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Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello proposto da Soraperra Paolo e Soraperra Giuseppe, rappresentati e difesi dagli avvocati Sergio Dragogna e prof. Paolo Stella Richter, ed elettivamente domiciliati presso quest'ultimo in Viale Mazzini n. 11, nonchè da Deflorian Aldo e Pasquali Emanuela, rappresentati e difesi dall'avv. Sergio Dragogna, ed elettivamente domiciliati in Roma Via Gramsci n. 36 (presso l'avv. M. Calò);
contro
il Comune di Canazei, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio de Pilati e Giuseppe Antonini, presso lo studio dell'ultimo elettivamente domiciliato in Roma Viale Parioli n. 180;
e nei confronti
della Provincia autonoma di Trento, non costituita in giudizio;
nonchè nei confronti
del dr. Sbop Rino, n. q. di commissario ad acta presso il comune di Canazei, non costituito in giudizio
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Regionale di giustizia amministrativa di Trento 7 aprile 1998 n. 109;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione del Comune di Canazei;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Relatore alla pubblica Udienza del 19 novembre 2002 il Consigliere Antonino Anastasi; udito l'avv. Calò per delega dell'avv. Dragogna, l'avv. prof. P. Stella Richter e l'avv. Antonini;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Con delibera consiliare in data 29.5.1991 il Comune di Canazei, recependo anche una specifica segnalazione della Commissione urbanistica provinciale - CUP, affidava al prof. arch. C. Macchi Cassia l'incarico di predisporre il progetto di un Piano regolatore generale, sostitutivo del vecchio P. di F. risalente agli anni Settanta.
Avendo il professionista in data 8.11.1993 assolto l'incarico, ed essendo poi stato avviato in sede consiliare lo studio preliminare del Progetto e dei relativi elaborati, l'Amministrazione invitava tutti i consiglieri a dichiarare la propria compatibilità a concorrere alla adozione del Piano: dalla consultazione emergeva che la maggioranza dei consiglieri comunali versava in conflitto di interessi con le scelte di pianificazione urbanistica.
Accertata pertanto l'impossibilità di provvedere alla adozione dello strumento, per l'obbligo di astensione gravante sulla maggioranza dei componenti dell'organo consiliare, il Comune richiedeva alla Giunta provinciale la nomina di un Commissario ad acta.
Nominato il suddetto Commissario con delibera G.P. 22.7.1994, questi, espletata una fase integrativa dell'istruttoria, con delibera n. 3 del 22.5.1995 adottava il Piano che, dietro parere favorevole della CUP, veniva poi approvato con modifiche dalla deliberazione della G.P. n. 6643 del 7.6.1996.
Le deliberazioni ora richiamate erano impugnate avanti al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento dagli odierni appellanti e da altri cittadini, i quali lamentavano, dal punto di vista sostanziale, l'avvenuto stralcio di edificabilità dalle aree di loro proprietà, prevalentemente ubicate in prossimità del centro cittadino, con contestuale trasferimento dei volumi edificabili su nuove aree di espansione, asseritamente dislocate in siti interessanti le proprietà di alcuni consiglieri comunali della maggioranza.
La sentenza con la quale il Tribunale ha respinto il ricorso è qui impugnata dagli appellanti in epigrafe elencati che ne chiedono l'integrale riforma, lamentando in primo luogo la mancata astensione dei consiglieri di maggioranza nella fase istruttoria del procedimento di approvazione del Piano.
In sostanza, secondo gli appellanti, l'intervento del Commissario nel momento della formale adozione del Piano non vale a sanare i vizi pregressi del procedimento.
In secondo luogo si deduce la contraddittorietà delle scelte di pianificazione fatte proprie dal Comune rispetto ai criteri di intervento sul territorio comunale enunciati dalla Giunta provinciale.
In sostanza, essendo l'obiettivo dell'intervento quello di contenere l'espansione edilizia nel contesto di una riqualificazione del centro storico comunale, non si comprende con quale coerenza logica il Piano abbia invece provveduto ad individuare nuove aree di espansione, ad esse devolvendo le volumetrie edificabili già riconosciute ai fondi appunto ubicati in prossimità della zona centrale.
Inoltre, si censura la macroscopica illogicità derivante dall'aver il Piano dichiarato edificabile un'area (sita in località Pian de Pareda) ricompresa in zona rischio idrogeologico, perché prossima al corso del torrente Avisio.
Altrettanto irrazionale sarebbe la scelta di programmare la realizzazione di un campeggio e di un rifugio in aree periferiche di particolare pregio paesaggistico o comunque già destinate a verde boschivo ed agricolo, mentre invece zone a naturale vocazione edificabile vengono gravate da vincolo di assoluta inedificabilità.
In generale, si lamenta poi la mancata corrispondenza di scala tra la cartografia di Piano e le mappe catastali, con conseguente incertezza assoluta in ordine alla effettiva estensione dei vincoli.
Nello specifico, e per quanto riguarda la posizione dei signori Soraperra, si deduce l'irrazionalità della previsione di un percorso pedonale o ciclabile che verrebbe ad attraversare il terreno di proprietà degli interessati, sito nelle vicinanze della stazione ferroviaria.
Per quanto concerne la posizione individuale del sig. Deflorian, si deduce l'illegittimità della progettata demolizione dell'ex Albergo Alma, finalizzata a consentire un modesto spostamento del tracciato di una strada comunale già esistente in località Cleva.
Per quanto riguarda la proprietà della sig.ra Pasquali, si lamenta la destinazione a coltura boschiva di una parte del giardino di pertinenza dell'abitazione paterna, in precedenza parzialmente edificabile per completamento.
Si è costituito il Comune di Canazei il quale contesta la fondatezza dell'appello e ne chiede il rigetto.
All'Udienza del 19 novembre 2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
L' appello non è fondato.
Con il primo motivo gli appellanti deducono che la Provincia autonoma, una volta accertata la situazione di incompatibilità in cui versava la maggioranza dei consiglieri comunali di Canazei, avrebbe dovuto incaricare il Commissario ad acta di provvedere all'integrale rielaborazione del progetto di Piano regolatore, anziché demandare all'organo straordinario la sola attività di adozione formale dello strumento urbanistico.
In sostanza, ad avviso degli appellanti, il tardivo intervento del Commissario si è tradotto in una mera ratifica di decisioni già precostituite e non vale quindi a sanare i vizi che inficiano il tratto anteriore del procedimento, vizi derivanti dalla mancata astensione nel corso di tutta la fase istruttoria e dell'affidamento progettuale dei consiglieri in situazione (potenziale o reale) di conflitto di interesse.
Il mezzo non è fondato.
L'art. 57 della legge regionale 4.1.1993, n. n.1 - vigente all'epoca dei fatti in controversia e poi confluito nell'art. 107 del T.U. sull'ordinamento dei Comuni approvato con D.P.G.R. 27.2.1995 n. 4/L - demanda alla Giunta provinciale il potere sostitutivo di provvedere a mezzo di commissario, allorché i comuni non siano in grado di adottare atti obbligatori per legge o per statuto a causa dell'obbligo di astensione in capo alla maggioranza dei componenti dell'organo (consiglio o giunta).
Nel caso in esame, come evidenziato nelle premesse in fatto, effettivamente la maggioranza dei componenti del Consiglio comunale di Canazei - versando in conflitto di interessi - non poteva concorrere all'adozione del nuovo Piano regolatore comunale, giusta il disposto dell'art. 45 D.P.G.R. 19 gennaio 1984, n. 6/L, che impone agli amministratori comunali di astenersi dal prendere parte alle deliberazioni riguardanti interessi propri o di parenti fino al quarto grado, del coniuge o di affini fino al secondo grado.
In tale contesto normativo, l'assunto degli appellanti - i quali appunto sostengono che le competenze del Commissario dovevano retroagire all'intera fase istruttoria - non appare condivisibile.
In primo luogo, ed in linea generale, deve infatti considerarsi che, come esattamente posto in evidenza dal Tribunale, le norme che conferiscono all'organo tutorio il potere sostitutivo di cui si discorre sono evidentemente compressive della libera esplicazione del mandato elettivo conferito ai consiglieri comunali, ed hanno quindi un carattere eccezionale che le rende insuscettibili di applicazione analogica al di fuori dei casi precisamente individuati dal Legislatore.
Da questo punto di vista, la normativa di riferimento è chiara nel ricollegare l'obbligo di astensione - ed il conseguente intervento sostitutivo - al momento in cui l'organo incompatibile dovrebbe provvedere (compiere.. adottare) e cioè deliberare in senso costitutivo.
Applicando il criterio ermeneutico ora individuato al procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, ne deriva che agli effetti dell'obbligo di astensione rileva essenzialmente il momento deliberativo, cioè il momento in cui le soluzioni tecniche prospettate dal progettista vengono sottoposte all'esame dell'organo consiliare, cui spetta decidere con piena libertà di giudizio sulla rispondenza di dette soluzioni alle esigenze della popolazione locale. (cfr., in fattispecie speculare rispetto a quella in esame, IV Sez. 23.5.1994, n. 437).
La pretesa degli appellanti alla rinnovazione dell'istruttoria non ha dunque alcun fondamento giuridico.
In secondo luogo, ed in punto di fatto, appare comunque erroneo il rilievo secondo cui l'organo straordinario si sarebbe limitato ad una attività di passivo recepimento di scelte già precostituite, risultando pacifico che il Commissario, prima di deliberare la definitiva adozione del Piano, ha riesaminato funditus le previsioni progettuali sollecitando altresì pubblicamente l'apporto conoscitivo degli amministratori e della cittadinanza e tenendo poi conto delle osservazioni formulate.
Con il secondo motivo si deduce la contraddittorietà delle scelte operative che informano il Piano rispetto agli obiettivi che, secondo la Giunta provinciale, avrebbero dovuto essere conseguiti per effetto dell'intervento sul territorio.
In particolare, gli appellanti denunciano come illogica l'individuazione in periferia di nuove aree di espansione edilizia, alle quali vengono devolute le volumetrie edificabili già riconosciute ai fondi ubicati in prossimità della zona centrale.
Il mezzo non è meritevole di positiva considerazione, intanto perché poggia tutto sull'indimostrato presupposto che le ragioni proprietarie degli appellanti fossero qualificabili dal punto di vista urbanistico come meritevoli di particolare tutela.
Ed invece la giurisprudenza ha da tempo segnalato che non può ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore (cfr. Ap. 22.12.1999, n. 24).
Esclusa quindi la ricorrenza in capo agli interessati di quelle particolari situazioni (tipico è il caso della lottizzazione già approvata e convenzionata) che dànno pacificamente luogo ad un peculiare affidamento, la controversia all'esame va allora inquadrata nell'ambito dei consolidati criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza in materia urbanistica.
In tale ottica, viene in rilievo dal lato sostanziale il riconoscimento in capo all'Amministrazione, in occasione della formazione dello strumento urbanistico generale, di una ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, senza necessità di motivazione specifica delle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree, ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri generali seguiti nell'impostazione del Piano (cfr. IV Sez. 22 maggio 2000, n. 2934).
Dal punto di vista processuale, a tale discrezionalità corrisponde logicamente la insindacabilità delle relative scelte di merito, a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cfr. IV Sez. 8.2.1999, n. 1214).
Sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche, è agevole osservare da un lato che le scelte di Piano qui contestate appaiono coerenti con gli intenti perseguiti dall'Amministrazione in adesione alle indicazioni derivanti dal PUP e dal parere all'uopo formulato dalla Commissione provinciale; dall'altro che le deduzioni degli appellanti - al di là dell'errata prospettiva in cui si muovono - non pervengono a lumeggiare nelle opzioni operative fatte proprie dallo strumento alcun consistente profilo di illogicità.
In particolare, come ben precisato dal Tribunale, non concludenti ai fini ora in rassegna appaiono le asserzioni, piuttosto apodittiche, mediante le quali gli appellanti a più riprese lamentano il privilegiato trattamento fatto dal Piano a fondi aventi caratteristiche analoghe a quelli di loro proprietà.
Tanto premesso, va poi osservato che, come gli appellanti del resto riconoscono, obiettivo del nuovo Piano non era soltanto quello di contenere l'espansione edilizia in ambito comunale, riducendo la abnorme capacità edificatoria (circa 300.000 mc. potenziali, rispetto ai 50.000 mc. di cui al PUP) prevista dal vecchio P. di F., ma anche quello di avviare contestualmente il recupero e la riqualificazione edilizia del centro storico, la valorizzazione dei residui spazi vuoti interni all'edificato - ed in particolare, come si evince dalla relazione, la tutela dello spazio verde ancora presente nel centro storico - nonchè in generale la salvaguardia dei valori ambientali, il recupero di una migliore vivibilità del Paese ed il decongestionamento della viabilità.
In questo contesto, appare evidente che la scelta urbanistica volta a privilegiare - entro i limiti di compatibilità - l'espansione edilizia in zone già urbanizzate ma non immediatamente centrali appare coerente con i criteri tecnico urbanistici assunti per la redazione del Progetto e con l'intento (cfr. punto n. 2.2. del parere della Commissione urbanistica provinciale 21.3.1996) di attuare la salvaguardia di alcune aree interne al centro più densamente edificato e storico che costituiscono gli orti e i giardini esistenti ed è dunque, nelle sue linee di fondo, immune dai denunciati profili di irrazionalità.
In proposito, a più riprese, sia nel contesto dell'atto di appello che nel ricorso di primo grado, gli interessati hanno dedotto come illogica la previsione nel centro abitato di aree destinate a verde agricolo secondario, sostenendo essere invece notorio che in Canazei, anche per ragioni altimetriche, il territorio non avrebbe alcuna attitudine agricola.
Il rilievo non è condivisibile.
A prescindere dalla circostanza che la pretesa radicale inattitudine agricola del territorio comunale, lungi dall'essere notoria, è stata vivacemente contestata in primo grado dal Comune il quale richiama pratiche tuttora in atto di orticultura, fienagione e pascolo, sembra determinante osservare che una zona destinata ad uso agricolo dal piano regolatore generale possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, venendo a costituire il polmone dell'insediamento urbano per il fatto di assumere mediante tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano (cfr. IV Sez. 24.12.1999, n. 1943).
Venendo alle posizioni dei singoli appellanti, infondato è il motivo mediante il quale i signori Soraperra tornano a dedurre l'incongruità della previsione di un percorso pedonale (o ciclabile) che attraversa un fondo di loro proprietà (p.f. 694) sito nei pressi della via Campaz.
In disparte il rilievo che, come precisato dal Tribunale, il tracciato del percorso è suscettibile di modifiche in sede di progettazione esecutiva ai sensi dell'art. 39 delle Norme tecniche, l'infondatezza della doglianza risulta evidente ove si consideri - alla luce dei criteri interpretativi sopra esposti - che gli interessati contestano genericamente e nel merito la congruità della previsione, in sostanza limitandosi ad allegare il danno patrimoniale che potrebbe derivare loro dal vincolo.
Per quanto riguarda la posizione specifica dell'appellante Deflorian, si censura la previsione di demolizione del dismesso compendio dell'ex Albergo Alma, finalizzata allo spostamento del tracciato della strada esistente in località Cleva.
In proposito, premesso ancora una volta che in questa sede non possono avere ingresso valutazioni di merito in ordine alla adeguatezza del percorso esistente rispetto alle esigenze di viabilità, fondamentale è il rilievo in ordine alla carenza di attuale interesse in capo all'appellante, posto che la previsione di sistemazione della zona all'interno della quale insiste il compendio è stata stralciata dalla Giunta provinciale, per la necessità di meglio ponderare la scelta fra le varie ipotesi progettuali (spostamento del tracciato; realizzazione di una galleria; realizzazione di una variante di fondo valle) in astratto praticabili.
Per parte sua l'appellante Pasquali lamenta la sottrazione di edificabilità per circa 600 mq. a carico della pertinenza della casa di abitazione paterna, ora in parte destinata a bosco.
Il mezzo non è fondato, risultando immune dai denunciati profili di illogicità la riduzione dell'indice di edificabilità in una zona che il Comune afferma soggetta a rischio geologico e riconoscendo la stessa appellante che la destinazione a bosco di una parte del terreno riflette la situazione già esistente in loco.
Dal punto di vista formale gli appellanti censurano poi la decisione della Giunta provinciale di procedere comunque all'approvazione del Piano nonostante la CUP avesse evidenziato i possibili inconvenienti derivanti dalla avvenuta redazione del progetto in scala topografica anziché catastale.
In sostanza, secondo gli appellanti, il Piano avrebbe dovuto essere nuovamente progettato nel suo contenuto grafico, con redazione in scala catastale delle varie tavole.
Il mezzo non è fondato, in quanto le osservazioni formulate al riguardo dalla Commissione - pur dando atto della possibile insorgenza di difficoltà nella fase gestionale ed attuativa del Piano e della conseguente opportunità di una successiva trasposizione dello stesso su diverso supporto - non si ponevano in termini ostativi ad una organica applicazione del nuovo strumento, come precisamente rilevato dalla Giunta nelle premesse alla deliberazione n. 6305/1996.
D'altra parte, che nel caso di specie l'omessa redazione del Piano in scala catastale non comportasse una situazione di reale incertezza o indeterminatezza in ordine al contenuto grafico dello stesso, appare evidente se si considera che le suddette difficoltà non hanno impedito agli interessati di percepire il carattere lesivo delle specifiche previsioni riferibili ai terreni di loro proprietà.
Con ulteriori motivi gli appellanti tornano ad evidenziare l'incongruità di alcune previsioni del Piano (quelle relative alla nuova ubicazione del campeggio, alla localizzazione del rifugio escursionistico sul Col Rodella, al previsto incremento di edificabilità per l'area di Pian de Pareda) che asseriscono contrastare con i valori della tutela paesaggistica o idrogeologica.
I mezzi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati in quanto, come esattamente rilevato dal Tribunale, non atti ad evidenziare quegli eventuali profili di abnormità che potrebbero rendere le relative previsioni - chiaramente correlate a valutazioni di merito tecnico - sindacabili in sede di legittimità.
In margine, è comunque da rilevare la sostanziale inammissibilità delle relative doglianze, alla stregua del pacifico indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'interesse a ricorrere contro gli strumenti di pianificazione urbanistica che riguardino aree diverse da quelle di proprietà del ricorrente sussiste allorché la nuova destinazione urbanistica incida sul godimento o sul valore di mercato dell'area, o comunque su interessi propri del ricorrente stesso (ex multis cfr. IV Sez. 5.2.1998, n. 207).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, l'appello risulta infondato e va come tale respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono forfettariamente liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l'appello.
Condanna gli appellanti in solido a rimborsare al Comune di Canazei le spese del grado che liquida in Euro tremila/00 (3000,00).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:
Stenio RICCIO Presidente
Domenico LA MEDICA Consigliere
Antonino ANASTASI Consigliere, est.
Aldo MOLLICA Consigliere
Nicola RUSSO Consigliere
M A S S I M E
1) P.r.g. - maggioranza dei componenti del Consiglio Comunale in conflitto d'interessi - agli effetti dell'obbligo di astensione rileva il momento deliberativo - commissario ad acta. L'art. 57 della legge regionale (Trentino Alto Adige) 4.1.1993, n. n.1 - poi confluito nell'art. 107 del T.U. sull'ordinamento dei Comuni approvato con D.P.G.R. 27.2.1995 n. 4/L - demanda alla Giunta provinciale il potere sostitutivo di provvedere a mezzo di commissario, allorché i comuni non siano in grado di adottare atti obbligatori per legge o per statuto a causa dell'obbligo di astensione in capo alla maggioranza dei componenti dell'organo (consiglio o giunta). Nel caso in esame, la maggioranza dei componenti del Consiglio comunale - versando in conflitto di interessi - non poteva concorrere all'adozione del nuovo Piano regolatore comunale, giusta il disposto dell'art. 45 D.P.G.R. 19 gennaio 1984, n. 6/L, che impone agli amministratori comunali di astenersi dal prendere parte alle deliberazioni riguardanti interessi propri o di parenti fino al quarto grado, del coniuge o di affini fino al secondo grado. In primo luogo, ed in linea generale, deve infatti considerarsi che le norme che conferiscono all'organo tutorio il potere sostitutivo di cui si discorre sono evidentemente compressive della libera esplicazione del mandato elettivo conferito ai consiglieri comunali, ed hanno quindi un carattere eccezionale che le rende insuscettibili di applicazione analogica al di fuori dei casi precisamente individuati dal Legislatore. Da questo punto di vista, la normativa di riferimento è chiara nel ricollegare l'obbligo di astensione - ed il conseguente intervento sostitutivo - al momento in cui l'organo incompatibile dovrebbe provvedere (compiere.. adottare) e cioè deliberare in senso costitutivo. Applicando il criterio ermeneutico ora individuato al procedimento di formazione degli strumenti urbanistici, ne deriva che agli effetti dell'obbligo di astensione rileva essenzialmente il momento deliberativo, cioè il momento in cui le soluzioni tecniche prospettate dal progettista vengono sottoposte all'esame dell'organo consiliare, cui spetta decidere con piena libertà di giudizio sulla rispondenza di dette soluzioni alle esigenze della popolazione locale. (cfr., in fattispecie speculare rispetto a quella in esame, IV Sez. 23.5.1994, n. 437). Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 1191 del 4.3.2003
2) P.r.g. - interesse del privato correlato ad una precedente previsione urbanistica - l'aspettativa ad una non reformatio in peius cede di fronte alla discrezionalità del potere pubblico ci pianificazione urbanistica - insidacabilità delle scelta di merito da parte del giudice amministrativo. La giurisprudenza ha da tempo segnalato che non può ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo più proficuo: in questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore (cfr. Ap. 22.12.1999, n. 24). In tale ottica, viene in rilievo dal lato sostanziale il riconoscimento in capo all'Amministrazione, in occasione della formazione dello strumento urbanistico generale, di una ampia potestà discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti del territorio, senza necessità di motivazione specifica delle scelte adottate in ordine alla destinazione delle singole aree, ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri generali seguiti nell'impostazione del Piano (cfr. IV Sez. 22 maggio 2000, n. 2934). Dal punto di vista processuale, a tale discrezionalità corrisponde logicamente la insindacabilità delle relative scelte di merito, a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità (Cfr. IV Sez. 8.2.1999, n. 1214). Cons. di Stato, Sez. IV, sent. n. 1191 del 4.3.2003
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