AmbienteDiritto.it                                                                                

Legislazione  Giurisprudenza                                            Vedi altre: Sentenze per esteso


    Copyright © Ambiente Diritto.it

 Massime della sentenza

  

 

Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli ill.mi signori:
Dott. Giuseppe SAVIGNANO - Presidente -
1. Dott. Antonio ZUMBO - Consigliere -
2. Dott. Guido DE MAIO - Consigliere -
3. Dott. Claudia SQUASSANI - Consigliere -
4. Dott. Carlo GRILLO - Consigliere -

 
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da C. M., nato a La Spezia il 25/10/1957,
avverso
l'ordinanza dei 9/5/2002 pronunciata dal Tribunale del riesame di Massa.
- Sentita la relazione fatta dal Consigliere dotta Carlo M. Grillo;
- sentite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. G. Izzo, con le quali chiede il rigetto del ricorso;
la Corte osserva:


Fatto Diritto
 

Con provvedimento 17/4/2002, il G.I.P. presso il Tribunale di Massa, su istanza del P.M., disponeva, per evitare il pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato, il sequestro preventivo di dodici "cassoni scarrabili", contenenti rifiuti di vario genere, deposti sul piazzale esterno della sede della ditta "C. M." in Aulla, ipotizzando -a carico dell'omonimo titolare della stessa- il reato di cui agli artt. 14, comma 1, e 51, commi 2 e 1 lett. a), D. L.vo n. 22./1997 (deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi).


Di tale Provvedimento l'indagato chiedeva il riesame, sostenendo principalmente che quanto in sequestro non poteva qualificarsi rifiuto, non essendo destinata all'abbandono, ma alla reimmissione nel ciclo produttivo di altre imprese alle quali i cassoni venivano venduti.


il Tribunale di Massa, con l'ordinanza indicata in premessa, rigettava il ricorso, contestando le censure della difesa e ritenendo sussistente sia il fumus del reato ipotizzato che il periculum in mora.


Ricorre per cassazione l'indagato, deducendo: 1) erronea applicazione degli artt. 6, comma 1 lett. a), e 51 D. L. vo n. 22/1997, nonché manifesta illogicità della motivazione, in guanto il contenuto dei cassoni non può essere qualificato rifiuto, non essendo destinato all'abbandono, ma alla vendita ad altri operatori del settore, che procedono all'utilizzo dei materiali, previe ulteriori lavorazioni; 2) erronea applicazione degli artt. 6, 14 e 51 D. L.vo n. 22/1997, perché, anche volendo qualificare rifiuto il contenuto dei cassoni, non si poteva ipotizzare, nel caso di specie, il "deposito incontrollato di rifiuti ", ma piuttosto il "deposito temporaneo" che non necessita di autorizzazione amministrativa; 3) erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. e carenza assoluta di motivazione circa la sussistenza delle esigenze cautelari, che non possono essere fondate su una generica e mera eventualità, ma presuppongono un pericolo concreto ed attuale, e quindi un'imminente ed elevata probabilità, desunta dalle circostanze del fatto.


All'odierna udienza, il P.G. conclude come sopra riportato.


Il ricorso non merita accoglimento.


La prima doglianza, che concerne la sussistenza del fumus commissi delicti, è infondata anche alla luce dell' art. 14 D.L. n. 138/2002, convertito con L. 8 agosto 2002, n. 178, successivo alla proposizione del presente ricorso, che ha fornito l'interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'art. 6, comma 1 lett. a), D. L.vo n. 22/1997.


In proposito si ricorda innanzi tutto che, in tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e di questa Corte, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito, dovendosi limitare alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell'antigiuridicità penale del fatto (SS.UU., 7 novembre 1992, Midolini), né sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l'applicabilità di quelle personali, indicate nell'art. 273 c.p.p., per cui é preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell'indagato (SS.UU., 23 aprile 1993, Gifuni).


Tanto premesso, senza impelagarsi in questioni di politica legislativa e di razionalità ed opportunità della menzionata norma interpretativa dell'estate 2002, oggetto di un vero e proprio fuoco incrociato da parte di dottrina e giurisprudenza (peraltro, con ordinanza 20 novembre 2002, il Tribunale di Terni ha rimesso gli atti alla Corte Europea di Giustizia perché accertasse la conformità della normativa italiana in questione a quella comunitaria), ritiene questa Corte che comunque, nel caso di specie, il fumus della contravvenzione ipotizzata non possa essere messo in discussione.


Infatti, considerato che i materiali contenuti nei cassoni (indicati specificamente nel verbale di sequestro) rientrano certamente, come rilevato dal Tribunale, tra quelli elencati nell'allegato 'A' del D. L.vo n. 22/1997, occorre solo stabilire se, alla luce delle risultanze istruttorie, possa ritenersi che di essi l'indagato avesse "deciso di disfarsi", nel senso precisato dallaL. n. 178/2002.


Con questa espressione, alla luce di detta norma interpretativa, deve intendersi "la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati 'B' e 'C' del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni", purché questi non siano riutilizzabili, in un ciclo produttivo o di consumo, "tal quali" senza pregiudizio per l'ambiente, ovvero "dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato 'C' del decreto legislativo n. 22".


Considerato che lo stesso ricorrente dà atto della sua intenzione di vendere i materiali sequestratigli (e quindi che voleva disfarsene) e che essi avrebbero dovuto essere sottoposti, da parte degli acquirenti, ad "ulteriori lavorazioni" prima del loro "utilizzo finale" (pag. 2 del ricorso), di certo deve escludersi la sussistenza della prima delle due menzionate condizioni poste dal D.L. n. 138/2002; ma ritiene il Collegio che -allo stato del procedimento- non possa ravvisarsi neppure la seconda condizione, consistente, come si è detto, nella non necessità di alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nel citato allegato 'C'.


Infatti non è possibile al momento escludere con certezza tale eventualità, non conoscendosi -tra l' altro- né gli acquirenti dei cassoni, né l'oggetto della loro, specifica attività, né quindi le concrete modalità di recupero dei materiali; evidentemente soltanto una successiva indagine più approfondita potrà accertare dette circostanze, per cui deve ritenersi attualmente sussistente il fumus delict.


Con la seconda doglianza il ricorrente contesta che, ove pure si considerassero rifiuti i materiali contenuti nei cassoni sequestrati, ricorrano nel caso di specie gli estremi del "deposito incontrollato", dovendosi invece ravvisare quelli del "deposito temporaneo".


Ritiene il Collegio che sul punto l'ordinanza impugnata sia correttamente e congruamente motivata, evidenziando l'infondatezza dell'assunto della difesa. Infatti, per potersi configurare il "deposito temporaneo" -sempre che il raggruppamento dei rifiuti venga effettuato "nel luogo in cui sono prodotti", e già questo presupposto è carente nel caso in esame, perché cassoni sequestrati si trovavano pacificamente al di fuori del perimetro aziendale (pur ammettendo che il luogo di loro produzione fosse proprio la ditta "C. M.", autorizzata alla gestione di impianto di trattamento rifiuti )- devono necessariamente sussistere tutte le condizioni richieste dall'art. 6, lett. m), D. L.vo n. 22/1997.


Sennonché di queste, come ha rilevato il Tribunale, quanto meno una, palesemente, non ricorre: quella "quantitativa" di cui al punto 3 della citata norma, che prescrive di avviare alle operazioni di recupero o smaltimento i rifiuti non pericolosi appena raggiungano i 20 metri cubi. Questa non è una semplice prescrizione per i gestori di deposito temporaneo di rifiuti , come pretende il ricorrente, ma è una vera e propria condizione sine qua non, la cui violazione comporta la non configurabilità del deposito temporaneo.


Ebbene, i cassoni de quibus contenevano -secondo la segnalazione 20/3/2002 dei Carabinieri di Albiano Magra- quasi kg. 200.000 di rifiuti , e dunque una quantità ben superiore al limite sopra indicato. Ne consegue, quindi, a prescindere da ogni altra considerazione circa la sussistenza delle restanti condizioni, comunque richiedenti ulteriori accertamenti, che non può parlarsi di deposito temporaneo, per cui non può che ipotizzarsi -allo stato del procedimento- la fattispecie del deposito incontrollato, costituente reato se il soggetto, come nel caso in esame, non sia un privato bensì il responsabile di impresa o ente.


Per quanto concerne, infine, la sussistenza delle esigenze cautelare (ultima censura), il provvedimento impugnato spiega, con argomentazioni adeguate e corrette, che il Collegio condivide, le ragioni per le quali deve ravvisarsi il vincolo pertinenziale con il reato ipotizzato di quanto in sequestro, e quindi non solo dei rifiuti , ma anche dei cassoni che li contengono, per cui dette esigenze sono assolutamente evidenti, essendo concreto il pericolo della protrazione della condotta illecita e dell'aggravamento delle conseguenze del reato dannose per l'ambiente.


Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.


P.Q.M.
 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi deliberato in Roma il 22 gennaio 2003.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 FEB. 2003
 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

 

1) Rifiuti - il "deposito temporaneo" deve essere effettuato nel luogo in cui i rifiuti sono prodotti - cassoni sequestrati - gestione di impianto di trattamento rifiuti - operazioni di recupero o smaltimento i rifiuti non pericolosi - limite quantitativo - deposito incontrollato. Per potersi configurare il "deposito temporaneo" -sempre che il raggruppamento dei rifiuti venga effettuato "nel luogo in cui sono prodotti", e già questo presupposto è carente nel caso in esame, perché cassoni sequestrati si trovavano pacificamente al di fuori del perimetro aziendale (pur ammettendo che il luogo di loro produzione fosse proprio la ditta "C. M.", autorizzata alla gestione di impianto di trattamento rifiuti )- devono necessariamente sussistere tutte le condizioni richieste dall'art. 6, lett. m), D. L.vo n. 22/1997. Sennonché di queste, come ha rilevato il Tribunale, quanto meno una, palesemente, non ricorre: quella "quantitativa" di cui al punto 3 della citata norma, che prescrive di avviare alle operazioni di recupero o smaltimento i rifiuti non pericolosi appena raggiungano i 20 metri cubi. Questa non è una semplice prescrizione per i gestori di deposito temporaneo di rifiuti , come pretende il ricorrente, ma è una vera e propria condizione sine qua non, la cui violazione comporta la non configurabilità del deposito temporaneo. (Nella specie, i cassoni de quibus contenevano -secondo la segnalazione 20/3/2002 dei Carabinieri di Albiano Magra- quasi kg. 200.000 di rifiuti , e dunque una quantità ben superiore al limite sopra indicato. Ne consegue, quindi, a prescindere da ogni altra considerazione circa la sussistenza delle restanti condizioni, comunque richiedenti ulteriori accertamenti, che non può parlarsi di deposito temporaneo, per cui non può che ipotizzarsi -allo stato del procedimento- la fattispecie del deposito incontrollato, costituente reato se il soggetto, come nel caso in esame, non sia un privato bensì il responsabile di impresa o ente). Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057

 

2) Rifiuti - sequestro preventivo - sussistenza degli indizi di colpevolezza - legittimità della misura cautelare. In tema di sequestro preventivo, la verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare, da parte del Tribunale del riesame e di questa Corte, non può tradursi in anticipata decisione della questione di merito, dovendosi limitare alla verifica della compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell'antigiuridicità penale del fatto (SS.UU., 7 novembre 1992, Midolini), né sono estensibili alle misure cautelari reali le condizioni generali per l'applicabilità di quelle personali, indicate nell'art. 273 c.p.p., per cui é preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla gravità di essi ed alla colpevolezza dell'indagato (SS.UU., 23 aprile 1993, Gifuni). Cassazione Penale, Sez. III, 26 febbraio 2003, n. 9057

 

Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale:  Giurisprudenza