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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI A SEZIONI RIUNITE
in sede giurisdizionale, composta dai seguenti magistrati:
Francesco Castiglione Morelli Presidente, Giuseppe David Consigliere, Domenico Zuppa Consigliere, Nicola Mastropasqua Consigliere relatore, Maria Teresa Arganelli Consigliere, Corrado Cerbara Consigliere, Bruno Di Fortunato Consigliere ha pronunciato la seguente:
S E N T E N Z A
sulla questione di massima n. 149/SR/QM deferita dal Procuratore Generale con atto depositato in data 30 maggio 2002 nella pendenza del giudizio di appello avverso la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Siciliana n. 65/2001/Resp. e nei confronti di Giuseppe Gaglio.
Visti gli atti e i documenti di causa.
Uditi alla pubblica udienza del 30 ottobre 2002 il relatore Cons. Nicola Mastropasqua ed il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Paolo Luigi Rebecchi, con l’assistenza del segretario sig.ra Alida Stefani.
F A T T O
Con atto depositato in data 11 luglio 2002 ed iscritto al n. 149/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni Riunite il Procuratore Generale ha proposto questione di massima proponendo il seguente quesito: "nell’esecuzione delle opere pubbliche, anche mediante l’istituzione di cantieri-scuola, l’esordio della prescrizione si individua nel momento dei singoli pagamenti o, invece, si determina mediante la diversa decorrenza prescrizionale dall’esito del collaudo o dalla produzione delle prescritte scritture contabili (o del rendiconto) dal soggetto e/o degli organi a ciò deputati, anche se l’opera non sia stata portata a compimento".
La questione è stata proposta nel corso del giudizio instaurato dal competente Procuratore regionale nei confronti di Giuseppe Gaglio concluso in primo grado con la sentenza della Sezione Giurisdizionale Regione Sicilia n. 65/2001/Resp. del 18 giugno 2001, gravata dal Procuratore regionale presso la Sezione di appello Regione Sicilia.
Il Procuratore Generale ricorda che con atto emesso il 19.9.2000 il Procuratore Regionale conveniva in giudizio il Geom. Giuseppe Gaglio, quale di direttore di un cantiere di lavoro finanziato dall’Assessorato regionale del Lavoro, in virtù della normativa regionale di settore, per la sistemazione in Partinico della strada comunale via Cavour. Il menzionato direttore, secondo il P.R. aveva omesso di esercitare i poteri di controllo e di vigilanza sul cantiere relativi "alle verifiche sulla quantità e sulla qualità delle opere ed il riscontro materiale e contabile sulle forniture e sulle prestazioni effettivamente utilizzate". Pertanto allo stesso era da imputare il danno derivante dalla mancanza di utilità pubblica dei lavori non ultimati ed eseguiti in difformità rispetto al progetto originario ed alla perizia di variante. Tale difformità emergeva dagli accertamenti tecnici esperiti in sede penale, i quali rilevavano che a fronte di un accreditamento di Lire 95.850.000 (pari al 90% del finanziamento di Lire 106.500.000), corrispondeva un valore reale dei lavori eseguiti per Lire 58.544.699, per cui risultavano versate indebitamente Lire 47.882.185.
Quest’ultimo importo, secondo la Procura regionale, non corrispondeva ad alcuna pubblica utilità effettiva, per cui esso integrava danno erariale imputabile al Gaglio. Questi, costituitosi in giudizio, opponeva anche la prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale.
La Sezione adita accoglieva l’eccezione di prescrizione, in quanto "il termine di prescrizione del diritto deve farsi decorrere dal momento in cui il danno si è prodotto e tale momento, in mancanza di un occultamento doloso, coincide con il pagamento delle somme relative ai lavori eseguiti e risultati, secondo la prospettazione del P.M., di nessuna utilità per l’amministrazione".
Avverso la pronuncia si è appellato il P.R., il quale ha rammentato che l’Assessorato regionale del Lavoro aveva istituito e finanziato il cantiere di lavoro per la sistemazione della strada comunale "Via Cavour", assegnando al Comune di Partinico l’importo di L. 106.500.000 quale ente gestore dei lavori.
I lavori del cantiere avevano avuto inizio il 04,01.1993, erano stati sospesi dal 19.2.1993 al 03.3.1993 e dal 06.4.1993 al 06.9.1993, per il difetto dei materiali da collocare in opera, per essere ripresi il 07.09.93, ma non risultava documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Il requirente ha rammentato che l’Assessorato regionale al Lavoro, al momento della redazione dell’impugnativa, non aveva ancora trasmesso il rendiconto amministrativo della spesa finanziata, nonostante la richiesta della procura regionale, né aveva comunicato notizia del danno.
Peraltro l’atto di citazione aveva specificato che la prospettazione del danno erariale era limitata alla gestione della spesa destinata al finanziamento del cantiere di lavoro nel suo complesso. La valutazione di ulteriori profili, ai fini dell’accertamento della responsabilità amministrativa, dipendeva dall’accertamento dei fatti, secondo la ricostruzione storico-fenomenica da operarsi nel giudizio penale intrapreso in ordine ai cantieri di lavoro aperti nel Comune di Partinico, non ancora definito al momento della redazione dell’impugnativa in argomento.
Tuttavia il Giudice di primo grado riteneva maturata la prescrizione del diritto erariale, considerando che il termine iniziale di decorrenza del quinquennio coincideva con la corresponsione di somme pagate dalla P.A. committente a fronte di singole prestazioni, peraltro non fatturate. Il P.R. ha obiettato che tale motivazione era viziata da errore di diritto, riscontrabile mediante un raffronto tra la prospettazione della domanda e le argomentazioni del Giudice. Infatti, la domanda introdotta nel giudizio ha configurato un danno per omesso conseguimento di risultato causato da difettosa esecuzione dei lavori, laddove i vizi dell’opera sarebbero stati occultati mediante una tenuta infedele della contabilità dei lavori e delle forniture dei materiali, senza considerare partitamene i singoli pagamenti.
Con l’accertamento di tali vizi è stato possibile mediante l’attività di accesso ispettivo dei luoghi, relativamente all’intera opera. Inoltre, non figura agli atti né l’approvazione della contabilità da parte della P.A., né il collaudo delle opere in concreto eseguite, né è documentata la comunicazione della fine dei lavori.
Pertanto, secondo l’opinione della procura appellante, il mese di ottobre 1993, fino al quale l’Amministrazione comunale aveva liquidato pagamenti, non era da ritenersi quale esordio dei termini prescrizionali, poiché il danno non era conosciuto né oggettivamente conoscibile da parte del soggetto pregiudicato. Il danno era ignoto perché l’Ente committente e l’Ente finanziatore non hanno, sinora, approvato la contabilità dei lavori ed il rendiconto della spesa; non era oggettivamente conoscibile perché nella specie concorreva l’infedele tenuta della contabilità dell’opera, che non risultava collaudata dall’Amministrazione.
Nella descritta situazione il Procuratore Generale ha proposto questione di massima nei termini innanzi ricordati.
A sostegno della propria tesi che l’inizio della prescrizione decorra dal collaudo il Procuratore Generale afferma che la verifica mediante il collaudo è l’atto con cui l’Ente committente, accertata la regolarità delle prestazioni e forniture relative all’opera, determina che può pagarsi all’appaltatore e agli altri fornitori quanto esattamente loro dovuto. Pertanto uno degli effetti che discende dal collaudo, nonché dalla verifica da operarsi ex art. 11 della L. R. 17/1978, è quello di rendere liquido il credito dell’appaltatore (Cass. 10.11.1956, n. 5106), nonché quello degli altri fornitori. Il carattere imprescindibile del collaudo delle opere pubbliche si manifesta soprattutto nel rilievo che non vi è possibilità di rinunzia (come, invece, accade tra i privati) costituendo elemento indisponibile ed insostituibile per l’esaurimento di ogni rapporto con l’appaltatore (Cass. SS.UU. 927/1963).
L’Ente pubblico, quindi, non può procedere alla presa in consegna definitiva dell’opera, né può provvedersi al pagamento della rata di saldo ed alla restituzione delle ritenute di garanzia della cauzione, qualora non si è addivenuti al collaudo con le modalità e le forme stabilite dalla legge e dai regolamenti. Quindi il collaudo e l’attività da esso conseguente, quali il certificato di collaudo e l’approvazione da parte dell’Amministrazione interessata, sono una fase indispensabile: solo dopo tale fase quanto dovuto all’appaltatore ed ai singoli fornitori diviene attuale, certo ed effettivo.
In quanto così nell’esecuzione delle opere pubbliche non hanno carattere di certezza neppure i singoli pagamenti effettuati in corso d’opera che, essendo talora disposti a titolo di acconto (come previsto dagli artt. 57 e 58 del R.D. 350/1895), sulla base delle risultanze del registro di contabilità e degli stati di avanzamento dei lavori, hanno solo valenza di anticipazioni del corrispettivo, che viene accertato e definitivamente liquidato dal collaudatore, previa verifica del conto finale redatto dal direttore dei lavori ex art. 63 R.D. 350/1895, secondo il principio che l’ente committente, prima di ricevere l’opera, ha il diritto di verificarla (art. 1665 c.c.).
Si rileva, altresì, che nell’esecuzione delle opere pubbliche, per stabilire l’esordio del termine prescrizionale, particolare rilievo assume l’esame della contabilità finale da redigersi dal direttore dei lavori ex art. 63 del R.D. 350 del 1895, per verificare, nei casi in esame, l’esistenza o meno di danni alla stazione appaltante emergente dalla rendicontazione amministrativa delle spese.
Nell’udienza di discussione il Procuratore Generale ha illustrato le tesi sostenute nell’atto scritto.
Considerato in D I R I T T O
Il remittente Procuratore Generale ha proposto questione di massima in ordine all’esordio della prescrizione nelle ipotesi di danno arrecato nel corso della costruzione di opere pubbliche o di svolgimento di lavori pubblici prospettando la tesi che il termine iniziale della prescrizione debba essere fissato alla data del collaudo dell’opera.
La questione è stata proposta nel corso di un giudizio concluso in primo grado con applicazione nei confronti dei convenuti della prescrizione, il cui termine iniziale è stato fissato alla data di pagamento all’appaltatore di parte del prezzo contrattuale, gravato di appello.
La questione è ammissibile in quanto la soluzione è applicabile sia al caso concreto che ad una serie aperta di fattispecie.
La prospettazione del Procuratore Generale investe due punti, e cioè se ai fini dell’esordio della prescrizione sia necessaria la conoscenza o almeno la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito del soggetto al quale viene attribuito il danno e se, in materia di opere pubbliche, ciascun pagamento all’appaltatore possa costituire danno certo e attuale per l’Amministrazione ove ricorrano gli altri presupposti della responsabilità.
Si ritiene unanimemente in dottrina ed in giurisprudenza che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo prefetto e potendo quindi essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna rilevanza.
Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto.
Va in proposito ricordato che oggetto tipico dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un pubblico dipendente.
Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica amministrazione ad un privato.
Infatti il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione.
Ma laddove (ed è qui il fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della persona giuridica di cui ricopre l’ufficio.
Ora il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo.
Forme di controllo o di verifica dell’attività dei pubblici amministratori e dipendenti sono puntualmente previste da norme di organizzazione o da norme sui vari procedimenti amministrativi (si pensi in particolare al procedimento dell’evidenza pubblica per i contratti della P.A.) emanate in attuazione di principi anche di livello costituzionale. In questa sede si attua la differenziazione tra attività del pubblico dipendente (che viene sottoposto a verifica) e posizione della P.A. che esercita poteri di verifica.
Nell’esercizio della funzione di verifica diviene, pertanto, conoscibile per la P.A., in forza di specifiche norme giuridiche, il comportamento illecito del soggetto agente.
Naturalmente, essendo la verifica prevista in forme temporalmente cadenzate da specifiche norme, il mancato esercizio del potere ricade sulla P.A., essendo comunque conoscibile a quel momento il comportamento illecito.
La prescrizione, pertanto, decorre dal momento in cui è nelle modalità sopradescritte conoscibile il comportamento illecito del soggetto agente salvo che, ovviamente, detto comportamento sia stato comunque anteriormente conosciuto dalla P.A..
D’altro canto l’esigenza della conoscibilità del comportamento illecito di propri organi causativo di danno attraverso una verifica in posizione dialettica tra amministratori e soggetti per i quali essi agiscono è comune anche alle persone giuridiche ed in particolare alle società commerciali.
Secondo parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. n. 634/1965) il termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’art. 2949 c.c., al quale è soggetta l’azione di responsabilità della società contro i loro amministratori decorre dalla deliberazione assembleare che ai sensi dell’art. 2364 n. 4 c.c. autorizza l’esercizio dell’azione.
Altra parte della giurisprudenza (cfr. Cass. n. 3887/1969) ritenendo che il termine quinquennale previsto dall’art. 2949 c.c. decorra dal fatto dannoso compiuto dall’amministratore, afferma che il decorso di tale termine è sospeso finchè gli amministratori sono in carica.
In ambedue i casi viene in rilievo, se pure con diverse modalità, la possibilità concreta per la società e per i soci di conoscere il comportamento illecito dei propri amministratori.
Quanto al profilo oggettivo va ricordato che nel campo dei diritti di credito il termine iniziale della prescrizione coincide con il momento in cui la prestazione dovuta è esigibile dal creditore. In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. per tutte n. 1306 del 15 marzo 1989) precisa che il concetto di fatto da cui decorre il termine di prescrizione non deve considerarsi ristretto all’azione od omissione, ma deve essere esteso all’evento, la cui certezza ed attualità integra la responsabilità.
In detti termini va letta la norma di cui ai commi 2 e 2 ter dell’art. 1 della L. n. 20/1994 e successive modificazioni, secondo la quale il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni.
In proposito queste Sezioni Riunite (sentenza n. 7/2000/QM del 24 maggio 2000) hanno già precisato che l’azione di responsabilità del Procuratore regionale della Corte dei conti è condizionata nella sua esperibilità, tra l’altro, da una domanda diretta ad ottenere il risarcimento di un danno patrimoniale ossia il ristoro di una diminuzione del patrimonio dell’ente.
Si deve, perciò, trattare di un danno economicamente valutabile, il quale abbia inciso sull’Ente depauperandone il patrimonio (attraverso la distruzione, sottrazione, perdita di un bene, l’indebita erogazione di una somma di denaro ecc.).
Sotto il primo profilo si deve ricordare che in materia di opere pubbliche la legge ed il regolamento sulla contabilità generale dello Stato e numerose disposizioni legislative in materia di pubblici appalti disciplinano minutamente le operazioni necessarie per la realizzazione dell’opera pubblica, dal momento nel quale l’opera viene deliberata sino a quello in cui essa viene collaudata.
Le norme in parola prevedono, infatti, una serie di atti amministrativi, anteriori o successivi alla formazione del contratto di appalto, i quali sono collegati tra loro in successione logica e teleologica, in quanto sono tutti in funzione dell’effetto finale da raggiungere e costituiscono nel loro insieme il procedimento amministrativo previsto per la realizzazione di pubblici appalti.
Pertanto, sotto il profilo della conoscibilità del fatto causativo del danno, l’accertamento dialettico del comportamento del pubblico dipendente può avvenire nella sequenza procedimentale secondo le articolazioni in essa previste ed in relazione all’atto o all’attività che si assumono causative del danno e nella cui adozione o espletamento è stato tenuto il comportamento illecito.
Quanto all’attività va, poi, ricordato che l’Amministrazione appaltante non si limita ad intervenire alla fine dei lavori per collaudarli e constatarne a posteriori la rispondenza alle norme e ai criteri tecnici che devono presiedere alla loro esecuzione, ma interviene nel corso dei lavori, spettando a funzionari tecnici dell’amministrazione la vigilanza sui lavori e sull’appaltatore (cfr. poteri dell’ingegnere capo o dal direttore dei lavori previsti dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350).
Anche l’attività tecnica può, pertanto, essere assoggettata a verifica non solo al momento del collaudo, ma anche in corso d’opera, salva in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore di eseguire l’opera in conformità ai patti contrattuali e alle regole dell’arte.
Sotto il secondo profilo va, intanto, ricordato che, per quanto riguarda obblighi e diritti che scaturiscono dal contratto di appalto per le parti contraenti, l’obbligazione fondamentale dell’amministrazione appaltante è quella di pagare il corrispettivo a determinate scadenze ed anche mediante anticipazioni, talune delle quali legate a verifiche tecniche dei lavori eseguiti.
Il pagamento del corrispettivo nei tempi e nei modi previsti dal contratto e dalle norme sui lavori pubblici è per l’Amministrazione adempimento di una obbligazione e quindi comportamento non solo lecito ma dovuto (debito dell’Amministrazione).
Di conseguenza perché il pagamento del corrispettivo costituisca danno antigiuridico è necessario che il pagamento stesso sia avvenuto in forza di un fatto giuridico illecito, che può essere costituito sia da un comportamento dell’appaltatore sia dal comportamento di un soggetto legato da rapporti di servizio con l’Amministrazione (ovvero dal concorso di comportamenti di ambedue i soggetti).
L’antigiuridicità del fatto causativo è essenziale ai fini della qualificazione della illeicità del danno in quanto conseguenza di un atto lesivo dell’altrui interesse. Pertanto diversi debbono essere rispettivamente il soggetto autore ed il soggetto passivo del danno, con la conseguenza che rispetto all’azione di responsabilità amministrativo-contabile il pagamento di una somma nell’ambito del contratto di appalto può costituire danno solo se e in quanto il comportamento asseritamene illecito non venga più imputato all’Amministrazione ma venga dialetticamente valutato nella differenziazione tra i due soggetti.
Il pagamento, poi, in quanto totalmente o parzialmente non dovuto segna il momento della diminuzione patrimoniale dell’Ente e quindi, della lesione del suo interesse patrimoniale.
Nel concorrere di due sopradescritti elementi ricorrono per l’Amministrazione le condizioni per far valere il proprio diritto, e il loro verificarsi segna l’esordio della prescrizione.
Peraltro il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore. In tali casi al pagamento non consegue una diminuzione patrimoniale definitiva dell’ente pubblico qualificabile come danno certo ed attuale.
Invero nell’appalto di opere pubbliche il collaudo non persegue soltanto il fine di controllare l’esecuzione dell’opera e la sua corrispondenza con il progetto e con il contratto, ma investe anche la liquidazione finale del corrispettivo dovuto all’appaltatore e la risoluzione dei quesiti, delle domande e delle riserve proposte dall’appaltatore.
Il collaudo di opere pubbliche è in sostanza un procedimento amministrativo strumentale (costitutivo di certezze nel senso che le parti sono per l’avvenire tenute alle risultanze dell’accertamento della conformità dell’opera) che richiede sia l’emissione del c.d. certificato di collaudo, nel quale viene espresso il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e viene liquidato il corrispettivo spettante all’appaltatore, sia l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera da parte del committente e rende definitiva la liquidazione del credito dell’appaltatore.
È evidente allora che in sede di collaudo sono comunque conoscibili da parte dell’ente pubblico gli eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente ed il danno da questi causato è certo ed attuale.
Ciò non significa che anteriormente al collaudo, ed in relazione alla domanda che viene introdotta in giudizio, non possa essersi verificato un danno certo ed attuale ascrivibile ad un comportamento illecito del pubblico dipendente conoscibile o conosciuto dall’amministrazione. In questo caso il termine iniziale della prescrizione va fissato nel momento in cui vengono ad esistenza e concorrono ambedue gli elementi indicati.
Per quanto si è detto è invece da escludere che il solo pagamento di somme all’appaltatore possa segnare l’esordio della prescrizione.
Nel caso sottoposto all’esame delle Sezioni Riunite sembra doversi desumere dagli atti di causa che la conoscenza del comportamento illecito causativo di danno sia individuabile nel momento del deposito della perizia tecnica effettuata in sede di giudizio finale, momento nel quale il pagamento di somme è apparso costituire danno antigiuridico perché in parte non corrispondente a prestazioni rese dall’appaltatore ma certificate come corrispondenti al contratto dai tecnici comunali proposti all’opera.
Conclusivamente va affermato che l’ente pubblico appaltatore di opere pubbliche può far valere il proprio diritto nel giudizio di responsabilità amministrativo contabile quando abbia la possibilità di conoscere nel procedimento tipico relativo alle opere pubbliche ovvero abbia di fatto conosciuto il comportamento illecito del soggetto legato da rapporti di servizio ed il danno antigiuridico da questi causato sia certo ed attuale.
A tale momento va fissato l’esordio della prescrizione. In ogni caso il termine ultimo di esordio della prescrizione va fissato al momento del collaudo che rende definitivi i rapporti giuridici derivanti dal contratto di appalto, e quindi certo ed attuale il danno, e nel quale sono sottoposti a verifica le attività espletate anche dai pubblici dipendenti nel corso dell’opera.
P. Q. M.
La Corte dei conti a Sezioni Riunite, pronunciando sulla questione di massima indicata in epigrafe, afferma che in ipotesi di appalto di opere pubbliche, la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui sia conoscibile o effettivamente conosciuto da parte dell’amministrazione appaltante il comportamento illecito del soggetto legato da rapporto di servizio e il danno abbia assunto il carattere della certezza ed attualità.
In ogni caso siffatte condizioni esistono al momento della conclusione del procedimento di collaudo e salvo che non si siano verificate anteriormente con conseguenti effetti in ordine all’esordio della prescrizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 30 ottobre 2002.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE (Nicola MASTROPASQUA) (Francesco CASTIGLIONE MORELLI )
Depositata in Segreteria il 15.1.2003 Il Dirigente della Segreteria
1) Inizio della decorrenza della prescrizione - impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto - la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente - il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica - responsabilità amministrativa - doveri d’ufficio - procedimento amministrativo. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto, pur essendo perfetto e potendo quindi essere esercitato, non è di fatto esercitato dal suo titolare. La prescrizione non inizia a decorrere in presenza di un impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto, mentre comunemente (la tesi è però oggi contestata da parte della dottrina che fa in particolare riferimento alla prescrizione riguardante i crediti da lavoro subordinato) si ritiene che gli ostacoli di mero fatto che non rientrino nella impossibilità legale e che non siano stati considerati come causa della sospensione della prescrizione, non hanno alcuna rilevanza. Deve, pertanto, accertarsi se la conoscibilità da parte dell’Amministrazione del comportamento illecito tenuto dal proprio amministratore o dipendente costituisca o meno impedimento di ordine giuridico all’esercizio del diritto. Va in proposito ricordato che oggetto tipico dell’azione di responsabilità amministrativo-contabile è accertare se il danno sofferto da un ente pubblico è ascrivibile ad un comportamento illecito di un pubblico dipendente. Questo aspetto assume particolare rilievo nelle ipotesi nelle quali il danno venga causato attraverso l’emanazione di provvedimenti ovvero nell’ambito di un rapporto contrattuale che lega la pubblica amministrazione ad un privato. Infatti il rapporto di immedesimazione organica tra organo agente ed ente persona giuridica implica un’imputazione giuridica formale all’ente delle intere fattispecie dei comportamenti del titolare dell’organo (salvo che questi agisca per moventi personali, cioè in sostanza al di là e al di fuori delle sue attribuzioni di organo); pertanto nel rapporto esterno tra ente pubblico e privati è riferibile soltanto all’Amministrazione (e non al suo organo o agente) l’emanazione di un provvedimento amministrativo ovvero l’adempimento-inadempimento di una obbligazione. Ma laddove (ed è qui il fondamento della responsabilità amministrativa) all’agire dell’amministrazione consegua un danno alla stessa provocato da un comportamento illecito del funzionario agente, questi viene chiamato a rispondere nei confronti della persona giuridica di cui ricopre l’ufficio. Ora il momento giuridicamente rilevante per accertare se il comportamento del pubblico dipendente sia stato o meno conforme ai doveri d’ufficio è quello in cui i suoi atti o la sua attività vengono (o debbono venire) sottoposti a verifica nell’ambito di articolazioni tipiche dell’organizzazione della pubblica amministrazione o del procedimento amministrativo. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM
2) Obbligo dei controlli dell’Amministrazione appaltante - rispondenza alle norme e ai criteri tecnici - intervento nel corso dei lavori - verifica in corso d’opera - collaudo - la responsabilità dell’appaltatore - conformità dell’opera ai patti contrattuali e alle regole dell’arte. L’Amministrazione appaltante non si limita ad intervenire alla fine dei lavori per collaudarli e constatarne a posteriori la rispondenza alle norme e ai criteri tecnici che devono presiedere alla loro esecuzione, ma interviene nel corso dei lavori, spettando a funzionari tecnici dell’amministrazione la vigilanza sui lavori e sull’appaltatore (cfr. poteri dell’ingegnere capo o dal direttore dei lavori previsti dal r.d. 25 maggio 1895, n. 350). Anche l’attività tecnica può, pertanto, essere assoggettata a verifica non solo al momento del collaudo, ma anche in corso d’opera, salva in ogni caso la responsabilità dell’appaltatore di eseguire l’opera in conformità ai patti contrattuali e alle regole dell’arte. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM
3) Appalto di opere pubbliche - il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica - anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo - il collaudo di opere pubbliche è un procedimento amministrativo strumentale - l’emissione del c.d. certificato di collaudo - l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione - l’accettazione dell’opera da parte del committente - la liquidazione finale del corrispettivo - comportamenti illeciti del pubblico dipendente ed il danno da questi causato - termine iniziale della prescrizione. Il pagamento di somme all’appaltatore nel corso della costruzione di un’opera pubblica costituisce in una pluralità di evenienze anticipazione del corrispettivo recuperabile in sede di collaudo e di definizione dell’assetto di interessi tra amministrazione appaltante ed appaltatore. In tali casi al pagamento non consegue una diminuzione patrimoniale definitiva dell’ente pubblico qualificabile come danno certo ed attuale. Invero nell’appalto di opere pubbliche il collaudo non persegue soltanto il fine di controllare l’esecuzione dell’opera e la sua corrispondenza con il progetto e con il contratto, ma investe anche la liquidazione finale del corrispettivo dovuto all’appaltatore e la risoluzione dei quesiti, delle domande e delle riserve proposte dall’appaltatore. Il collaudo di opere pubbliche è in sostanza un procedimento amministrativo strumentale (costitutivo di certezze nel senso che le parti sono per l’avvenire tenute alle risultanze dell’accertamento della conformità dell’opera) che richiede sia l’emissione del c.d. certificato di collaudo, nel quale viene espresso il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e viene liquidato il corrispettivo spettante all’appaltatore, sia l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera da parte del committente e rende definitiva la liquidazione del credito dell’appaltatore. È evidente allora che in sede di collaudo sono comunque conoscibili da parte dell’ente pubblico gli eventuali comportamenti illeciti del proprio dipendente ed il danno da questi causato è certo ed attuale. Ciò non significa che anteriormente al collaudo, ed in relazione alla domanda che viene introdotta in giudizio, non possa essersi verificato un danno certo ed attuale ascrivibile ad un comportamento illecito del pubblico dipendente conoscibile o conosciuto dall’amministrazione. In questo caso il termine iniziale della prescrizione va fissato nel momento in cui vengono ad esistenza e concorrono ambedue gli elementi indicati. Corte dei Conti Sezioni Riuniti del 15 gennaio 2003, sentenza n. 2/QM
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