio ambientale e di operazioni di trasformazione preliminare (in tal senso Corte Europea di Giustizia 18 aprile 2002, Palin Granit Oy)- Pres. RAIMONDI - P.M. PASSACANTANDO - Imp. Martinengo. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, - 29 ottobre 2003, (16 dicembre 2003), sentenza n. 47904
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