Legislazione Giurisprudenza Vedi altre: Sentenze per esteso
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Cassazione Penale Sent. n. 9361 del 28-02-2003
Pres. Toriello – Est. Tardino – P.M. Fraticelli - Ric. P.M. in proc. Basile.
Svolgimento e motivi della
decisione
Il Tribunale di Genova (in
composizione monocratica) assolveva B.G., nella sua qualità di legale
rappresentante dell'Istituto Grafico B. Srl, dei reati d'installazione, di messa
in esercizio e di trasferimento d'impianti senza la previa autorizzazione (reati
di cui ai capi A) e B), art. 24, comma 1, art. 25, comma 6 D.P.R. n. 203 del
1988); da quello di superamento dei valori del C.O.T. imposti dal D.G.R. n. 651
(reato di cui al capo C) art 24, comma 5 D.P.R. n. 203 del 1988) e dal reato di
mancata osservanza delle prescrizioni imposte dal provvedimento dirigenziale n.
1351 dell'11 dicembre 1997 (reato di cui al capo E) art. 24, comma 4, del D.P.R.
n. 203 del 1988).
L'assoluzione per questi reati era "perché il fatto non costituisce reato".
Assolveva il Tribunale, altresì, l'imputato "perché il fatto non più previsto
dalla legge come reato" dell'imputazione di cui al capo D), reato di cui
all'art. 21, comma 3, L. n. 319 del 1976 (Avere effettuato scarichi derivanti
dall'attività produttiva in fognatura in misura eccedente i limiti di cui alla
tabella C).
Avverso la decisione ((30 novembre 2000) ricorreva per Cassazione il Proc. della
Repubblica di Genova, che eccepisce la violazione di legge in relazione agli
artt. 1, 2, 15, lett. b, 24, comma 1, e 25, comma 6, del D.P.R. n. 203 del 1988.
Esponeva, tra l'altro, come il giudice avesse recepito una particolare nozione
d'impianto - rilevante ai fini dell'applicabilità del D.P.R. n. 203 del 1988 -
fornita da un atto normativo secondario (il D.P.C.M. 21 luglio 1989) e da una
pregressa sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Pen. III 28 gennaio 1993)
rimaste isolate, dalle cui eccezioni derivava sostanzialmente l'insussistenza
dei fatti - reati: perché le macchine utilizzate non sarebbero state omologabili
come impianti; e quindi non erano assoggettabili al controllo preventivo della
normativa vigente.
Il Procuratore ricorrente, già contestava e censurava la valutazione delle
macchine "offset" e della brossuratrice, nel senso che tali apparati avrebbero
dovuto essere considerati nel quadro delle problematiche legate alla rotativa "Harris
850", e come tali, per la relativa installazione soggetti alla preventiva
autorizzazione. Le censure insistevano ancora sull'errata interpretazione del
Tribunale in ordine all'art. 1 del D.P.R. n. 203 del 1988, relativamente al
recepito concetto d'impianto. Secondo il Procuratore ricorrente la direttiva
84/360 avrebbe avuto il solo scopo di definire "obiettivi minimali" di tutela
ambientale; e il legislatore italiano "adottando la definizione d'impianto di
cui all'art. 2 punto 9 ..., avrebbe inteso dare un campo di copertura più ampio
alla tutela preventiva dell'ambiente, assoggettando qualsiasi impianto fisso,
potenzialmente inquinante, al controllo preventivo penalmente sanzionato".
La difesa, con memoria in data 10 giugno 2002 insisteva per la declaratoria
d'inammissibilità o per il rigetto del ricorso, sollecitando la rimessione
eventuale degli atti alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai sensi
dell'art. 177 del trattato istitutivo. Deduceva, in via subordinata, la
conversione del ricorso in atto d'appello con conseguente statuizione.
L'insussistenza dei fatti-reato contestati è, sostanzialmente e
complessivamente, attestata sulla recepita nozione d'impianto, rilevante ai fini
dell'applicabilità del D.P.R. n. 203 del 1988 (inquadrata sotto il profilo di
una corretta interpretazione adeguatrice del dettato normativo rispetto a quanto
esegeticamente indicato dalla legislazione europea, della quale il richiamato
decreto sarebbe attuazione anche con riferimento alla direttiva 84/360,
concernente la lotta contro l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti
industriali).
Ma, ai fini di dirimere le delicata questione giuridica dedotta, che presenta
non poche problematiche di non facile interpretazione, è opportuno puntualizzare
taluni concetti di base, che consentono una riflessione più adeguata.
Il primo, che si impone sul piano del metodo interpretativo, riguarda il giusto
valore da attribuire alla direttiva 84/360: che ha il valore di una
"raccomandazione" volta ai singoli stati membri, dando agli stessi la
definizione orientativa degli obiettivi minimi di tutela ambientale;
lasciandoli, però, liberi (art. 84 della medesima direttiva) di adottare anche
disposizioni più rigorose. Il secondo riguarda la considerazione generale che
l'atto normativo del D.P.C.M. 21 luglio 1989 (che è formalmente un atto di
indirizzo e di coordinamento interpretativo della normativa, emanato dal Governo
e destinato alle Regioni), proprio perché qualificabile come atto
amministrativo, non può mai modificare un atto avente forza di legge come il
D.P.R. n. 203 del 1988, e può essere disapplicato dal Giudice Penale in quelle
parti che lo stesso dovesse ritenere contrastanti con il richiamato decreto.
Fatta questa premessa, va detto che il D.P.R. n. 203 del 1988 - che è stato
emesso in funzione della "tutela della qualità dell'aria, ai fini della
protezione della salute e dell'ambiente su tutto il territorio nazionale"-
indica come emissione "qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa, introdotta
nell'atmosfera e proveniente da un impianto che possa produrre inquinamento
atmosferico". In questa ampia eccezione condiziona ogni nuovo impianto
all'autorizzazione della competente autorità regionale e provinciale (e cui, in
una dimensione di politica della prevenzione, vengono demandati i controlli e la
verifica del rispetto delle prescrizioni autorizzatorie).
L'elaborazione giurisprudenziale prevalente ha costantemente fornito una sua
interpretazione estensiva con riferimento, non solo agli impianti industriali di
cui all'art. 2159 c.c., ma anche con riguardo agli impianti non industriali, -
che pure possono avere una portata ugualmente inquinante, considerato che l'art.
1 interessa tutti gli impianti potenzialmente produttivi di emissioni
nell'atmosfera -. Si tratta chiaramente, e per certi aspetti, di
un'interpretazione "promozionale", che rivela, però, qualche eccessiva
sovrapposizione rispetto alla normativa vigente: nel senso che la ritenuta
generalizzazione di cui all'art. 1 del D.P.R. n. 203 del 1988 (che sottopone
alla disciplina del decreto tutti gli inquinanti che possono dar luogo ad
emissioni nell'atmosfera) non è, poi, così assoluta se si considera che l'art. 2
n. 9 collega la definizione d'impianto fisso che recita "per usi industriali o
di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico";
caratterizzando, cioè, una destinazione vincolata ad "usi industriali o di
pubblica utilità".
L'idea di questo Collegio è nel senso della pregnanza generale e programmatica
dell'art. 1; e nel solco di questa direttiva esegetica la giurisprudenza ha
ulteriormente ampliato l'idea d'impianto, estendendo il concetto anche ad una
"postazione parziale" idonea a cagionare inquinamento atmosferico (... e la
riprova è nell'art. 15 del decreto, che sottopone a preventiva autorizzazione
anche le modifiche sostanziali e quantitative delle emissioni inquinanti di un
impianto già esistente). Si può, quindi, dire che la nozione d'impianto - su cui
s'incentra la problematica giuridica del caso -, come è desumibile dal detto
D.P.C.M., non è, poi, del tutto omogenea rispetto a quella desumibile dallo
stesso atto comunitario; avendo una mera valenza interpretativa, peraltro
riduttiva rispetto ai moderni processi produttivi, che sono processi "modulari"
(dove, cioè, il senso della produzione finale può essere inteso come il
risultato di differenti combinazioni produttive; per cui anche macchinari,
funzionalmente autonomi, possono inserirsi ed essere impiegati in produzioni più
complesse, a seconda della capacità organizzativa e dalle esigenze concrete
dell'imprenditore).
È il caso delle macchine da stampa piana - di cui alla contestazione del capo A)
-, le quali se inserite in un certo ciclo produttivo, possono avere un ruolo
limitato rispetto al prodotto finale, ma sicuramente sufficienti a coprire una
linea produttiva. Con il risultato che, non considerandoli impianti, si
finirebbe con alterare la ratio interpretativa dell'art. 2 del D.P.R. n. 203 del
1988, che è volto alle necessità di un controllo preventivo con riferimento alla
sola potenzialità inquinante di ogni stabilimento e di altro impianto fisso che
serva per usi industriali; distinguendo l'impianto dello stabilimento e
riaffermando il concetto di una non necessaria coincidenza del significato dei
due termini; effettuando una serie di valutazioni di merito sulla portata
inquinante poco significativa di talune strutture industriali, ma assoggettando
lo stesso ad una preventiva autorizzazione, seppure prevedendo procedure
semplificate. È vero che un precedente giurisprudenziale di questa Corte (Cass.
penale, Sez. III, 28 gennaio 1993) dissente dalla linea interpretativa
articolata, ma bisogna anche dire che il "decisum" riguardava il caso diverso
della sostituzione di un impianto ad un altro, che non era affatto innovativo
rispetto alla potenzialità inquinante della struttura preesistente; e che,
comunque, deve dirsi superato dalla giurisprudenza di legittimità successiva,
che ha elaborato il principio dell'assoggettamento a preventiva autorizzazione
con riguardo a tutti gli impianti che possono dare luogo ad emissioni.
Richiamando, pertanto, la normativa di fatto, si vuole dire che l'installazione
delle macchine piane "offset" e della brossuratrice, quale che fosse stata
l'incidenza di sistemi di abbattimento finali, doveva essere preventivamente
autorizzata: trattandosi d'impianti rientranti nella tipologia che la normativa
vigente assoggetta al controllo preventivo della Provincia.
In diritto bisogna affermare il concetto che le contestazioni del caso di specie
riguardano fattispecie formali di pericolo astratto, da cui la necessità di
centralizzare i controlli nell'ente competente, implicando controlli preventivi.
Certo, può anche dirsi che le emissioni delle macchine piane "offset",
concretamente utilizzate nei processi produttivi della "B.", non siano
inquinanti a tal punto da richiedere sistemi di abbattimento prima del
coinvolgimento in atmosfera; ma questo dev'essere il risultato dell'accertamento
cui è chiamato l'ente al controllo in fase autorizzativa, e che non può essere
eluso.
Non c'è dubbio che una certa problematica continui a persistere, ma la richiesta
di rimessione degli atti alla Corte Comunitaria sul punto della conformità alla
direttiva n. 84/360 degli artt. 2 e 24 D.P.R. n. 203 del 1988 - relativamente al
modo di lettura della parola "impianto" -, con conseguente sospensione della
presente procedura, è inammissibile: perché, avuto riguardo ai principi di
sovranità, di autosufficienza ordinamentale e di compiutezza dell'ordinamento
giuridico statuale, oltre che di determinatezza della fattispecie penale e di
tassatività delle cause di sospensione (così come desumibili dagli art. 1
preleggi, art. 12 preleggi; art. 1 c.p.; art. 25 Cost., art. 101 Cost.; art. 3
c.p.p.), è obbligatoria l'osservanza delle leggi vigenti.
Considerata, pertanto, la corretta censurabilità dell'interpretazione accolta
dal precedente giudice, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al
Tribunale di Genova; significando, altresì, come al trasferimento delle macchine
rotative "Harris 200" (che costituiva l'impianto autorizzato alle emissioni)
andasse riconsiderato sotto il profilo dell'assoggettabilità e necessaria
preventiva autorizzazione, ai sensi dell'art. 15, lett. b), del D.P.R. n. 203
del 1988, sanzionato dall'art. 25, comma 6, del medesimo decreto. Peraltro, è
seriamente discutibile che questo macchinario non fosse da ritenere "impianto",
anche nell'occasione dello stesso D.P.C.M., avuto riguardo alla sua autonoma
funzionalità ed integrando, nella sostanza, la ...omissis... produttiva
espressamente autorizzata nel sito d'origine e idonea a cagionare inquinamento
atmosferico. È vero che il primo giudice ha ritenuto che il trasferimento della
rotativa Harris avesse obiettivato solo una modificazione dei precedenti
impianti, ai sensi dell'art. 15, lett. a); ma questo avrebbe dovuto comportare
la riqualificazione del fatto come violazione dell'art. 25, comma 6, del D.P.R.
n. 203 del 1988 in relazione all'art. 15, lett. a); o, al limite, la
trasmissione degli atti al P.M. per procedere alla contestazione del fatto
diverso, ai sensi dell'art. 521 c.p.p.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Genova.
Così deciso, il 23 ottobre 2002.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 28 FEBBRAIO 2003.
1) Inquinamento atmosferico – D.P.R. n. 203/1988 – Applicazione e limiti – Emissione – Nozione – Prescrizioni autorizzatorie. Il D.P.R. n. 203 del 1988 - che è stato emesso in funzione della "tutela della qualità dell'aria, ai fini della protezione della salute e dell'ambiente su tutto il territorio nazionale"- indica come emissione "qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa, introdotta nell'atmosfera e proveniente da un impianto che possa produrre inquinamento atmosferico". In questa ampia eccezione condiziona ogni nuovo impianto all'autorizzazione della competente autorità regionale e provinciale (cui, in una dimensione di politica della prevenzione, vengono demandati i controlli e la verifica del rispetto delle prescrizioni autorizzatorie). Pres. Toriello – Est. Tardino – P.M. Fraticelli - Ric. P.M. in proc. Basile. CASSAZIONE PENALE, sez. III, 28 febbraio 2003 (ud. 23 ottobre 2002) n. 9361
2) Inquinamento atmosferico – emissioni nell'atmosfera - impianti industriali di cui all'art. 2159 - impianti non industriali – c.d. interpretazione “promozionale” - destinazione vincolata ad "usi industriali o di pubblica utilità". L'elaborazione giurisprudenziale prevalente ha costantemente fornito una sua interpretazione estensiva con riferimento, non solo agli impianti industriali di cui all'art. 2159 c.c., ma anche con riguardo agli impianti non industriali, - che pure possono avere una portata ugualmente inquinante, considerato che l'art. 1 interessa tutti gli impianti potenzialmente produttivi di emissioni nell'atmosfera -. Si tratta chiaramente, e per certi aspetti, di un'interpretazione "promozionale", che rivela, però, qualche eccessiva sovrapposizione rispetto alla normativa vigente: nel senso che la ritenuta generalizzazione di cui all'art. 1 del D.P.R. n. 203 del 1988 (che sottopone alla disciplina del decreto tutti gli inquinanti che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera) non è, poi, così assoluta se si considera che l'art. 2 n. 9 collega la definizione d'impianto fisso che recita "per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico"; caratterizzando, cioè, una destinazione vincolata ad "usi industriali o di pubblica utilità". Pres. Toriello – Est. Tardino – P.M. Fraticelli - Ric. P.M. in proc. Basile. CASSAZIONE PENALE, sez. III, 28 febbraio 2003 (ud. 23 ottobre 2002) n. 9361
3) Inquinamento atmosferico – nozione d'impianto - moderni processi produttivi - processi "modulari"- c.d. pericolo astratto - controlli preventivi – necessità. Si può, dire che la nozione d'impianto, come è desumibile D.P.C.M. 21 luglio 1989, non è del tutto omogenea rispetto a quella desumibile dallo stesso atto comunitario (direttiva 84/360); avendo una mera valenza interpretativa, peraltro riduttiva rispetto ai moderni processi produttivi, che sono processi "modulari" (dove, cioè, il senso della produzione finale può essere inteso come il risultato di differenti combinazioni produttive; per cui anche macchinari, funzionalmente autonomi, possono inserirsi ed essere impiegati in produzioni più complesse, a seconda della capacità organizzativa e dalle esigenze concrete dell'imprenditore). (Nella specie, si chiarisce che l'installazione delle macchine piane "offset" e della brossuratrice, quale che fosse stata l'incidenza di sistemi di abbattimento finali, doveva essere preventivamente autorizzata, trattandosi d'impianti rientranti nella tipologia che la normativa vigente assoggetta al controllo preventivo della Provincia). Pres. Toriello – Est. Tardino – P.M. Fraticelli - Ric. P.M. in proc. Basile. CASSAZIONE PENALE, sez. III, 28 febbraio 2003 (ud. 23 ottobre 2002) n. 9361
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